Yuri N.A. Lucia

 

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Yuri Lucia

 

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6 Pt I

 

 

Zeus osservò Prometeo farsi incontro.

“Sei venuto qui per esser testimone della mia umiliazione?” Chiese il divo con amara ironia.

“Sono qui per servire il mio Re. L’unico vero sovrano di cielo e terra.” Prometeo si piegò sul ginocchio, chinando rispettosamente il capo. Tra i presenti vi fu un brusio di meraviglia, meraviglia che condivideva lo stesso cronicida. Solo Hera, distante dagli altri, osservava con i suoi freddi occhi azzurri senza tradire emozione alcune.

“Ti avevo bandito.” Provò a replicare indifferente il Signore dell’Olimpo.

“Ed ho rispettato il tuo volere. Spiegò l’altro, senza sollevarsi dal suo inchino. Tuttavia c’è solo una cosa che potrebbe spingermi a disobbedirti: il tuo stesso bene.”

“Vieni qui, infrangendo il mio comando, con la pretesa di sapere quale sia il mio bene? Peggio, con la presunzione che tu possa in qualche modo essermi d’aiuto?” Athena squadrò Zeus e seppe subito che quel tono di rabbia era falso. Era l’orgoglio smisurato del figlio dei titani a richiedere quella pantomima ma tutti lo sapevano: Prometeo era stato uno dei suoi favoriti, da sempre; si diceva che lo amasse più di Ellenio che portava nelle vene un po’ del suo sangue ma Prometeo aveva osato troppo e troppo si era esposto nei suoi pareri con il ‘benevolo’ Padre degli dei fin quando non gli disobbedì pubblicamente, disobbedienza che Zeus, per mantener saldo il suo impero su dei e mortali, non poteva ignorare. Poco importava se l’ordine disatteso fosse stato quello di passar a fil di spada una cittadella di riottosi, donne ed infanti compresi.

Prometeo era sempre stato saggio ed avveduto ma non fino al punto di fingere come avrebbe dovuto, in attesa di tempi migliori. Athena invece era dovuta venire a patti con la sua coscienza da tempo. Il giorno stesso in cui Prometeo perse le sua cariche di Signore della Guerra e Consigliere, insieme ai suoi beni e al libero accesso all’Olimpo, fu lei ad essere inviata al suo posto per eseguire l’infame comando.

Ares s’offrì subito di andare al suo posto, non già per sete di sangue, perché la battaglia ma non l’omicidio egli bramava, ma per risparmiarle quel dolore.

Zeus, già di malumore per aver dovuto allontanare per sempre il suo amato Prometeo, non volle ascoltare ragione e minacciò di bandire lo stesso giorno anche Ares.

Athena eseguì di persona la missione, facendosi boia del dio. Diffidò i suoi uomini dal mettere mano alle spade o alle lance. Disse loro che quell’ordine a lei era stato impartito e che lei doveva eseguirlo. Piansero i suoi fedelissimi, sapendo cosa costava alla loro amata Signora ma lei non poteva permettersi di perdere la sua posizione in Olimpo, non poteva essere cacciata dalla Mano di Dio perché era l’unico modo che aveva di poter controllare le mosse del despota e poter un giorno sperare di scalzarlo.

Ora il momento era giunto e Prometeo era tornato. Proprio ora. Non un semplice segno del Fato ma parte di una macchinazione più complessa. Evitò di guardare Hera, regina di intrighi e, nella sua mente, prossima regina degli Olimpi, cosa che Athena non avrebbe mai permesso.

Zeus era un sovrano volubile ed oppressivo. Hera non era che la sua versione femminile, privata del suo grande potere ma superiore a lui in quanto avidità e crudeltà. Erano fratelli, non c’era dubbio alcuno. Tuttavia, nonostante Zeus fosse legato da una qualche sorta d’affetto per ella, non aveva mai ceduto alle sue incessanti richieste o alla sua corte spudorata. Aveva assaggiato si, le carni che avevano il suo stesso sangue, spinto dall’inesauribile lussuria che lo animava ma si era ben guardato dal mettere sul trono colei la quale superava in astuzia e spietatezza il freddo serpente.

Hera mirava al trono e per questo aveva complottato con i quattro rinnegati ma Athena aveva dei piani diversi per lei.

Tuttavia non poteva non sentirsi a disagio per la presenza di Prometeo, il cui ruolo in quella pericolosa partita le era sconosciuto. La profezia di Meti era chiara, almeno ai suoi occhi: un titano sarebbe stato la causa della caduta di Zeus così come lui era stato causa della fine del giogo dei che i titani avevano posto al mondo tutto; ma come? Il mostro che gli uomini avevano preso ad appellare con l’antica parola Tifone, era stato in qualche modo evocato da Prometeo stesso. Lui possedeva grandi ed arcane conoscenze e poteva aver stretto un patto con le forze infere da sempre mal disposte verso Zeus per potersi avvalere della sua, apparentemente, smisurata potenza.

Hera e Prometeo avevano messo in piedi tutto quel teatro, compreso il sanguinoso assedio di Amaltea solo per attirare lì Zeus.

Sentì il petto stringersi pensando a tutte le vite sacrificate solo per coprire quel tradimento ma si disse che era necessario. La Terra non avrebbe retto a lungo il dominio di Zeus ed era bene che una guerra su larga scala per destituirlo fosse evitata.

 

Prometeo rimase in paziente attesa. Il labbro di Zeus, per un istante, tremò. Era il suo figlio prediletto. Così lo aveva sempre considerato. In saggezza e bellezza Prometeo superava tutti, il Signore dell’Olimpo compreso. Non lo aveva mai invidiato o provato sentimenti malevoli per lui ma solo ammirazione ed amore per il suo Prometeo. Tuttavia era un Re e un Re doveva prendere decisioni difficili, anche quando queste consistevano nel privarsi di quanto più gli era caro e Prometeo con la sua insolenza lo aveva reso necessario.

Ora però era lì, umile e penitente, e la sua contrizione gli appariva genuina. Gli offriva il suo aiuto per sconfiggere un nemico che appariva, per la prima volta, davvero invincibile.

La flotta guidata da Eracle era ancora lontana e la Leone Nemeo, la sua nave, non sarebbe comparsa che tra due giorni. Non c’era più tempo perché il mostro avrebbe potuto spezzare il fragile assedio contenitivo a cui era stato sottoposto e poi recarsi in chissà quale parte del vasto Impero di Zeus. Forse avrebbe potuto puntare sullo stesso Olimpo.

Pose entrambe le mani, con grande delicatezza, sulle spalle del figlio dei titani e gli disse, con dolce fermezza: “Bentornato tra i tuoi pari, o Prometeo dalla rinnovata saggezza.”

Solo allora Prometeo alzò lo sguardo, incontrando quello di Zeus e rivolgendogli un radioso e tenero sorriso.

 

Athena era nervosa, sebbene cercasse di mascherare i propri sentimenti. Ares se ne era accorto e le stava vicino anche se non osava chiederle. Si era sempre fidato di lei e se stava proseguendo sulla via tracciata, allora l’avrebbe seguita senza esitare. Athena non disse nulla ai suoi compagni cospiratori, non al saggio Sileno, non ad Hermes mastro di rapidità, non al suo amato Ares e tanto meno a Meti, costretta a seguirli in quell’impresa.

Quanto rimaneva della flotta Olimpica si era riorganizzato e tentava, con l’ausilio delle macchine da guerra a bordo di tenere occupato Tifone mentre loro sbarcavano dal capo opposto di Santorini.

“Avrò bisogno di un po’ di tempo”, spiegò Prometeo illustrando ai divi il suo piano.

Hera aveva preso il controllo dell’azione, nonostante i dubbi iniziali di Zeus.

“Lascia che sia io a comandare i mortali a noi fedeli, lascia ch’io li guidi nel tuo glorioso nome.”

Lo slancio di quelle parole, e la necessità che a comandare ci fosse comunque qualcuno di sangue immortale convinse il Padre di tutti gli dei.

L’imbarcazione era piccola rispetto alle altre navi della flotta della folgore. La ‘Canto delle Sirene’ con i suoi 10 remi per fila appariva come la sorella minore delle pentacotere. Avevano ammainato le vele e viaggiarono grazie alla fatica dei rematori, incitati da un tarchiato sergente.

Gli dei sbarcarono, per sicurezza, ad alcuni metri dalla spiaggia e proseguirono con l’acqua fino alla cintola, camminando sul fondale sabbioso.

Da lontano venivano i rumori della battaglia. Il fragore dei massi incendiari che s’abbattevano, uno dopo l’altro, su Tifone senza però produrre effetti apprezzabili.

“Quel mostro, dichiarò Prometeo, porta nelle vene il tuo sangue, mio Signore. Scellerate furono le azioni dei tuoi nemici, così mi raccontò il grande Tiresia. Egli mi svelò l’arcano e mi racconto di come tu originariamente generasti un figlio, un figlio che ti diede la figlia di Urano, Dione con la quale giacesti prima che con Meti e che sarebbe stata tua Regina, nel dirlo esitò, come se fosse dispiaciuto nel pronunciare quelle parole e proprio alla bella e triste Meti rivolse un rapido sguardo, quasi a scusarsi, prima di proseguire, se non fosse stato per l’infame tradimento durante la Titanomachia.  Non è dato sapere nemmeno al venerabile veggente se ad esso fosse o meno stato imposto un nome poiché la sorte volle che la sua mente fosse assente al momento della nascita. Tuttavia, nonostante la sua condizione, i tuoi nemici sono riusciti a farne un arma contro di te.

Utilizzando arcani incanti, gli furono conferite le virtù dei fiumi dell’Ade: il Lete, il Cocito, lo Stige e il Flagetonte.”

Zeus era stupito ed incredulo: “Com’è possibile? Quale maleficio può aver permesso questo?”

Athena ascoltava con attenzione. Hera li aveva convinti a partecipare a quel complotto avendo da tempo intuito i loro reali pensieri riguardo il modo in cui il dio governava il mondo e le sorti delle genti che lo abitavano. Tuttavia aveva rivelato ben poco del suo piano e agire alla cieca era cosa poco gradita ad Athena che, silenziosamente, stava rimettendo in discussione molte delle sue decisioni chiedendosi se lei e gli altri non stessero per mettersi in trappola con le proprie mani.

“Mio amato Sire, con voce melliflua Prometeo, essi sono pervenuti a tali conoscenze consultando antichi e dimenticati spiriti dell’Oltretomba, esseri richiamati dai pozzi infernali del Tartaro ed hanno usato sacre reliquie provenienti dal Giardino.”

Ad udire quelle parole persino gli dei rimasero in silenzio e, dopo diverse esitazioni, stavolta fu Sileno figlio di Pan a prender parola: “Il Giardino da cui sono venuti i Primi che generarono le stirpi divine? Esso è stato sigillato dai padri stessi. Il Giardino Originario è andato perduto e noi siamo riusciti a coltivarne uno nuovo, partendo dai semi che da esso provengono, Eliseo.”

“Il nascosto tesoro degli dei, convenne Prometeo, ma da lì proviene la reliquia usata per l’incanto: un frammento dell’Albero Santo, il Primo Albero. Detto questo mostrò la scheggia di legno che conservava con cura in un sacchetto appeso alla sua cintura. Sono riuscito a recuperarla a prezzo di grandi sacrifici, così come le restanti reliquie per poter intessere un incantesimo che ci permetterà di sconfiggere l’immonda creatura. Incantesimo per cui avrò bisogno di tutti i più potenti Olimpi. Andiamo, il tempo volge al termine ormai, la flotta non potrà reggere ancora a lungo.”

Prometeo guidò il sestetto verso il monte da cui aveva fatto la sua comparsa il mostruoso Tifone. Sul fianco della montagna la cui sommità ancora eruttava lapilli e lingue di fuoco, s’apriva una caverna in cui guidò gli dei.

Hermes, prima d’entrare, lanciò un’occhiata nervosa a Sileno. “È qui che deve accadere?” , parve volergli chiedere ma quello replicò solo con un impercettibile gesto, ammonendolo al silenzio. Temeva che Zeus potesse sospettare qualcosa. L’urgenza del monento, l’umiliazione di non esser stato in grado di affrontare la creatura da solo e le parole di Prometeo l’avevano reso vulnerabile, deconcentrato. Se avesse riacquistato sufficiente lucidità, avrebbe iniziato a sospettare e allora tutti i loro piani sarebbero andati in fumo.

Ares strinse la mano ad Athena mentre varcavano la soglia della spelonca da cui provenivano i fumi del suo cuore incandescente.

Giunti che furono ad quella che appariva una sorta di grande camera naturale fatta di roccia, Prometeo tracciò in terra, servendosi di una polvere gialla, un ampio cerchio, facendo poi sistemare i divi ognuno su un punto di esso.

Athena lanciò uno sguardo preoccupato alla madre. Il volto era madido di sudore, gli occhi parevano essersi infossati in pochi istanti, un debole, amaro sorriso, attraversava il suo viso deformato da un’invisibile peso, come una fatica che la stava consumando attimo dopo attimo.

Prometeo trasse dal sacco che portava con sé alcuni piccoli bracieri in cui mise ad ardere una particolare mistura d’erbe. Preparò veloce il rituale e, impugnando un cultro d’oro, invitò gli dei a praticarsi una piccola ferita. Il sangue sgorgato da essa venne raccolto in una coppa. Athena si meravigliò, perché il cultro, contro ogni sua previsione e nonostante lo scetticismo con cui accolse la richiesta, riuscì a ledere le sue carni altrimenti invulnerabili.

Capì subito da dove veniva e come era stato preparato quell’oggetto. C’era solo qualcosa che avrebbe potuto annullare, temporaneamente, la sua virtù divina.

“Tu …” mormorò ma il titano la zittì con uno sguardo penetrante.

Se Athena avesse palesato quanto realizzato in quel momento, Zeus si sarebbe allarmato. Il dio era troppo distratto e troppo chiuso in sé stesso per aver capito cosa stesse per accadere.

Athena per un attimo fu tentata di urlare, di mettere in guardia tutti. Sebbene non sapesse esattamente cosa, sapeva che qualcosa non andava che Hera li aveva giocati, con la complicità di Prometeo. Per un attimo non dette l’allarme. Furono i volti delle donne e dei bambini trucidati per mano sua, su ordine dell’augusto e divino genitore, a farle morire le parole in bocca.

Prometeo fissò il suo sguaro nel suo. Entrambi sapevano: doveva finire lì, in quel momento, o morte e distruzione non sarebbero mai terminati; assentì, a fargli capire che sapeva ma che avrebbe taciuto. Lui la ringraziò silenziosamente. Athena guardò Ares sorridendogli. Lo amava con tutta sé stessa eppure lo aveva portato alla loro fine. Con sua grande sorpresa egli le sorrise, con dolcezza infinita, tale da rendere incredibile a chi non avesse conosciuto bene il suo animo, credere fosse l’implacabile Signore della Guerra di Zeus. In qualche modo, anche Ares aveva capito ma scelse il silenzio, proprio come la sua amata.

“Invoco a me tutte le potenze che giacciono nel fuoco, nella terra, nell’aria e nell’acqua, iniziò cantilenando Prometeo, invoco coloro i quali per primi aprirono gli occhi sul mondo e che generarono le stirpi immortali e quelle dei mortali. Invoco, per i segreti impronunciabili, ogni giuramento pronunciato, a ‘ché dia forza all’incanto che sto per pronunciare.”

Zeus guardò il suo Prometeo, con immensa fiducia e quello, per un istante, gli sorrise. Un ultimo sorriso, prima del tradimento. Sollevò la coppa ricolma del sangue dei sei dei e riprese.

 

Continua.