Yuri N.A. Lucia
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Yuri
Lucia
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La visione a cui assistevano gli inseguiti era
portentosa e terrificante al tempo stesso.
In alto nel cielo, il più veloce e forte tra gli
ippogrifi allevati dagli stallieri degli Olimpi, dispiegava le sue candide ali,
ognuna lunga più di dodici metri. La criniera, una folta massa lattea come il
manto, della magnifica ed impossibile bestia garriva al vento quasi fosse un
vessillo di guerra, mentre dalle nari dilatate venivano quelli che parvero
getti di vapore bollente. Gli zoccoli si agitarono, come se percorresse
un’invisibile via fatta di aria e s’abbassò, minaccioso, in direzione dei legni
inseguita dalla flotta della folgore.
Il suo cavaliere, in quanto a magnificenza, non
aveva niente da invidiare alla cavalcatura.
Il virile torace gonfio di rabbia, gli occhi che
dardeggiavano da quel volto severo, reso ancora più severo da una truce
espressione che per chi aveva osato levare le armi contro il suo impero
signficava solo una cosa: morte; Zeus e Pegasus erano una visone tanto bella
quanto atterrente perché non era certo per farsi ammirare che il Re dell’Olimpo
era sceso in campo portando con sé la sua cavalcatura preferita. Era guerra che
portava agli assalitori di Creta, una guerra violenta e senza quartiere.
Chiunque essi fossero.
Zeus riconobbe loro la virtù della disciplina.
Sebbene attaccati da forze superiori, non si erano lasciati intimorire e pur
lasciandosi diversi morti sulle spiagge dell’isola a Zeus sacra, erano riusciti
a prendere velocemente il mare dopo essersi ricompattati.
Ellenio stava bene, anche se aveva riportato diverse
ferite. Il Padre degli dei lo aveva affidato alle cure dei suoi migliori medici
ed era partito per portare il massacro agli invasori in fuga.
La flotta della folgore constava in ben cinquanta
veloci scafi partiti dalle coste greche a cui s’erano velocemente uniti, dopo i
messaggi portati dal figlio Hermes, altri 100 costruiti con odorosi legni di
cedro provenienti dal Libano e ben 200 provenienti dalle coste del Nord Africa.
C’erano voluti diversi giorni finché le imbarcazioni si incontrassero, formando
un’unica, invincibile flotta ma lo spettaccolo della battaglia che ne era
seguita ne era valsa la pena. Amaltea, la città Sacra, sebbene provata
dall’assedio, era stata liberata.
Al comando della flotta, sulla nave nota come
‘Signore dei Mari’, era stata messa Athena, che nella strategia era considerata
la più valente. Sulla ‘Tridente Insanguinato’, dalle vele rosse origine del suo
nome insieme all’appuntito rostro di bronzo, Ares che aveva guidato il primo
assalto sull’isola alla testa dei suoi fedelissimi. Sulla ‘Ninfa del Mare’, più
piccola rispetto alle altre imbarcazioni ma superiore in velocità, Hermes, che ai
soldati aveva preferito portare con sé una piccola corte di baldracche e
giovinetti che chiavava indifferentemente con ardore e modi persino affettuosi,
cosa che lo rendeva tra essi molto amato. Infine ‘L’Urlo di Pan’, la nave il
cui legno era annerito dalla pece e che era stata donata da Zeus stesso a
Sileno, figlio della divinità che l’imbarcazione, con il suo nome, celebrava.
Meti era stata affidata ad Athena. Madre e figlia viaggiavano sulla stessa nave
cosa che inizialmente era sembrata un’imprudenza a Zeus ma la dea della guerra
lo aveva persuaso della necessità di poter contare sui suoi vaticini e le sue
visioni per poter evitare brutte sorprese. Sorprese che però, con grande scorno
del figlio di crono, arrivarono lo stesso.
Il furore del guerriero avevano nascosto al suo
occhio il fatto che una quarantina di vascelli nemici, una flotta composta da
un centinaio in tutto tra piccole navi, lunghe non più di dodici metri e lunghi
vascelli a dieci remi per lato. Queste ultime erano più larghe persino delle
navi di Zeus, di almeno un paio di metri ed erano rimaste indietro rispetto al
resto della flotta in fuga, praticamente quasi a portata di tiro d’arco.
S’avvide solo allora che le navi, sui ponti, avevano
posizionate delle catapulte celate fino a poco prima al suo sguardo da teli di
lino. I marinai nemici dettero fuoco ai proiettili caricati su di esse e fu
lanciata una prima, terribile scarica contro la flotta di Zeus.
“NO!” Tuonò il dio ma già alcune delle sue navi
pagavano il prezzo dell’inganno avversario.
Su una nave dai grandi occhi contornati di nero
dipinti sulla prua, si levò un coro di grida inarticolate. L’equipaggio sul
ponte correva disordinatamente, pestava violentemente i piedi, mentre la pece
bollente piovutagli improvvisamente addosso bruciava la pelle e le carni,
faceva esplodere gli occhi, toglieva il fiato fino ad una morte dolorosa. Le
vele e gli alberi vennero rapidamente vinti dalle fiamme e vide la flotta
scompaginarsi per evitare i vascelli, ne contò almeno quindici, ormai fuori
controllo.
“ZEUS!!!” Evocò pronunciando il suo stesso nome la
furia del fuoco del cielo che s’abbatté ove l’indice, in un gesto di condanna,
puntava. La nave nemica, ed i suoi
occupanti, pagarono lo scotto d’aver ulteriormente provocato la collera del
titanicida e subito, dopo la violenta scarica, legno e carni esplosero
dilatandosi rapidamente. Pegasus era abituato a quello spettacolo ed era
l’unico, tra gli ippogrifi, a non temere le folgori evocate dal suo padrone ‘si
da non cambiare la traiettoria che quello gli aveva ordinato.
Athena, silenziosamente, maledisse la stoltezza del
suo Re. “Ancora per poco”, si augurò. Lo aveva sconsigliato di gettarsi in
quell’inseguimento anche se in realtà era proprio quello che voleva ma non
poteva detestare sospetti comportandosi in modo troppo accondiscendente.
Tuttavia, per la sicurezza degli uomini sotto il suo comando, gli chiese di non
tallonare troppo da vicino le imbarcazioni nemiche ma di limitarsi a seguirle
fin nei pressi dei loro porti e una volta giunti a destinazione, riorganizzarsi
per sbarcare su Santorini, se veramente era quella la base da dove erano
partiti.
Non voleva morti innocenti sulla coscienza, non più
di quante fossero servite per giungere fino a quel punto. Chiunque avesse
aiutato i congiurati a condurre Zeus fin lì, aveva mosso molti uomini e potuto
contare su ricchezze e mezzi non indifferenti per organizzare quella farsa,
perché di questo si trattava: un’enorme recita; l’unico scopo della recita era
allontanare Zeus il più possibile dalla sua fortezza, dai suoi alleati più
fedeli e dal grosso delle sue truppe.
“E dunque qui che è destinato ad accadere? Il giorno
in cui Zeus cadrà si consumerà in quelle lontane terre?” Si chiese angosciata.
Non poteva, nonostante la convinzione che si trattasse di una giusta causa, non
considerare che stavano compiendo un atto di tradimento.
“Ancora della stessa idea?” La voce risuonò aspra e
sferzante. La donna aveva parlato per la prima volta liberamente da quando si
era imbarcata con loro.
“Perché me lo chiedi?” Fece la figlia di Meti risentita.” Sai benissimo che giunti a questo punto, non possiamo più metter
freno agli eventi.”
“Solo perché non ne hai la volontà, dolce
fanciulla.” Le ultime parole erano cariche di scherno ma non turbarono la dignitosa
compostezza di Athena.
“Oramai il tempo dei misteri è finito.” Aveva lanciato un rapido sguardo
intorno, per verificare che nessuno dei suoi uomini fosse a portata d’orecchio.” Chi è colui il quale ci ha aiutato e
cosa ha in mente?”
“Intendi per l’assassinio di Zeus?” Fece l’altra con
assoluta indifferenza, quasi quello che aveva detto non possedesse il tetro e
grave significato che invece possedeva.
“Frena la lingua. Se qualcuno ci dovesse sentire …”
La ammonì la dea.
“Esulterebbe, unendosi subito a noi. E poi, sbaglio,
o questi uomini sono leali a te?”
“Hanno giurato sul nome di Zeus, non sul mio. Sono
il loro comandante solo per volontà sua e se dovessero scoprire cosa ho ordito
insieme ai miei compagni e te, e molto probabile che vorrebbero la mia testa su
di una picca.”
“Non ci riuscirebbero. Tu sei invulnerabile o
sbaglio?” La derise la donna.
“Potrebbero comunque prendermi prigioniera e poi
scoprirei fino a che punto sono immune dalle ingiurie. Zeus mi scatenerebbe
addosso la sua folgore fin quando di me non fosse rimasta altro che cenere.
Senza contare quello che farebbe agli altri …”
“Ad Ares, vorrai dire.”
“A lui e agli altri. Coraggio, donna, ora è il
momento di parlare e rivelarmi i tuoi piani. Avevamo un accordo e noi l’abbiamo
rispettato. Ora è tempo di rispettare la tua parte.”
“Signora. Non dimenticarti che presto sarò elevata
ad un rango più alto e tengo ai titoli.”
“Solo quando sarà tutto compiuto.” Le ricordò
Athena.
Ci furono altre urla. La dea si voltò rapida e vide
che altra pece bollente stava piovendo su loro. Tosta prese la donna tra le
braccia, facendole chinare il capo e la protesse con il suo corpo. Quello che
avrebbe ferito persino il vigoroso Ares, le scivolò di dosso senza provocarle
danno alcuno e dopo pochi istanti, fu come se il suo corpo non fosse mai venuto
a contatto con la pece.
Si preoccupò per i suoi uomini ma a parte due
perdite, che comunque le causarono dispiacere, il resto della truppa e
dell’equipaggio erano salvi. Il tiro era stato troppo corto e aveva investito solo
la prua. Le vele erano salve e subito ordinò che controllassero lo stato di
salute della Regina Meti.
All’udire quel nome, la donna che aveva salvato
sibilò piena di disprezzo.
“Perché la odi con tanta intensità?”
“Perché al suo posto dovrei esserci io!” Sussurrò
carica di risentimento.
Athena si chiese quanto potessero fidarsi di una
donna come lei e si trovò a considerare che forse era stato un errore
partecipare al complotto ordito da Hera.
La Tridente Insanguinato viaggiava non lontana dalla
Signore dei Mari. Il suo scafo fendeva l’acqua proprio come se fosse una punta
che affondava tra la carne ed il sangue. Ares gettò un occhio preoccupato
all’ammiraglia ma subito provò sollievo vedendo che il proiettile infuocato si
era disperso sulla prua. Sapeva che Athena era immune per nascita a quel genere
di attacchi ma se la nave fosse affondata? Cosa sarebbe successo se alla dea
fosse stata negata aria da respirare dall’abbraccio del mare?
“Capitano!”
Tuonò.” AUMENTARE LA VELOCITÀ!”
L’ufficiale, un uomo nato nelle remote regioni dove
nasceva il Nilo e tratto in schiavitù in grecia durante gli anni della
gioventù, rispose con schiettezza: “Non possiamo mio Signore! Siamo già al
limite della forza fornita da vento e remi! Gli uomini giù stanno schiumando
per dare quanta più spinta possibile e la Tridente Insanguinato è si la più
robusta di tutte le navi della folgore ma non la più veloce. Se dovessi
speronare una di quelle imbarcazioni la giù avremmo la meglio, senza ombra di
dubbio ma non possediamo la loro rapidità di movimento. Sull’inseguimento sono
in vantaggio loro.”
“Puoi portarci almeno a portata di tiro d’arco?”
Insistette il dio indispettito, ma consapevole della perizia che il capitano
possedeva.
“Sono furbi. Si tengono quasi a portata di dardi ma
giusto il tempo di poterci colpire con quella maledetta poltiglia di pece
infiammata e sassi.”
“Hanno il peso di quelle maledette catapulte! Come è
possibile che vadano così veloci?!”
“Devono avere solo il peso di quelle catapulte. Non
hanno lasciato indietro i loro cavalli e molte delle loro armi? Ci chiedevamo
perché. Hanno gettato qualcosa in mare. Temo si tratti delle loro scorte.”
“Da qui a Santorini è un viaggio niente affatto
breve …”
“La loro tattica, mio Signore, non mi sembra tener
conto della sopravvivenza. Quanto meno non di quella parte di flotta. Ci stanno
procurando più danni possibile.”
‘Oppure ci pungolano.’ Pensò cupamente Ares. “Allora
portati d’appresso alla Ninfa del Mare e lancia questo messaggio ad Hermes.”
Comunicato che fu il messaggio, tornò ad ammirare lo spettacolo davanti a lui.
La folgore aveva brillato cinque volte. Due di loro
a così breve distanza da apparire partite quasi contemporaneamente. Le navi
colpite erano state affondate, incapaci di resistere a quella potenza. Un bel
numero per il vecchio ma anche a lui serviva tempo per riprendere le forze.
Pegasus riprese quota, in moto da tenere una ragionevole distanza tra sé e gli
arcieri nemici.
Non dubitava che Zeus si stesse divertendo, nonostante
la rabbia. Lo invidiò.
La Tridente quasi affiancò la Ninfa e usando un
mantello, il Capitano fece dei segnali all’indirizzo dell’altra nave e dopo
poco comparve Hermes.
Il modo in cui Hermes fluttuava, seguendo
l’andamento del vascello, inquietò non poco l’uomo dalla pelle scura. Gli dei
erano creature portentose e terrificanti. Il fatto che il tempo non ne
sminuisse l’aspetto, come accadeva ai comuni mortali, era di per sé qualcosa di
fantastico ed orribile ma Zeus ed i suoi più stretti alleati erano persino più
spaventosi degli altri dei.
“HERMES!”
Urlò Ares.” Portami sul più vicino
dei legni avversari!”
L’espressione di Hermes mutò. Il sorriso compiaciuto
svanì quasi subito.
“Ne sei certo?”
“FALLO! Capitano, a te il comando! Se incrocerete
nemici, ignorateli, a meno che non vi attacchino. Continuate a proseguire,
seguendo le navi in fuga! Ritornerò prima possibile!”
Hermes si accostò e prese Ares sotto le ascelle,
sollevandolo in aria. Il dio indossava un gonnellino composto da frange di
cuoio cotto borchiato, schinieri, bracciali ed elmo di bronzo. Il cimiero era
sormontato da nere piume di corvo e proprio due corvi erano stati cesellati sui
due guanciali. In una mano reggeva un’asta di rovere con la punta a foglia,
nell’altra lo scudo rotondo su cui era dipinta la folgore simbolo del loro
esercito, al fianco la spada di ferro nero e sulle spalle un manto scarlatto.
Hermes lo sollevò, conscio che se fosse stato a
terra, non avrebbe mai avuto la forza di farlo ma quando usava quella sua
virtù, che lo rendeva unico tra tutti gli dei, il compito si faceva semplice.
Poteva sollevare un cavallo ed il suo cavaliere all’occorrenza.
Viaggiarono veloci, ben più di quanto potesse la
flotta greca, alla velocità di cui solo Pegasus era capace. Cosa volesse
esattamente fare Ares non era possibile dirlo ma di certo sarebbe stato
qualcosa da narrare nelle canzoni degli aedi durante i banchetti o le feste dei
guerrieri.
Il dio che guidava le cariche degli eserciti cadde
sulla nave più prossima a quelle sotto il comando di Zeus. Hermes virò per
evitare una scarica di frecce ed intanto, sul ponte sottostante, s’addensavano
come tante formiche i soldati dei nemici.
Il capitano aveva detto il vero. Molti di loro erano
privi di armi ma non tutti.
“ARRENDETEVI! ORA!” Era l’unico avvertimento che
Ares era disposto a concedere. Era, nonostante tutto, un dio leale e non
avrebbe passato a fil di spada chi avesse accettato di essere suo prigioniero.
Tuttavia loro, nonostante il terribile spettacolo che la vista del dio offriva,
rifiutarono la resa. Ares non dette altri avvertimenti. Non minacciò nulla.
Agì.
Assalì per primo, spingendosi in avanti con una
potenza inaudita. Usò il suo stesso corpo come se fosse un proiettile e ruppe
il doppio anello difensivo costituito dai nemici per fermarlo. Gli scudi
cozzarono contro il suo con un clangore assordante e chi era di lato fu
sbalzato fuori, oltre il parapetto, finendo tra le acque di quel mare turbato
dalla battaglia ingaggiata tra le due flotte.
Un
giovinetto, coraggioso ma evidentemente poco prudente, tentò di
strappargli la vita con un colpo di lancia che però fu deviata dallo scudo del
dio. ‘Peccato’, pensò solo un istante. Ad Ares il coraggio piaceva. Un unico
colpo costò al ragazzo il resto dell’esistente che avrebbe potuto vivere. Un
veterano, sibilò indispettito ma contando sull’esperienza, attuò una finta che
permise alla sua punta di arrivare al torace di Ares eludendone le difese.
‘Ben fatto!’ Pensò e sogghignò compiaciuto all’uomo.
Se le sue carni fossero state più tenere, sarebbe morto ma benché non potesse
dirsi invulnerabile come l’amata Athena, un solo colpo come quello non bastava
a ferirlo. ‘Peccato’, trovò nuovamente il tempo di pensare, perché anche
l’astuzia e l’abilità gli erano gradite. Con un selvaggio affondo trapassò da
parte a parte l’uomo ed insieme a lui, un commilitone che stava dietro cercando
di guadagnare spazio sufficiente per colpire da sopra la spalla del compagno.
La sorpresa si dipinse su quel volto un attimo prima di spirare. Non si era
aspettato nulla del genere.
Ares ringhiò soddisfatto. Gli occhi arrossati dalla
furia che lo alimentava. Colpì con lo scudo, con tale forza da spappolare il
capo che si era parato lungo il suo cammino. Il legno ed il bronzo tremarono ed
il sangue, fattosi nube rosata, ripiovve su molti dei presenti, Ares compreso
che ne leccò alcune gocce tirandole via dal labbro inferiore.
Sogghignò spietato mentre avanzava. Cercarono di
prenderlo alle spalle ma ruotò velocemente
la lancia sul capo, tenendoli a debita distanza poi lanciò l’asta
infilzando quello che doveva essere il capitano del vascello e un soldato che
gli si era fatto innanzi per difenderlo. Estrasse la spada ed iniziò la
mattanza. Udì ancora il tuono, poi vide il lampo e nuovamente la folgore rapì
una nave, non poco distante da dove si trovava.
‘Chissà se si è accorto che sono qui? Chissà se una
delle sue folgori non mi colpirà? Magari è quello che vuole. Magari è la sua
occasione di liberarsi di me!’ Non lo colpevolizzò. Lui voleva lo stesso nei
suoi riguardi. Voleva vedere Zeus soffocare nel suo stesso sangue. Il ponte era
ridotto ad un carnaio e, portatosi presso la catapulta, infisse la spada nel
pavimento e con la mano libera la afferrò. Strinse incurvando una fascia di
ferro e poi la sollevò sopra la testa.
“A MORTE!!!” Urlò e la lanciò verso la nave vicina.
Nessuno poteva immaginarsi qualcosa del genere. I racconti su Ares, forse
avevano pensato, erano esagerati. Ma scoprirono a caro prezzo che le lingue dei
cantori non avevano aggiunto al dio nulla di più di quanto non possedesse.
Avevano appena dato fuoco ad un altro proiettile e quando la macchina d’assalto
colpì la gemella, ci fu un’esplosione di legno e materiale incendiario. Grida
disperate, fiamme e fumo. Ares osservò la scena con cupidigia. C’era un’altra
nave non molto distante. Non aveva bisogno di Hermes stavolta, gli bastava la
potenza dei suoi muscoli. Spiccò un balzo tale da portarlo sull’altra nave.
Aveva recuperato la sua lancia e riprese ad uccidere. Ancora un solo
avvertimento. Ancora un rifiuto, sebbene molto meno convinto del precedente.
Avevano visto da dove si trovavano, quello che era capace di fare. Sapevano di
essere tutti morti ma ugualmente provarono a fermarlo. Qualcuno colpì con una
clava, qualcuno con una spada, ci fu anche un colpo di lancia andato a segno e
altri tentarono addirittura a mano nuda. Ares però resisteva, uccidendo tutti
quelli che gli si paravano di fronte. Ripeté il trucco della lancia infilzando
quasi subito il capitano e poi, prima di estrarre la spada, strappò via il
braccio ad un soldato per sfondargli il cranio con quello stesso arto.
Ruotò velocemente la lama che affettò con disumana
precisione i nemici. Visceri erano sparsi ovunque sul ponte, frammenti d’osso
erano finiti tra le piume del suo cimiero ma a lui questo non importava. Rise
selvaggiamente. Rise come un bimbo felice e di colpo si chiese quanto fosse
diverso da Zeus. Cosa sarebbe accaduto se davvero il vecchio fosse morto? Che
posto ci sarebbe stato per lui in un nuovo mondo dove la guerra non dilagasse
un giorno dopo l’altro come un’impietosa malattia. ‘Al fianco d’Athena’. Questa
fu la risposta che si diede. Ecco cosa lo rendeva veramente diverso da Zeus.
Lui aveva Athena.
Saltò nuovamente, verso un’altra nave. Quella era la
sua ultima battaglia, si disse, e avrebbe fatto di tutto per renderla degna
delle future leggende.
L’Urlo di Pan manovrò per portarsi fuori tiro e le
ultime sfere infuocata ad essere state sparate dalle catapulte nemiche finirono
in acqua, lasciando come testimonianza del loro passaggio un gorgogliante
ribollire e alte volute di vapore.
“Capitano, cerchiamo di mantenere il quanto più
possibile la velocità …” il tuono che
precedeva il lampo e con esso annunciava la folgore smorzò il suono del suo
ordine e così, si trovò costretto a ripeterlo.” Voglio tenermi fuori dalla portata dei loro dardi, quando avranno
finito con questo trucco infernale.”
“Come il mio Signore comanda.”
Il capitano del suo vascello era un uomo nato e
cresciuto sulle coste meridionali dell’Ellade, dalla pelle riarsa dal sole e
dal perenne odore di salsedine. Diversi denti erano andati perduti dalla sua
bocca ed era costretto a mangiare una pappa composta da miele e frutta per
togliere il perenne sgradevole odore che si levava da essa ogni volta che
parlava. A parte questo particolare spiacevole, era un uomo affidabile ed un
capitano capace. Sileno non voleva altri che lui a governare la sua nave, la
Urlo di Pan.
Zeus aveva abbattuto ben dieci vascelli nemici e
questo significava una cosa, tenendo conto della rapidità con cui l’aveva
fatto. Aveva usato un considerevole quantitativo di potere per farlo. Quante
altri folgori poteva evocare a quel ritmo? Nessuno aveva mai testato i suoi
limiti. Forse il figlio di Crono li conosceva ma aveva sempre tenuto segreto
questa informazione. Del resto, in battaglia gli era bastato usare la sua
prodigiosa virtù al massimo due o tre volte. Quanto impiegava a reintegrare le
forze perse? Altro mistero. La strategia era ben chiara. Quell’esercito aveva
avuto la doppia funzione di portarlo quanto più distante possibile dal cuore
del suo Regno, tanto quanto quella di fiaccarlo. ‘Audace e molto costoso’ si
disse.
Aveva visto Hermes trasportare qualcosa, come
un’aquila che rapiva un cerbiatto ma sapeva che quello depositato su di una
delle navi nemiche, era ben lontano dall’essere un timido cucciolo di cervo.
‘Completamente pazzo’, pensò ma non senza poter far
a meno di provare dell’ammirazione per Ares.
La preoccupazione montava dentro di lui. Fidarsi di
Hera forse era stato un azzardo. La dea era sempre stata folle e troppo avida
per i suoi gusti. Era la vendetta a spingerla ad agire contro Zeus e la
vendetta aveva ottenebrato più volte la logica di quella donna che, tuttavia,
era riuscita ad ordire un complotto così elaborato. ‘Ma con la complicità di
chi?’ si chiese. Erano pochi gli dei o i mortali che avrebbero potuto mettere
in campo un esercito del genere, solo per attirare allo scoperto Zeus.
Quale che fosse stata la risposta, si disse, presto
l’avrebbero conosciuta.
Hermes calò rapido, togliendo Ares dalle ambasce. La
nave su cui aveva fatto strate stava affondando, dopo che il suo stesso
equipaggio, i pochi sopravvissuti, avevano provveduto ad incendiare il ponte e
a sfondarne le pareti. Ares sollevò la lancia con entrambe le mani e lui la
afferrò veloce, tirandolo in alto nel cielo a grande velocità.
Se ci fosse stato un altro vascello a portata di
salto, non dubitava, Ares avrebbe proseguito nella sua strage.
“Hai ottenuto risposte?” Hermes dovette ripetere
quella domanda più volte per via del vento.
“No.” Fu la secca risposta di Ares che aveva fissato
il suo sguardo su Zeus che spazzò via l’ultima tra le navi dotate di catapulte.
Ai due dei, per un istante, parve che lo sguardo del Re dell’Olimpo fosse fisso
su di loro ma era solo un’impressione.
Hermes depositò Ares sulla Tridente Insanguinato e
tornò alla sua Ninfa del Mare dove uno stuolo di giovani schiave e giovinetti
gli si fece d’appresso, detergendo via il sudore e offrendogli coppe di vino
mesciuto insieme ad acqua, sugosa frutta tagliata in pezzi e morbidi formaggi
di pecora. Cominciarono a passare, dopo averlo asciugato, oli profumati sul suo
corpo.
“Quale è la nostra situazione, Capitano?”
L’ufficiale, un bel ragazzo proveniente da una delle
piccole isole dell’Egeo, era rimasto rispettosamente indisparte, vestito nel
suo chitone tinto di verde pallido, un verde che ricordava certe sfumatura del
mare quando il sole era ben alto nel cielo.
“Non abbiamo subito danno alcuno, mio Signore. La
velocità di manovra della Ninfa di Mare è superiore a quella d’ogni altra nave
della flotta, ammiraglia compresa.”
“Siamo anche più piccoli di molte altre navi della
flotta.”
“E questo per noi è un indubbio vantaggio, mio
Generoso Signore. Offriamo un minor bersaglio e possiamo disimpegnare con
grande velocità qualsiasi pericolo.”
“Eppure presto dovremo combattere anche noi.”
“Il mio dolce Padrone non deve dubitare di noi.
Combatteremo fino all’ultimo per la sua gloria e la gloria dell’Olimpo.”
Hermes gli lanciò un’occhiata carica di affetto e
preoccupazione. Non dubitava dell’onestà di quelle parole ma nonostante l’amore
che l’altro nutriva nei suoi confronti si chiese cosa avrebbe fatto il suo
equipaggio in caso di scontro diretto. C’erano pochi soldati sulla nave, un
manipolo che gli faceva da guardia del corpo. Per il resto, si trattava si di
marinai affidabili ma pessimi guerrieri. Compreso il suo coraggioso Capitano.
Lo invitò a sorseggiare vino ed acqua insieme a lui ed i due si misero uno di
fianco all’altro. Passarono diversi relitti che stavano affondando, pezzi di
nave che galleggiavano anneriti dal fumo, udirono anche alcune urla,
imprecazioni, richieste d’aiuto. In parte dei misteriosi aggressori, in parte
di vittime delle catapulte.
Hermes prese un generoso sorso di bevanda e si sentì
in colpa. Tutta quella manovra, era costata troppo ai mortali, sia di una parte
che dall’altra. Non era un guerriero. Non lo era mai stato. Era un esploratore,
sostanzialmente. A lui i mortali piacevano. Piacevano davvero. Non si limitava
a chiavarli o farsi chiavare come molti degli altri Olimpi ma giocava a dati
con loro nelle loro taverne, divideva formaggi e vino con i pastori che andava
a visitare, rideva alle loro battute e partecipava alle loro gare di umorismo,
disquisiva di logica con i saggi e di cose triviali con vagabondi e uomini del
popolo. Stava bene in loro compagnia e del resto, una mortale gli aveva dato
progenie che, ovviamente, aveva badato bene a tenere nascosta. Non voleva che
Zeus posasse su di lei i propri artigli. Ripensò a quando per conto del suo
Signore trascinò il piangente Ganimede sull’Olimpo o quando lo accompagnava
durante i suoi convegni o stupri, spesso così simili gli uni agli altri da
essere quasi indistinguibili.
Bevve ancora e si scusò silenziosamente con tutti i
mortali, certo del fatto però che il Signore degli dei dovesse essere fermato.
L’inseguimento era durato quattro giorni, un lungo
periodo durante il quale le navi nemiche erano scomparse più volte alla vista degli
inseguitori, solo per tentare audaci attacchi a sorpresa. L’impressione era che
ci fosse un’altra flotta che si era unita alla loro, aumentandone nuovamente il
novero e la conferma arrivò dai nuovi lanci di proiettili incendiari che
stavolta provarono duramente la flotta della folgore.
La Trono del Mediterraneo, Gioia degli Dei, Sussulto
dei Titani e la Corona del Re vennero distrutte e tutti i soldati e
l’equipaggio su di esse morti bruciati o annegati.
Zeus imprecò e scaricò la sua furia omicida sui nemici
evocando più e più volte la folgore ma stavolta, alle prime avvisaglie, i
vascelli nemici si dispersero rapidamente, ‘si che colpirli non fu impresa
facile.
“Giocano a prenderci sullo sfinimento.” Aveva
avvertito Athena quando Zeus, in un momento di quiete, era sbarcato con Pegasus
sulla Signore dei Mari.
“E che dovrei fare?” Chiese con scostante alterigia mentre ingollava un aspro vino
delfico, bevendo direttamente dall’otre.”
Attaccano la mia città sacra, quasi uccidono il mio generale favorito e dovrei
ritirarmi?”
“Forse dovremmo meditare meglio la strategia,” fece prudente e rispettosa la dea,” e cercare di capire con chi abbiamo a
che fare.”
L’avvertimento venne ignorato, così come Athena
aveva sperato, nonostante il dolore per le perdite tra i loro uomini. ‘ Questo
sacrificio salverò il mondo intero.’ Si era detta per placare la voce della
propria coscienza. Zeus prese nuovamente
la vie del cielo con il suo destriero alato.
Meti era comparsa sul ponte, febbricitante per via
delle visioni che avevano preso a susseguirsi l’una dopo l’altra, senza più
soluzione di continuità ed ormai fuori dal suo controllo. Non riusciva a
mettere a tacere la virtù che le consentiva di poter guardare con la mente al
presente, al passato e al futuro.
“Acqua …” Sussurrò cadendo in ginocchio. Athena le
fu subito d’appresso, sgomenta per le condizioni in cui vessava la madre.
“PRESTO! La Regina abbisogna d’acqua fresca e
conforti!” Al suo ordine arrivarono delle bisacce piene di fresca acqua, scorte
che andavano rapidamente esaurendosi in quell’inseguimento durato più del
previsto. Il medico di bordo, macilento e dall’aria severa, propinò a Meti un
infuso che avrebbe dovuto calmarne i violenti crampi accusati in tutto il
corpo.
“Siamo arrivati alla fine …” Sussurrò alla figlia. Athena non era certa se lo stesse facendo
perché non voleva che altri la sentissero o perché, semplicemente, non aveva
più forze per parlare ad alta voce.”
Santorini s’avvicina e lì troveremo la nostra fine e la fine del nostro reame.”
Athena corrugò la fronte. “Madre? Cosa vuoi dire?
Non era questo il vaticinio elargito sul Monte Olimpo.” Com’era possibile, si
chiesa la dea-guerriera che ora Meti stesse profetizzando qualcosa di diverso.
“No. Le mie parole le udisti …”
“Dicevano che il potere della Mano di Dio sarebbe
cresciuto …”
“Dissi anche che Zeus sarebbe tornato con la sua
Regina in Olimpo ma tu sai che questo non è possibile, vero figlia mia?”
I loro occhi s’incrociarono. Si affrontarono per un
momento prima che Athena ammettesse:
“Si.”
“Non ho tradito la vostra causa, non lo farò ora. Ti
sei chiesta come fossero possibile le mie parole, sapendo che siete venuti fin
qui con uno scopo ben preciso?”
“Me lo sono chiesta …”
“Le profezie, mia diletta figlia, devono essere
interpretate. Se dico una cosa in preda alle visioni, non significa che vada
interpretata alla lettera.”
“Cosa accadrà allora a Santorini?”
“Lo stai per scoprire …”
Le due donne non scambiarono più parole fino alla
fine del viaggio.
La flotta della folgore era ferma, ondeggiando tetramente
nello specchio di mare innanzi Santorini.
Gli occhi di tutti erano fissi su di essa, colmi
d’orrore, sgomento, disperazione, incredulità.
Da lontano avevano pensato trattarsi di una delle
lingue di fuoco, fumo e roccia fusa che talvolta la Madre Terra eruttava dal
suo ventre.
I legni nemici, pesantemente decimati, avevano
ripreso ad ingaggiare battaglia fino all’ultimo, fin quando la verità non si
era fatta evidente in tutta la sua raggelante realtà.
Ormai l’insegumento aveva perso ogni significato
perché innanzi a siffatto mostruoso prodigio nulla aveva più importanza.
Dal fianco spezzato di un monte s’elevava una
vorticante colonna, un guizzare nervoso e spasmodico, scaglie che scivolavano
contro scaglie grondando materiale incandescente.
Qualcuno contò cento, altri duecento, altri ancora
trecento corpi di altrettanto mastodontici serpi intrecciati insieme come un
fitto rovereto. Ognuno di essi era come il tronco di una vecchia quercia e
nemmeno un uomo adulto e di grande stazza sarebbe mai riuscito a cingerlo
d’abbraccio.
Essi si protendevano verso l’alto, per decine di
metri e le teste scattavano quasi a voler lambire le stelle che comparivano nel
cielo serale. Le fauci si spalancavano e chiudevano ritmicamente, mostrando una
selva di pericolose zanne al loro interno.
“Tifone”, aveva mormorato qualcuno come in un sogno.
Chi e da quale nave era impossibile stabilirlo ma in breve tempo quella parola
fu mormorata da tutti, diffondendosi come implacabile febbre per tutta la
flotta.
Le teste emisero dei versi mostruosi e poi si
orientarono verso il mare, occhi gialli, verdi, rossi fissi sulle imbarcazioni.
Un incubo fatto di versi incomprensibili, una
cacofonia di puro odio urlata da quelle oscenità investì tanto la flotta che
aveva attaccato Creta, tanto quella che aveva cercato vendetta per l’affronto.
Ogni testa vomitò una sostanza simile a catrame, un
violento spruzzo che investì gli inseguiti e gli inseguitori.
La pelle si seccava, come se venisse prociugata
d’ogni vitalità, spaccandosi e subito il micidale veleno infiltrava muscoli ed
ossa, consumandoli rapidamente mentre le urla di dolore e disperazione si
levarono, un coro di stupefatta paura.
I capitani della flotta della Folgore ordinarono la
manovra, per portarsi fuori dalla portata dei getti che al termine della loro
parabola, ricadevano come letale pioggia su ponti e tolde.
Invano Athena e gli altri della Mano di Dio
tentarono di coordinare le azioni richiamando all’ordine gli ufficiali delle
altre navi. La disciplina andò in frantumi, vinta da un primordiale terrore e
solo in pochi ebbero la saldezza di nervi necessaria per evitare il disastro
che colpì tutti gli altri.
La Gabbiano della Tessaglia finì addosso alla Bella
Signora d’Egitto, spezzandola in due, mentre Oracolo della Cilicia, Saggezza
del Marinaio e Fortunata finirono a cozzare l’una contro l’altra, fin quando
non rimasero pezzi di nave e uomini che venivano ingollati dal mare.
Ovunque regnava il disordine ed i pochi vascelli su
cui si era riuscito a mantenere l’ordine si compattarono insieme alla navi dei
Cinque.
Pegasus, di solito immune alla paura, schiumò,
arrivando persino a rifiutare di eseguire per ben due volte i comandi del suo
cavaliere.
Zeus era attonito, incredulo.
“CHE RAZZA DI MOSTRO SEI?! QUALE NERA LATRINA
DELL’ADE TI GENERÒ?” Urlò in sfida il dio che aveva ucciso l’eviratore d’Urano,
intrappolato la madre e gli zii nel Tartaro e si era autoproclamato Signore del
Cielo e della Terra.
Una sfida che però era venata da cupo timore. Lui
aveva visto bestie e creature leggenda per la maggior parte dei mortali e
persino per molti dei. Ecatonchiri, Centauri, Ciclopi, Giganti, Sirene eppure
nulla superava l’orrore di rappresentato da quella massa di viscidi serpenti da
cui si alzavano volute di nero fumo, occasionalmente in fuga da varchi che si
aprivano ora di qua, ora di là.
Il fiato gli si mozzò quando vide che il groviglio
s’alzava ulteriormente e che esso si dipanava da un unico, colossale corpo.
“IMPOSSIBILE!!!!” Sbraitò il divo. Nulla che
camminava sulla Terra poteva essere così grande. I drachi nascevano dalle sue
spalle, dalle braccia, dalla schiena. Dietro si aprirono ali membranose, simile
a quelle di un pipistrello ma smisurate e poi quel volto lo guardò.
Quegli occhi, uno rosso come il fuoco, l’altro
azzurro, l’azzurro innaturale ed etereo degli dei.
I lineamenti erano inequivocabilmente quelli della
sua genia, al punto che avrebbe potuto essere suo fratello.
Tifone era alto più di trentametri, perfettamente
umano, se si escludevano le dimensioni, le ali, la lunga coda e quelle
protuberanze rettilesche simili a drachi che ora apparivano quasi tentacoli e
che ne aumentavano, distendendosi verso l’alto, l’altezza di decine e decine di
metri.
L’espressione serena e distaccata sul volto di
giovinetto contrastava con la famelica rabbia con cui s’agitavano le sue
appendici scagliose, così come la struggente bellezza e proporzione di volto e
corpo strideva con la mostruosità di quell’assurdo insieme.
Quanto veleno fosse in grado di produrre la creatura
era impossibile dirlo ma di certo gli serviva del tempo, dopo ogni scarica per
generarne di nuovo ma questo non rese la creatura inerme.
I tentacoli-draco s’avvolsero intorno ad enormi
massi scagliandoli in mare e verso le navi, un attacco cieco e brutale. Ormai
gli invasori di Creta erano stati sgominati e la flotta degli Olimpi
pesantemente ridimensionata.
“LO SAPEVANO!!!!” Disse indispettito Zeus. Aveva
capito che lo scopo dell’inseguimento era sempre stato solo quello di portarlo
lì.
Una trappola che aveva richiesto il sacrificio dei
profanatori della sua isola sacra.
“ZEUS!!!!!” Urlò, puntando l’indice contro la
creatura. Pochi istanti e la folgore s’abbatté ma grande fu la frustrazione del
dio quando s’avvide che uno dei drachi aveva attirato su di sé la forza
devastante del cielo, staccandosi appena in tempo dal corpo principale così che
questo era rimasto praticamente illeso.
Tifone avanzò, muovendosi verso la flotta della
folgore. Lo sguardo del Re degli Olimpi si fissò su quel torace e solo allora
s’accorse che tra le coste c’erano degli spazzi, simili a fissurazioni, tagli
che s’aprivano e chiudevano, rilasciando fumo e vapori. Non era dunque solo la
montagna ad essere portatrice di fuoco ma anche l’essere immondo che bilanciava
il peso dei suoi tentacoli con la lunga, massiccia coda che terminava con
un’ampia pinna.
Fuoco, Aria ed Acqua. Nato dalla Terra stessa,
Tifone pareva essere l’incarnazione di tutti gli elementi della natura, nel suo
aspetto più selvaggio ed inesplicabile. I capelli gli cadevano soffici e candidi
oltre le spalle, sottolineando la bellezza del viso anziché nasconderlo. Entrò
nel mare ed iniziò ad avanzare verso le navi.
Zeus mandò un urlo di disappunto nel vedere che
quelle si stavano ritirando.
Ares aveva tentato di dare l’assalto al mostro ma
era stato respinto da un colpo portato con la smisurata mano. Il corpo del dio
guerriero era ricoperto di tagli riportati quando si era schiantato contro la
Paladino degli dei, affondata poco dopo a causa della falla che egli stesso
aveva creato. Un coraggioso soldato si era gettato in mare salvandolo. Hermes
aveva portato via entrambi, impedendo al vascello di tirararseli dietro mentre
affondava.
“VINO!” Ordinò cupo Zeus. Nessuno osava fissarlo
direttamente. I suoi occhi erano quelli d’un folle, accesi di selvaggia rabbia,
la stessa dei lupi affamati ed inferociti. Prese il cratere strappandolo di
mano ad un servo che si ritrovò con un indice e medio rotti. Non fiatò,
nonostante il dolore, alfine di non irritare ulteriormente il suo signore.
Il cronicida bevve l’ennesima coppa, mandando giù quasi
tutto d’un fiato.
Il suo corpo era scosso da tremiti e pareva
ondeggiare nell’aria. Sprigionava calore che distorceva la sua stessa immagine
mentre mutava in continuazione. Zeus possedeva quella virtù ben prima di
scoprire l’altra, il controllo delle folgori. Poteva camuffare il proprio
aspetto, assumendo le sembianze ora d’un fanciullo indifeso, ora d’un vecchio
pitocco, ora d’un dignitoso monarca.
Qualcuno, più d’una volta, s’era chiesto se lo Zeus,
bello e poderoso che tutti ammiravano, non fosse l’ennesima delle sue
trasformazioni, la maschera con cui affabulava il suo popolo, i suoi servi.
Questo però non era dato sapere a nessuno. Di certo, Zeus, quando era
particolarmente provato o turbato da forti emozioni, perdeva in parte il
controllo su questa sua virtù e allora, come accadeva in quel momento, le sue
carni erano un caledoscopio ribollente di mutazioni.
Digrignò i denti e fissò con odio Athena, l’unica
che sosteneva il suo sguardo. La dea aveva fatto visita al suo amato,
sincerandosi che le ferite non fossero mortali persino per un dio. Ares stava
riprendendo le forze ma avrebbe avuto bisogno di almeno un giorno ed una notte
per tornare a combarttere.
“Ti avevo già detto che la flotta non doveva
ritirarsi…” Sibilò Zeus.
“Abbiamo obbedito al tuo ordine e non ne abbiamo
tratto altro che feriti e vascelli affondati. Le frecce ed i giavellotti dei
nostri soldati non sono serviti a nulla contro Tifone. Nemmeno le tue folgori
sono efficaci contro quel mostro o tanto meno la forza di Ares. Le nostre forze
sono ridotte a meno di un quarto e rimanere è un sucidio. Pegasus ha perso
sangue ed il tuo amato destriero potrebbe non farcela. Abbiamo perso.”
“MAI!” Urlò Zeus mandando la coppa ad infrangersi
contro la bella fronte di Athena. Lei rimase indifferente. Non era certo
quell’esplosione di rabbia a potergli causare ingiuria. Il Re dell’Olimpo puntò
l’indice contro di lei e allora la dea della guerra si disse che stava per
scoprire se fosse, o meno, in grado di reggere un colpo dell’arma più potente
di Zeus.
Tutti sulla nave trattennero il fiato. Alcuni
soldati, una minoranza, fedeli alla dea prima che a Zeus, portarono
istintivamente la mano all’elsa, chiedendosi cosa avrebbero dovuto fare se tra
i due fosse scoppiata battaglia. Intervenire? Rimanerne fuori? Mantenere i
giuramenti fatti alla loro Signora?
Nulla di tutto questo fu necessario, perché Zeus
abbassò il dito senza aver emesso la condanna del fuoco celeste. Il suo pugno
s’abbatté carico di scorno contro un bracciolo dello scranno over era seduto,
mandandolo in frantumi.
“Dobbiamo ritirarci, altrimenti gli Olimpi, oltre a
conoscere la sconfitta, oggi conosceranno la morte.” Spiegò paziente Athena.
“Dobbiamo contenerlo,” insistette Zeus, la disperazione che s’affacciava nella sua voce,” deve rimanere qui in Santorini perché
se si riversasse sul Mondo, sarebbe la fine.”
“Se torno indietro la voce si diffonderà ovunque ed
i ribelli che vado cercando di sottomettere, si riorganizzeranno e tenteranno
di muovermi guerra tutti insieme, pensando ch’io sia prossimo alla fine.”
“Hai voluto governare con il pugno di ferro,
tiranneggiando popoli interi, distruggendo tutti quelli che osavano soltanto
esitare ai tuoi comandi ed ora ti ritrovi ridotto così. Se non fossi stato
avido di potere, se avessi mostrato maggior generosità, ora potresti contare su
molti alleati e non dover temere nemici in ogni dove.”
Zeus abbassò lo sguardo. Era la prima volta che
qualcuno assisteva alla costernazione del dio e per qualche istante Athena
provò pena per lui, la cui forma pareva smarrita definitivamente.
Tifone intanto osservava da Santorini, convinto a
rimanere sulle sue spiagge da una tempesta di fulmini senza precedenti. Una
dimostrazione di potenza che a lui era costata moltissime delle sue appendici
ma che aveva quasi sfinito Zeus. Cosa muovesse quel mostro era impossibile da
capire. Il volto era sereno, sembrava incapace di compiere le azioni che erano
costate la vita a migliaia di uomini.
“Chi sei?” Chiese quasi in un sospiro Zeus, volto
alla creatura.
Il vascello che s’approcciò alla Signore del Mare
portava l’insegna del Fuoco Sacro, identificandola come la Fiamma Marina. Tutti
sapevano sotto quale comando cadeva la nave che un tempo era stata parte della
flotta della folgore. Zeus era rimasto sorpreso nel vederla comparire. Persino
Meti, sua moglie e regina, i cinque della mano di dio, tutto l’equipaggio.
Nessuno, nello stupore generale, invece s’accorse che solo Hera rimaneva
silenziosa in disparte.
“Chiedono il permesso di salire a bordo…” Fece un
marinaio, traducendo i segni che partivano dall’altra nave.
Fu Athena a parlare in luogo di Zeus e a dare il
permesso.
Hermes, la sua Ninfa del Mare affondata distrutta da
uno degli assalti del mostro, al suo fianco. Sileno che si era ritrovato senza
equipaggio vicino ad Ares che non aveva voluto sentire ragione alcuna ed era
salito sul ponte.
Meti era pallida e sudata, le sue forme apparivano
quasi svuotate e la figlia la sosteneva per impedirle di scivolare in terra.
Lui salì sulla nave, passando per il ponte di legno
che era stato allungato per unire, momentaneamente le due bireme. Possedevano
la stessa lunghezza e stazza, essendo navi gemelle.
“Salute a te, Signore degli dei.” Fece rispettosamente il nuovo arrivato, un fanciulletto dai
capelli neri e la carnagione olivastra al suo fianco a fargli da valletto.” Salute a te, Regina degli Olimpi.
Salute a voi, eccellenti dita della Mano di Dio.”
“Salute a te, Prometeo.” Lo salutò la dea della
guerra.
Continua.