Marvel Origins #2

 

 

Cala la notte sull’Area 53, l’immensa area controllata dai militari sprofonda nel silenzio. Apparentemente, tutti dormono, ma si sa che le apparenze ingannano. Ossute nocche di una mano scarna bussano ripetutamente ad un alloggio al primo piano, finché la porta non si apre.

- Bruce! Che ci fai qui a quest’ora? – è la voce di Betty che emerge da quella fessura che lascia aperta da cui filtra poca luce.

- S…scusami, lo so che è tardi. È che…che volevo scusarmi per quello che è successo stamani. –

- Oh, andiamo…tu che c’entri? È stato Anthony. – gli ricorda lei, aprendo del tutto la porta e mostrandogli un sorriso splendente.

- Lo so…lo so. È solo…solo che, insomma…al posto tuo mi avrebbe dato fastidio e forse vuoi presentare un reclamo…tuo…tuo padre è… -

- Mio padre è a sputare ordini in faccia a qualche recluta. – sospira, chiudendo gli occhi da cerbiatta che fanno impazzire il povero scienziato – E tu sei qui, ad inventarti scuse per giustificare che sei venuto alla mia porta e non sai come chiedermi di entrare. –

- Ah… - Bruce arrossisce, non gli capitava dai tempi del liceo, ma da quando l’ha conosciuta…da quando suo padre l’ha portata con sé…da quando si incontrano di nascosto al generale…nel perimetro esterno, o durante le esercitazioni…ha ripreso a farlo spesso.

- Mio padre non tornerà prima dell’alba. – e detto questo, Betty Ross gli poggia le mani delicatamente intorno al collo e comincia un lungo bacio, misto ad un abbraccio, mentre la porta si chiude.

 

Anche Susan Storm è sveglia, nonostante la mezzanotte sia passata da un pezzo, inquieta per quel che il dottor Banner ha prospettato durante la riunione. Come si fa a dormire quando l’incubo di un’arma di distruzione di massa ti aspetta al risveglio? In silenzio, resta seduta sul letto, con indosso una vestaglia da camera che ne copre il fisico snello e attraente. Potrebbe farsi una doccia, potrebbe persino cucinare, quel piccolo alloggio è dotato di qualsiasi cosa, il governo deve spendere davvero molto per mantenere una struttura del genere.

- Chi c’è? – esclama la ragazza, immersa nel buio, quando un rumore scuote i suoi nervi già tesi. Il terrazzo, o quel pezzo di lamiera che così chiamano, è deserto, quando vi si affaccia, ma sa di non essere sola. Si volta, per rientrare, ed eccolo di nuovo quel rumore, un respiro appena percettibile. In un attimo, un tonfo alle sue spalle, sul metallo, il sangue si gela.

- Non è l’unica tormentata dalle grida. – pronuncia una voce con un marcato accento europeo che lo identifica senza ombra di dubbio. Susan lo riconosce, non si volta, anche se trema sotto la vestaglia.

- Di quali grida sta parlando, Von Doom? –

- Le grida delle persone che uccideremo. – pronuncia, avanzando dall’ombra e girando intorno a lei, per mostrarsi.

- Si preoccupa tanto di questo, ma non di violare la mia privacy. – replica la ragazza, andando a mettere qualche metro di distanza fra loro.

- Da dove vengo io, camminare di notte è considerato un rimedio contro l’insonnia. –

- Anche arrampicarsi di notte è una tradizione della Latveria? –

Victor sorride, mostrando il bel profilo e gli occhi grigi socchiusi – Voi donne americane avete sempre la risposta pronta… - commenta.

- Von Doom… -

- Victor. – la ferma subito lui, cercando un tono più informale.

- Victor. – ripete lei – Perché hanno chiamato anche te? –

- Sono un fisico. Ho lavorato al CERN di Ginevra per molti anni e… -

- No, io intendevo dire…che cosa ti hanno offerto? –

- Offerto? –

- Hanno offerto a tutti qualcosa. Stark…soldi, immagino…Richards avrà il suo combustibile spaziale, Banner l’occasione della sua vita… -

- Tu? – la ferma subito lui.

- Il… - lei esita, rendendosi conto di essere stata colta in fallo - …il governo ha promesso di prendere in esame un pacchetto di nuove leggi per la tutela dell’ambiente e degli animali e di portarle all’approvazione entro un anno. –

- Quindi? –

- Le ho scritte io, quelle leggi. Insieme alle associazioni con cui collaboro. – ammette, alla fine, sedendosi sul letto – Tutti abbiamo dei punti deboli, ma tu? Tuo padre è il monarca di Latveria…che cosa possono offrirti? –

Segue un lungo silenzio, Victor si appoggia alla finestra, osservando il cielo notturno senza rispondere per alcuni secondi – Che cosa sai della Latveria, Susan? – le chiede alla fine.

-  So che è in Europa. –

- Europa dell’Est, per l’esattezza. – la corregge – Verso la fine della seconda guerra mondiale, fu incoronato sovrano di Latveria un uomo giovanissimo, ma estremamente ambizioso: mio padre, Vladimir Von Doom. Nello scenario politico di allora, con lo spettro del nazismo ancora alle porte, la sua scelta fu di dare asilo ad una serie di rifugiati dalle nazioni vicine. In particolar modo, accolse una popolazione nomade, detentrice di antichissime tradizioni. Fece sforzi enormi per mettere in salvo ogni singolo componente di questa stirpe e, per dimostrare che non credeva alle teorie della razza professate da Hitler, sposò una delle loro donne, Cynthia, mia madre. Conquistò a tal punto la fiducia di questo popolo che negli anni successivi alla guerra, fu messo a conoscenza di ogni segreto che era presente nelle loro tradizioni. Viene da sorridere parlando di magia, ma mio padre credeva e crede veramente in queste cose. La sua ambizione era raggiungere il massimo delle conoscenze che poteva ottenere nelle scienze occulte. È in questo clima che sono cresciuto, è in questo clima che…ho perso mia madre. –

- Come…come è successo? – gli chiede Susan, aggrottando la fronte.

- Come ho detto, mio padre era un uomo ambizioso, un calcolatore freddo la cui lungimiranza non aveva eguali. Quando capì di aver appreso ogni cosa dal popolo che aveva salvato, cominciò lo sterminio, adducendo come scusa un attentato alla sua vita che secondo lui sarebbe stato attuato da mia madre. La fece giustiziare in piazza, a sancire l’inizio delle persecuzioni. –

- Oh mio…è terribile… -

- Tutti i nomadi sopravvissuti si ritirarono nelle montagne della regione di Wundagore, riprendendo la loro vita itinerante, anche se nelle loro tradizioni ora è presente una cicatrice insanabile. I miei parenti invece mi portarono via, mi fecero studiare nel resto dell’Europa, nessuna nazione appoggiava mio padre, dopo i massacri, e nessuna nazione rispose ai suoi appelli per riavere suo figlio. –

Susan ascolta rapita quel racconto, la storia del ragazzino che si arrampicava sui tetti di Latveria e che è diventato un uomo risoluto, agile, forte, riflessivo. La sua mente ha cercato rifugio dalla follia di suo padre nelle scienze esatte, cercando di custodire gelosamente le tradizioni del popolo di Wundagore come l’ultima eredità di una madre persa troppo presto. Difficile immaginare un uomo che più di lui incarni il fascino del bel tenebroso in modo tanto naturale, con il suo aspetto curato, la pelle liscia e gli occhi grigi che esprimono un’energia e una risolutezza impensabile.

- Ecco cosa mi sta offrendo l’America. – conclude, alla fine - La Nato taglierà completamente i rapporti con la Latveria e l’ONU premerà per un processo per crimini contro l’umanità a suo carico, se offro il mio aiuto per questo ordigno. –

- Wow… - mormora Susan, al termine di quel racconto - …c’è da dire che tu hai molti più motivi di me, per non dormire. –

Di nuovo, Victor Von Doom sorride, malinconicamente – A tutto c’è rimedio. – mormora, estraendo un piccolo astuccio di pelle – Mia madre mi insegnò molte cose. Filastrocche, preparati… Lei le chiamava magia, io sapienza popolare…quello che ossessiona mio padre non è altro che una raccolta di miti e rimedi contro mali minori…come l’insonnia, ad esempio. - conclude, estraendo alcune foglie da quel astuccio e riversandole in un pentolino pieno d’acqua, prima di metterlo a bollire sul fornello – Con una tazza di questo, dormirai tranquillamente e ti sveglierai completamente riposata… -

- Non è necessario… - comincia lei, ma lui la zittisce con un solo gesto.

- Lo ritengo necessario. Domani sarà una giornata molto lunga e tutti qui, come mi hai fatto notare, abbiamo un motivo per fare bene il nostro lavoro, per quanto sporco possiamo ritenerlo. –

È così, Susan si ritrova ad essere d’accordo con quelle parole di un uomo estremamente strano, ma che in qualche modo le ha ricordato perché è disposta a passare sopra ai suoi principi, per difendere ciò in cui crede. Trema ancora, quando lui le offre quel decotto, ma non più di una decina di minuti dopo sta dormendo profondamente, e Victor Von Doom sgattaiola fuori dalla finestra, arrampicandosi, così come vi è entrato.

 

Anthony Stark impatta in malo modo sul suo letto matrimoniale. È ancora molto ubriaco, nonostante il trattamento con l’acqua gelida che suo padre gli ha riservato e ora che due soldati lo hanno “scortato” nel suo alloggio, la voce del suo vecchio è ancora lì.

- Vi ringrazio signori. Me ne occupo io da qui in poi. – la porta si chiude, dopo queste parole. La stanza di Tony è a metà fra un’officina e un campo di battaglia. Vestiti, progetti, pezzi di un motore, tutto in ordine sparso fra l’armadio e vari piani di lavoro, mentre il pavimento è ricoperto di tappi di bottiglia, sughero e latta in ogni angolo.

- Mi devi spiegare come fai a vivere in questo modo. – continua suo padre – Guardati…sei ancora ubriaco…ma quanto hai bevuto? –

- Tutto quello che non hai bevuto tu… - e nella mente confusa del ragazzo, quella è la battuta più divertente del mondo, mentre si rotola sul letto cercando una posizione comoda.

- Lo capisci che quello che facciamo qui avrà una ricaduta sul futuro di tutta l’umanità? – esclama suo padre, esasperato.

- Faccio. – è l’unica risposta di Tony.

- Che hai detto? –

- Quello che faccio, non quello che facciamo. – precisa meglio il ragazzo.

Howard Stark sta quasi per cedere all’ira, quando in qualche modo comprende il senso di quelle parole e si mette a rovistare su alcuni banchi da lavoro.

- Oh mio… -

- Eh già… - è l’unico commento di suo figlio.

- Tony, hai…hai completato il progetto del detonatore. Il…il detonatore a repulsori per l’ordigno gamma…il progetto è completo. –

- L’ho finito stamattina…alla prima bottiglia di vodka… - ricorda, aggrottando la fronte.

La mente di Tony è una miniera d’oro, per le Stark Industries, ma Howard non riesce ad essere sufficientemente opportunista da pagarne in silenzio il prezzo: l’autodistruzione a cui suo figlio si sottopone.

– Anthony, questo è…è fantastico…ma tu non hai bisogno dell’alcol per… -

- Certo che ho bisogno dell’alcol, stupido…idiota… - biascica il ragazzo, disteso sul letto – Non riesco a pensare, non riesco a…pensare davvero. Tu credi di pensare in questo momento? Non avreste completato quella cosa…neanche…in un milione di anni… -

- Tony, hai sempre avuto una mente geniale, anche quando non avevi toccato un solo bicchiere di alcol, avevi idee grandiose… - ma le parole di Howard si fermano, quando vede che il ragazzo si solleva leggermente sulle braccia per guardarlo negli occhi.

- Intendi dire…quando non avevi ancora ucciso la mamma? – e questa frase fa morire tutte le altre, in quella stanza.

 

- Lei non va a dormire, dr. Richards? – pronuncia l’assistente di laboratorio, osservando il professore di fronte allo schermo di un computer.

- No, non ancora almeno. – la presenza di quell’uomo nella stanza rende la mente geniale di Reed inquieta – Lei può tranquillamente ritirarsi, Blonsky, non credo che avrò bisogno di altro. – aggiunge.

- Oh, non importa, dottore. È un piacere vederla al lavoro. – e detto questo, l’uomo trascina una sedia accanto a quella del suo interlocutore, osservando lo schermo del computer a sua volta.

Non c’è esattamente un particolare specifico che renda Emil Blonsky così fastidioso, è solo qualcosa che Richards riesce a percepire ma non a spiegarsi. Perché è qualcosa di non razionale, qualcosa che non può misurare, né determinare, ma che è…fuori posto. Nella sua vita, in fondo, Reed è venuto a contatto con centinaia di colleghi, biologi, fisici…Blonsky è diverso, è sbagliato, in un modo che non può spiegare.

- Dove ha detto di aver insegnato? – gli chiede, all’improvviso.

- Empire State University, dottor Richards. Per due anni. Dipartimento di fisica nucleare. – non servono queste domande, le risposte sono sempre corrette, puntuali, non c’è mai una parola di troppo o una di meno. Emil Blonsky è un uomo di quarantatre anni, con un principio di presbiopia che conosce alla perfezione l’Empire State University e può disquisire di fisica nucleare come un vero esperto, anche se non ai livelli di Richards eppure…eppure qualcosa non quadra e continuerà a non quadrare.

 

Dormire con Betty è sempre una cattiva idea, dal punto di vista razionale, ma sotto tutti gli altri…ogni volta è un’esperienza indimenticabile per Banner. Al risveglio, di solito percepisce il calore di lei sotto le coperte e il profumo dei suoi capelli, la pelle liscia sotto le dita…ma non questa volta. Questa volta un gelo improvviso lo sveglia, l’odore acre di sigaro e sudore gli attanaglia la mente e il duro legno di una sedia è l’unica superficie che all’improvviso impatta sul povero scienziato.

- Banner! – ringhia il generale Ross, scaraventandolo l’omuncolo nudo dal letto dove riposava su quella sedia – Lurido verme squilibrato… -

- Papà! Non puoi… - esclama la ragazza

- Tu non parlare, non…non osare. – gli intima suo padre.

- Noi stiamo insieme. Noi…cosa fai! -

Più o meno a questo punto, Banner riprende conoscenza. Le urla di Betty che cerca di coprirsi con il lenzuolo si fanno più stridule quando suo padre la spinge fuori dalla porta, chiudendola a chiave. Lo sguardo dello scienziato cerca i vestiti, ma il pugno di Thunderbolt Ross lo fa scivolare a terra prima che possa reagire.

- Ne ho conosciuti parecchi di pervertiti, Banner, e hanno fatto tutti una brutta fine quando mi hanno incontrato. –

- N…non sono un pervertito…glielo ha detto sua figlia, noi… - un calcio allo stomaco gli toglie il fiato.

- Tu sei un uomo più grande di lei, l’hai traviata. Te la sei scopata! – un altro calcio impatta sul fianco dell’uomo inerme – Ma lo hai fatto nel mio campo, lurido verme…e non hai neanche il coraggio di reagire? –

Un fiotto di sangue cola dalle labbra di Bruce verso terra. Non vede quasi nulla, senza i suoi occhiali e trema come una foglia, sapeva che sarebbe successo questo, prima o poi e ora che si ritrova lì, nudo, pestato…è terrorizzato. Non c’è un altro termine, è paralizzato dal terrore che racchiude come un bozzolo tutto il resto. L’amore, la rabbia…niente fuoriesce da quel groviglio di insicurezza e paura, se non il dolore dei colpi che Ross sta sferrando.

- Non sei nulla. Nulla. – ripete il militare, quando il suo stivale impatta sulla guancia di Bruce e poi va a poggiarsi con forza sul suo sterno, per impedirgli di respirare.

- B…Betty… - la voce della ragazza non si sente più.

- Pensi che darei mia figlia ad uno come te, Banner? – e dicendo questo, il generale in preda alla collera estrae la sua pistola – Se fossi l’ultimo uomo sulla Terra, io ti castrerei con questa pistola, pur di non darti mia figlia. – e dicendo questo, punta l’arma verso l’inguine di Bruce.

- L…la prego… - il viso dello scienziato è per metà gonfio e insanguinato, il suo corpo comincia a coprirsi di chiazze violacee appena accennate, che nelle prossime ore diventeranno ben più visibili e a parte i suoi singhiozzi e il respiro affannato di Ross, regna il silenzio in quella camera.

- Generale! – quella voce irrompe all’improvviso da dietro la porta – Generale, mi sente? Sono il dottor Richards! –

- Non ho intenzione di mettermi a parlare con lei. – replica l’altro, tenendo la pistola puntata su Banner.

- E io ho intenzione di chiamare i suoi superiori e di far smantellare questo progetto, Generale. – pronuncia Reed – Sua figlia mi ha detto cos’è successo. Sia una persona ragionevole e faccia uscire il mio collega da quella stanza e io non stroncherò la sua carriera militare. –

Qualche minuto dopo, Banner viene portato in infermeria. La versione ufficiale è che è caduto dalle scale e lui non la smentisce. Reed resta con lui mentre lo medicano, ma non hanno occasione di parlare e Bruce…Bruce non vuole parlare. Il progetto andrà avanti subendo solo un minimo ritardo, c’è una tabella di marcia da rispettare e delle leggi della fisica da violare. Va tutto bene, insomma. Tutto bene.