Yuri N.A. Lucia

 

Presenta

 

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Yuri Lucia

 

Presenta:

 

 

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5  PT II

 

 

 

 

 

 

I

 

Villa Athene, California – 15 Ottobre

 

 

Billy osservava dal loggiato l’estendersi del giardino della villa che s’irradiava dalle sue mura. Contemplò i sei spicchi in cui era diviso, sei spicchi che ora assumevano un nuovo significato ai suoi occhi, ognuno delineato da una serie di siepi e cespugli dalle forme scolpite ed abbellito con roseti di tipo diverso:  bianchi, rosa pallido, rosa pesca, color del corallo, rosse e gialle; con sua grande sorpresa Tamerlano conosceva il nome di ognuna di quelle varietà: “Virgo, Serenissime, Buttecup…” e via nel suo elenco, sciorinato in modo pacato; al centro di quelle ordinate schiere floreali, fontane, dove un diverso animale, contornato da ninfe, sputava dalla bocca un lungo getto d’acqua; un cavallo alato per Zeus, un corvo per Ares, una civetta per Athena, un capro per Sileno, una serpe per Hermes e unica figura umana, una fanciulla dallo sguardo triste, per la più triste e sapiente di tutte le dee. ‘Perché spesso il prezzo della sapienza è la perdita della felicità’, o almeno così gli era stato detto nei giorni passati.

“Sei, ora lo vedo praticamente ovunque nella villa. Strano come a certe cose uno non faccia caso fin quando non gli dici di notarle. Disse Billy Batson a Simon H. Azam che si poggiò con i gomiti al parapetto e come lui contemplò quel delicato e magnifico spettacolo. Il sei, sei, sei non è il numero del diavolo?”

“Credi che questo sia un luogo malvagio?” Chiese il suo mentore.

“Credo che sia un luogo fuori dal comune.”

“Questo è un luogo di potere, Billy. Anche se al contempo è un giardino delle delizie. Le due cose non si escludono necessariamente. Il potere ed il piacere.”

“Le rose però hanno sempre delle spine.”

“Ottima osservazione.”

“Un luogo comune che mi è venuto in mente osservandole.” Ripensò alle parole di suo zio Dudley, le rose che vedeva dentro la sua testa. ‘Vedevi quello che io invece ignoravo’.

“Il sei è un numero importante, Billy, importante per gli adepti del nostro ordine. Con il tempo alcuni nostri nemici, per screditarci, hanno associato tale numero al maligno, accusandoci di essere servitori del diavolo.”

“Lo siete?”

“Non sono cristiano. Non credo nel diavolo così come lo concepiscono loro. Di certo non servo il male.”

“Però inganni, menti e minacci. Strano per un servo del bene.”

“Non ho mai detto nemmeno di essere un servitore del bene.”

“Chi servi esattamente?”

“Principalmente l’umanità, Billy. Questo è quello che ho fatto, nel corso della mia vita, che ha fatto mio padre prima di me e tutti i miei antenati. Ogni Magus che si è succeduto allo scranno si è fatto carico di tale missione, in onore del Primo Magus. Servire l’umanità non sempre è un compito facile e porta a compiere delle scelte moralmente discutibili. Quante volte abbiamo compiuto il male per favorire poi un bene più grande?”

“Rimane la domanda: chi vi ha chiesto di servire l’umanità?”

“L’umanità stessa, ragazzo. C’è stato un tempo in cui si contorceva, soffocata dal peso di una crudele tirannide, così forte da non poter essere spezzata con le sue sole forze. C’è stato un tempo in cui i figli degli uomini chiesero aiuto e giustizia.”

“E voi gliele avete dato?”

“Aiuto, si. Giustizia, chi può dirlo? Cos’è giusto e cosa non lo è?”

“Ora la vostra missione però è finita. Intendo dire, è da un bel po’ che avete abbattuto quella tirannia di cui mi hai parlato.” Billy ripensò ai racconti uditi, l’incredibile storia e ancora più incredibile il modo in cui accettò tutto quello che gli era stato detto per vero, quasi senza batter ciglio.

“Di fatti i nostri interventi nelle umane vicende si sono di molto attenuati, fin quasi a sparire mescolati al mito e alla leggenda, come è giusto che fosse ma siamo stati sempre pronti a tornare, perché è stato profetizzato che ci sarebbe stato un tempo in cui gli uomini avrebbero conosciuto ancora una volta un potere più grande di quanto riuscissero ad immaginare e che quel potere, nuovamente, avrebbe minacciato di spazzarli via.”

“Così hai basato tutta la tua vita su di una specie di predizione?”

“Perché no? La fede ha molte forme. C’è chi ha fede in un Dio misericordioso. C’è chi ha fede nelle dottrine scritte in un libro. C’è chi ha fede in una profezia e la fede, Billy, è forza. Forza vitale che ti spinge avanti, attraverso mille avversità, anche quando ogni cosa appare perduta.”

“Mia sorella era stata scelta per essere il tuo successore?”

“Mary Batson era la ragazza più coraggiosa che avessi mai conosciuto. Intelligente, fiera, leale e generosa. Non avrei saputo immaginare persona migliore di lei.”

“Lei sapeva?”

“L’avevo avvicinata. La conobbi perché me ne parlò un ufficiale coinvolto nel progetto Dumso. Fungeva da consulente per quanto concerneva la programmazione di tattiche e manovre militari. Me la presentò quando gli chiesi di poter parlare con un operativo che era stato di recente in missione. Credo che lui la ammirasse molto. Ne aveva una gran stima e capire il perché non mi fu difficile. Non riuscii ad iniziarla come avrei voluto. Tornò in azione prima del previsto, prima che avessi avuto il tempo di dirle tutto, come ho fatto con te. Poi quanto è accaduto lo sai.”

“Lo so bene. Commentò in un triste sussurro.” Tu hai perso la numero uno della classe ed io molto di più.”

“Lo so.”

“Hai scelto me perché speravi cosa?”

“Che fossi fatto della stessa pasta.”

“Lo sono?”

“Non mi hai deluso.”

“Sono scappato e ti ho minacciato.”

“Hai dimostrato di essere un irresponsabile ma hai fegato. Mi piacciono le persone coraggiose.”

“Ora che mi hai detto tutto, cosa accadrà?”

“Sarai sottoposto alla Cerimonia, al Battesimo.”

“Se rifiutassi?”

“Tornerai all’istituto. Non subirai ricatti o pressioni di alcun tipo.”

“Come puoi dire che non sbandiererò ai quattro venti i tuoi segreti?”

“Perché sei un ragazzo intelligente e non hai voglia di farti prendere per scemo.”

Simon ghignò con un certo crudele compiacimento. Crudeltà. Un tratto dell’animo di Azam che Billy aveva intuito sin dal loro primo incontro ma che l’altro teneva costantemente, o quasi, sotto controllo.

“Avevi parlato di un addestramento piuttosto lungo.”

“Dovremo stringere i tempi.”

“Perché c’è quel tizio di cui mi parlavi? Quello che vorrebbe farti la pelle e che probabilmente vorrebbe farla anche a me?”

“Per lui.”

“Perché ce l’ha tanto con te? Questo non hai voluto dirmelo.”

“Ha tradito. Era uno di noi ed ha tradito ed io ho dovuto punirlo.”

“Cosa che non ha preso molto bene.”

“Affatto.”

“In cosa consisteva la punizione?”

“Gli ho tagliato la gola.”

Rimasero in silenzio, un mare di rose che veniva delicatamente agitato dal vento levatosi dal mare sotto i loro sguardi.

 

“Gli antichi dei, aveva esordito Azam nel suo studio, due giorni dopo la fine della fuga di Billy, governavano il mondo dall’alto del Monte Olimpo. Prima di questo, però, a detenere il potere erano i Titani, progenitori degli dei, esseri dotati di grande potere ma dediti a pratiche immonde che avevano schiacciato sotto il proprio tallone l’umanità tutta.”

Il racconto di Azam era proseguito paziente e dettagliato e Billy aveva udito ogni singola parola, attento a non perderne nemmeno una. Per quanto assurda potesse sembrargli.

Simon parlava di miti e leggende in termini del tutto nuovi per Billy Batason, partendo dal assioma che fossero basate sulla pura e semplice verità. La storia veniva narrata dal padre al figlio, dal Mentore all’Iniziato, generazione dopo generazione, sopravvivendo al tempo e agli stessi narratori.

Non mise mai in dubbio nessuna delle parole udite, fosse anche solo perché erano così assurde da indurlo a pensare che fossero vere.

“Allora, chiese, tutte quelle storie, i miti e le leggende su dei ed eroi erano vere?”

“In buona parte, spiegò paziente Azam, anche se sono giunte a noi alterate dallo scorrere del tempo, dal succedersi degli eventi, dal sovrapporsi di figure diverse tra loro, dai bisogni di chi legittimava il proprio potere facendo risalire la propria discendenza agli dei e via dicendo. Però, si Billy, in quelle storie c’è della verità. L’Olimpo ed i suoi dei, sono davvero esistiti.”

Simon Azam tracciò una storia del mondo ben diversa da come veniva insegnata nelle scuole, nelle università, nei libri, nei programmi televisivi, sui siti di storia e da chi la storia l’aveva studiata approfonditamente, per tutta una vita. I confini del mondo antico cambiarono improvvisamente, agli occhi di un giovane ragazzo che conobbe reami ed imperi di cui nessuno ricordava più il nome o tantomeno l’esistenza.

 

Il ricordo di quelle lunghe lezioni rimbalzava ancora dentro la testa di Billy Batson, allontanando dal lui tutte le altre preoccupazioni.

La suoneria del cellulare lo riportò alla realtà. Allungò pigramente il braccio indolenzito per gli allenamenti con Tiger e rispose con un poco convinto “chi parla?”

“Ciao Capitano, sono io.”

Billy sorrise nel sentire la voce del suo amico Freddy.

“Frederich, salutò lui con finta formalità, come va?”

Billy era sdraiato sul suo letto, il dorso della mano sinistra alla fronte imperlata di sudore.

“Frederich Jr, per la precisione. Frederich Senior potrebbe prendersela a male.” Puntualizzò scherzoso lui.

“Mi perdoni, Frederich Jr. Non sia mai che voglia contrariare Mr. Freeman.”

“Come va?”

“Tutto bene.”

“Sicuro?”

“Si.”

“Se hai voglia di parlare…”

“Altroché. Il prima possibile.”

“Vuoi che passi a prenderti?”

“Meglio di no. Comunque stai tranquillo. Le cose vanno bene ora, anche se hanno preso una piega decisamente inaspettata. Ho avuto le risposte che volevo, Freddy. Anche se sono molto, molto diverse da quelle che mi aspettavo.”

‘Nella vita, le cose che ottieni, sono spesso diverse da quelle che volevi’ si trovò a pensare Billy.

 

 

II

 

Otto Building, sede della Fawcet and Fawcet, Los Angeles – 29 Ottobre.

 

 

Susan Kent agitò una mano in segno di saluto all’indirizzo di Thaddeus Sivana che teneva sulle ginocchia la figlioletta Georgia a cui stava indicando un modello 3d di Dumso sullo schermo del suo computer. Il piccolo Alexander teneva per mano la madre Venus e guardava anche lui ammirato la rappresentazione del capolavoro di loro padre.

Sivana rispose al saluto e Susan notò subito lo sguardo poco amichevole della Signora Sivana.

Quindici anni meno di lui, un passato come modella, cantante ed attrice. Un fisico a dir poco mozzafiato, una bellezza algida sottolineata da occhi azzurro ghiaccio. I figli non avevano ripreso da lei ma nemmeno da Thaddeus che, pur non essendo bello, era comunque dotato di un suo fascino. Georgia aveva i capelli neri e due occhi blu scuro molto espressivi, un paio di labbra rosse e carnose e sicuramente crescendo sarebbe divenuta una ragazzina molto carina. Alexander era biondo, anche se il suo non era l’oro della madre, ma un biondo cenere che contrastava con gli occhi neri come la notte. Era timido e dolce, come il padre mentre Georgia era esuberante ed allegra.

“Susan!” La piccola l’aveva già conosciuta e quando in pochi istanti le fu addosso la sollevò da terra dandole un gran bacio sulla guancia. Nemmeno questo piacque molto alla Signora Sivana ma fin tanto che il Dr. Sivanna approvava, a lei non importava molto.

“Cosa ci fai qui? Sei venuta ad aiutare tuo padre a finire il lavoro?”

“Naaaa! Susan io non posso aiutare papà. Papà è l’uomo più intelligente del mondo, intelligente quanto Tesla, Einstein e Fermi! Lo sapevi che papà ha costruito un uomo meccanico? Come quello dei film ma vero! Papà dice che diventerà l’orgoglio degli Stati Uniti! Un giorno anch’io sarò una scienziata come lui. Voglio studiare tanto e diventare intelligente e voglio inventare cose utili e meravigliose come fa lui! È vero che sa volare?”

“Si, anche se non troppo a lungo.”

“Mi ha detto papà che è merito tuo!”

“Ho dato un piccolo aiuto.”

“Anche tu sei molto intelligente come Madame Curie. Voglio essere una donna intelligente come te quando crescerò.”

Susan rise divertita.

“Georgia, non importunare la signorina.” Fece arcigna Venus.

La bimba obbedì al richiamo materno e tornò presso il padre. Susan fece finta di nulla e salutò cortesemente Venus. Dedicò le sue attenzioni al piccolo Alexander che le rivolse un timido sorriso in risposta alla sua carezza.

“Oggi è giorno di visita dei famigliari. Le disse con allegria Sivana. Volevo dar loro un anticipo della presentazione di Dumso.”

“Allora abbiamo optato per quel nome?”

“Pare che l’ufficio pubblicitario a cui ci siamo affidati trovi l’impatto che ha sul pubblico accettabile.”

“Accettabile?”

“Direi di si.”

Venus si era ricordata di un improvviso impegno, si scusò con Susan e con il marito ed insieme ai bambini si diresse verso l’ascensore in fondo al corridoio dopo essere uscita dall’ufficio di suo marito.

“Mi dispiace…” Si scusò imbarazzata Susan.

“Oh, andiamo! Di che cosa ti devi scusare? Non sei mica la mia amante! Anche perché non sono il tuo tipo. Ironizzò lui strappandole una risata. Siamo colleghi ed amici. Tutto qui. Sei libera di venirmi a trovare in ufficio per parlare di lavoro o invitarmi a bere un caffè quando vuoi. Volevi offrirmi un caffè, vero?” Le strizzò l’occhio e Susan, divertita, lo invitò alla macchina nella sala break.

“Venus è molto protettiva.”

“Venus mi vede come un bancomat.Lo disse senza particolare tristezza o biasimo. Se non ne fossi consapevole, non mi meriteri il q.i. che ho.”

“Andiamo, non posso credere che lei…”

“Non mi ami? No. Non mi ama. Non lo ha mai fatto. La sua carriera era finita quando ci siamo conosciuti. Nonostante si fosse disintossicata e avesse smesso di bere, nessunio voleva più lavorare con lei. Le rimaneva la bellezza. Una bellezza notevole e le avevano proposto di diventare una star per il mercato degli adulti.”

Susan aveva introdotto la chiavetta prepagata nel distributore ed era rimasta in silenzio. Lo fissò per qualche istante gli chiese, a bassa voce: “è vero?”

“Si. Non accettò. Non ne aveva avuto bisogno. Aveva trovato me e tanto gli era bastato. Un marito brutto ma pieno di soldi. Sono piuttosto complessato e dunque non la tradirei mai. Non tradirla significa che su di me può esercitare un forte controllo.”

“E tu glielo lasci fare?”

“Susan, tu sei una donna molto intelligente e anche bella. Io sono un uomo incredibilmente intelligente. Punto. Non temere, non mi tiranneggia come in una di quelle commedie mute degli anni ’30 ma le lascio credere di essere al comando. Lei è contenta ed io ho la mia bella moglie e, da sei anni a questa parte, anche dei figli stupendi. Hai visto quanto sono belli? Non saprei immaginare la mia vita senza di loro. Anche per questo sopporto di buon grado alcuni aspetti del rapporto con Venus a cui si può rimproverare tutto tranne che di non essere una buona madre. Loro li ama veramente ed i bimbi la adorano. È una mamma affettuosa ed attenta. Per questo è possessiva con me. Non solo per i miei soldi. Sa bene che se divorziassimo, nonostante mi sia tutelato con un buon accordo legale, non le negherei una vita agiata e tranquilla. Vuole un futuro brillante per i suoi figli e sa che con un padre come me saranno molto facilitati nella carriera accademica.”

“E tu?Chiese Susan con grande tristezza. Non pensi di meritare qualcuno che ti ami veramente?”

“Penso che i miei figli siano tutto. Tutto. Non desidero altro.” Digitò sulla tastiera il codice della bevande desiderata. Dopo pochi secondi la prese mentre il braccio meccanico fuoriscito dallo sportelletto gliela porgeva e si accomodò su un basso divanetto, di fianco ad un ficus, sorseggiandola.

Susan Kent lo osservò bene. Thaddeus era un uomo fragile ma la vita lo aveva colpito duramente e così lui si era fortificato come meglio poteva. James Barr, l’uomo che aveva amato, si era lasciato sopraffare dall’avidità, dall’egoismo e ne era uscito spezzato. Thaddeus Sivana aveva mantenuto, nonostante tutto, un ferreo codice morale per quanto riguardava il lavoro. Se aveva accettato quel duro compromesso  nella sua vita privata, chi era lei per giudicarlo?

Gli sedette accanto, continuando a guardarlo mentre beveva. Non era bello. Thaddeus Sivana non lo era mai stato ma aveva un bel sorriso. Un sorriso caldo e sincero, che la rinfrancava quando ne aveva bisogno. Era stato un maestro, un collega presente e valido, un amico.

‘Ed io mi sono innamorata di te’.

“Non prendi nulla?”

Lei sorrise alla domanda e gli rispose: “No, grazie.”

 

La pausa con Susan era stata piacevole. Thaddeus si era molto affezionato a Susan, un ingegnere a dir poco geniale con cui, negli ultimi anni, aveva avuto l’onore di lavorare.

Creare qualcosa come Dumso non era stato facile ma renderlo addirittura in grado di volare. Ripensò alla meraviglia dipinta sui volti dei suoi figli quando glielo aveva detto e sorrise.

‘Susan ha stupito i miei figli più di quando non avessi fatto io.’

Gli dispiaceva per quello che era successo tra lei e Jim.

Jim era un brav’uomo, nonostante tutto ma aveva commesso un errore, un errore imperdonabile. Era certo che non fosse mai stata sua intenzione far male a nessuno ma in un lavoro come il loro non si poteva fare azzardi quando in ballo c’era la vita di un uomo. Tanto meno di dieci come nel suo caso.

Susan aveva preso l’argomento lì, nella sala pausa.

“Sapevi che Jim è stato qui?”

Lui l’aveva guardata con una certa meraviglia.

“Quando?”

“Un mese e mezzo fa.”

“Lui è venuto da te?”

“Ha parlato con Azam. È stato lui a dirmelo.”

“Come ti senti?”

“Uno schifo.”

L’aveva consolata. L’aveva rassicurata. Era ancora ferita e non sarebbe guarita facilmente, o tanto meno velocemente. Pensava che Susan meritasse un po’ di felicità e le augurò di trovarla così come lui l’aveva trovata nei suoi figli.

 

 

III

 

29 Ottobre – Los Angeles.

 

L’appartamento era piccolo ma ben ordinato, nonostante fosse occupato da ben tre persone.

Charles Langley era arrivato all’ora stabilita e ad accoglierlo alla porta era accorso un gigante nero come l’ebano, tutto muscoli, mento sfuggente e due occhi freddi ed indifferenti che lo misero a disagio con il loro sguardo penetrante.

Non l’aveva mai visto. Doveva trattarsi o di una guardia del corpo o di un nuovo socio. Quest’ultima ipotesi alimentava il suo nerosismo ed il sudore colava grottescamente copioso dalla fronte, costringendolo a chiudere più d’una volta gli occhi per il bruciore. Si pulì meglio che poté con dei fazzoletti di carta e s’accomodò su un divano.

Il primo a comparire fu l’uomo noto semplicemente come Mr. Era magro, quanto Charles, altrettanto ossuto ma i lineamenti erano molto più marcati. Dall’ultima volta che si erano incontrati aveva rasato completamente i capelli. L’espressione del volto invece non era cambiata, un crudele, compiaciuto disprezzo nei confronti del prossimo.

Adam fece il suo ingresso, il passo sicuro, l’aria regale, adusto e ben più grande di quanto non ricordasse. Aveva recuparato diversi chili, quasi tutti di muscoli, la carnagione era bronzea, privata del pallore malsano segno di anni di ricovero coatto. Le sopraciglia, i capelli e gli occhi erano d’un nero quasi ipnotico.

Charles deglutì e salutò rispettosamente i suoi soci. Pensarli come a dei soci alla pari non gli faceva pesare più di tanto la sua condizione di sudditanza nei confronti di quell’inquietante duo.

“ Tutto è pronto come prestabilito?” La domanda di Adam era semplice e tagliente come la sua voce metallica.

“Tutto come da programma.” Asserì Charles tentando di mostrarsi sereno e sicuro di sé.

Lo sguardo dell’altro lo mise comunque in profondo disagio. Sembrava che stesse cercando di capire se quella appena udita fosse la verità o solo una vanteria.

“È bene che sia così, asserì serio l’altro, così come è bene che non dimentichi cosa significherebbe un fallimento, o un tradimento, per te.”

“Non l’ho dimentico.” Tentò di sembrare di indifferente alla, nemmeno troppo, velata minaccia appena ricevuta.

“Questo è bene.” Assentì Adam.

“Siamo sicuri che lui sarà presente, Charlie?” Chise Mr. con l’aria famelica. Pareva un avvoltoio in attesa di gettarsi su una qualche carcassa. A Charles non era mai piaciuto. Non gli piaceva nemmeno che lo chiamasse Charlie. Solo sua madre e uno dei peggiori bulletti della scuola che frequentava lo chiamavano così. Il bulletto gli si rivolgeva con quel nomignolo poco prima di batterlo o rubargli i soldi per il pranzo. La madre quando voleva ricordargli, dolorosamente, quanto simile fosse a quel fallito del padre. Charlie era un vezzaggiativo comune per chi si chiamava Charles ma sembrava che quel demonio sapesse il doloroso significato che aveva per lui e non mancava mai di sottolinearlo strizzandogli un occhio con fare malizioso, ogni volta che lo pronunciava, enfatizzando ogni sillaba. Stavolta invece l’aveva pronunciato quasi con indifferenza come se una preda ben più succulenta fosse al centro delle sue attenzioni.

“Lui ci sarà. Non mancherebbe mai al lancio del suo nuovo soldato di latta.”

“Quanto disprezzo. Gli fece notare allegramente Mr. Infondo è anche una tua creatura. Usando quel tono è un po’ come se parlassi male di un tuo figlio.”

“Io non ho figli. Non nascose un tremito nella voce. Di sicuro non considero miei parenti degli oggetti o tanto meno i programmi che creo. Dumso per me è solo un software che mi è valso diversi bei bigliettoni.”

“E che te ne è fruttati ancora di più, visto che hai giocato da tutte e due le parti del tavolo.” Mr non nascose minimamente il disgusto che provava nei suoi conronti, sebbene lo avesse espresso con un sorriso allegramente crudele mentre diceva quelle parole.

“E che ti frutterà molto altro, se tutto andrà bene.” Concluse Adam.

Gli ultimi accordi furono presi, le ultime istruzioni impartite e Charles Langley, impettito, lasciò la stanza, tentando di dare un immagine di sé dignitosa e in qualche modo temibile.

 

“È uno sfigato.” Black Adam era stato diretto nel dare quel parole, cosa che compiacque molto il suo mentore, Adam.

“A questo c’eravamo arrivati pure noi.” Lo canzonò Mr. salvo poi trattenersi dal rincarare la dose quando incontrò lo sguardo severo del suo socio.

“Spiegami perché.” Lo invitò con la sua voce artificiale Adam.

“Cerca disperatamente di mantenere il controllo ma si vede lontano un miglio che sta andando a pezzi. È un uomo con manie di grandezza e crede di essere un grande. Forse sarà anche un cervellone da premio Nobel ma di sicuro non ha fegato. Fino ad ora la spinto ad agire l’avidità e la voglia di dimostrare di non essere un patetico vigliacco. Ha praticamente morso la mano di quelli che l’hanno raccolto dalla strada e nutrito senza pensare alle conseguenze. Se ce ne fosse il tempo risalirebbero subito a lui. Non c’è molto da pensarci su, visto che si occupava del cervello di quel mostro d’acciaio. Crede che la farà france, passando il resto dei suoi giorni a sorseggiare martini su una qualche spiaggia tropicale ma non durerà e alla fine andrà crollerà, proprio durante il giorno del collaudo credo. Voleto farlo secco durante la dimostrazione?”

“No.”

La risposta di Adam aveva lasciato perplesso Black Adam. Il primo, con estrema pazienza e persino gentilezza gli spiegò: “ Charles Langley è un debole per nascita. Hai fiutato questa debolezza e la sua natura. Bravo. Per questo gli siamo stati dietro, da diversi anni, e lo abbiamo condizionato, dandogli modo di pensare che lui fosse persino un nostro pari. Bastava stuzzicare il suo enorme, infantile ego e avremmo ottenuto ciò di cui avevamo bisogno. Sebbene sia un idiota, un idiota potenzialmente pericoloso, ho dato la mia parola. Gli è stato promesso qualcosa ed io sono intenzionato a dargliela. Devi essere spietato nella vita, Black Adam ma non devi mai venir meno alla parola data. Se sarai un uomo senza onore, sarai un capo debole perché per quanto tu possa intimorire i tuoi sottoposti, essi non ti saranno mai leali.”

Black Adam rifletté su quella lezione ed assentì con grande solennità.

 

“Il ruolo di maestro ti piace, eh?” Lo stuzzicò Mr. che subito se ne pentì. Tuttavia, il suo compagno in quell’impresa, non sembrò curarsi troppo della battuta pronunciata pocanzi ed invece, con serietà: “ Ogni cosa, per essere completa, annecessita del suo opposto. Ora io sono il maestro ma cosa sarebbe un maestro senza un discepolo? Cosa può la conoscenza, per quanto alta o arcana, se poi marcisce in un unico depositario? Essa, ricorda le mie parole, deve essere trasmessa attraverso l’insegnamento e la disciplina, solo così rimane viva e cresce, perfezionandosi, acquisendo nuovo potere.”

“Pare che tu stia parlando di una creatura viva.” Nessun tentativo d’umorismo con quelle parole ma un senso d’ammirazione che lo sorprese. Doveva ammettere che Adam non era un essere umano che lasciasse indifferente il prossimo.

“Lo è. La conoscenza nasce dalla comprensione che gli esseri viventi hanno di sé stessi e del mondo che li circonda. Il micro-cosmo ed il macro-cosmo. Dunque è viva, come chi l’ha generata, sebbene non dotata di una sua vera e propria coscienza anche se essa può portare l’impronta di chi l’ha chiamata dal vasto mistero che è l’esistenza, dandole la forma delle parole e dei numeri.”

“Funzionerà?”

Quella domanda attendeva d’essere pronunciata da troppo tempo e Mr. aveva infine trovato il coraggio per farlo.

“Di certo non ha funzionato il tuo strataggemma.” Mr. era sorpreso. Adam gli indicava il microfono trattenuto da un piccolo cerotto alla sua gola, un sorriso di pura cattiveria e derisione, di quelli che ci lui si divertiva ad elargire agli altri.

“Credevo che bastasse…”  tentò di giustificarsi, quasi fosse un bimbetto che aveva mancato un obbiettivo.

“Credere non basta.” Adam aveva ritrovato la sua altera compostezza.

Mr. abbassò lo sguardo e tra i due calò il silenzio.

 

IV

 

Otto Building, Los Angeles – Novembre 5

 

Billy si sentiva a disagio in mezzo a tutti quegli uomini vestiti così elegantemente.

C.C. che camminava al suo fianco aveva scelto per lui il completo, uno spezzato dal tono meno formale rispetto a quello di molti dei convenuti ma comunque elegante quanto bastava per non sfigurare. La giacca era all’americana, con l’ultimo bottone rigorosamente non chiuso, la fodera interna di pura seta. La cravatta era in tinta unita, annodata con un St. Andrew, la camicia una fil-a-fil semplice e adatta, secondo C.C. alla giovane età di Billy. Cissy lanciò al nervoso Billy uno sguardo d’incoraggiamento e gli dette un rapido buffetto sulla spalla, come a confermargli che non l’avrebbe lasciato da solo.

Lei indossava un completo verde acqua, giacca e pantalone, molto professionale, scarpe con il tacco basso, d’una tonalità di verde appena più scura, i capelli tagliati leggermente più corti d’un caschetto, lo sguardo fiero, come sempre, ed il portamento misurato. Persino Bill Beck, che da qualche tempo Billy aveva ribattezzato scherzosamente B.B.,  era fasciato da un costoso completo, lui che solitamente preferiva apparire un po’ sciatto e trasandato. La barba era stata completamente tagliata e anche i capelli erano stati aggiustati e leggermente accociati, anche se non rinunciava ad esibire un morbido codino. Come sempre si teneva un po’ distante da loro, fingendo di interessarsi al rinfresco. ‘Finge molto bene’ pensò Billy concedensosi una risatina.

Simon Azam era senza ombra di dubbio il protagonista dell’evento. Sembrava perfettamente a suo agio, nel suo completo grigio chiaro, tanto con i soci della sua azienda, tanto quanto con i militari.

Billy riconobbe il Generale Lee Stevenson, un uomo dall’aria severa e dagli antiquati, lunghi mustacci di cui Azam gli aveva parlato. Indossava la sua uniforme migliore, e tutte le sue medaglie e gradi ben in mostra. Tamerlano Tiger, vestito per l’occasione, se ne stava un po’ in disparte, anche lui come B.B. preferiva tenersi fuori dall’attenzione. Billy aveva scoperto che sia C.C. che B.B. erano stati addestrati da Tamerlano.

“E tu devi essere il rampollo di Simon!”

Billy trasecolò. Era immerso nei suoi pensieri e non si era aspettato che qualcuno potesse rivolgergli la parola.

“Piacere, sono …” tese automaticamente la mano in avanti, mano che l’altro, sorridendo amichevolmente, strinse con calore.

“Lo so chi sei. Io sono Taddeus Sivana. Tanti mi chiamano Dr. Sivana ma gli amici mi chiamano Tad e spero che io e te potremo essere amici.”

Billy rispose al gentile sorrise dell’altro. Sembrava una persona per bene e cortese, sebbene il suo aspetto avesse qualcosa di bizzarro ed involontariamente comico. Simon e Tamerlano gli avevano parlato di quell’uomo, descrivendolo come un genio e come il principale artefice di AX-1, il primo androide da combattimento pienamente funzionante che, in pochi anni, avrebbe cambiato per sempre il volto della guerra nel mondo.

‘Ma il volto della guerra può veramente cambiare? O piuttosto è un modo di mascherarlo?’ Aveva chiesto Billy a Simon ottenendo in risposta solo un’enigmatica pacca sul braccio.

Sivana fece le presentazioni, introducendo la sua famiglia. La moglie era una donna bellissima, degna del suo nome: Venus; sebbene fosse una bellezza glaciale, quasi intimorente, Billy ne rimase profondamente colpito. Alexander e Georgia, i figli di Sivana, non possedevano di certo l’avvenenza della madre ma erano comunque graziosi e avevano ereditato il calore e la simpatia paterna. Alexander, il più piccolo, era meno loquace, sicuramente timido ma comunque molto educato e tenero in ogni suo gesto, mentre Georgia era espansiva ed allegra.

“Ecco, ci siamo.” Disse Sivana attirando l’attenzione di Billy su Simon che a sua volta stava chiedendo ai convenuti di far silenzio.

“Se avrete la compiacenza di seguirmi,invitò con garbo, il nostro campione di metallo si esibirà in una dimostrazione delle sue principali abilità per il vostro piacere.”

I convenuti, deliziati, seguirono ordinatamente le istruzioni del persone di sala e alla fine, cento invitati, si ritrovarono sul tetto dell’Otto Building, rimanendo a bocca aperta.

 

Per l’occasione Simon aveva fatto allestire un vero e proprio giardino sulla sommità della sua torre di vetro e acciaio. Lo scenario sembrava uscito da un film storico ambientato nella Versailes del Re Sole. Siepi tagliate in forma di animali, fiori dai mille colori, fontane, archi di rose o gigli, statue di dei ed eroi, ninfe e satiri, persino un tempietto neo-classico al centro di un isolotto su di un piccolo lago artificiale la dove c’era stata la pista d’atterraggio dell’elicottero privato di Azam.

Su di un podio di granito rosso scuro, stava una grande console dietro la quale Charles Langley, insieme ad un assistente, sfiorava dei comandi. Dal laghetto emersero sei figure, strappando gridolini di sorpresa ed ammirazione ai presenti.

AX-1 era stato progettato per essere anfibio quindi, per i 6 androidi, attendere pazientemente nel basso fondale, non era stato un problema.

Le loro gocciolanti, morbide forme tutte curve e quasi nessuno spigolo, rilucevano in quella giornata che sembrava essere dalla parte di Simon con il sole alto nel cielo ed il piacevole calore lontano dall’essere afa.

Per quello spettacolo i Dumso erano stati dotati di una livrai dagli accesi colori rosso ed oro.

Billy ne era rimasto sorpreso. Erano quelli della tuta sportiva che aveva chiesto gli fosse comprata.

Come a leggergli nel pensiero, Cissy gli sussurrò: “Quando saranno operativi, i Dumso avranno colori mimetici ma per l’intrattenimento, il Signor Azam ha ritenuto fosse meglio qualcosa di più, come dire, appariscente. L’idea gliel’hai involontariamente data tu, con quelle magliette che indossi sempre.”

“Dovrei chiedergli il pagamento dei diritti d’autore.” Rispose lui, con gli occhi fissi a quelle straordinarie creature di metallo che  stavano eseguendo un saluto marziale da manuale all’indirizzo degli alti ufficiali dell’Esercito USA presenti alla cerimonia.

 

Azam era più che soddisfatto di come stavano andando le cose. Ormai, ne era certo, li aveva in pugno. La Fawcet e Fawcet signficava molto per lui. Era stato il suo modo di dimostrare che, al di là della sua carica, era comunque un uomo di grande valore. Senza contare che ne aveva fatto lo strumento per realizzare il complesso piano dei suoi avi.

‘Ci siamo’, pensò guardando con la coda dell’occhio Stevenson che parlava con i suoi colleghi.

Vide Sivanna e gli fece un cenno di saluto. Poco lontano da lui c’erano la moglie ed i figli.

 

Taddeus non capì perché Charles l’aveva chiamato alla console ma gli sembrava piuttosto agitato.

“Tutto bene Charles?” Era preoccupato.  Forse lo stress, la tensione del momento erano troppo per lui. Ne aveva passate tante e tutto sommato era un uomo fragile, all’apparenza sempre sull’orlo di un collasso nervoso, quasi il peso della vita stessa fosse qualcosa di troppo al di sopra delle sue possibilità.

“Cos’è questo?” La domanda di Charles era stata posta in modo perentorio, cosa che lasciò interdetto Taddeus Sivana che tuttavia rispose subito: “A cosa ti riferisci?”

“Cos’è questo nuovo codice di sicurezza inserito nell’AX-1? Perché non ne sono stato informato?”

Era irritazione. Irritazione mescolata a paura, molta paura. Ecco cos’era quello che Sivana avvertiva nella sua voce.

“C’è qualche problema Charles? Si tratta di una misura di sicurezza presa all’ultimo momento. Ti avevo lasciato un promemoria, ricordi? Ti avevo detto che avevo bisogno di parlarti ieri ma eri praticamente irraggiungibile. Pensavo che stessi festeggiando la fine del lavoro per conto… Sivana si bloccò. Non era stupido, non lo era mai stato. Forse poteva apparirlo agli altri per via di certi suoi atteggiamenti, di alcuni suoi tick, di certe piccole manie ma non era stupido e sapeva capire quando qualcosa non andava. Charles, nel nome di Dio. Cosa sta succedendo?...”

Si sentì irrigidire improvvisamente. Avrebbe voluto gridare ma non ci riuscì.

“Mi dispiace Taddeus, davvero.” Piagnucolò Langley.

Sivana si voltò verso la console, come se fosse un automa. Gli ospiti assistevano ad alcune prove di agilità dei Dumso mentre alcuni camerieri servivano loro da champagne e tartine.

La mano si mosse contro la sua volontà e cominciò a digitare il codice per neutralizzare il programma che, in caso di emergenza, avrebbe spento immediatamente gli AX-1.

 

Simon Azam corrugò la fronte, privando la sua interlocutrice, una matura ma ancora piacente signora dell’alta società losangelina per concentrarsi su quanto stava accadendo presso la console. Sivana era pallido, cereo mentre Langley sudava come se l’inferno avesse dovuto inghiottirlo da un momento all’altro. Chi era il tecnico vicino a Charles? Si chiese. Il suo viso gli era famigliare anche se non avrebbe dovuto esserlo dal momento che non ne ricordava nome o alcun particolare.

Capì in quel momento. ‘È impossibile!’ pensò ‘ lui è morto!’

Si concentrò, liberandosi della voce che gli sussurrava che tutto andava bene.

“Tiger! Al richiamo la guardia del corpo e amico gli fu subito d’appresso. Guarda! Guarda il palco della console! Guarda veramente, senza ascoltare la tua mente ma solo gli istinti.”

Tiger sgranò gli occhi. “No!Sibilò incredulo. Lui doveva essere morto!”

“Non lo è! Ecco come Adam è riuscito a fuggire. Deglutì, perché quel nome, nonostante la fuga e tutto quello che era accaduto, non lo aveva mai pronunciato nel timore che, in qualche modo, potesse dargli forza, più di quanta già non ne avesse. Lui deve averne saputo l’esistenza. Poteva guardare nelle menti. Ha guardato nella mia è ha saputo di lui! Lo ha aiutato a fuggire, deve aver pianificato con lui tutto. Per lui entrare nell’ospedale non era un problema.”

“Cosa facciamo?”

“Sta controllando Taddeus! Il perché non…” Si cominciò improvvisamente a guardare intorno.

I Dumso si erano disposti intorno ai presenti che pensavano trattarsi di una parte dello spettacolo.

“Non mi piace per niente.” Sussurrò Tiger che si era reso conto di cosa stava per accadere.

“Salve. Sussurrò una voce metallica all’orecchio di Simon. Dopo tutto questo tempo forse dovrei dire qualcosa di più incisivo o adatto ma sai com’è. Al momento della resa dei conti tutto suona scontato e superfluo. Se vuoi salvare tutti, devi solo dire una parola. Una parola sola.”

 

Tamerlano Tiger non era scattato perché sapeva che se lo avesse fatto i Dumso avrebbero fatto del male agli invitati che, ignari di tutto, continuavano a ridere divertiti.

Adam era lì, a pochi passi da lui, vestito da cameriere, proprio dietro ad Azam.

“Complimenti per la tua grande evasione.” Fece Simon, tentando di non perdere il controllo.

“Tu invece meriteresti solo biasimo. Avresti dovuto sorvegliarmi più attentamente. Anzi, avresti dovuto uccidermi quando ne hai avuto la possibilità ma, purtroppo per te, ti è mancato il coraggio.”

“Mi sa che hai ragione, ammise non senza un po’ di rimpianto, se avessi avuto il coraggio di fare quello che dovevo, ora non saremmo arrivati a questo.”

“Ed io non avrei passato tutti quegli anni prigioniero in una maledetta casa di cura, come se fosse un povero malato. Scommetto che la Mano non ne è stata per nulla contata della tua decisione.”

“Affatto.”

“Se avessere avuto un’altra opzione saresti stato destituito dalla tua carica ma non potevano farlo. Il tuo rimpiazzo ero io e me ne giacevo su un letto, imbottito di psicofarmaci.”

“Così almeno credevo. Quando hai incontrato lui?”

“Due anni e mezzo dopo. È stato lui a trovarmi.”

“Lo ha letto dalla mia mente, vero?”

“Avete sottovalutato le sue capacità e la sua furbizia. Credevi fosse facile elimanarlo ed invece si è dimostrato ben più coriaceo di quanto non pensavate.”

“Ti fidi di lui?”

“Assolutamente no. So bene che alla prima occasiona mi tradirebbe o meglio, la farebbe se non avesse paura di me. Sa che posso dargli quello che vuole e sa che se mi mollasse ora, non solo rimarrabbe con un pugno di mosche ma dovrebbe guardarsi vita naturaldurante le spalle da me.”

“Come hai fatto ad infiltrarti?”

“Preparavamo questa cosa da mesi. Inoltre con il suo aiuto non è stato troppo difficile baipassare le tue misure di sicurezza. La divisa da cameriere non mi dona molto però.”

“Mi piacerebbe poterti vedere.”

“Girati pure.”

Simon si voltò e si ritrovò a fissare Adam negli occhi.

“Stai bene?” La voce tremò nel pronunciare quelle parole, parole che provocarono una reazione di sorpresa nell’altro.

“Una domanda strana da rivolgere a qualcuno a cui hai tagliato la gola.”

“Non avevo scelta.”

“Potevi uccidermi. Dovevi farlo.”

“Eri fuori controllo ma non ho avuto…” Simon tentò di riprendere il controllo di sé stesso.

“Dovevi farlo.” Insistette l’altro, senza alcun tono di rimprovero.

“Sai che non posso darti quello che vuoi.”

“E tu sai che ordinerò ai tuoi robot di uccidere i presenti, tutti. Compreso il tuo nuovo protégé.”

“Lui è solo un ragazzino.”

“Come me, quando inziò tutta questa storia.”

“Non deve finire così.”

“Non l’ho deciso io. Se pronuncerai quella parola, quell’unica, magica parola, ti ucciderò. Mi prenderò la tua vita ma, ti giuro, non toccherò il ragazzino. Lo prenderò con me.”

“Davvero?” Era Azam ad essere sorpreso ora.

“Hai visto delle potenzialità in lui, questo lo so bene e le ho viste anch’io.”

“Cosa?”

“L’ho seguito. L’ho seguito alla sua scuola. L’ho visto, più di una volta, nonostante le tue guardie che, sono si brave ma non quanto me. L’ho visto è ho capito che è degno di essere un discepolo. Lo farò diventare il mio discepolo e se sarà meritevole, dividerà con me il potere.”

“Sei serio?”

“Assolutamente. Non solo. Ho deciso che dovrà avere un compagno di addestramento. Sarà utile per lui. Chi dei due si rivelerà il migliore, avrà il premio l’altro potrà comunque servire come assistente, così come Tiger per te. A proposito, sono persino disposto a risparmiare lui ed i tuoi tirapiadi ma non ti do la mia parola per la Mano. Loro devono morire tutti.”

Tamerlano aveva sentito e non gli piaceva per niente. Si chiese se Simon non stesse per cedere. Poi accadde l’imprevedibile.

 

L’unità propulsiva che Susan aveva costruito per James Barr era solo un prototipo ma lui, dando fondo ai suoi risparmi, era riuscito a renderla operativa. Grazie all’assegno che Simon Azam gli aveva elargito, aveva potuto completare il suo ‘esaltatore’ di performances. Le unità che era riuscito a vendere gli erano fruttate molto, quanto bastava per mettere in piedi il suo spettacolo. La sua divisa, rossa ed argento, era uno spettacolo a vedersi. Fibre di carbonio e kevlar per renderla resistente. Il design era mozzafiato, così come si addiceva ad un eroe del suo calibro perché questo era James Barr, un moderno eroe dell’American Way of Life, il self-made man per eccellenza visto che era il soggetto del suo stesso esperimento. L’esaltatore funzionava. Era quella la strada da intraprendere, sin dall’inizio. L’aveva detto a tutti, Azam compreso. Il controllo mentale e la cibernetica erano solo perdite di tempo. Lui era in grado di aumentare le prestazioni umane oltre il loro naturale limite, un balzo evolutivo istantaneo verso una nuova, meravigliosa direzione. Oltre uomini in serie, pronti a prendere il posto dei comuni soldati, esploratori spaziali, operai. Una nuova generazione che avrebbe cambiato il volto del pianeta Terra ed il tutto al modico prezzo di qualche centinaio di milioni di dollari, tanto richiedeva la produzione su larga scala del suo PE-03.

Cos’erano i dollari rispetto a quella prospettiva? Nulla. Questo si era detto. L’unico ostacolo sulla sua strada erano quei giocattoli da quattro soldi inventati da quello squinternato di Sivana e quale migliore occasione per dimostrarne l’inutilità se non durante la loro prestazione ufficiale.

Atterrò grazie al suo jet pack sul tetto dell’Otto Building, in mezzo al meraviglioso scenario allestito da Azam. La farsa perfetta, pensò.

James era splendido, come non mai. La sua massa muscolare era aumentata senza divenire assurdamente ipertrofica. I suoi muscoli erano simili a quelli di certi nuotatori o ballerini. Inoltre erano molto più resistenti ed elastici, così come le ossa. Le connessioni sinaptiche erano aumentate e lavoravano molto più velocemente, processando una gran quantità di dati. Gli stimoli sensoriali di cui era consapevole ora erano aumentati di almeno cinque o sei volte. Il mondo per lui aveva assunto un nuovo aspetto, arricchendosi di sfumatore e colori di cui prima non si era mai reso conto.

Sorrise. Sorrise in direzione di Suasan che, come tutti, era rimasta stupita dalla sua apparizione.

Lei si portò una mano alla bocca. Aveva mormorato qualcosa. Lui ne era certo. L’elmetto lasciava scoperta bocca e mento. Nonostante questo l’aveva riconosciuto.

‘Jim’ aveva detto lei in un sussurro.

L’avrebbe riconquistata e sarebbero tornati insieme. Sarebbero stati nuovamente una coppia felice, come era stato prima dello stress, prima della cocaina, prima della tragedia di quei marines, poveri, sfortunati ma pur sempre cavie al servizio di un disegno superiore.

Jim lanciò la sua sfida ai robot di Sivana, alzando le braccia al cielo, urlandogli contro, ignaro dell’alterazione che la loro programmazione aveva subito.

Gli istanti successivi furono l’inferno.

 

C.C. gettò Billy a terra quando capì cosa stava per accadere. Era stata allarmata dal comportamento dei Dumso, conoscendo a memoria quello che era il programma della loro esibizione. Estrasse una Glock 17 parabellum, la stessa che estrasse anche Beck mentre si gettò sul pavimento.

Tiger aveva cercato di raggiungere Simon Azam ma i proiettili erano partiti prima che potesse fare qualcosa.

Jim Barr si scagliò contro uno dei Dumso, colpendolo a mani nude, le nocche contro il rivestimento corazzato della macchina che s’incurvò sotto il martellare furioso di quell’uomo che, a causa del suo stesso genio, aveva superato i propri limiti, i limiti che ogni essere umano possedeva.

Rise Jim mentre il rivestimento facciale di Dumso andò in pezzi, mentre le lenti dei suoi sensori ottici schizzavano via, mentre ogni colpo provocava una nuova serie di scintille.

Dumso sentò di difendersi ma Jim aveva dalla sua la voglia di riscattarsi agli occhi del mondo ed una forza sovrumana che lo rendeva simile ad un semio-dio.

Si voltò per cercare un altro Dumso mentre una nuova scarica lo investì. Nonostante le protezioni, Jim crollò a terrà, il sorriso congelato sulle sue labbra.

Poiché era solo un’esibizione gli AX-1 non avrebbero dovuto essere armati ma Adam aveva organizzato le cose in modo tale che ognuno di loro fosse fornito di una pistola in luogo dei loro fucili automatici.

Jim si rialzò, gli occhi inniettati di sangue. Si strappò l’elmetto dal capo. Limitiva troppo la visuale e gli pareva rimbobasse per i colpi assorbiti.

Sentì diverse urla. Troppi stimoli per il suo cervello. Troppi segnali che non venivano più esclusi.

Si avventò come un animale inferocito su un altro Dumso. Questi però fece più resistenza del primo e parò il suo colpo mentre un altro lo prese alle spalle.

Mr., spaventato, mollò la presa mentale su Sivana che crollò in ginocchio, gli occhi puntati su un punto fisso, mentre mormorava un’unica parola, ossessivamente, ‘no’.

Tiger riuscì a raggiungere Azam che stava tra le braccia di Adam.

Adam e Tamerlano si scambiarono un unico sguardo di incredulo stupore.

“Guarda cosa hai fatto…” Gli ringhio Tiger.

“Portalo in salvo…” Riuscì solo a sussurrare Adam.

Tamerlano prese Simon sotto braccio e lo trascinò via mentre quello chiamava ‘Billy’, ‘Adam’, ossessivamente.

 

Jim distrusse altri due Dumso ma alla fine venne fermato dai restanti. Lo spettacolo fu orribile. Fu letteralmente massacrato di botte. Forse le ferite d’arma da fuoco l’avrebbero comunque ucciso ma non sarebbe stato possibile stabilirlo.

Charles Langley, in stato di shock, prima di cedere per via di un collasso nervoso, riuscì solo a spegnere i Dumso rimasti inserendo il codice di sicurezza da lui ideato.

Sivana si trascinò verso la sua famiglia. Era incredulo. Era distrutto. Impossibile stabilire se a causa della stretta mentale di Mr o per quello che vide.

Accarezzò con dolcezza i corpicini dei suoi bambini, quasi sperando si sarebbero ridestati. Non s’accorse nemmeno del sangue che macchiava le sue mani. Li chiamò, con voce tenera, mentre piangeva convulsamente.

Susan gli fu vicina ma lui nemmeno se ne accorse. Gli disse che dovevano andarsene. Gli disse che era pericoloso star lì. Gli disse tante cose ma lui non sentì nulla, perché era troppo impegnato a cercare di percepire anche un solo suono, una sola parola, un respiro dei suoi amati figli.

 

Billy viveva come in un sogno. Tutto sembreva così distante, irreale, assurdo.

Cissy lo spinse a forza nell’ascensore e si ritrovò d’improvviso, Simon Azam al suo fianco. Tamerlano Tiger lo sostenava impedendogli di crollare a terra. Prima che le porte si chiudessero, Billy guardò per un’ultima volta la scena di terrore e delirio sul tetto dell’Otto Building.

 

Nella Bentley cercarono in tutti i modi di tamponare la ferita di Simon ma lui continuava a perdere sangue.

“Un colpo al fegato. Rise. Appropriato, per uno come me.”

“Non parlare, ti stiamo portando in ospedale.” Lo rimproverò Tamerlano.

Billy, seduto di fianco, era pallido. Lo fissava spaventato. Simon si voltò verso di lui e gli sorrise rassicurante, poi tornò a rivolgersi a Tiger.

“No, Twanky. Sembra proprio ch’io stia morendo stavolta.”

“Non chiamarmi con quel nomingolo di merda.” Lo minacciò l’altro, tentando in tutti i modi di nascondere la propria paura.

“Lo sai. È successo. Sto morendo e non farete mai in tempo a portarmi in ospedale. Fai accostare la macchina, ora.”

Era un ordine. Un ordine ben preciso. Tutti, tranne Billy, dentro quella macchina avevano capito cosa stava per succedere.

Cissy che era al volte accostò e quando Simon ordino a lei e a Beck di scendere e fare la guardia, quelli obbedirono senza fiatare.

“Non puoi farmi questo.” Gli mormorò Tamerlano.

“Non essere sciocco. Lo sai che sarebbe potuto accadere e sei stato preparato per questo momento. Fino ad ora sei stato la mia guardia del corpo personale ma da ora, decreto come ultima volontà che tu sia il nuovo Magus. A te passo la carica… fu scosso da un violento e tremito e butto sangue dalla bocca a seguito di un paio di violenti colpi di tosse. Billy lo sostenne, spaventato a morte da quanto stava accadendo. Ricompostosi per quanto poteva, continuò. Sarai il suo mentore, ti occuperai di lui, gli rivelerai tutto quanto c’è ancora da rivelare. Quando sarà il momento, gli passerai anche la carica di Magus come io l’ho passata a te ora. Legalmente parlando sarai il suo tutore e gestirai quanto rimarrà, dopo questo disastro, del mio patrimonio. Ho predisposto ogni cosa con gli avvocati. La Mano ti contrasterà ma non m’interessa. Non deve interessare neppure a te. Diffida di loro. Almeno una delle dita è marcia e le altre forse sono meno forti di quanto mi sarei aspettato. Ora lasciami solo con Billy. Sei stato un buon amico, Tamerlano. Il migliore che abbia mai avuto o avrei mai potuto desiderare. Ringrazio il Fato per averci fatto incontrare tanti anni fa. Addio, amico mio.”

Tamerlano appoggiò per un istante la sua fronte contro quella di Simon, serrando gli occhi come per trattenere le lacrime che invece riuscirono a trovare una via per uscire e poi, obbedendo alle ultime volontà di Simon, lo lasciò solo con Billy.

 

“Molto tempo fa, come ti ho raccontato, fu combattuta una battaglia, una battaglia sanguinosa per liberare l’umanità. Da quel giorno, una serie di uomini si sono succeduti, per tradamandarsi la memoria di quegli accadimenti dimenticati dal resto del mondo, per tramandarsi l’antica saggezza e con essa l’antico Potere.” Carezzò il volto di Billy lasciandogli un po’ di sangue sulla guancia.

“Non morire…” Lo implorò lui tra le lacrime.

“Tutti muoino, Billy. Me compreso. L’importante è come si vive, Billy e spero che alla fine i miei peccati saranno compensati dalle azioni buone. Di tutte quelle compiute, la migliore è stata sceglierti come mio successore, Billy. Tu non sei un rimpiazzo di tua sorella, mi capisci? Lei era una persona eccezionale e sarebbe stata un ottimo erede ma anche tu lo sei e, soprattutto, sei diverso. Anche tu sei una persona fantastica ma sei tu.”

“Sono una persona ordinaria…”

“Forse ma questo non ti impedisce di essere eccezionale al tempo stesso. Tu sai dare il meglio di te, in ogni occasione, anche quando tutto è contro di te. Non ti arrendi Billy ed è questo di cui ho bisogno, di un erede che non si arrenda, nemmeno alle tentazioni, nemmeno alla propria superbia. Rispondi solo ad una domanda, Billy e sii sincero. Hai picchiato tu quel ragazzo?”

“Parli di quello che mi aggredì al centro commerciale, vero? No. Ti giuro di no.”

“Perché non me lo dicesti subito?”

“Ero arrabbiato con te. Ero arrabbiato perché avevi dubitato di me…” Billy scoppiò in lacrime.

“Ed io ero stato un vero idiota. Avrei dovuto ascoltare quello che mi dicevi ma avevo paura, paura che tu fossi come lui…”

“Come chi?”

“Tamerlano ti dirà tutto. A lui, quando lo incontrarai, di solo che lo perdono e che ha il mio amore ma che non mi pento di quello che ho fatto. Digli che aveva ragione. Avrei dovuto avere il coraggio e prego che se anche non avrà la forza di ravvedersi, di poter trovare la pace che gli è mancata in vita almeno nella morte. Digli che mi dispiace per tutto quello che ha sofferto, che gli ho fatto soffrire. Azam pianse e strinse la mano di Billy. Il suo cuore batteva più lentamente e cominciava a biscicare le parole. La vista s’appannava e stava per andarsene. Raccolse le ultime forze. William Batson, sei pronto?” Chiese.

“Non andartene. Ho ancora bisogno di te.”

“Lo so ma egualmente devo andare. Il mio tempo è finito. Tu sei pronto?” Chiese ancora con risoluta fermezza.

Billy chiuse un istante gli occhi. Pensò a tutta la sua vita, le sue paure, quello che aveva perduto e quello che stava per perdere. Quando gli riaprì disse solo: “Si”.

Simon usò il proprio sangue per tracciare un segno sul viso di Billy, un unico segno che attraversava l’occhio destro e parte della guancia.

“Così come io fui iniziato, ora inizio te. Così come io fui benedetto, ora io benedico te. Così come fui chiamato, ora io chiamo te. Così come fui elevato, ora io elevo te. Le parole che pronunciò in seguito erano in una lingua sconosciuta a Billy. Una lingua dimenticata da millenni, la lingua di dei ed eroi, di miti e leggende. Poi Azam pronunciò le sue ultime parole. Simon Homer Azam è il nome con cui mi conoscono i più ma il mio vero nome, William Batson, è un altro. Ora anche tu avrai un nuovo nome e quel nome sarà il mio e sarà anche il tuo segreto perché nelle parole dorme una grande potenza.

A te con il mio nome passo le virtù divine: la voce di Sileno, la rapidità di Hermes, il vigore di Ares, il potere di Zeus, la resistenza di Athena e la saggezza di Meti; impara il tuo nuovo nome, custodiscilo, usalo quando sarà necessario. Lo sussurrò all’orecchio di Billy. Ora, figlio mio, ripetilo ed il patto sarà suggellato nuovamente. Buona fortuna e ricorda: ti voglio bene; anche se ti ho conosciuto per un tempo più breve di quanto avrei voluto. Sei stato come un figlio per me.”

Billy assentì, il volto arrossato e ripeté il suo nuovo nome.

Di lontano venne il possente rombo di un tuono.

 

V

 

Los Angeles – 5 Novembre.

 

Black Adam li aveva recuperati velocemente, così come prevedeva il loro piano per un’eventuale fuga d’emergenza. La conoscenza della completa planimetria dell’edificio, compresa la via di fuga segreta di Azam gli aveva permesso di eludere il cordone dell’esercito e della polizia che s’era rapidamente stretto intorno al grattacielo, cingendolo d’un vero e proprio assedio.

I notiziari parlavano di un tragico epilogo durante la presentazione del soldato meccanizzato AX-1, noto al pubblico con il nome di Dumso, un nome che Adam aveva trovato ridicolo sin dal primo momento. Parlavano di cause ancora da chiarire, forse un atto di sabotaggio, forse un malfunzionamento dei robot. Il Presidente in persona aveva parlato, dopo nemmeno un’ora, alla Nazione. Insieme ai civili erano caduti anche alcuni alti papaveri dell’Esercito, tra cui il Generale pluridecorato Lee Stevenson, un eroe di guerra americano.

I giornalisti avevano avanzato l’ipotesi potesse trattarsi di un atto terroristico. Organizzazioni estremiste di mezzo mondo si erano affrettate a rivendicare l’attentanto ma del resto anche movimenti religiosi e politici radicali lo avevano fatto. Tutti sembravano impazziti ed il Presidente spiegò con calma e fermezza che ci si trovava di fronte ad un nuovo 11 Settembre, che ora l’America era sicura che doveva esserlo.

Nessuno ovviamente gli credeva, anche se annuivano tutti quelli che erano presenti. La sua presidenza era giunta al capolina ma era certo che avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per avere le teste di chi lo aveva affondato in quel modo.

Adam glielo lesse negli occhi e loro avevano Langley. Non c’era stato modo di ucciderlo prima di fuggire. Erano troppo presi dal momento. Lasciarsi andare all’emotività era stato un errore ma vederselo agonizzare tra le braccia aveva cambiato tutto.

Voleva la sua morte. La volta da tanto, troppo tempo ma quello no. Non così.

Urlò a Black Adam che gli stava chiedendo qualcosa. Il suo discepolo era frastornato da quell’eccesso di furia. Frastornato e spaventato. Cacciò entrambi in malomodo.  Black Adam e Mr, che non aveva proferito più parola dalla fuga, uscirono dalla stanza e lui tornò a fissare il televisore.

Il loro rifugio non era più sicuro. Avrebbero setacciato la città, palmo a palmo pur di trovarli.

Charles aveva già parlato e pur non sapendo molto su di loro avrebbe fatto notevoli danni.

Tramite le società con cui avevano fatto i versamenti sul conto segreto dello scienziato, che ormani non  era più tale, sarebbero risaliti ai loro moviementi finanziari decapitandoli dei loro capitali. Muovere le somme di denaro che avevano accumulato in anni di illeciti e raggiri non  sarebbe stato semplice. Avrebbero perso tutto o quasi. Potevano solo cercare di salvere il salvabile.

“Non doveva finire così.” Si portò una mano alla bocca da cui quella frase non poteva essere uscita. Era stato lo stupido apparecchio che portava assicurato al fianco a parlare per lui. Lo strappò furibondo e lo scagliò contro il muro, mandandolo in pezzi. Se avesse funzionato, se avesse potuto davvero sostituire la sua vera voce, non sarebbe mai accaduto nulla. Lui avrebbe riavuto il potere e Simon sarebbe stato ancora vivo.

Si vergognò di sé stesso. Forse quel piccolo bambino spaventato che era stato vessato ed umiliato in tutti i modi possibili ed immaginabili era ancora vivo dentro di lui. Adam era convinto di averlo ucciso di essere rimasto da solo. ‘Teodoro sei ancora vivo?’ chiese mentalmente.

Serrò i denti.

James Barr. Le foto delle telecamere a circuito chiuso che erano finite su internet mostravano il suo volto deformato da una sorta di rabbia omicida mentre si avventava contro le macchine di Simon Azam. Come avrebbe potuto prevedere una cosa del genere?

‘Non cadere nell’errore di credere di poter prevedere tutto. Non puoi. L’inatteso capita sempre. L’importante è esserne consapevoli, poiché è l’unica arma che puoi utilizzare contro di esso’.

Quell’insegnamento apparteneva ai giorni in cui lui era stato il discepolo ed Azam il suo Magus.

Quei giorni erano ormai terminati e l’udire quel rombo di tuono quasi assordante in una giornata di sole a Los Angeles glielo aveva confermato, ancor prima di avvertire il formicolio nel suo petto ed il bruciore sul segno invisibile che gli attraversava l’occhio destro.

Il segnale che il Magus Simon Homer Azam era morto.

 

Mr vomitò un paio di volte. Black Adam lo guardava preoccupato. Forse avrebbe preso la sua testa e l’avrebbe sbattuta contro il lavandino così tante volte da ridurla in una poltiglia sanguinolenta. Mr aveva pensato a quell’eventualità ma ormai era praticamente indifeso. Troppa fatica, troppo stress. Ebbe un’altra violenta epistassi dal naso e si sbrigò a tamponare l’emoraggia come meglio poté.

Black Adam gli porse un asciugamano. “Grazie” quasi bisbigliò, meravigliandosi per quelle parole.

“Sei ridotto uno straccio.” Replicò l’altro.

“Lo so.”

“Sei indifeso.”

Quelle parole gli fecero pensare che forse la sua vita era giunta davvero al termine. Un tragico epilogo. Ucciso da un delinquente da quattro soldi quando, poche ore prima, pensava di essere prossimo a divenire uno dei grandi Signori della guerra del nuovo ordine di Adam o quanto meno, uno dei suoi più potenti feudatari.

“Fallo ora.” Disse seccamente.

“Cosa stai dicendo?” Black Adam sembrava davvero stupito.

“Sai che non ti capisco proprio? Lo fissò mentre premeva l’asciugamano contro il naso. Perché non pareggi i conti e sparisci? In fin dei conti hai parecchio contante in questo posto e sicuramente hai anche un posto dove sparire. Potresti persino farla franca e goderti il resto degli anni che hai ancora da vivere.”

“Mi sembrava di aver chiarito questa cosa con te. Il suo tono era vagamente risentito. Non voglio vendicarmi di nessuno di voi due. Ormai sono parte della squadra e non ne voglio uscire per nulla al mondo.”

“Davvero?” Forse Black Adam era incredibilmente stupido o forse Adam aveva scelto bene il suo discepolo.

“Te l’ho detto. La mia vita con voi è cambiata e credo di poter dire decisamente in meglio. È vero, sei stato uno stronzo sadico. Hai fatto fuori i miei uomini e le mie puttante sotto i miei occhi per indurmi ad obbedirti come un cane. Mi hai punzechiato come se fossi una bestia prossima al macello per il gusto di vedere la mia paura. Però tutto questo mi ha fortificato. Non posso che essertene grato perché se guardo indietro e vedo la persona che ero, provo un infinito disgusto. Sono con voi, ora. Ti piaccia o no. Potrei ucciderti ma priverei la squadra della sua formidabile arma.”

Mr scoppiò a ridere. Sghinazzò quasi istericamente e, per via dei sussulti, vomitò altre due volte asciugandosi subito la bocca con l’asciugamano azzurro su cui ormai era evidente una grande macchia di sangue. Si osservò nello specchio, notando con piacere che il naso non gocciava più.

“Arma? È davvero buffo che tu l’abbia detto. Sai? Era questo che avrei dovuto essere. Un’arma.

Quando mi portarono in quei dannati laboratori, mi venne detto ‘servirai il tuo Paese. Farai il bene del popolo americano’. Puoi crederci? Un discorso che definire antiquato è davvero poco. Sembravano stronzate uscite da uno dei sermoni di JFK. ‘Non chiedere cosa il tuo Paese può fare per te. Chiediti cosa tu puoi fare per il tuo Paese.’ Il vecchio JF se non fosse stato così occupato a tenere la testa tra le cosce di Marilyn magari non avrebbe sparato tante stronzate. La frase doveva essere ‘Chiediti cosa il tuo Paese può farti’ e ti assicuro, Black, che il mio Paese me ne ha fatte.

Passai mesi e mesi in quel maledetto laboratorio sotterraneo. No, scusa, anni. Ero entrato che ero solo un ragazzino. Non avevo mai nemmeno scopato, ci credi? Tutto quello che conoscevo erano i trucchi con le carte, le stronzate da baraccone con i cristalli e la tavola magica insegnatemi per abbindolare i polli. Ma ci crederesti? Avevo davvero un talento fuori dal comune e questo, Black, mi è valso un biglietto di sola andata per l’inferno. Biglietto che ho vinto quando si accorsero di me.Si chiese quando avesse iniziato a piangere ma si disse che, a quel punto, non avesse più importanza e continuò. Una cavia da laboratorio era trattata meglio di quanto non fossi trattato io. Mi infilarono aghi in ogni dove. Avevo più buchi di un maledetto tossico ed ero sballato per metà del tempo. Il problema era l’altra metà. I dolori erano lancinanti. Ma sai cos’era davvero orribile? Sai cosa non aveva termini di paragone? L’isolamento.

Anzi, no: l’Isolamento con la I maiuscola. Dicevano che la totale privazione sensoriale era il miglior stimolo alle mie facoltà, che avrebbe incrementato il lavoro degli ormoni con cui mi pompavano e delle cose che mi avevano messo nella testa per aumentare la velocità con cui lavorava il mio cervello. Mi tenevano chiuso in quella sorta di vergine di ferro, immerso nell’acqua, per ore ed ore. Delle volte persino per giorni. Mi nutrivano con delle flebo, ora lo so ma sul momento no. Ero semplicemente sospeso sul nulla. Sai com’è essere sull’abisso? Orrore assoluto.

Come possono lamentarsi se poi li ho massacrati tutti?! CAZZO!Mandò lo specchio in frantumi con un colpo solo. La mano cominciò a perdere sangue. ‘Altro sangue, bravo!’ si schernì mentre Black Adam, senza dire una sola parola, gli prese la mano per guardare quanto profondi fossero i tagli. Fu molto gentile e con grande delicatezza, prese delle bende, gli cominciò a fasciare la mano dopo che ebbe tolto ogni frammento di vetro e disinfettato i numerosi tagli. Simon Azam non me lo perdonò.  Continuò come se non fosse accaduto nulla, seduto sul bordo della vasca. Mi disse che ero un animale per quello che avevo fatto. E che avevo mai fatto? Avevo solo preso la mia vendetta. Si, magari posso averlo fatto in modo un po’ teatrale ed esserci andato pesante ma, cazzo, sfido chiunque a controllarsi con le persone che ti hanno infilato tubi in bocca ed in culo per tutta una maledetta vita. Mi svegliavano nel cuore della notte a più riprese, privandomi del sonno, per settimane, solo per vedere come reagivo sotto stress. Così quando è stato il momento gli ho fatto infilare quei bei tubi nei loro culi, da soli, facendoglieli uscire dalle bocche. E quello è stato solo l’antipasto. Ricordi che ti avevo detto che non avevo mai scopato? C’erano delle belle pollastre. Mi guardavano sempre dall’alto in basso, con disprezzo, da dietro i doppi vetri della camera dove mi ignettavano gli stimolanti. Me le sono chiavate tutte. Alcune le ho continuate a chiavare anche dopo. Se è per questo mi sono chiavato anche un paio di stronzi della sicurezza che mi avevano guardato in cagnesco alcune volte, quando mi ero permesso di piagnucolare un po’ di clemenza nei miei confronti. Nei loro non è avuto affatto. Intendo la clemenza.

Cercarono di farmi fuori ma non ci sono riusciti. Mi hanno tolto il nome, l’identità, la casa. Tutto. Ricordo a malapena una serie di immagini della mia vecchia vita. Non mi hanno tolto la vita. Sono riuscito a fargli credere di essere finito carbonizzato nell’esplosione del laboratorio.

Un gas altamente infiammabile arricchito con particelle di polistirolo e costituito in gran parte da benzina. Mi avrebbe fatto secco di sicuro se non avessi studiato bene il mio piano.

Decisi di puntare su Adam perché capì che anche lui doveva essere molto incazzato con Azam. Lo avevo visto nella sua mente. Lo avevo visto varie volte e lui non se ne era accorto. Abbiamo fatto tanto per guadagnarci la nostra vendetta, il nostro riscatto e quello psicopatico con il costume da finocchio ci ha sputtanato per bene.” Rise mentre ancora le lacrime gli uscivano dagli occhi.

Black Adam gli dette un’amichevole pacca sulle spalle e capì solo in quel momento che le sofferenze che elargiva quel mostro dalla forma umano erano nulla rispetto a quelle che portava celeate nel cuore.

 

 

VI

 

Villa Athene, California Meridionale – 9 Novembre.

 

Portare le ceneri di Azam nella villa che tanto amava era stato difficile. Tuttavia Tamerlano Tiger era riuscito in quell’impresa così come in quella di farsi affidare la tutele legale di Billy Batson, anche se per farlo aveva riscosso gli ultimi crediti di Azam, crediti che tutti erano stati felice di saldare visto che ormai nessuno voleva essere più associato al suo nome.

Charles Langley, corrotto da misteriosi estremisti, era stato il responsabile di quanto accaduto, lo sapevano tutti grazie ai media e alla sua confessione davanti ai microfoni dei giornalisti mentre le autorità lo portavano via.

Charles Langley era il colpevole, certo ma era uno degli uomini del progetto di Simon Azam e lui aveva sempre garantito per ognuno di loro, nonostante il triste precedente di James Barr, anche lui ex stipendiato di Simon, che ora era divenuto di dominio pubblico sempre grazie a Langley.

Per fortuna, si disse Tiger, non era saltato fuori nulla sul vecchio progetto intrapreso per conto dell’MK-Ultra altrimenti Simon Azam sarebbe passato alla storia come un vero e proprio mostro.

Le azioni della Fawcet e Fawcet erano crollate, i laboratori erano stati sequestrati dal Governo, i Dumso rimasti erano stati tutti quanti ritirati dal magazzino e portati in una località segreta per essere disassemblati e, Tamerlano lo sapeva, per studiarli bene prima di portare le loro carcasse all’opinione pubblica.

I robot killer, così erano stati ribattezzati, avevano ucciso 60 persone sul tetto dell’Ottobuilding.

In realtà almeno nove delle vittime si erano gettate, in preda al panico, di sotto da sole e due erano morte per attacco cardiaco. Tuttavia era certo che la popolarità di AX-1, già fortemente in pericolo, era calata sotto lo zero ed il Presidente si era affrettato, spinto dagli uomini del suo partito, a passare dalla parte di committente a quella di nemico di quei mostri metallici.

‘Questo staff ha sempre nutrito dei dubbi. Questo staff è stato mal consigliato’, ecco le parole che udiva spesso in televisione in quei giorni. Tutti stavano abiurando il progetto sostenuto con tanta vemeenza e convinzione solo poco prima.

“Cani” era stato lo sprezzante commento di Tiger alla seconda intervista rilasciata dal Presidente.

La Fawcet e Fawcet, di fatto, ormai non esisteva più. Era solo questione di settimane prima che fosse dichiarato ufficialmente il fallimento.

Come previsto la Mano era giunta da loro e le sue dita, tranne una, avevano cercato di stringersi sulla gola di Tiger.

“È inaudito! Urlò il membro più giovane. Il Magus non può aver passato la carica ad una guardia del corpo! Non possiamo accettarti come cerimoniere! Né ora, né mai.”

La donna anziana tentò di conciliare, anche se il suo fastidio per quella situazione era evidente.

“Si trattava di una situazione straordinaria. Azam purtoppo è trapassato anzitempo e negli ultimi istanti di vita ha passato la carica a chi riputava più adatto e l’uomo di cui maggiormente si fidava gli è sembrata la scelta migliore. Possiamo contestarlo ma non gioverebbe a nessuno. Credo che l’Augusta Assemblea dovrebbe formalizzare l’Elezione di Tamerlano Tiger a nuovo Cerimoniere, confermando così la sua carica di Magus e Mentore dell’Eletto.”

L’uomo bolso prese la parola: “Purtroppo non è così facile, Onorata Sorella. Le cose sono molte diverse dall’ultima riunione che abbiamo avuto con il nostro ormai ex Cerimoniere. Sai bene quanto lo stimassi e che ho sempre appoggiato le sue decisioni ma ora? Quanto accaduto si ripercuoterà su noi tutti. Avevamo molto investito, in danari ed influenza, nella sua Fawcet e Fawcet ed il suo crollo ci coinvolgerà fin troppo. Si era quasi vergognato di pronunciare quel discorso che aveva strappato alla donna anziana ed elegante uno sguardo a metà tra lo stupore e la comprensione, poiché anch’ella condivideva in realtà gli stessi timori. La donna ordinaria non aveva parlato, limitandosi ad assentire, il giovane sembrava soddisfatto e l’uomo anziano, colui il quale rimaneva quasi sempre in silenzio era una maschera imperscrutabile. Ammesso che si accetti la decisione di Azam, rimane il problema: cosa farà Tamerlano Tiger? Tamerlano, Onorato Fratello, il chiamarlo con quel titolo era il suo modo di mediare con la propria coscienza. Non lo voleva appoggiare apertamente ma nemmeno osteggiare. Tiger avrebbe voluto lasciarsi andare ad un sorriso di amaro scherno, ricordando le ultime parole di Simon riguardo la debolezza delle dita ma il suo volto rimase una maschera di composta dignità. Saresti un Cerimoniere senza le fortune del tuo predecessore se non solo le briciole, sempre che gli avvocati te ne lascino. Ed il giovane? Aveva già fallito una prova.”

“Però le cose sono cambiate, corresse Tamerlano pentendosene quasi subito. Avrebbe dovuto rispettare il protocollo chiedendo il permesso di parlare ma, al tempo stesso, temeva che il giovane cogliesse al balzo la palla per gettare altro fango su Azam, non la fallì. Fu un nostro errore di valutazione. Il ragazzo non si era macchiato del pestaggio ai danni del compagno di scuola.”

Solo allora capì quanto era stato sciocco. ‘Fu un nostro errore’ equivalse ad un’ulteriore ammissione di colpe. Il giovane rideva come una iena pronta a balzare sulla carcassa.

 

Tamerlano aveva affrontato quel duello meglio che poteva ed il meglio era stato l’impensabile.

La Mano aveva rifiutato il suo appaggio al Cerimoniere e al Nuovo Scelto.

“La priorità della Mano non è servire lo Scelto ma conservare la Conoscenza.” Così si erano giustificati, tutti tranne l’Uomo Silenzioso che non disse nulla ma lanciò a Tamerlano un’occhiata eloquente.

Tiger pose la mano sulla spalla di Billy che aveva depositato l’urna funeraria nella nicchia nella basa della statua raffigurante un antico guerriero greco che venne chiusa con una lastra di marmo da Beck e Cee Cee.

“Così quello che ha fatto questo si chiama Adam.”

“Si.” Disse Tiger.

“Dobbiamo trovarlo.” Disse Billy.

“Per fare cosa?”

“Devo dirgli che Simon l’amava e che lo perdona.” Affermò solennemente il ragazzo.

“E po?.”

“Poi devo ucciderlo.”

I due rimasero in silenzio ad osservare il monumento funebre di Simon H. Azam.

 

 

Continua.