Spider-Man Origins #7

 

 

Due settimane dopo, Elivelivolo S.H.I.E.L.D.

 

- Ci siamo tutti? Bene, direi di cominciare. – fa la donna i cui lunghi capelli neri sono stati raccolti in una coda. L’abito militare e la postura marziale la fanno troneggiare di fronte alla decina di suoi superiori, seduti intorno a quel tavolo – Questa riunione avrà un unico argomento: Peter Parker. – la foto del giovane adolescente appare in un ologramma alle sue spalle.

- Vuol prenderci in giro? – chiede qualcuno dal fondo della sala.

- No, signore. È il caso di cui mi sono occupata negli ultimi mesi. –

- E chi le ha assegnato il compito di… -

- Sono stato io. – tuona il colonnello Fury, muovendosi verso la propria sedia – Quell’adolescente di New York ha varcato per ben cinque volte la linea di demarcazione. Quella che usiamo per definire un soggetto trascurabile e uno prioritario. Nessuno passa da insignificante a prioritario in breve tempo, Peter Parker lo ha fatto cinque volte. Agente Drew, continui la sua esposizione. –

- Grazie, colonnello Fury. Come stavo per dire, Peter Parker è il figlio dei coniugi Parker, dipendenti della divisione di biologia molecolare delle Stark Industries. I suoi genitori, in sostanza, hanno creato la terapia genica di nuova generazione. Sono morti in un attentato perpetuato da ignoti. Pare che il ragazzo abbia ereditato il loro intelletto oltre a qualcos’altro. –

- Che intende dire? –

- Peter Parker ha rischiato di morire per l’esposizione a materiale biologico contaminato da radiazioni. Ma è guarito, grazie ai suoi genitori. E questa è a prima volta che è diventato prioritario. -

 

- Sergei! – esclama sua madre, ma lui non può sentirla. L’impianto stereo quasi invisibile, incassato nelle pareti della grande biblioteca, spande le note allegre dell’overture de La Gazza ladra di Rossini, mentre l’uomo è immerso nella lettura di un classico della letteratura inglese. Il mondo perduto, una rara prima edizione appartenente alla collezione Kravinoff già da diversi anni.

- Sergei! – ripete sua madre spalancando la porta – È successo. – pronuncia, in russo, non appena è certo che suo figlio la ascolti. Lentamente, l’uomo richiude il libro e si alza, senza guardarla, sistemando il libro con cura fra un paio di volumi finemente rilegati.

- Dove? – chiede con calma, senza voltarsi.

- In Ghana, pare. –

- Quando? –

- Credo ieri mattina. –

Mentre Sergei si volta, è palese quel lieve sorriso compiaciuto, nonostante la postura compassata e la veste da camera di raso contengano la sua figura in una posa molto formale, una lieve nota di allegria aleggia sul suo volto.

 

Peter Parker sta correndo sui tetti del Queens. Dovete prendere “correndo” come termine relativo, sta correndo rispetto alle sue capacità. In futuro, quando farà cose del genere ogni giorno, non si muoverà così in fretta tranne in rare occasioni. Inconsciamente, sta usando i suoi poteri come raramente farà in futuro. Falcia letteralmente una serie di antenne, gettandosi in mezzo ad esse con un tuffo guidato dal suo senso di ragno. Si ferma solo quando un balzo sarebbe eccessivo, si ferma per indossare quei bracciali che gli consentono di tessere un polimero plastico resistente alla trazione per svariate tonnellate. Peter Parker non indossa un costume, quei costumi che ha preso dallo studio televisivo sono nella sua borsa, dimenticati. Non ne ha bisogno adesso. Silenzioso e preciso, volteggia verso il tetto successivo, appeso ad un filo, così come il suo destino. Sa dove sta andando, e sa perché ci sta andando. Sa che ucciderà l’uomo che ha fatto questo alla sua vita.

Due settimane dopo, Elivelivolo S.H.I.E.L.D.

 

- In seguito alla morte dei suoi genitori, Peter Parker ha cominciato a sfogare la sua rabbia su dei lottatori professionisti. –

- Mi scusi, agente Drew, ma in che modo questo può essere prioritario per lo SHIELD? –

- Il ragazzo dispone di un Q.I. fuori dalla norma e dei poteri aracnidi sconosciuti. – ricorda Nick Fury, intervenendo – Non ha addestramento militare, ma ha conciato per le feste ventidue lottatori dal peso tre volte superiore al suo. Stava cominciando ad usare la sua intelligenza per fare del male, era frustrato e potente. Ritenevamo fosse questione di tempo prima che capisse che aveva il potenziale per fare cose peggiori. –

- Ma ci sbagliavamo. – continua l’Agente Drew – Fattori psicologici ambientali del tutto imprevisti sono intervenuti e hanno corretto il tiro. Nuovamente, Peter Parker è diventato non prioritario, ha scelto di usare le sue abilità in uno show televisivo. Ha ricevuto un basilare addestramento al combattimento, massimizzato dalle sue capacità, ma a parte questo, credevamo che fosse un capitolo chiuso, fin quando non è stato ucciso suo zio. –

- Accidenti! Non ho mai conosciuto nessuno così sfortunato… -

 

 

Sergei ridiscende rapidamente la scalinata. È mattina, a Mosca, prima mattina. Il notaio lo aspetta in giardino.

- Quindi, è successo. – comincia Kravinoff, senza neanche salutare. È alto, ma non muscoloso, anzi la sua figura è vagamente flaccida, persino al confronto di quella del notaio.

- Ieri mattina, si Sergei. Mi dispiace molto. –

- A me no, Dimitri. – afferma bruscamente l’uomo, inforcando gli occhiali che vanno a compensare una fastidiosa miopia – Mio padre è sempre stato uno sciocco. Ora ha finito di sperperare il nostro patrimonio. –

- Il SUO patrimonio. – puntualizza il suo interlocutore. Entrambi cominciano a camminare per la tenuta dei Kravinoff, attraversando un ampio giardino.

- Che vorrebbe dire? È morto, no? – si affretta a chiedere.

- Perché lo odiavi così tanto, Sergei? –

- E me lo chiedi? – comincia l’uomo – Mio padre…Alexen Kravinoff… non era un uomo degno di questo nome. Non ha mai cresciuto la sua prole, non è mai stato qui a badare ai suoi affari. Mia madre ha tenuto le redini del suo impero…e per cosa? – esclama – Perché lui storpiasse il nostro nome per il brivido dell’avventura? Kraven il cacciatore, molto suggestivo. Diceva che faceva effetto sui popoli indigeni che incontrava. –

- Tuo padre era un uomo molto profondo. – si azzarda a dire il notaio – Le cose che ha imparato nei suoi viaggi, le persone che ha incontrato… -

- I ciarlatani vorrai dire. Gli promettevano la vita eterna e il potere, e più di una volta abbiamo dovuto disintossicarlo dalle droghe che gli somministravano. Lo definisci un uomo profondo, questo? –

Intanto, Sergei e Dimitri fiancheggiano il muro che segna il perimetro del giardino. All’improvviso, qualcosa sbuca da una delle siepi laterali. Un guizzo, il notaio non capisce neanche che cosa stia succedendo, poi riesce a mettere a fuoco. Uno dei cani da guardia, la catena spezzata che gli penzola dal collare e le fauci spalancate a pochi centimetri dal viso dell’erede dei Kravinoff. L’uomo si dibatte, goffamente, incapace di far fronte all’animale, lo spintona e ottiene solo di farlo innervosire ancora. Grida, gridano entrambi, alla fine due uomini della sicurezza riescono a bloccare la belva

- Sopprimetelo. – sibila Sergei, gli abiti laceri, ma per fortuna niente sangue.

- Ma signore… -

- Ho già tollerato abbastanza la presenza di questi parassiti nel mio giardino. Sopprimeteli tutti! Domani monteremo un vero sistema di allarme. E…Dimitri…il testamento. –

- Ha una clausola. –

- Non mi sorprende. – lo interrompe Sergei, riprendendo fiato – Sai come la pensava, per lui sono stato un figlio snaturato dal giorno in cui mi rifiutai di partire con lui. Io ho studiato, ho messo a frutto la mia mente, sono un uomo civilizzato…non un animale. – ansima un’ultima volta, guardando il cane - E non mi sono mai abbassato alle richieste di mio padre, quando era vivo. Perché dovrei cominciare da morto? –

Il notaio scuote la testa, ripetutamente – Dovresti rivalutarlo, invece. – afferma – Questo testamento lo ha depositato subito prima di partire per questo ultimo viaggio. Mi ha confidato che sapeva che non sarebbe tornato. Non gli ho creduto, ma ho registrato le sue ultime volontà. –

- Allora? –

- Ti lascia ogni cosa, tutto l’impero dei Kravinoff a patto che tu legga un messaggio che ha lasciato per te, nel suo studio. – silenzio, fra i due, per vari secondi – Sergei, forse non è stato il migliore dei padri, ma…anche se dovessi solo sputare sulla sua memoria, rinunciare al suo patrimonio per non adempiere alle volontà di un morto mi sembra stupido. -

 

Un pugno cala sul tavolino di marmo pregiato che adorna l’uffico di Ezekiel Sims. Mesi di lavoro, di ricerche, investigatori privati e soldi spesi non sono serviti a niente. Il ragazzo capace di andare in TV e usare i suoi poteri, ma restare contemporaneamente anonimo, dev’essere dannatamente in gamba.

A peggiorare la situazione un fastidioso mal di testa che tormenta il titolare della Sims Enterprise. Fino a quando non si è buttato in tv, dell’eletto Ezekiel non sapeva nulla. Ora sa che è un ragazzo, e ne conosce l’aspetto anche sotto la maschera, almeno in modo generico. Una delle ballerine del suo spettacolo si è intrufolata nel camerino dell’Uomo Ragno cercando una spinta per diventare la “damigella in pericolo dello show” ed è riuscita ad intravederlo l’attimo prima che Peter si fiondasse fuori dalla finestra. Capelli castani, altezza media, caucasico. Troppo poco, troppo poco per la quantità di soldi spesa per quella informazione. Un sorso di whiskey non allevia quel dolore alle tempie, persistente, snervante. Rivelatorio.

- Ci sta chiamando. – fa, con un lieve sorriso – Non lo sa neanche. Oh, povero piccolo ragno, devi essere così…arrabbiato in questo momento. –

Qualche secondo dopo, la bionda segretaria di Ezekiel entra nel suo ufficio a passo svelto.

- Signore, perché non risponde al…oh… - sparito, l’ufficio è vuoto, nonostante lei non lo abbia visto uscire dalla sua postazione – Ancora? Ma come fa? – si domanda per l’ennesima volta da quando ha cominciato a lavorare per quell’uomo.

 

- È necessario che tu assista? – chiede Sergei, guardando il notaio, mentre gira la chiave nella toppa.

- Devo vedere mentre leggi il messaggio. Posso lasciarti solo dopo. – afferma. La porta dello studio viene aperta. L’odore di legno stantio, misto a quello di pelle conciata è forte. Alle pareti, trofei di caccia. Teste, per lo più, fra cui due di leone e una di elefante. Vari oggetti rituali da tutto il mondo, e libri, pergamene, teche a proteggerli.

- Un luogo molto suggestivo. – mormora Dimitri, osservando quella stanza.

- Mi ripugna. Per quanto mi riguarda, butterò questa roba non appena avremo finito. – gli dice – Ora…dov’è la scatola? –

Il notaio si avvicina alla scrivania di legno, sporgendosi per aprire un cassetto – Mi ha lasciato tutto scritto prima di partire. – afferma, appoggiandola sul tavolo.

- Beh, aprila. –incalza Sergei.

– Ha detto di non lasciarla aprire a nessun altro se non a te. –

L’uomo sbuffa, sedendosi placidamente sulla poltrona, gli abiti ancora laceri dopo lo scontro con il cane, in giardino. Si sistema gli occhiali sul naso, poi allunga una mano. È una scatola di legno con un coperchio di avorio, lavorata finemente. Il coperchio scorre indietro, la sua mano destra ne segue il percorso, ma all’improvviso viene ritratta, sanguinante.

- Ah! –

- Che succede? – chiede Dimitri.

- Vecchio pazzo…ecco che succede…non c’è nessun messaggio… - si lamenta Sergei, stringendosi la mano ferita. Una molla, rudimentale e appuntita sporge dalla scatola, macchiata ora di sangue.

- Ma è impossibile…ci dev’essere un mess… - comincia a dire Dimitri, ma la sua voce viene sommersa dal silenzio, come quando si finisce sott’acqua. Sergei può sentire solo il sangue pulsargli nelle orecchie. Poi, all’improvviso, il suo sangue comincia a bruciare. Rantola, si getta a terra, colpito da violenti spasmi.

Un barrito d’elefante, un ruggito di leone.

Sono vivi, sono…ancora vivi…le loro teste sporgono dai muri, ma sono ancora vivi…

Questo si ritrova a pensare Sergei.

E come loro…lo sei anche tu, vero?

Ora gli sguardi di tutte quelle belve gli ricordano quello di suo padre. Suo padre non è morto.

Si, lo sono anche io.

C…come?

Io vivo in te. La mia morte era un passaggio necessario per avere un corpo giovane che continuasse il cammino verso il potere. Non sarei sopravvissuto a quella pozione, ma tu si…tu sei giovane e forte.

Non capisco. Quegli stregoni…mi hai avvelenato…

Quegli stregoni capiscono meglio di te che abbiamo lo stesso sangue. Metà di me è in te.

La sua più grande paura, possedere metà del patrimonio genetico di un uomo odiato e disprezzato. Gli arti cominciano a tremare. I muscoli flaccidi e a riposo si gonfiano, assumono una conformazione ipertrofica. Dimitri chiama aiuto, ma lui non lo sente.

Io non sarò mai te…

Taci. Su questo mondo camminano degli avatar, avatar di potere. Sono le prede supreme, quelle per cui mi sono allenato tutta la vita. L’esperienza accumulata ti verrà trasmessa, conoscerai tutte le pozioni che hai voluto ignorare, tutti i riti, tutto ciò che ti occorre. E avrai i poteri che il mio corpo vecchio non aveva la forza di assumere. I tuoi sensi, la tua forza, la tua agilità…

La pozione di quegli stregoni…non può fare questo. Non…ne hanno…le conoscenze…

Credi che gli serva conoscere la fisica e la termodinamica per accendere un fuoco? Credi che gli occorra conoscere l’ingegneria genetica per accendere nel figlio…il fuoco del padre?

 

Dicono che il cuore è solo una pompa.  La verità è che chi lo dice non si rende conto di quanto sia complessa una pompa idraulica. Il complesso sistema di meccanismi che devono regolare la contrazione cardiaca di May Parker è in crisi. Il battito è debole e irregolare, la donna è priva di sensi, il suo corpo ondeggia quando l’ambulanza sfreccia verso l’ospedale. Nessuno glielo aveva mai diagnosticato. Forse, non sarebbe emerso se non fra qualche anno. Forse Ben Parker sarebbe vissuto più a lungo di lei, con suo grande rammarico. L’ambulanza che porta il corpo senza vita di suo marito, prende un’altra direzione, una volta nei pressi dell’ospedale, puntando verso l’obitorio. Lei non lo può vedere, ma in questo momento, lei, Peter e Ben sono separati dal sottile filo di ragnatela che intercorre fra un cuore che batte e un cuore fermo.

 

Due colpi sparati verso le volanti della polizia. Quel vecchio magazzino non lo nasconderà per sempre, Spike lo sa, deve spaventarli, deve…deve fargli avere paura di avvicinarsi. Come quando lui da bambino aveva paura di avventurarsi in quello stesso magazzino, per le storie che si raccontavano. Fantasmi, mostri. Poi l’adolescenza…la ricerca di un posto dove bucarsi, e la scelta è ricaduta proprio su quel magazzino. Allora i mostri sono diventati più vividi e i fantasmi se li poteva creare da solo. Si sentiva invulnerabile, quando ha cominciato a drogarsi, ora invece si sente di nuovo quel bambino sperduto che ha paura anche della sua ombra e il mostro ha una forma tutta sua, occhi bianchi e inespressivi, la pelle rossa e blu. Ma lui gli ha sparato, perché…il mostro era Ben Parker…giusto?

Il ragno. Quello alla TV. Il telefono di Spike compone rapidamente un numero dalla rubrica.

- Mi devi aiutare! – esclama, con la voce che sta andando via – Mi uccideranno! Ho…ho ucciso il mostro, ma…no, non sono…non sono…ne ho bisogno, cazzo! Me ne serve una, per…non riesco a pensare, la polizia mi ha…no, non riattaccare, non… -

- Esci fuori con le mani in alto! – grida un megafono dall’esterno – Non hai via di uscita, se collabori puoi ancora cavartela. –

- Non riattaccare, dobbiamo…gaaaah! – istintivamente, si stava allontanando dalla finestra, ma appena giunto verso un muro in penombra grida terrorizzato, il telefono che gli sfugge di mano.

- Devo…scappare… - mormora Spike, cercando di rialzarsi  -…nascondermi… -

- Mister, non c’è posto al mondo in cui potresti nasconderti da me! –

Il pugno di Peter si infrange sul volto di Spike. L’uomo non sente più la pistola, la vede avvolta in un bozzolo bianco, rotolare lontano. Non riesce a respirare.  Peter non può vederli, non si rende conto che sono lì perché li ha chiamati lui. Ma ci sono. Ragni, a centinaia, sulle pareti, sulla pistola, sul telefono di Spike che invece, quando si è avvicinato al muro, li ha visti. Centinaia e centinaia di occhi che li fissano, che sono lì perché sono stati richiamati da un potere che fa appello a ciascuno di loro.

- Come hai potuto? – ringhia Peter, stringendo le dita della mano intorno al collo di lui. Lo tiene sollevato da terra. Non gli importa che lo veda in faccia, non gli importa più niente – Era una brava persona…mio zio era una brava persona come…come hai… -

Spike ricade a terra, senza fiato. Peter invece si allontana di qualche passo, spaventato. Lo ha riconosciuto, ha visto chi ha ucciso suo zio Ben. Chi lo ha ucciso…veramente. Non l’uomo con la pistola in mano, ma l’idiota che lo ha lasciato andare, egoisticamente. L’uomo con la pistola è lì, a terra, rantola pietà, probabilmente non ha neanche capito che cosa sta succedendo. Aveva bisogno di aiuto, era una cosa che Peter avrebbe potuto dargli. Una cosa che Ben Parker gli avrebbe dato.

Tutta la scena è circondata dalla schiera di ragni che zampettano intorno a loro. Dietro ai vetri di una finestra ricoperta dai ragni, due occhi umani ed aracnidi allo stesso tempo fissano la scena. Ezekiel finalmente vede n faccia il prescelto. Peter non può percepirlo, ma il senso di ragno irrompe nella sua mente per un altro motivo. La polizia sta arrivando.

- Ti troveranno. – fa, verso Spike, che non riesce neanche ad alzare lo sguardo – Ti accuseranno di omicidio, andrai in prigione per molto tempo. – continua, con un tono triste – Voglio che tu sappia…che mi dispiace. Mi dispiace. – ripete, prima di sparire del tutto.

 

Due settimane dopo, Elivelivolo S.H.I.E.L.D.

 

- E poi che è successo? – chiedono dalla sala.

Jessica Drew non risponde, ma lentamente lo schermo olografico alle sue spalle si divide in vari settori che mostrano notiziari, ritagli di giornale e altro.

- Lo teniamo d’occhio, dalla distanza. Non siamo gli unici però, c’è una parte in causa che non siamo riusciti ad identificare. –

- L’uomo alla finestra. –

- Esatto. Abbiamo perso le sue tracce dalle parti di Chelsea. Ha poteri simili a quelli di Peter Parker, il che è a dir poco… -

- Dovete trovarlo e interrogarlo. – ordina il colonnello Fury - Agente Drew, estendo il suo incarico: localizzi, identifichi e interroghi questo soggetto, ma non perda di vista Parker. –

- Pensa che possa ancora diventare pericoloso? –

- Penso che i suoi guai siano appena iniziati. -

 

Il collo di Dimitri cede come una corda, un suono secco che i timpani sensibilissimi del suo assassino colgono in modo distinto. Odore di polvere da sparo, suono metallico, cani che guaiscono. Un’esecuzione. Nel giardino, al riparo da sguardi indiscreti, tre uomini della sicurezza stanno eseguendo gli ordini impartiti. Il cane che ha aggredito Kravinoff giace a terra morto, ora i fucili si muovono verso l’animale seguente. L’attimo dopo, una figura umana cala su di loro, agilmente. I fucili volano via, strappati dalle sue possenti mani. Un uomo della sicurezza viene accecato con due pietre infilate negli occhi, un altro riceve un calcio all’altezza della spina dorsale e qualcosa si spezza. Il terzo, l’ultimo, retrocede spaventato.

- Signore! – esclama, guardandolo – Signor Kravinoff…stavamo solo eseguendo i suoi ordini… -

- Io sono Kraven! – grida l’uomo. Gli abiti fatti a brandelli dal cane sono ancora più strappati a rivelare il suo dorso nudo. In un guizzo, fa calare il suo tallone sulla carotide del suo avversario – Kraven il cacciatore! –

I secondi che passano sono silenziosi. I due cani superstiti, non più spaventati si avvicinano all’uomo che li ha salvati. Lui tende una mano verso di loro, ferma, sicura. Loro lo leccano, in silenzio. La scienza qui non può vedere, non può analizzare i feromoni che scivolano dalla pelle di Kraven alle papille gustative dei due cani  che colti da un messaggio silenzioso, si voltano. Sanno che possono nutrirsi, ora, anche se il pasto sarà insolito. Sarà di carne umana, ha detto Kraven.

L’uomo che una volta era Sergei Kravinoff,  fa il loro stesso percorso, camminando lentamente. Non segue loro, ma la medesima scia di odori. Odore di gelsomino, tabacco di sigaretta e vino rosso.  Una donna è ancora in casa. Un tempo la chiamava madre. A quel tempo, Sergei era ingessato nelle regole di una società che rinnega ciò che è veramente.  Ora tutto quello che importa è la cena per i suoi cani.