Spider-Man Origins #3

 

 

- Oh, andiamo… - mormora Peter, reinserendo per l’ultima volta il numero della sua carta di credito nell’apposito form che appare sullo schermo. Forse l’ufficio di suo padre non è il luogo migliore per fare compere su internet, ma è l’unico modo che gli è venuto in mente per accedere a quel sito di sartoria per wrestler. Si, perché il nostro giovane quindicenne ha questa idea fissa, come spesso accade a quel età, e finché non si sarà scontrato con l’idiozia del suo piano, difficilmente se ne renderà conto. Il sito di questa sartoria consente di creare on line la propria uniforme. Sarebbe fantastico, se non fosse che sfortunatamente la sua carta prepagata è per minorenni e il form non accetta carte del genere.

- Problemi? – la voce di un ragazzo lo fa sobbalzare.

- Ah…no…io…stavo solo controllando la mia posta… - prova a giustificarsi Peter. Il ragazzo che si trova di fronto è moro, una barba incolta che per la giovane età non riesce a velare in modo ordinato il viso, anche se evidentemente è quello l’intento. Profuma di dopobarba e birra, tutto in lui è studiato per farlo sembrare più vecchio, ma la giovane età traspare anche attraverso la camicia color crema e i jeans firmati.

- O io sto diventando più bravo a capire quando la gente mente o tu sei un pessimo bugiardo. – conclude il ragazzo, facendo il giro della scrivania e osservando il sito che l’altro stava osservando.

- Non è come sembra… -

- Ehi, ehi… - fa, l’altro, interrompendolo – Non sta a me giudicare i gusti della gente. Se ti piacciono maschere di lattice e cose del genere, è una cosa tua. Aspetta… - il ragazzo sconosciuto comincia a digitare sulla tastiera. I suoi modi sono estremamente carismatici, anche se molto sbrigativi, tanto che il giovane Parker resta così confuso da non accorgersi di quello che sta succedendo – Fatto. – conclude, trionfante il ragazzo, massaggiandosi il mento e la barba.

- Che cosa hai fatto? – fa, Peter, restando a bocca aperta.

- Ti ho appena regalato…non so neanche io che cosa e sinceramente non mi interessa.– gli risponde – Hanno accettato i dati della mia carta oro. –

Per qualche secondo il giovane aspirante wrestler non capisce cosa stia dicendo, realizza solo quando l’altro si sta già allontanando - Ma…ma… - esclama, confuso - …io non ti conosco nemmeno, come farò a ridarti quei soldi? –

- Ah…giusto… - gli dice, sorridendogli – Sono Anthony, ma puoi chiamarmi Tony. Tony Stark. Ora se non ti dispiace…sto cercando di testare una lega oro-titanio, non ho tempo per suggerirti un modo per ripagarmi. Non so neanche chi sei o in quale reparto lavori…non sei troppo giovane? Goditi il tuo regalo e non fare quella faccia, sono soldi di mio padre! –

 

È difficile inquadrare Spencer Smythe come un evaso, nonostante la notizia della sua fuga sia ormai stata resa pubblica. Il suo aspetto minuto, l’atteggiamento costantemente remissivo, plasmano un’immagine più vicina a quella di un nevrotico, una persona essenzialmente insignificante. Questo è un enorme vantaggio per lui che gli consente di passare inosservato mentre, dopo aver rubato vestiti puliti dalla lavanderia del carcere, si dirige verso una meta nota solo alla sua mente disturbata. Non ha soldi, né documenti, perciò impiega tempo a percorrere la strada che lo separa da quel luogo, un grande deposito poco fuori New York con un’insegna quasi cancellata dal tempo che riporta il logo di una grande compagnia di componenti elettronici.

- Pausa pranzo. – gracchia una voce dal retrobottega, sentendo la porta cigolare – Ripassi fra qualche minuto. –

Come se non avesse sentito, Smythe entra nella guardiola deserta ed estrae da un cassetto una pistola, per poi recarsi nel retro. L’odore di gomma consumata dal tempo e dall’attrito, misto a quello di chiuso si fa più forte, via via che procede verso l’interno. In un ampio locale annesso che compone l’area di deposito, l’unico responsabile del complesso siede su una grossa scatola di componenti elettronici per consumare il suo pranzo, un sandwich in cui qualcuno ha frettolosamente rovesciato una scatoletta di tonno, mentre guarda la tv. È un uomo grasso, con un’iniziale calvizie in atto, sulla quarantina, la pelle del viso è estremamente tesa, come se l’adipe accumulato lo stia portando sul punto di esplodere. Mentre il suo aggressore si avvicina, non si avvede di nulla, si limita a guardare quel vecchio film in bianco e nero: “Ultimatum alla Terra”. Si è accorto che nessuno gli ha risposto, ma il suo peso e la convinzione che nessun rapinatore sano di mente si interesserebbe di giorno a quel magazzino, lo hanno portato a non alzarsi e a ritrovarsi quella pistola puntata contro.

- Santo… - gli sfugge, sentendo il suo cuore accelerare.

– M…mi servono delle cose. – si limita a rispondere il suo aggressore.

Prima che diventasse un famoso ingegnere elettronico, Smythe lavorava in un dissestato prefabbricato adibito a laboratorio dell’Empire State University di New York, con fondi praticamente inesistenti. Le sue nevrosi gli avevano impedito di essere abbastanza preparato alla vita post-accademica da trovarsi un percorso differente. Effettuava regolarmente ordini al limite del proprio budget da una ditta fornitrice, spesso per risparmiare sulla spedizione, andava personalmente a ritirare le proprie ordinazioni in quel magazzino poco fuori New York. Così ha appreso nel tempo che i turni dei vigilanti partono dall’ora di chiusura e che le telecamere a circuito chiuso servono solo a rilevare il passaggio di mezzi sospetti, non di singole persone. Ha senso, dopotutto: una persona da sola, senza auto o furgoni, non può rubare un quantitativo di materiale elettrico e sperare di trasportarlo a piedi. A nessuno è venuto in mente che qualcuno potesse voler restare all’interno del magazzino.

La canna della pistola, che già da qualche secondo tremava come le mani di Smythe, lentamente viene poggiata a terra, quando l’ultimo giro di nastro adesivo blocca definitivamente le gambe del responsabile, che ora giace sul pavimento, incapace di muoversi o di urlare.

- Io…io ho avuto un’idea. – spiega Smythe, confuso, come se l’altro lo ascoltasse – Mi serve…mi servono delle cose. –

L’ingegnere comincia così a radunare il materiale che la sua mente va elencandogli - Va bene…va bene… - mormora Smythe – Devo occuparmi…dei ragni…devo ucciderli… - 

Scatole intere vengono scoperchiate da rapidi movimenti di taglierino, alcune casse divelte con fatica, il tutto davanti allo sguardo terrorizzato del suo ostaggio.

- Io…c…credo che ci siamo…c…ci vuole un’idea per il design…- mormora, confuso, l’ingegnere, mentre il suo sguardo si posa sullo schermo del televisore, restando per qualche secondo incantato alla vista di quelle immagini in bianco e nero, in particolare quella di Gort, il robot di “Ultimatum alla terra”, che muove i suoi primi passi.

 

- Quanti anni ha detto di avere, Toomes? – mormora quasi distrattamente Otto Octavius, senza distogliere lo sguardo dall’equazione scritta sulla lavagna trasparente che ha di fronte.

- Mmm? – l’uomo anziano che viene interpellato alza lo sguardo dal computer – Ah…settantanove, perché? –

Segue una risata del fisico nucleare, una risata che indispettisce ancora di più l’altro scienziato.

- Riflettevo solamente su ciò che la Roxxon Oil chiama “risorse umane”. – conclude Otto, rivolgendogli rapidamente uno sguardo.

- Con tutto il rispetto… - interviene Adrian Toomes, spostandosi dal tavolino a fatica, emettendo qualche colpo di tosse - …io sono forse il ricercatore che ha fatto ottenere alla Roxxon il numero maggiore di brevetti in ambito biomedico e… -

- Brevettando creme antirughe che a quanto pare non funzionano su di lei. – lo interrompe Octavius, osservando divertito gli sforzi che l’altro compie per avvicinarsi – Mi perdoni, ma punzecchiare i miei collaboratori è una cosa che ho sempre trovato molto gratificante. Mi aiuta a riflettere. Non è questo il suo compito? Aiutarmi a risolvere…questo piccolo inconveniente? – mentre parla, due dei suoi tentacoli si muovono per spostare la lavagna trasparente, mentre un terzo tentacolo apre di scatto un pennarello, cominciando a scrivere su di essa.

- Sfortunatamente, - comincia a dire Toomes – le risonanze magnetiche non promettono nulla di positivo. Sembra che la fotofobia sia solo un sintomo dell’enorme flusso di dati che sta investendo il suo cervello. –

- Cosa intende dire? –

- Pare che l’impianto stia diventando via via più difficile da rimuovere. L’analisi comparata di queste scansioni, a tempi diversi, mostra che in qualche modo…il suo tessuto cerebrale stia proliferando, circondando l’impianto e rendendolo…più difficilmente accessibile per via chirurgica diretta. –

Octavius resta in silenzio. Non è un biologo, ma capisce quello che gli viene illustrato e le varie implicazioni che potrebbe avere.

- Pensa…pensa che sia un tumore? – chiede, lievemente preoccupato.

- Potrebbe. –

- Io non lo credo. – mormora il fisico – Credo che il mio corpo stia risolvendo il problema su cui noi ci stiamo arrovellando. –

- Che vuole dire? – chiede Toomes, dubbioso, mettendosi a sedere e passando le dita sul proprio viso rugoso, per schiarirsi le idee.

- Sto producendo nuovo tessuto cerebrale per elaborare le informazioni in eccesso. Un fenomeno biologico che può essere spiegato con la presenza di cellule staminali cerebrali nel… -

- Non credo che lei si renda conto di quello che sta dicendo. –

- E io non credo di aver bisogno ulteriormente dei suoi consigli medici! – esclama Octavius, muovendo nell’aria uno dei tentacoli con violenza – Mi sento benissimo e le mie teorie sono valide, non vedo perché lasciare che lei lavori sul mio caso, spiluccando pezzetti del mio cervello con qualche equipe medica, come un disgustoso avvoltoio! Verificherò io la fondatezza delle mie teorie… -

- Otto! – esclama una voce alle sue spalle, una voce ferma, che interrompe bruscamente il suo delirio di onnipotenza – Dottor Toomes, la prego di lasciarci soli un momento. –

- Come vuole lei, Stane…ma non credo che io e il dottor Octavius avremo modo di collaborare in futuro. – in silenzio, Adrian Toomes raccoglie le sue cose dal tavolo, notando un fascicolo da cui spunta la grafia dell’arrogante fisico nucleare. Quando l’uomo anziano lascia la stanza, quel mucchio di fogli è sparito. Forse, se Otto Octavius fosse stato meno agitato, avrebbe ricordato le voci che gli erano arrivate, secondo cui Toomes non era solamente un brillante ricercatore, ma anche un utile strumento di spionaggio industriale, di cui spesso la Roxxon Oil si era servita in occasione di spin-off e collaborazioni inter-aziendali. Un vero e proprio avvoltoio nel senso più profondo del termine.

- Che succede, Stane? – mormora Octavius, massaggiandosi le tempie con le proprie dita di carne e ossa – Se non te ne fossi accorto, sto cercando di risolvere un problema…anche per voi… -

- Potresti non avere il tempo di farlo. – replica l’altro, con uno sguardo severo – Stando alle informazioni che ho appena ricevuto dal tribunale, questa collaborazione potrebbe non essere positiva per la nostra immagine. La mia e quella di Hammer. –

- Di…di che stai parlando? Abbiamo il processo in pugno…hanno già avuto il responsabile delle inadempienze… -

- Smythe è fuggito da quasi 36 ore, questo lo sai. L’opinione pubblica non gradisce. –

- È con lui che dovrebbero prendersela. Comunque, nessuna giuria sarebbe disposta a riesaminare la cosa senza che il ragazzo… -

- Questo è il punto. – lo interrompe Stane – Il nuovo avvocato, questo…Ben Parker…pare abbia una nuova linea d’attacco. Vuole portare in aula le analisi che le Stark Industries hanno svolto sul ragno irradiato. –

- Sul ragno? –

- Pare lo avessero loro. – spiega Obadaiah – E se non bastasse…il ragazzo è pronto ad esporsi. –

Seguono alcuni secondi di silenzio. Stane non deve neanche spiegare che se Octavius venisse posto al centro di questo scandalo, difficilmente sarebbe ancora appoggiabile agli occhi dell’opinione pubblica, specie per una tecnologia così “invasiva” come quella dell’impiantisca biomeccanica.

- Allora dovete occuparvene. – conclude il fisico.

- Cosa? –

- Lo sai. – lo incalza Otto – Non è la prima volta che fate cose del genere. Dici che vogliono portare in tribunale il ragno e il ragazzo. Allora dovete occuparvene. –

Obadaiah fissa lo scienziato per qualche secondo – Perché credi che Hammer e io saremmo pronti a fare quello che suggerisci? –

- Perché avete i mezzi e le conoscenze per farlo. –

- Ma non l’interesse. –

Quest’ultima osservazione lascia Octavius senza parole – M…ma le mie ricerche…vi servono. –

- Otto…possediamo già le tue ricerche. – gli spiega Stane – Possediamo ogni pezzo di quello che hai costruito. Al punto in cui sei arrivato, anche se tu fossi fuori gioco…i nostri ingegneri potrebbero facilmente venire a capo della cosa nel giro di un anno. Forse con te faremmo prima, ma essenzialmente…tu non ci servi. – una frase di troppo, per l’ira del suo interlocutore.

- Io ti credevo un amico! – i tentacoli del “dr. Octopus”, come lo ha definito Justin Hammer sfrecciano verso Obadaiah Stane, afferrandone il costoso vestito italiano e perforandolo con una stretta poderosa – Non potete…non puoi… -

- Sembra che quell’affare nella tua testa restringa il tuo campo visivo molto più di quello che pensavo. – replica, concitato, l’altro – Non capisci quello che ti sto dicendo? –

- Capisco solo che avete trovato il modo di farmi fuori! –

- Allora dovresti ascoltare quello che ho da dire, visto che è forse l’unica cosa che può salvarti! -

La stretta diminuisce, fino a che Stane non è libero di fare due passi indietro, verso il tavolo a cui si appoggia, per riprendere fiato.

- Parla. – gli intima Otto.

- Ti sto dicendo chiaramente che né io né Hammer ci esporremo tanto per salvarti. Non contro Stark. Non adesso. Non vuol dire che qualcun altro non possa tentare, per conto proprio quello che tu stavi suggerendo…in modo non riconducibile a noi. – le parole di Obadaiah riprendono man mano ad essere pacate – Queste sono le planimetrie del posto dove tengono il ragno e il ragazzo. – gli dice, poggiando una pen drive sul tavolo – Per quello che mi riguarda, io non te le ho mai date e non mi interessa che uso ne farai. –

- Obadaiah… - mormora, Otto, prendendo con un tentacolo la penna usb - …mi dispiace per il tuo vestito. Penso che il progetto non subirà ritardi ulteriori. – è l’unico commento che esce dalle labbra dell’uomo.

 

- Ti assicuro May che Peter sta bene. – ripete Mary Parker nel telefonino – Il motivo per cui Ben non ti ha detto molto sulla sua condizione è semplice: stiamo ancora valutando se vogliamo che questa cosa venga fuori. – la donna indossa il suo camice e si trova nel suo laboratorio, al buio o quasi. La luce azzurrognola degli ultravioletti provenienti dal transilluminatore fuoriesce dal gel elettroforetico che la scienziata sta osservando attraverso le lenti protettive – Adesso devo lasciarti May. Si…si, ti richiamerò presto…dai un bacio a Ben da parte mia. –

Il silenzio torna a regnare nel laboratorio, mentre la donna annota alcune cose su un foglio. Non accende le luci, bensì comincia a lavorare sul microscopio confocale, su una serie di campioni fissati su dei vetrini.

- Rapporto numero ventidue. – pronuncia all’interno di un registratore – Ho raccolto almeno trenta diverse conformazioni cromosomiche in altrettanti campioni. Non c’è alcun dubbio delle profonde alterazioni genetiche che deve aver subito il ragno irradiato da cui vengono questi preparati. Allego queste immagini al materiale da depositare in tribunale. – conclude, alzandosi lentamente dalla sedia per accendere finalmente la luce.

È una donna forte, ha smesso di fumare, cedendo alle insistenze del marito, quando era incinta di Peter, ma in questo periodo è stata molto tentata di ricominciare. Le opprimenti preoccupazioni di quei giorni sono state un forte incentivo. Se solo Richard non fosse così bravo a distenderla…essere più bravi della nicotina, dentro e fuori dalle lenzuola, è un ottimo biglietto da visita per un coniuge.

- Ah…Mary? – chiede proprio suo marito, entrando solo per un attimo nel suo laboratorio – Hai ordinato qualcosa? –

- Ordinato? –

- È arrivato questo pacco nel mio ufficio. – le mostra rapidamente una scatola incartata in modo pressoché anonimo – Non è tuo? –

- No. Posta rapida? –

- Già, molto rapida ed è già tutto pagato. – risponde il marito, aggrottando la fronte e sparendo oltre la porta. Lentamente, Richard Parker si dirige verso il proprio laboratorio, riflettendo sulla cosa e scuotendo un po’ il pacco. Attende di essere solo per aprirlo e solo a quel punto sa a chi deve rivolgersi.

- Vuoi spiegarmi? – è la domanda che rivolge a suo figlio, sollevando la maschera di materiale sintetico e traslucido che ha trovato nel pacco. Si tratta di un piccolo passamontagna di un blu acceso, elettrico, fatta di latex, con i fori per gli occhi grandi e tondeggianti. Nella zona della fronte il colore è invece rosso, con una ragnatela nera istoriata, al centro della quale si staglia la figura stilizzata di un ragno dorato. Molto pacchiana, ma in perfetto stile wrestler.

- Ah…non pensavo che quando dicevano “spedizione in 24 ore”, intedessero davvero…24 ore… - mormora Peter, ritrovandosi di fronte all’innegabile.

- Prima che io sia costretto a parlarne con tua madre, vuoi spiegarmi? Magari riesco a convincere lo zio Ben a difenderti davanti a lei. –

- Io…ah…papà…è una stupidaggine, lo so. Scusa. Non avrei dovuto e… –

Richard Parker lo interrompe con un gesto della mano e un sorriso. È la sua espressione in quelle rare volte che assume quando suo figlio fa un errore. Capita di rado, con Peter, è sempre stato un ragazzo di cui andare fiero, difficile punirlo, specie per un uomo come Richard.

- Lascia stare. Non c’è bisogno che tua madre…ahahahah… - e scoppia a ridere, inevitabilmente, assieme a suo figlio - …devo dirtelo, Pete…hai un pessimo gusto estetico… - e continuano a ridere.

- Mi sembrava appropriato! – ribatte suo figlio, con le lacrime agli occhi e i convulsi di risa.

- Mi sa che si sono scordati il pezzo sopra, però. C’è solo questa maschera, un paio di pantaloni attillati… - mormora, sorridendo il padre.

- Ah…no, no…insomma…li hai visti alla tv, papà? La maggioranza è a torso nudo, o quasi… -

- Peter…per favore basta o rischio di crollare a terra, ok dalle risate…questa è stata… -

- …la peggiore idea che mi sia venuta… - Peter è perfettamente cosciente, mentre lo dice, che non avrebbe mai premuto il tasto di ordine su quel computer. C’è voluta tutta l’incoscienza di Tony Stark per fargli fare quella sciocchezza.

- Ehi, Pete…vuoi vedere l’ultima sciocchezza di tuo padre? – gli chiede intanto Richard, asciugandosi le lacrime.

- Certo. –

In breve, suo padre indossa qualcosa, molto simile ad un bracciale, assicurandosela intorno al polso e sul palmo. Un rapido gesto delle dita e…un filamento grigio/argentato si tende davanti a loro.

- Oh, mio… -

- Bello vero? Pare che avessi ragione tu, Pete. – gli dice suo padre – Il rubidio funziona bene da catalizzatore per la reazione a contatto con l’aria. –

- Papà, è straordinario! Lo hai detto a Howard? –

- Non ancora. La formula è sicura e non è tossica, ma…è instabile. Perde coesione e resistenza troppo rapidamente, dopo un’ora sublima, passando dallo stato solido a quello gassoso. –

Intanto suo figlio si diverte a tendere quel filo applicando una forza crescente.

- È resistentissimo… - commenta, mentre suo padre si sfila quel bracciale, appoggiandolo di fianco ad uno gemello.

- Pensa che di per sé la formula può essere prodotta con un’attrezzatura minima, se solo riuscissi a…figliolo! –

Mentre il padre parla, Peter si piega letteralmente in due, colto da un dolore lancinante alle tempie e alla nuca. Non riesce a parlare, non subito almeno, si puntella con una mano a terra, cercando di riprendere fiato.

- S…sta per suc…succedere qualcosa papà! – esclama.

- Come lo sai? –

- Le mie emicranie…poi succede sempre qualcosa! –

Il giovane Parker non termina neanche di parlare che istantaneamente le sirene di allarme delle Stark Industries irrompono con violenza nel silenzio dei laboratori.

- Mary! – mormora preoccupato RichardPeter, resta qui. Qualsiasi cosa succeda, non farti vedere da nessuno, non possiamo rischiare in questo momento… -

- Va bene papà, ma che sta succedendo? –

Richard Parker non ha una risposta per suo figlio, non ancora, ma di lì a poco si muoverà lungo i corridoi per scoprirlo.

La sicurezza, intanto, è già stata allertata. Da anni Howard Stark lavora sugli esoscheletri e anche se non è ancora giunto a niente di significativo, gli uomini che proteggono i laboratori sono ben corazzati, kevlar: placche di ceramica, e molto altro, si rivelano del tutto inutili contro ciò che devono affrontare, un singolo uomo apparentemente inarrestabile.

All’inizio, neanche lui sapeva a che cosa sarebbe andato incontro. Non aveva mai ucciso nessuno, prima…e ora, davanti al primo degli addetti alla sicurezza, Otto Octavius esita. Ha perfezionato quei tentacoli come strumenti bellici, e ora che si erge di fronte ad un uomo addestrato a combattere gli sembra così piccolo e insignificante che la pietà gli sembrerebbe…sprecata, per una forma di vita così inferiore a lui.

I suoi tentacoli metallici perforano senza problemi quelle corazze, dilaniando le carni dei poveri disgraziati che incontra sul suo cammino. Il suo viso è coperto da un involto di bende scure, da cui emergono solo le lenti scure di un paio di occhiali da sole. Se ciò non bastasse, il dottore non ha intenzione di lasciarsi alle spalle alcun testimone ora che scopre qualcosa di affascinante in quei movimenti. Sente che i programmi che i nuovi programmi che ha caricato nell’hardware che ha nel cervello stanno funzionando, una sensazione piacevole, così simile ad un macabro stiracchiarsi di membra.

Da uno dei tentacoli fuoriesce una piccola bocca di fuoco, quel che rimane di una mitragliatrice Hammertech 520, dopo essere stata smontata e migliorata dalle abili mani di Octavius. Il rateo di fuoco spiana la strada all’essere che si muove per quei corridoi ondeggiando sui suoi tentacoli, con movenze che in tutto e per tutto ricordano quelle di una piovra.

La porta del laboratorio cede sotto il colpo possente di uno dei bracci meccanici, ripiegato in una conformazione ad ariete. C’è silenzio, a quanto pare la procedura di evacuazione è già in atto.

- Ne arriveranno altri… - il fisico nucleare ne è cosciente, sa che deve muoversi in fretta. Il suo sguardo si sposta rapidamente in ogni direzione, finché non individua quello che sta cercando. Rapide, le sue mani umane aprono il portellone trasparente del frigorifero, facendo fuoriuscire una ventata di gelo. Campioni refrigerati, etanolo, tutto viene scansato con cura da quelle mani guantate, finché non trovano la cassetta porta-campioni. All’interno, vetrini, sezioni di tessuto, che rapidamente vengono rovesciati a terra, mentre un tentacolo si rivolge verso di essi, emanando una fiamma alimentata ad acetilene. Tutto viene distrutto, mentre il dottore sorride beatamente, dietro le bende. Solo dopo qualche secondo capisce che non è il caso di essere soddisfatti.

- Dottoressa… - mormora con calma, mentre due delle sue braccia divelgono un piano di lavoro che celava Mary Parker, l’unica a non aver abbandonato il proprio laboratorio - …lieto di incontrarla, purtroppo il tempo a mia disposizione è molto limitato. – comincia a dire, avvicinandosi alla donna e chiudendola nell’angolo.

- Sta parlando davvero troppo…per un uomo deciso a nascondere la sua identità. – risponde Mary, appiattendosi contro il muro – Se ha trovato ciò per cui è venuto, se ne vada e… -

- Non così in fretta, mia cara. Non sono così stupido da pensare che quei campioni siano tutto ciò che rimane del ragno irradiato, perciò…sia così cortese da consegnarmi tutto il materiale. –

- Non ha neanche tentato di… -

- Mentire? – chiede Otto, osservandola – Ad una donna come lei? Sa benissimo chi sono, ha riconosciuto la mia voce…è per questo che morirà nel terribile incendio che distruggerà questo posto, ma…voglio assicurarmi prima che l’esemplare venga completamente distrutto perciò… -

- Fossi in lei, dottor Octavius, non sarei così sicuro. – risponde Mary, sollevando appena la testa.

- E perché mai? – uno dei tentacoli si avvicina pericolosamente al viso di lei, ma non fa in tempo a fare altro, perché il dottore crolla a terra, colpito fra le scapole da un estintore.

- Mary! Andiamo! – esclama Richard, stringendo quel oggetto pesante fra le mani.

- È Otto Octavius! – grida sua moglie, correndo assieme a lui fuori dal laboratorio – Cosa…come ha fatto a… -

- Evidentemente aveva meno scrupoli di quello che credevamo. – mormora suo marito, svoltando per i corridoi e fermandosi per qualche momento - Ci penseremo quando le guardie di Howard lo avranno… - l’uomo resta assorto nei suoi pensieri per qualche secondo.

- Richard? Che hai? –

- Peter è ancora nella struttura, gli ho detto di non muoversi. Non posso lasciarlo qui, devi uscire, chiama Howard avverti… -

- No, Richard io non ti lascio! – esclama sua moglie.

- Non c’è tempo, devi… - ma prima che Richard possa terminare di parlare, la parete alle loro spalle viene perforata da un tentacolo che blocca la strada ai due coniugi, mentre fra le macerie appare il viso di Octavius, con le bende che rapidamente scivolano giù dal viso, dopo la caduta.

- Tutto quello…che dovevate fare era semplicemente non immischiarvi! – esclama l’uomo, sorretto dagli altri tentacoli – Sarebbe andato tutto bene…perché…perché vi siete immischiati? – dal punto di vista di Octavius, i Parker non hanno nulla a che vedere con l’incidente nel laboratorio, la loro insistenza gli appare come un intralcio irritante per i suoi piani.

- Hai quasi ucciso un ragazzo! – esclama Richard – Hai addossato la colpa ad un tuo collaboratore…che razza di uomo…che razza di scienziato sei? –

- Qualcosa che tu non sarai mai. – la voce di Otto è quasi calma, nella sua superiorità – I miei schemi mentali, le mie idee sono talmente superiori ai vostri che… - proprio nel bel mezzo del più delirante sproloquio di Octopus, si verifica per la prima volta quello che in seguito diverrà routine: un sottile filo di quella che sembrerebbe ragnatela viaggia rapidamente verso gli occhiali da sole dell’uomo, attorcigliandosi in modo casuale sulle lenti, oscurando la vista del fisico. Un attimo dopo, una figura giovane, a torso nudo, con indosso un paio di pantaloni attillati, una maschera di latex e due strani bracciali metallici, sfreccia sopra le teste di tutti, sferrando alla meglio una spinta poderosa che riesce a scansare Octavius.

- Richard… - mormora Mary - …quello è… -

- Ecco… - risponde il marito - …io te ne avrei parlato…comunque giuro che è stata una sua idea, il costume e tutto il resto… - anche se i bracciali che indossa, e che gli permettono di tessere tele, li riconosce bene. Effettuata quella manovra, con tutta l’inesperienza del caso, Peter plana all’indietro effettuando una capriola.

- Volete restare qui a parlare di come mi sono vestito? Andiamocene! – esclama il ragazzo, voltandosi verso i suoi genitori, sperando in cuor suo che tutta la situazione e quel salvataggio rocambolesco siano sufficienti per far dimenticare a sua madre quella maschera assurda. D’altronde aveva poca scelta: suo padre gli aveva detto di non farsi vedere e perciò, se voleva aiutarli, doveva trovare il modo di non farsi riconoscere.

Octavius intanto non ha perso i sensi, Peter è tutt’altro che un lottatore esperto ed è riuscito si e no ad allontanarlo. La tela gli impedisce di vedere bene, ma i suoi tentacoli sono dotati di un sistema radar per orientarsi nell’ambiente e in poco tempo guizzano verso il ragazzo.

Rapido, il giovane Parker, guidato da una delle sue “emicranie”, si slancia in avanti, afferrando i genitori e trasportandoli lontano da quel pericolo, fino alla fine del corridoio.

- State bene? –

- Si, Peter… - mormora sua madre - …e tu…tu stai bene? –

- Si, ma…ho paura che i guai siano appena cominciati. –

Davanti agli occhi dei tre, mentre Octavius lotta per liberare gli occhiali degli ultimi brandelli di tela, l’ennesima parete del laboratorio cede, solo che stavolta il responsabile non è un uomo di carne e ossa, ma completamente di ferro.

- Non pensavo che il gusto estetico di Howard Stark fosse così scaduto. – commenta Octavius, aggredendo il droide con due tentacoli.

- Pensi che sia uno dei prototipi di Howard? – chiede sottovoce Mary.

- No. – mormora suo marito, restando dietro l’angolo ad osservare la scena, osservando quelle saldature grossolane sulla creatura di ferro che gli ricorda il robot di “Ultimatum alla Terra” – Decisamente no.

I tentacoli di Octopus si scontrano pesantemente su quella scocca metallica, mentre la figura di quel essere meccanico si piega leggermente, per incassare il colpo.

- N…non m…non mi fermerai stavolta… - la voce di Smythe viene trasmessa attraverso l’Ammazzaragni, titubante come sempre, ma colta da una strana enfasi – S…sono preparato. –

- Smythe? – per un attimo, Octavius resta basito – Che diamine ci fai tu qui? –

Improvvisamente, dalla superficie del robot fuoriescono una serie di tentacoli, del tutto simili a quelli di Octopus, ma molto più numerosi, che si intrecciano legando le due figure in una lotta lenta e goffa.

- P…pensi che…non sappia rintracciare…il segnale emesso da quella cosa che mi hai costretto ad impiantarti nella testa? – risponde Smythe.

- Avrei dovuto ucciderti quando potevo… - commenta Otto, che a stento riesce a muoversi in quel delirio di spire che lo stringono. I suoi tentacoli sono impediti, ma sono più potenti di quelli costruiti da Smythe con materiali di recupero, così riescono a strapparne alcuni dal robot, facendosi strada verso di esso – Rimedierò una volta che ti avrò trovato. – conclude il fisico, mentre una lunga punta rotante viene estratta da un tentacolo e si fionda contro il torace dell’Ammazzaragni, perforandolo.

- Noooo! Non questa volta! – dopo queste parole di Smythe, la situazione cambia repentinamente. Le spire dell’Ammazzaragni si ritirano, mentre Octavius cade a peso morto a terra, seguito dai suoi tentacoli. Un rivolo di sangue fuoriesce dalla sua narice, aumentando lentamente, il suo corpo è scosso da lievi convulsioni – L…lo senti, Otto? Lo senti? Questo è un danno c…cerebrale molto serio…sto t…trasmettendo centinaia di terabyte nel tuo disp…dispositivo. Fra poco…non sarai più in grado di nuocere a nessuno… -

- Dobbiamo andarcene! – esclama Peter, rivolgendosi ai genitori – Devo portarvi al sicuro… -

- No, figliolo. – mormora suo padre.

- No? –

È sua madre a rispondere – No…quell’uomo, Octavius…non merita di morire, qualunque cosa abbia fatto… -

- Ci ha quasi uccisi! Voleva ucciderci! – esclama il ragazzo, da dietro la sua maschera.

- E questo lo rende un assassino, ma noi…noi non lo siamo, Peter. – gli risponde suo padre, guardandolo dritto negli occhi. Qualche secondo, e il giovane Parker sta imparando una lezione difficile. In un attimo, spicca un balzo all’indietro ed è sul soffitto, aderendovi mani e piedi.

- Ancora qualche secondo e…e…oh…no! – esclama Smythe, vedendo quel essere strisciare verso di sé – Non…non altri ragni…ragni! – le spire del robot scattano verso Peter che, guidato dal suo sesto senso, riesce a saltare in tempo per evitarle. L’Ammazzaragni è talmente simile a quelle sagome con cui il padre lo ha fatto allenare che gli viene spontaneo stendere una gamba per colpirlo nello stesso modo. È ancora troppo inesperto, quel calcio è dato in modo goffo e impreciso, così il contraccolpo lo fa crollare a terra, alla mercè del folle ingegnere.

- No… - mormora Peter, ritrovandosi avvolto da spire di acciaio, che serrano i suoi muscoli in una stretta soffocante. Sente la voce provenire da quel robot, ma non capisce nemmeno cosa stia dicendo, lotta per liberarsi, con forza crescente, una forza di cui neanche lui conosce la portata.

- Lasciami! – respira affannosamente, mentre il suo sguardo disperato, attraverso la maschera, si rivolge verso i genitori, ed è allora che il panico aumenta: sua madre e suo padre stanno correndo in suo soccorso. Non può mettere a rischio anche le loro vite, non può… - Ho detto… - i suoi muscoli si tendono, le gambe esplodono in un doppio calcio contro il torace del robot - …lasciami! – le mani si protendono verso la testa metallica che viene sradicata a forza dal busto ammaccato della macchina. Le convulsioni di Octavius si fermano, mentre l’Ammazzaragni scivola a terra, seguito subito dopo dal ragazzo, che, con sguardo incredulo osserva quello che ha fatto, stentando ancora a crederlo.

 

- No! NO! NOOO! –

È scesa la sera, ormai, quando Smythe vede il collegamento con il suo Ammazzaragni venir meno. La sua figura esile è messa in risalto dal fatto che si è tolto la camicia e i muscoli appena accennati sono stretti dai cavi della cablatura di comando del robot. Rabbioso, se ne strappa di dosso quanti più possibile, in preda all’isteria.

- Non doveva andare così! Non questa volta! – i suoi occhi sono iniettati di sangue, non razionalizza più. Non pensa che è un evaso e che ha preso in ostaggio un uomo, che a breve arriveranno gli addetti alla sicurezza del turno di notte. Lo troveranno in stato catatonico,  rannicchiato in un angolo del magazzino, con le unghie distrutte per aver raschiato a lungo sulla parete contro cui appoggia la testa. Nessuno degli uomini che lo preleverà si accorgerà realmente della piccola forma di ragno incisa in questo modo disperato su quel muro.

 

Alcuni giorni dopo

 

Difficile credere che per i Parker le cose potranno tornare ad essere quelle di prima. Non con le nuove abilità di Peter, non con quegli attacchi ai laboratori Stark, non con le udienze in tribunale in cui forse il ragazzo dovrà presentarsi. Eppure, nonostante questo, la famiglia ha fatto ritorno nella casa che il giovane ragnetto non ha più visto dal giorno dell’incidente.

- Ha chiamato May. Di nuovo. – mormora Mary Parker, entrando in camera di suo figlio.

- Le hai assicurato che Peter sta bene? – chiede suo marito.

- Per l’ennesima volta, si. Dovremmo fare qualcosa… -

- Tipo darle un ansiolitico? –

- Tipo staccare il telefono, Richard! – esclama sua moglie, ridendo – Allora Peter, ti sei convinto a buttare quella roba? –

Peter Parker è seduto davanti alla finestra mentre osserva la sua maschera da wrestler, stringendola fra le dita, con un lieve sorriso.

- Penso di si, mamma. Sai… - mormora, socchiudendo gli occhi - …quel giorno, al laboratorio…mi sono reso conto che io non sono adatto a combattere. Non è questione di muscoli, è che…per picchiare qualcuno, o qualcosa…devi avere un motivo, una questione irrisolta, che ti faccia essere sempre in collera. Penso che gli uomini violenti siano accomunati da questo e io…io non sono un violento, io sono sempre stato abbastanza felice della mia vita, anche quando era frustrante. –

- È una cosa molto bella. – commenta sua madre.

- E anche molto matura. – conclude Richard, sorridendo – Sei abbastanza maturo per trovare qualcosa da fare stasera, Pete? –

- Sicuro! – risponde suo figlio sorridendo – Tu e la mamma vi meritate una cena fuori, da soli…è da quando è iniziato tutto questo casino che non avete un momento di pace. 

- Il mio ometto… - commenta sua madre, dandogli un bacio sulla fronte – Non aspettarci alzati, però. – conclude, sorridendo.

Qualche minuto dopo i due coniugi escono di casa, la loro auto è parcheggiata proprio davanti al vialetto, così che Peter riesce a vederli mentre scherzano e si baciano, prima di salire. Il ragazzo sospira, leggermente, tenendo fra le dita il latex della sua maschera, quando improvvisamente gli scivola di mano. È in quel momento che è colto da una delle più violente emicranie che abbia avuto, stringe gli occhi, per il dolore, ma anche in questo modo riesce a vedere e a sentire l’enorme esplosione che dilania l’auto e i corpi dei suoi genitori, infrangendo parte dei vetri della sua stanza. Le lacrime scivolano giù dai suoi occhi, mentre lui ancora non riesce neanche a capire cosa succede, non vede nulla in mezzo al fumo che si è alzato. In silenzio, in strada, un uomo scivola via dalla scena di quel orrendo crimine, i suoi passi si perdono fra il rumore degli antifurti che sono scattati. C’è agitazione, in quel momento, per questo nessuno può riconoscere in lui l’industriale Norman Osborn, così come nessuno dirà più che lui è solo un uomo che fabbrica bombe.