Yuri N.A. Lucia

 

Presenta

 

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Yuri Lucia

 

Presenta:

 

 

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4  PT II

 

I

 

Los Angeles - 27 Settembre

 

I due Adam sedevano insieme, sul retro della Crysler grigio metallizzato noleggiata dall’uomo che in precedenza si faceva chiamare Mr. Alvin ed ora solo Mr.

Black Adam era fisicamente più grande e presentate di Adam ma quest’ultimo gli aveva dolorosamente dimostrato che nella lotta non sempre questo era determinante per sopraffare l’avversario.

Mr guidava l’auto, un completo grigio a righe, cravatta con motivi bianchi, camicia oxford candida, costose scapre Prada ai piedi.

Per un attimo si chiese se, tentando di aggredirli all’improvviso, sarebbe riuscito ad ucciderli ma subito represse il pensiero. Anche se fosse riuscito ad avere ragione di uno dei due contando sul fattore sorpresa, l’altro l’avrebbe ucciso.

“Vuoi vivere?” La domanda giunse del tutto inattesa e Black Adam ebbe un sussulto. La voce artificiale aveva scandito senza alcuna emozione quelle parole.

“Si.” Disse quasi in un singhiozzo.

“Ti lascerò vivere.”

Black Adam era incredulo e guardò con diffidenza Adam che invece, apparentemente, non si curava più di tanto di lui ed era intento a scrutare il paesaggio di cemento e vetro che Los Angeles offriva.

“Davvero?” Non era riuscito a reprimere la speranza che fosse vero.

“Non mento. Se dico una cosa, è quella. Mr lo sa.”

“Mi lascerai andare via?”

“Ad operazione terminata, si. Sarai libero di andare dove vorrai.”

“Io ti giuro che non dirò a nessuno…”

“Lo so. Tagliò corto ma non seccato. Non lo farai perché non servirebbe a niente e se dovessi sapere che hai rivelato qualcosa che mi riguarda, presto o tardi ti troverei facendoti rimpiangere il giorno in cui sei nato. Non ti piacerebbe però restare?” Adam si era voltato verso di lui. Occhi rapaci, neri come la pece, indagavano mettendo a nudo l’animo del delinquente ormai consapevole di esser stato per sempre scalzato dalla vecchia vita.

“Dici a lavorare per te?”

“Per essere il mio discepolo.”

Mr non tranne un esclamazione di stupore. Non si sarebbe mai aspettato di udire qualcosa del genere.

Adam indossava un completo scuro, piuttosto semplice ma elegante, scarpre italiane, cravatta versace a righe annodata alla windsor.

“Discepolo?” Black Adam era esterrefatto.

“Ti prenderei sotto la mia ala e ti insegnerei tutto quello che so. Si aggiustò uno dei polsi della manica e poi dette un’occhiata al suo Rolex, un esemplare in acciaio, quadrante nero, sobrio ed in linea con il suo vestiario. Potrei fare di te un uomo molto diverso. Potrei persino darti potere, Black Adam, oltre ogni tuo più folle sogno.”

“Pensavo …”

“Cosa?”

“Pensavo che mi disprezzassi.”

“Ti disprezzo. Sei debole, gretto, stupido ed incapace. Il tuo piccolo e patetico impero del crimine te lo sei costruito grazie ad una serie di fortunate coincidenze ma quando la fortuna s’esaurisce, e allora che si capisce la stoffa di cui si è fatti e la tua è da quattro soldi. Non vali granché. Eppure, in te, c’è qualcosa che inesplicabilmente mi attira. Forse è la simpatia che eserciti su di me per via del nome che porti. Quello che aveva detto era persino più inatteso di quanto avesse detto fino a quel momento. Con me avresti la possibilità di vedere il mondo in modo nuovo e di fare cose per te altrimenti impossibili.”

“Si.”

Adam sorrise soddisfatto e scoccò un’occhiata a Mr che lo ricambiò dallo specchietto.

“Visto? Non ci ha nemmeno pensato su. Ha seguito l’istinto ed ha scelto di rimanere con il più forte. Ha capito che da me, dopo quanto gli ho detto, ora può solo prendere. Hai nulla da dire?”

“Ho sottovalutato il coraggio del nostro amico. Ammise Mr. O la sua stupidità.” Non poté resistere dall’aggiungere.

“Potrebbe rivelarsi un’acquisto prezioso per la nostra società.”

“Pensavo avresti preso l’altro come tuo discepolo.”

“Posso farlo con entrambi. Avranno occasione di prepararsi insieme. Forse è questo che è mancato a me a suo tempo: un compagno d’addestramento; comunque sia, inizieremo a pensarci seriamente quando questa transazione sarà stata completata.”

Adam non disse più nulla durante tutto il viaggio e gli altri due non si sognarono di disturbare il suo meditabondo silenzio.

 

L’uomo che rappresentava i fornitori con cui Black Adam trattava affari non corrispondeva allo stereotipo del narcotrafficante. Era biondo, capelli corti, un taglio di foggia volutamente antiquata, lienamenti spigolosi ma regolari, persino piacevoli, occhi azzurri, mento ben rasato, vestito con un semplice completo, giacca alla francese e pantalone grigio chiari, una camicia fil-à-fil bianca, un tipo d’abbigliamento piuttosto discreto, unica nota di eccentricità, il nodo Balthus su una cravatta regimental grigia attraversata da linee di grigio più scuro. Aveva l’aria innocqua, persino simpatica. Salutò cortesemente Adam Black, con cui aveva già trattato affari e quest ultimo ricambiò in modo rude e scortese come il suo personaggio richiedeva. Adam e Mr erano stati entrambi molto chiari mentre uccidevano Jamhal, uno degli amici che lo stesso Black Adam aveva attirato nel suo covo: “Non devono sospettare nulla. Nessun comprtamento fuori dalla norma, nessun tic nervoso, nessuna parola di troppo o in meno rispetto a quelle che si aspetterebbero da te”; Black Adam aveva annuito mentre a Jamhal venivano estratti i molari con una pinza.

Adam e Mr vennero perquisiti dagli uomini del trafficante, quattro prezzolati che dall’aspetto provenivano da qualche paese dell’est Europa, forse Romania.

“Sono le mie nuove guardie del corpo.” Fece Black Adam sprezzante come suo solito. Aveva provato la parte allo specchio più e più volte per darsi coraggio.

L’altro annuì ed invitò il suo cliente a prendere posto di fronte a lui.

Il luogo dell’appuntamento mensile cambiava ogni volta, per esigenze di sicurezza. Veniva sempre scelto all’ultimo momento in modo da rendere più difficile ad eventuali agenti della narcotici o dell’F.B.I., organizzare un’operazione di sorveglianza o piazzare cimici.

Per quel meeting era stato affittato un ufficio al quindicesimo piano di un palazzo di recente costruzione. Fuori erano ancora esposti i cartelli rental, che invitavano compagnie ed associazioni varie a servirsi della moderna e confertevole struttura dotata di tutti i confort e rispettosa di tutte le normative vigenti sulla sicurezza. L’affitto si pagava mese per mese, più un deposito. Si parlava di almeno un totale di 5000 dollari che erano stati dati in contanti. Cifra esigua se rapportata a quelle trattate di solito durante gli incontri d’affari e loro erano ben disposti a pagarla per la propria tranquillità. Una società che si occupava di contabilità, questa la copertura.

“Singor Black Adam, erano otto, con quelli, gli incontri tra l’ex rapper e porno attore e il trafficante, come concordato al nostro ultimo incontro, i lotti oggetto della nostra transazione odierna sono 10, stessa qualità dei precedenti, stessa modalità di pagamento, stesso prezzo.”

“Senti bello, la roba che mi hai procurato è ottima! Sono anche disposto ad aumentare la richiesta fino a 20! Però stavolta me li devi portare entro 15 giorni! I miei clienti sono persone esigenti!” Aveva parlato con tono arrogante a cui il biondo replicò con ferma cortesia:

“Dieci lotti, ogni mese. Al momento è questa la disponibilità. Sono costernato nel non poterla accontentare ma se preferisce o necessita di aumentare le quantità di merce trattata, può rivolgersi ad altri produttori.”

Adam, leggermente in disparte, aveva studiato quell’uomo e sapeva trattarsi  di qualcuno di molto pericoloso. Se c’era una cosa in cui era sempre stato bravo, oltre che nell’intimidire e nel torturare, quella era il saper capire le persone. Così come aveva capito bene Mr sin dal loro primo incontro, riuscendo in tal modo a sfruttarne le debolezze a proprio vantaggio.

Quella richiesta fatta da Black Adam era destinata a cadere nel vuoto ma la spacconeria era una sua caratteristica e così come gli era stato detto durante il processo di indottrinamento, si era comportato in modo naturale per non allarmare i suoi fornitori. Adam era compiaciuto. Avrebbe ricompensato Black Adam con una notte di sonno tranquilla e forse persino con una donna.

I due scambiarono poche altre battute e Black Adam, seccato, accettò i soliti 10 lotti, accordandosi per il successivo incontro.

Ci fu uno scambio di valige, entrambe identiche e la transazione fu conclusa.

 

“Oddio, oddio, oddio.” Black Adam respirava pesantemente mentre la Crysler si allontanava.

“Stai calmo.” Lo ammonì Mr.

“Gesù! Li abbiamo fregati! VE NE RENDENTE CONTO!” Sembrava averlo realizzato solo in quel momento, a dispetto del fatto che conoscesse già quali erano i loro piani.

“Si! Esclamò soddisfatto Mr. Alla grande tra l’altro.”

“CI AMMAZZERANNO COME CAN…” Interruppe la frase non appena sentì il tocco di Adam sulla sua spalla.

“No. Disse con ferma autorevolezza. Al più saremo noi ad ammazzare loro, quando sarà il momento. Quell’uomo non mi piace. L’organizzazione da cui ti sei rifornito in questi tuoi anni d’attività criminale è diversa dalle altre. Non si muovono lungo gli usuali canali del Cartello. Sembra anzi che siano in conflitto con i vecchi Signori della coca, anche se non c’è stata nessuna guerra per il controllo del narcotraffico ultimamente. A suo tempo dovrò occuparmente. Non mi piacciono le incognite. Per ora recupera il controllo e mantieniti freddo. Mr ha messo l’idea che la valigia è piena di contante nella mente di tutti i presenti.”

“Dimmi una cosa… forse Black Adam aveva fatto l’ultimo errore della sua vita nel porre una domanda al suo quasi omonimo ma sentiva di doverlo fare. Mr ha questo… questa… non so nemmeno come definirla! Insomma, cazzo! Riesce a far, fare alle persone quello che vuole! Perché avevate bisogno di me?! Non potevate convincerli a darvi la roba e filarvela via indisturbati.”

Adam, contro ogni previsione, sorrise benevolo. “Mr, vuoi spiegarlo al nostro Black Adam?”

Dopo essersi schiarito la voce con un colpo di tosse, mentre guidava verso il quartier generale, spiegò con tono didattico: “Se tu fossi un culturista capace di sollevare 150 chili, passeresti tutta la tua giornata con un peso del genere addosso? No. Useresti tutta la tua forza per aprire una comune scatoletta di tonno? Nemmeno. Il fatto di essere molto forti, non significa che non sia comunque preferibile fare qualcosa con il minor sforzo possibile. Ora, essendo tu presente alla transazione ed essendoti comportato come tuo solito, le menti dei presenti erano meno vigili di quanto lo sarebbero state se tu non ti fossi fatto vivo ma ci fossimo presentati solo noi due. In questo modo, ho potuto agire senza dover forzare troppo.”

“Ma avreste potuto fargli credere di essere me …” a metà tra la protesta ed il dubbio.

“Si ed avrei dunque dovuto agire sulla loro mente, oltre che per mettergli l’illusione di aver ceduto la loro droga per dei soldi che non hanno mai ricevuto, anche quella di star trattando con il solito acquirente. Ora, solitamente potrei far credere ad uno come te che sta parlando con la sua adorata nonnina defunta senza che questi capisca cosa stia realmente accadendo. Tuttavia richiamare un ricordo dalla memoria, implica che io debba trovare il giusto impulso, decodificarlo in modo da capire che cosa diavolo sto pescando dal calderone ed alimentarlo, in modo da farlo sembrare vero. Farlo con cinque persone e contemporaneamente agire per farsi dare la droga comportava dei rischi.

I tuoi amici avranno contattato chi di dovere per avvertirli che è andato tutto bene ma se avessi alterato le loro menti fino a quel punto, probabilmente a quest’ora non riuscirebbero più nemmeno a digitare il numero giusto sulla tastiera e ci ritroveremmo in città dei trafficanti molto, molto incazzati. Invece ora il tipo tornerà a casa con tutta tranquillità e probabilmente avrà il suo bel da fare prima che riesca a convincere i suoi che non li ha fregati e a capire che cosa diavolo sia successo. Prima che vengano qui a cercarci, o meglio, a cercarti, passerà qualche giorno e poiché abbiamo ancora bisogno di te, questo è un bene. Soprattutto per te, ovviamente.”

“Cosa volete fare con i miei soldi e con la droga?”

“La droga la venderai. La piazzerai sul mercato come hai sempre fatto. Quanta più ne puoi, anche a prezzo di favore. L’importante è che tu lo faccia in una settimana. Ci servono ancora più soldi di quelli che possiedi per quello che dobbiamo fare e, alzò l’indice agitandolo in segno d’avvertimento, non metterti in testa di chiedermi perché invece di venire da te non siamo andati a rapinare una banca per procurarci i soldi.”

“Io lo so perché lo avete fatto.Adam e Mr attesero che Black rivelasse loro i propri pensieri. Sono un debole. Adam ha ragione. Sono un fottuto debole. Me ne stavo in bella vista, convinto di essere intoccabile solo perché ho qualche amico che mi ha protetto dagli sbirri in cambio di un po’ di neve del cazzo. Sapere tutto di me era facile. Era lo sfigato idale per quello di cui avevate bisogno e così siete venuti da me.” Per la prima volta Black Adam sentiva di non provare né paura, né risentimento nei confronti dei propri carcerieri.

“Ben detto.” Fece Adam.

Quelle parole sancivano l’inizio di una nuova fase nella vita di Black Adam, o meglio, dell’inizio di una vita del tutto nuova.

 

 

III

 

Contea di Coryl, Texas – 27 Settembre

 

 

“Hai avuto davvero del fegato.”

Billy si ridestò come da un sogno, scosse un po’ il capo a scacciare i pensieri che lo tormentavano e si rese conto che le parole udite erano state pronunciate dal ventenne che aveva visto nella sala d’attesa, giù alla base militare.

“Grazie.” Non era un gran ché come risposta ma non si dette troppa pena a cercarne di migliori. Qualcosa si era lacerato dentro il giovane Billy Batson. Era preda degli eventi che come fiere selvatiche lo incalzavano, costringendolo per sentieri sempre più impervi ed oscuri, tagliandogli una ad una tutte le vie di fuga aspettando di fiaccarlo, al punto che non sarebbe più riuscito a scappare e sarebbe alfine dovuto capitolare.

“Frederich Freeman Jr. Billy squadrò il suo interlocutore e, dopo qualche esitazione strinse la mano che gli veniva tesa.Puoi chiamarmi Freddy. Gli amici mi chiamano così. In realtà mi ci chiamano tutti, visto che Frederich sembra un nome troppo pomposo e antiquato per gran parte della popolazione.”

“William Batson, un sorriso fece la sua timida apparizione sul volto segnato dal sonno e dalle preoccupazioni del ragazzino Billy. Di solito per gli amici o per chiunque decida che William è troppo pomposo e antiquato.”

“Posso sedermi?” Freddy indicò il sedile dell’altalena di fianco a quello di Billy.

“Prego.” Acconsentì cortese.

Freeman non si dette troppa pena dello sporco sulla gomma del sedile e si limitò a prendervi posto. Si lasciò dondolare un po’, muovendosi ritmicamente con gli occhi fissi all’orizzonte. Billy si chiese come mai lo avesse seguito. Un adulto ed un adolescente da soli in un parco di una città sconosciuta a quest’ultimo era una situazione potenzialmente pericolosa ma c’era qualcosa in quel profilo ossuto e dal mento forse un po’ troppo sporgente che lo acquietava.

“Sono il Soldato Semplice Frederich Freeman. O meglio, lo ero. Billy lo ascoltò con solenne serietà mentre quello continuava a guardare in un punto non meglio determinato. Sono stato congedato dopo la mia prima ed ultima missione in medioriente. 52 giorni in un inferno di polvere e rocce. Nessun amico intorno a noi, solo la compagnia dei propri commilitoni ed il conforto del fucile tra le braccia. Nemmeno gli humvee erano sicuri. Sapevi che sono meno blindati di quanto non si pensi? Ho conosciuto tua sorella.”

Dopo aver soppesato quelle parole, Billy decise che si trattava della verità. Deglutì e chiese, un po’ titubante. “Eravate nella stessa unità?”

“No. La conobbi alla base, mentre mi stavo addestrando. Lei era stata da poco nominata Sotto-Tenente ed io invece mi ero finito di fare un paio di giorni di fresco per via della mia condotta indisciplinata. La sera in cui tornai in reparto, i miei compagni mi accolsero con una bella cappotta.”

“Cioè?” Chiese Billy che temeva di non aver capito.

“Venni picchiato. Mi imbavagliarono e mi presero a botte. Non credo volessero farmi veramente male ma sai come vanno queste cose. Uno si fa prendere la mano ed il giorno dopo era pieno di lividi ed ecchimosi.”

“Perché lo hanno fatto?”

“Per colpa della mia condotta, un simpatico sottoufficiale decise di far punire tutta la mia camerata. Non posso dargli torto, poveri diavoli. Alcuni di loro hanno perso la possibilità di poter rivedere le famiglie prima di essere mandati al fronte. Tua sorella era nuova della base eppure notò subito quello che mi era accaduto. Tutti gli altri fecero finta di nulla perché quel tipo di iniziativa fa parte dei codici non scritti che regolano la vita militare. Io non volevo saperne di parlare ma lei fece pesare tutta l’autorità del suo grado e mi pressò, con un’energia che non ti puoi immaginare.”

“E tu alla fine glielo dicesti?”

“Ma sei matto? Non sono mica un soffione, io! Eppure andò comunque dritta dai miei superiori e pretese di parlare con loro. Li affrontò a muso duro, dicendogli che quel tipo di giustizia da caserma non andava bene, che sarebbe potuta andare peggio, che sarie potuto rimanerci secco o invalido.”

“E loro le dettero ascolto?”

“Ma allora sei proprio suonato! Lo canzonò con un sorriso bonario. Tua sorella era stata veramente ingenua. Ovviamente nessuno si sarebbe mosso per quella storia. Il morto non c’era, le ferite alla fine non erano così gravi. Tua sorella venne punita per quel gesto.”

“Non lo sapevo.”

“Non sono il genere di cose che tui dicono quando vengono a casa tua per dirti che hai perso una delle persone che più ami al mondo. La vita di caserma è dura, specie se sai che verrai mandato al fronte e delle regole servono. La disciplina, Billy, può davvero far la differenza tra vivere e morire. Questo Mary non lo capì ma era stata comunque molto coraggiosa e generosa a tentare di prendere le mie difese.”

“Quello che dicevano alla base su di lei?...” La pena nel porre quella domanda era stata grande per Billy ma, ormai, arrivati a quel punto voleva sapere tutto. Anche se la verità fosse stata difficile da accettare.

“Quello che si dice di lei è quello che si dice di ogni donna che è entrata nell’esercito negli ultimi vent’anni. Per più di metà di loro è vero. La carriera, è carriera e pur di farla, ci sono persone pronte a tutto. Le donne di solito sfruttano quello che hanno in mezzo alle gambe o dentro il carnio. A quale categoria appartenesse tua sorella non posso dirlo, indipendentemente da questo però aveva fegato e mi chiedo, oggigiorno, quanti nell’esercito possano dirlo. Di certo ne ha avuto abbastanza da morire per salvare i suoi compagni. Ricorda questo. Sempre. Tutto il resto sono chiacchiere da corridoio.”

“Grazie.” Gli occhi di Billy erano umidi e trattenevano a stento le lacrime.

“Ed ora, amico, dimmi la verità: sei scappato di casa?”

L’altro boccheggiò più volte, tentando di giustificarsi, di inventare una scusa plausibile ma, dopo aver emesso una dozzina di suoni inarticolati, ammise: “Si”;

“Lo sai che è pericoloso, alla tua età andarsene in giro da soli in una città che non si conosce?”

“Lo so.”

“Però dovevi farlo lo stesso.”

“Più o meno. Tu come lo hai capito?”

“Come avrei fatto a non capirlo, al più. Ce lo hai scritto in fronte che sei in fuga. Alla tua età ero già alla mia quinta sparizione, con buona pace della mia famiglia. Ti ho detto che ero un ragazzo problematico?”

“L’avevo intuito ma ora ne ho la certezza. A Billy piaceva Freddy. Non lo conosceva, l’aveva incontrato da poco ma c’era qualcosa in lui che catturò istintivamente la sua fiducia. Tu come mai eri alla base?”

“Questioni burocratiche. Mi servivano dei moduli che dovevo ritirare di persona.”

“E come mai non sei più nell’esercito?”

Billy temette d’aver fatto un passo falso. La domanda aveva turbato Freddy e lo si capiva immediatamente. Lo sguardo era cambiato, solo per una frazione di secondo ma sufficiente a rivelare un dolore non sopito che lo corrodeva dentro.

“Ti ricordi quando ti ho detto che gli Humvee non sono corazzati come dovrebbero?”

“Si.”

Freddy Freeman si alzò in piedi. Non era molto alto ma aveva un fisico slanciato che faceva sembrare la sua statura maggiore di quanto in realtà non fosse.

“Tocca qui.”

Sulle prima Billy non capì. Poi, con un po’ di incertezza, toccò la coscia destra di Freddy e allora capì. Ritrasse quasi subito la mano e si sentì in colpa. Quel gesto forse l’avrebbe potuto ferire ma se questo accadde l’ex militare non lo dette a vedere. Sorrideva. Un sorriso di amaro auto-scherno.

“Mi dispiace…” Mormorò Billy senza sapere bene cosa dire.

“Un ordigno rudimentale. La strada l’avevamo fatta una decina di volte. Gli abitanti del villaggio sapevano tutti i nostri percorsi di pattugliamento. Magari a metterlo è stato un ragazzino della tua età. Forse anche più piccolo. Sai quante volte davano cioccolata e caramelle ai bambini? Due dei miei commilitoni morirono sul colpo. Tirarono fuori me ed un ragazzo di nome Nathan Mc Guire.

Non dimenticherò mai la scena, finchè avrò un filo di vita in corpo. In realtà non dimenticherò mai gli odori, perché avevo la vista offuscata dal sangue e dal fumo e lo scoppio mi rimbombava ancora nelle orecchie. Sentivo solo un acuto fischio. Un attimo prima stavamo facendo battute su Ophra e poi, il tempo di un lampo ed ero lì, con quel insopportabile odore nel naso. Un pezzo pestilenziale. Erano le interiora di Nathan. S’accese una sigaretta estratta da un pacchetto schiacciato che aveva preso dalla tasca posteriore dei suoi jeans. Inspirò e buttò fuori un paio di nuvolette. Urlava che pareva un agnello al macello. Credo che, dentro la carcassa rovesciata che era stato il nostro veicolo, mi abbia parlato, mi abbia chiesto qualcosa. Forse me lo sono solo immaginato. Magari ho scambiato i suoi lamenti per un discorso, una richiesta. Spero fosse così perché se mi avesse affidato le sue ultime volontà, allora le avrebbe affidate all’uomo sbagliato. Alla sua famiglia, settimane dopo, avrei detto che non aveva sofferto e che l’ultima volta che avevamo parlato mi aveva detto di quanto gli voleva bene e via dicendo. L’ultimo discorso fatto non credo che glielo avrei potuto riportare veramente. Gesù, era un tale mattatoio e c’era una tale confusione che non mi son reso conto di niente. Solo quattro giorni dopo, in ospedale, quando mi sono risvegliato ho realizzato che mancava un pezzo di me.”

Billy era pallido ma non abbassò mai lo sguardo. “Deve essere stato orribile.”

“Lo è stato. Mi dispiace di averti turbato ma sono dell’opinione che sia meglio dirle certe cose. Ma ora parliamo di te. Rimane il problema sul cosa fare adesso. Dovresti tornare a casa.”

Billy pensò di essere impazzito. Però in tutta quella vicenda aveva bisogno di un amico, di qualcuno su cui fare affidamento e quello sconosciuto, forse era il candidato ideale.

Di certo, al momento, non poteva permettersi di tornare da Simon Azam.

 

 

IV

 

Deserto della California, Sito A – 28 Settembre

 

“Tutto bene?”

Charles Langley trasecolò. Taddeus Sivana si era come materializzato improvvisamente alle sue spalle. Maledisse sé stesso, dicendosi che non si poteva concedere il lusso d’essere troppo preso nei propri pensieri. Se lo scienziato fosse arrivato solo poco prima, allora sarebbe stato in guai seri ed invece, la fortuna era stata dalla sua parte quella volta.

Sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi di circostanza e, scherzosamente: “Niente affatto, Tad, ho un dolore! Portò una mano al ventre, massaggiandolo lentamente. La cucina messicana non fa per me. Purtroppo però ho una passione insana per il chili, specie quando è bello piccante.”

Pregò d’essere stato convincente onde non destare sospetti nell’altro che per tutta risposta, con suo grande sollievo,  si concesse una gustosa risata e, strizzandogli l’occhio con fare complice: “Quanto ti capisco! Ho lo stesso problema! Io ed il peperoncino non siamo fatti l’uno per l’altro ma se potessi, ne mangerei a quintali!”

Rimasero lì, per un po’, a scambiarsi battute poi Sivana chiese: “Come va con il software?”

“Tutto bene. I nuovi multi-processori lavorano egreggiamente ed il programma è stabile. Non ci sono conflitti o errori di sistema. Possiamo trasferire in tutta tranquillità i dati dall’esemplare Dumso precedente a quelli che usciranno dalla catena di montaggio. Praticamente, i nostri soldati di latta sono pronti ad imparare tutto quello che c’è da sapere da quelli che andranno in azione prima di loro e lo faranno più rapidamente di quanto non abbiano fatto fin’ora.”

“Molto bene, Sivana era compiaciuto e gli batté una mano sulla spalla con fare amichevole, direi che siamo a cavallo. Charley, senza di te questo progetto non sarebbe mai decollato. L’ho detto a Simon. Io avrò anche avuto l’idea giusta per quanto riguarda l’hardware ma senza il tuo software Dumso sarebbe di poco più intelligente di un comune drone. Dio solo sa se non ne abbiamo avuto abbastanza di quelle così dette intelligenze artificiali da quattro soldi. Fanno più danni che altro.”

“Sono in debito con voi, Charles sentì una punta di colpa nel dire quelle parole. Quasi fosse stato Giuda che si apprestava a dare il fatidico bacio, al Caltech mi prendevano tutti per i fondelli e mi tagliarono i fondi solo perché si verificò uno stupido, banale incidente di laboratorio. Dissero che al massimo avrei potuto progettare software per i robot delle arene da combattimento.”

“Invece eccoti qui, a rendere il soldato del futuro competitivo e, soprattutto, reale. La forza di Dumso, la sua vera forza è nella sua capacità di apprendere e passare al valio tutte le soluzioni possibili, prendendo decisioni autonome in situazioni critiche. Un vero automa. Prima di lui, tutti i robot, sono stati solo pallide imitazioni di quello che avrebbero dovuto essere. Il tuo nome finirà sui libri di storia, insieme a quello di Stevenson e Marconi.”

“Dimentichi Edison, Archimede e Tesla.” Si concesse un po’ di genuino autocompiacimento, anche se era consapevole della propria crudele recita.

“Giusto! Li dimenticavo. Risero ancora. Darti una seconda chance è stata la decisione migliore che potessi prendere. Ci hai tirato fuori da una brutta empasse.”

“So che hai sempre perorato con forza la mia causa. Grazie Tad.”

“Non dirlo nemmeno per scherzo. Ci sono passato anch’io. Non dimenticarti che avevo la fama di scienziato pazzo prima di entrare a far parte della famiglia di Azam. Lui ha aiutato me, dandomi fiducia e fondi. E amicizia. Soprattutto amicizia. Su questo si basa il nostro modo di lavorare, Charley. Diamo fiducia ed amicizia.”

“E fondi.”

“E fondi. Tad guardò lo schermo piatto da ’22 pollici su cui scorreva il flusso di dati che costituiva quella che si poteva considerare la mente del dumso. Simon mi ha insegnato che i fondi sono degli investimenti ma è la fiducia che sta alla base di quegli investimenti ad essere importante. È un diavolo d’uomo ma sa come coinvolgerti.”

“So che dopo hai ricevuto diverse proposte dai concorrenti di Azam.”

“Vero.”

“Proposte per cifre a molti zeri.”

“Vero anche questo.”

“E non è stato solo il contratto a vincolarti a rimanere.”

“È stata soprattutto la lealtà. La lealtà è tutto, Charley. Senza non saremmo diversi dagli sciacalli o dagli avvoltoi.”

“Hai ragione.”

“Ti lascio al tuo lavoro. Sono al laboratorio 4 se ti servo.”

“Buon lavoro.”

“A te.”

Charles Langley gettò un paio d’occhiata da sopra le spalle alla scarna e piccola figura che s’allontanava. Non c’era dubbio: Sivana era un idealista; aveva sempre trovato disdicevole che uno scienziato fosse idealista. Per tutta la sua vita, conscio del fatto di essere un piccolo pesce armato solo della propria intelligenza superiore in un acquario di barracuda famelici, aveva accuratamente evitato sentimentalismi o moralismi d’ogni sorta. La parte dell’uomo dai modi umili e dismessi, dal carattere tiepido e riservato gli riusciva bene. L’aveva imparata a recitare sin da ragazzino. Tuttavia Taddeus era un individuo per cui non riusciva a non provare una forte ammirazione. Possedeva un cervello veramente fuori dal comune ed era convinto che un genio del suo calibro nascesse ogni 50 o 100 anni. Inoltre era onesto. La persona più onesta che avesse mai incontrato. Qualcosa in lui si sarebbe voluta ribellare. Avrebbe voluto persino rinunciare a tutto ma ormai, arrivati a quel punto, non osava farlo.

 

Introdurre oggetti estranei nei laboratori del Sito A era praticamente impossibile, o almeno così pensavano. Cellulari o dispositivi elettronici di sorta erano tassativamente vietati. Si lasciava tutto ai piani superiori in custodia ad una severa vigilanza affidata ad ex militari. Bodyscanners garantivano che nessuno tentasse trucchi e ci si doveva persino cambiare gli abiti. I vestiti da lavoro erano usa e getta. Quando si lasciava gli shelter sotterranei si veniva nuovamente perquisiti accuratamente e solo alla fine della trafila, si riceveva indietro i propri effetti personali.

Charles possedeva un q.i. al di sopra della media. Molto al di sopra. Trovare una soluzione al problema era stato uno dei suoi compiti. La sua scrivania la utilizzava solo lui ed era riusciti, con molta pazienza, a creare un piccolo scomparto sotto di essa utilizzando materiali di fortuna reperiti negli shelter stessi. Due denti finti era tutto ciò che gli aveva garantito di poter trasportare quello di cui aveva bisogno. Piccole componenti realizzate per lo più in leghe ceramiche. Per i conduttori si era servito dei suoi stessi strumenti da lavoro. Ne smontava uno o due per volte, assemblava velocemente il dispositivo, lo utilizzava e poi lo disassemlbava nuovamente a tempo di record, senza che nessuno s’accorgesse di quello che stava facendo. Aveva ormai terminato di criptare tutto il programma inserito nelle sotto-routine di dumso. Ormai sarebbe bastato che venisse copiato ed inserito negli altri dumso ed il gioco era bello e che fatto.

“Se ti scoprono, vedi di non farti venire in testa strane idee. Gli aveva detto l’uomo che l’aveva ingaggiato. Posso raggiungerti ovunque.” Quello sguardo che l’aveva inquietato sin dalla prima volta, era di chi è disposto a tutto e non conosceva scrupoli. C’era una nota di sadico compiacimento nelle minacce che gli aveva elargito e al contempo non era mai stato brutale nel fargliele. I pagamenti erano stati regolari così come le attrezzature richieste erano state regolarmente consegnate ad ogni incontro. Estremamente costose e difficili da reperire. Si trattava di poche cose perché la gran parte del suo dispositivo di criptamento era costituita da parti di fortuna ma quelle poche specifiche di cui abbisognava, era imperativo venissero comprate all’estero e tramite acquirenti presta nome per far in modo che nessuno potesse risalire a lui. Un uomo come Taddeus avrebbe capito a cosa servivano se gli fossero capitate sotto gli occhi ed era certo che tutti i suoi acquisti erano tenuti sotto sorveglianza, a dispetto dei discorsi del collega sulla fiducia. Sivana poteva anche essere sincero ma era sicuro che Azam non fosse così buonista. Probabilmente lo stesso Taddeus era sorvegliato a propria insaputa.

Si rilasciò sulla poltrona e si disse che ormai era andata. Lui sarebbe stato molto ricco e, grazie ai dati trafugati, lo sarebbe stato ancora di più.

Spero che questo bastasse ad uccidere il senso di colpa che continuava a montargli dentro.

V

 

Ospedale ‘San Francesco dei bisognosi’, città di Berklee, California – 29 Settembre

 

“Dodecateisti.” Disse Freddy Freeman. Un’affermazione buttata lì, o almeno così parve a Billy che ancora non sapeva ben decifrare le espressioni dell’altro.

“Chi sarebbero?” Chiese mentre la macchina era ferma al parcheggio antistante l’ospedale cittadino che raccoglieva coloro i quali non potevano permettersi una polizza medica.

“Un gruppo che vuole far rivivere i fasti dell’antica religione greca, o almeno così mi dissero una volta.”

“Tu che ne sai?”

“Un mio commilitone, al college, faceva parte di una confraternita che era, per usare le sue parole, ‘spiritualmente’ vicina al dodecateismo. Gli aderenti al culto venerano le 12 divinità principali del pantheon greco. Zeus, Era e compagnia bella per intenderci. Billy assentì, seguendo con crescente interesse il discorso. Originariamente nacquero in Grecia, una sorta di movimento per la riscossa culturale e morale del paese che si opponeva idealmente al Cristianesimo, reo a loro dire, di aver in qualche modo indebolito il popolo privandolo del suo vero retaggio. Si dividono in due correnti. Una che conserva il carattere originario di movimento prettamente intellettuale che  trova nei miti greci la bandiera del riscatto che vanno cercando ed i cui i riti religiosi hanno valore puramente simbolico, ed uno in cui invece l’aspetto religioso è tutt’altro che secondario. Questi ultimi si dichiarano fedeli ed aderiscono ai dettami della fede, ricostruita secondo i frammenti lettarari, storici e le tradizioni orali tramandate in alcune zone isolate della Grecia.

Ambedue le tendenze comunque fanno capo ad un unico coordinamento che con il tempo ha potuto contare su affiliati oltre i patri confini. Germania, Gran Bretagna e tanti qui negli USA. Dalla passione che mi hai detto che questo Azam nutre per i manufatti greci e dalla scena che mi hai descritto, potrebbe essere un dodecateista.”

“Dici? Secondo te, è una specie di adoratore di dei?”

“I ricchi hanno molti soldi e spesso non sanno come spenderli. Così si dedicano alle imprese più balzane solo per il piacere di vedersene sfilare un po’, oppure era in una confraternita, simile a quella in cui stava il tipo di cui ti ho parlato prima. In generale le confraternite universitarie richiamano in qualche modo la cultura della grecia antica. Non sono un esperto di queste cose. È solo un mio parere personale.”

“E mia sorella? Cosa significava quel discorso che ho sentito su di lei?”

“Bella domanda. Mi hai detto comunque che Azam lavora con i militari, vero?”

“Si, mi ha spiegato il Signor Tiger che il Governo è il maggior appaltatore dell’azienda di Azam.”

“Magari non centra niente ma effettivamente, potrebbe pur sempre essere una connessione.”

“Cosa dovrei fare secondo te?”

“Se sei convinto che stia avvenendo qualcosa di losco, dovresti denunciarlo. Non credo che riuscirai a nuocergli, visto lo stuolo di avvocati di cui, sicuramente, si può avvalere quel tipo ma basterà mettere la pulce nell’orecchio a qualcuno e gli toglieranno la tua custodia. Tornerai all’ofranotrofio ma sempre meglio che stare sotto il tetto di qualcuno di cui non ti fidi.”

Il ragionamento di Freddy, che nel frattempo si era acceso un’altra sigaretta, non faceva una piega o almeno in quel momento così pareva al ragazzino.

“Ora devo entrare.” Billy aveva dato un’occhiata all’orologgio sul cruscotto.

“Te la senti?”

“Si. Dopo? Mi porterai dalla polizia?”

“Si, se è quello che vuoi. Pensaci bene. Non puoi scappare per sempre da quel tipo.”

Billy deglutì. Per quanto detestasse ammetterlo, Freddy aveva ragione.

Lo ringraziò e dopo esser sceso dalla macchina del suo nuovo amico, si diresse verso l’ospedale.

 

“Come stai Charles? Dov’è hai lasciato Marylin?”

Lo sguardo sognante di Dudley era fisso in quello di Billy che in tutti i modi stava cercando di non tradire quello che provava dentro.

‘Mi ha scambiato per mio padre.’, disse silenziosamente nella sua mente.

“Sto bene. Marylin è a casa, non è potuta venire.”

“Sta guardando i ragazzi?” Chiese preoccupato.

“Si, è con loro.” Confermò Billy, continuando nella recita.

Dudley voltò il capo, guardando fuori dalla finestra.

“C’è una signora che coltiva delle rose bellissime. Mi sono sempre piaciute le rose. Ha anche una casetta per gli uccelli e pettirossi e cardellini ci vanno a mangiare i semi che lei lascia dentro una vaschetta. Lì, proprio sul tetto di quel palazzo.”

Billy aveva già dato un’occhiata prima. Non aveva bisogno di guardare nuovamente per sapere che quella scena si ripeteva ogni giorno nella testa di suo zio. Solo lì e non nel mondo reale.

“Qualche sera fa ha avuto una crisi. Stava soffocandosi con la propria saliva ma siamo riusciti ad intervenire per tempo.” Lo aveva avvertito un infermiere.

“Perché nessuno ha cercato di contattarmi?! Sono il suo unico parente in vita! Ho lasciato i miei nuovi recapti proprio per queste evenienze!” Aveva protestato indispettito.

“Mi dispiace, ragazzo. Purtroppo qualcuno ha deciso di non prender sul serio questa cosa per via della tua età.” L’uomo era stato sincero e aveva pronunciato quelle parole con tutta la gentilezza ed il tatto possibile ed immaginabile.

Billy non riuscì a replicare. Era stato trattato da adulto e non poteva prendersela con la persona che gli aveva usato un simile rispettoso riguardo. Purtroppo per il mondo, Billy Batson era un ragazzino di 13 anni e nulla di più. La nuova consapevolezza non lenì il dolore nel realizzare che suo zio sarebbe morto da solo. Sapeva a che cosa la malattia dello zio portava. Presto o tardi, per una ragione o per l’altra sarebbe accaduto. Si era sempre detto però che lui sarebbe corso, non appena lo avessero avvertito. Non importa da dove ma sarebbe arrivato e gli sarebbe stato vicino. Mentre nei due anni passati all’orfanotrofio si figurava la scena, non teneva conto di cause improvvise. Lo zio si spegneva, serenamente, un po’ alla volta e lui gli teneva la mano. Non lo lasciava mai solo in quella fantasia. Non come Mary, morta in un paese polveroso, in cui si parlava una lingua incomprensibile piena di vocali aspirate ed in cui tutti l’avevano guardata come se fosse stata la peggiore degli assassini e la più abietta delle peccatrici. Non lo zio Dudley. Non quell’uomo che li aveva accolti in casa sua, spaccandosi la schiena per garantirgli una vita agevole e normale, lontana dalle mancanze e dagli eccessi di quella offerta da una coppia di tossici e spacciatori, i genitori naturali di cui ricordava pochissimo. Non l’uomo che le sparava grosse ma che gli strappava sempre un sorriso, come quando raccontò di aver scalato il monte Rushomore con una bicicletta per salvare una delle facce dei presidenti da un pericoloso dinamitardo deciso a rimodellarla a colpi di tnt per farla somigliare al volto della sua attrice preferita, Julie Andrews. L’eroica missione riuscì a metà e siccome le cariche non erano esplose tutte, per ben 10 anni il pubblico ammirò la faccia di Judy Garland, prima che il Governo si dicidesse ad assumere uno scultore professionista che restaurò l’antica, severa faccia. “Se guardi bene, diceva sempre con grande serietà suo zio, noterai però che il naso di quel faccione assomiglia terribilmente a quello di Dorothy.” Billy amava quella storia. Non ci credeva. Nemmeno quando era piccolo, piccolo ma gli piaceva ugualmente sentirsela raccontare e vedere lo zio sbracciarsi per mimare la salita lungo la parete rocciosa a suon di pedalate e, ogni volta che la raccontava di nuovo, gli arricchimenti di particolari che precedentemente ‘aveva dimentico’ di aggiungere.

Era stato un uomo paffuto, con incipienti calvizie a cui rimediava con un riporto un po’ ridicolo, un ciuffo bianco come la neve, nonostante al tempo non fosse così vecchio da giustificare un simile colore, che s’arricciava sulla punta. Aveva spalle larghe e un collo possente, che tradivano un fisico un tempo vigoroso, da solido lavoratore, così come la pancia prominente tradiva la sua passione per il mangiare e per un’abbondante pinta di ‘moretta d’Irlanda’, come la chiamava lui, il fine settimana, al bar con gli amici. Zio Dudley era stato tutto questo e, soprattutto, era stato la sua famiglia. Ora giaceva nel letto, talmente dimagrito da dar l’improssione, in un primo momento, di aver sbagliato stanza. “Non può essere lui”, si era detto, salvo poi doversi ricredere. Quando lo zio aveva accusato le prime perdite di memoria, non avrebbe mai immaginato potesse ridursi così. Nessuno poteva farlo. Nessuno poteva concepire che le persone care potessero essere talmente martoriate da una malattia. C’era un adore acre, urina, acquito dall’aria stantia e venato da qualcosa di disgustosamente dolciastro. Il capo dello zio era completamente calvo. L’antico riporto era stato tagliato da tempo e rimaneva solo una coroncino sudata e unta ad ornargli la nuc, protendendosi fin alle tempie, dove si diradava per poi scomparire.

“Tu e Marylin dovreste smetterla con quella robaccia. Billy era sorpreso. Lo zio aveva pronunciato quelle parole con greve solennità e senza rispiarmare un risentito biasimo, quasi lo avesse trattenuto da troppo tempo. Avete due bambini, per amor del cielo! Fate ancora la vita degli hippies, neanche abitaste in quella merdosa comune dove vi siete conosciuti! Charles, lo sai che ti ho dato tutte le possibilità. L’ho fatto per amore di Marylin e perché fosse giusto farlo ma, per Gesù misericordioso, tu non hai fatto altro che dare il peggio di te, anno dopo anno. Hai picchiato quella poveraccia non so quante volte e poi l’hai costretta anche a girare quei film. Non l’hai portata nuovamente da quei tipi, vero? Dudley squadrò Billy con ostilità. Ti ricordi, cosa ti dissi? ‘ Se lo farai ancora, se la costringerai ancora, ti taglierò le palle con queste mie mani’, ho pensavi che stessi scherzando? Marylin non ti ha mai mollato solo perché è una povera spostata. Solo il Signore sa quanti dolori ha dato a quella poveraccia di mia sorella. L’ha portata sul letto di morte per colpa di tutte quelle preoccupazioni eppure, fino all’ultimo, chiedeva di lei, come stava, cosa stesse facendo ed io, di certo, non potevo dirle che magari era in qualche cella per aver sgraffignato della roba in un negozio, o per venduto della robaccia a qualche minorenne strafatto. Le ho mentito, Charles. Le ho mentito fino al suo ultimo respiro. ‘Va tutto bene, Marylin sta bene’. La cosa migliore che potreste fare voi due, per quelle due creature, è scomparire, andarvene il più lontano possibile. Sono più al sicuro quando non ci siete. Non hai vergogna di te? Non ti fai schifo? L’ultima volta vi ho trovato talmente fatti che tu avevi cagato nella cesta dei panni sporchi e mia nipote se ne stava seduta nuda sulla porta sul retro. Mary, povera stella, teneva suo fratello in braccio e gli cantava la ninna nanna per farlo dormire. Aveva gli occhi pieni di lacrime ma non emetteva un solo singhiozzo per evitare di allarmarlo. Charles, voi siete del tutto inadatti a fare i genitori e ve la fate con persone pericolose. Quanti soldi devi ai tuoi fornitori? E cosa farai la prossima volta per pagare i debiti? Tremo al solo pensiero. Andatevene. Non so dove, non so come ma andatevene. Lasciate Mary e Billy a me, mi occuperò io di loro.”

“Va bene.” Rispose debolmente Billy, ormai consapevole che quello non era un delirio. Semplicemente lo zio stava ripetendo parole già dette nel passato perché era nel passato che ora lui stava vivendo. Vide il sollievo sul suo volto per essere riuscito nell’impresa di strappare due creature innocenti ad una coppia di debosciati quali dovevano essere stati i suoi genitori.

Billy non aveva mai saputo di quello che Mary aveva dovuto sopportare. Lui, per sua fortuna, non ricordava nulla, se non poche immagini sbiadite e decontestualizzate. Mary invece era cresciuta ricordando tutto perfettamente. Gli venne per un istante il dubbio che suo padre non si fosse arreso così facilmente, che avesse protestato alla richiesta di Dudley ma poi si disse “illuso”, perché un uomo che prostituiva la moglie per pagare i propri debiti, non aveva abbastanza dignità da spendere lottando per i figli. Magari, nel dirlo a Dudley, era stato persino sollevato.

“… c’è una signora che coltiva delle rose belissime la, su quel tetto. Lo sai che ho sempre amato le rose? Come mai la mamma non è venuta a farmi visita? Chiese dispiaciuto l’anziano. Mi hanno tolto le tonsille e lei non si è fatta ancora vedere. Papà, ho fatto qualcosa di male?”

“Nulla. Sei stato bravissimo.” Un singhiozzo gli incrinò la voce ed il tanfo nella stanza gli parve insopportabile.

“NADIA! NADIA! NADIA!” Chiamò il vicino di letto dello zio, che s’era svegliato di soprassalto, il braccio gonfio per una flebo mal gestita, gli occhi sgranati e la bocca sbavante.

“Ieri è venuto Jeoffry a portarmi i compiti, proseguì lo zio, appena un’occhiata distratta al compagno di stanza, incolpevolmente insensibile alle sue urla, spero di non rimanere troppo indietro.”

“No, no che non rimarrai indietro. Si alzò, facendoglisi d’appresso. Mise una mano sulla sbarra montata per impedirgli di cadere dal letto, dove erano attaccati diversi cerotti ingialliti. Si protese verso di lui. Ora devo andare. Devo andare al lavoro.”

“Tornerai presto?”

“Certo.” Mentì con tenerezza, dandogli un bacio sulla fronte, con tutto l’amore del mondo, con tutto quello di cui lui era capace, un bacio in cui indugiò per diversi secondi e con cui lo ringraziava per essersi fatto carico di lui e la sorella, di averli strappati ad una brutta fine, di avergli dato una bella vita finché aveva potuto, di aver combattuto per loro anche quando gli assistenti sociali lo avevano dichiarato inadatto al ruolo di tutore legale, di averli pensati e cercati fin quando la sua mente non era stata inghiottita del tutto dalla malattia. Lo ringraziò e al medesimo tempo gli dette l’addio definitovo.

Uscì dalla stanza senza voltarsi. Negli occhi l’uomo consumato, nella mente lo zio dal sorriso contagioso e dalle inesauribili storie inverosimili.

Camminò lungo il corridoio, puzza di urina e feci a sovrastare quella dei detergenti. Le grida e le risate demenziali di chi non riceveva visite se non dai fantasmi del passato.

Camminò, incrociando distratti medici ed infermieri, del tutto scontenti di trovarsi lì, in quel momento.

Camminò passando al fianco dell’unico infermiere che aveva avuto cuore di prepararlo, “la malattia è progredita velocemente ed è possibile che non ti riconosca più ormai. Se vuoi vederlo, se ne sei assolutamente certo, dovrai farti molta forza”, gli aveva detto posandogli paternamente le mani sulle spalle. Gli lanciò un’occhiata di grato rispetto. Era stato trattato da adulto e non lo avrebbe scordato.

“Ti voglio bene. Aveva mormorato uscendo dall’ospedale, rivolgendosi allo zio Dudley che in quel momento, forse, stava guardando la sua invisibile signora delle rose o forse, stava andando a casa di Charles e Marylin per prendere con sé gli amati nipoti. Se c’è un unico dio o ce ne sono dodici, non me ne importa nulla. Prendetevelo presto però. Vi prego.” Non pronunciò quelle parole.

Alzò il capo e trovò ad incrociare il suo sguardo quello di Simon Homer Azam.

 

“Ciao, Billy.” Fu il semplice saluto di Simon. Tamerlano Tiger era a poca distanza da lui, la Bentley in strada con Cee Cee alla guida. Notò Beck leggermente in disparte ma con gli occhi ben fissi alla scena.

“Non ti ci è voluto molto per ritrovarmi.” La considerazione fatta non era dettata dall’amarezza o dalla paura. Era solo una semplice presa d’atto.

“Dove hai dormiti in questi giorni?”

“Stazioni, bus. Un ragazzino di 13 anni può sparire molto velocemente, se lo desidera.”

“Troppo velocemente. È una vergogna per lo Stato.”

“Non dire assurdità. Hai denunciato la mia scomparsa? Il silenzio di Azam dette ragione alla supposizione di Billy. Nessun volantino, nessun poliziotto che mi ferma per farmi domande. Niente di niente. Cos’hai da nascondere alle autorità, al punto da non denunciare la fuga del ragazzino che hai adottato?”

“Billy, non è come pensi.”

“Appunto. Spiegami cosa penso, visto che quello che ho visto mi ha lasciato piuttosto interdetto.” I suoi occhi s’erano fatti due fessure e c’era un’espressione rapace sconosciuta a Simon eppure, allo stesso tempo, terribilmente famigliare.

“Di cosa stai parlando?”

“Non fingiamo. Ho assistito al tuo convegno, l’altra sera. Quello dove sono si sono presentati quei cinque. Chi diavolo erano? E soprattutto, come hai conosciuto mia sorella? Che significa quel discorso che hai fatto su di lei?”

Simon si voltò lanciando un’occhiataccia a Tamerlano che per tutta risposta alzò le spalle. Si girò nuovamente verso Billy: “è meglio se ne parliamo a casa”;

“Salve a tutti.”

Ora gli sguardi Azam, Tiger, Beck e Cee Cee erano puntati su Freedy Freeman che, per sicurezza, aveva deciso di scendere dalla sua auto e andare ad aspettare Billy davanti l’ingresso dell’ospedale.

Si portò con calma ed un’espressione paciosa al fianco del ragazzino e, braccia conserte, attese di vedere cosa sarebbe accaduto.

“Lei sarebbe?” Chiese Simon.

“Frederich Freeman Jr. La prego, mi chiami Freddy. Lo fanno tutti. Sono un amico di Billy e lei deve essere il Signor Simon Azam di cui Billy mi ha parlato tanto.” Fece in modo di enfatizzare quel ‘parlato’ perché voleva che fosse chiaro: sapeva tutto, ogni cosa;

“Lei ha accompagnato Billy aiutandolo nella sua fuga?”

“Ho incontrato Billy in Texas, al 4° Fanteria. Il ragazzo ha fatto molta strada da solo per avere informazioni su sua sorella. Così mi è sembrato giusto premiare tanto coraggio e quando mi ha detto che voleva rivedere lo zio ricoverato a Berklee, ho pensato fosse giusto premiare tanta intraprendenza e l’ho accompagnato io.” Aveva volutamente ignorato il sottile tono accusatorio dell’altro rispondendo con assoluta calma.

“Lo sa che avrebbe dovuto riportare subito il ragazzo ai suoi affidatari nel momento in cui ha saputo che era scappato?”

“So che era mio dovere sincerarmi che fosse al sicuro. Posso comunque continuare a fare il mio dovere e portare Billy dalla polizia, dove potrete chiarire tutta la situazione. Che ne dice?” Strizzò l’occhio insolentemente a Simon che rimase impassibile.

“Billy?” Chiese l’uomo d’affari, rivolgendosi direttamente a lui.

“Tornerò a casa.” La reazione di Freddy fu misurata, ben lungi dal dimostrarsi sorpreso.

“Ne sei certo?”

“Freddy sa dove abito, scandì bene le parole, sincerandosi che anche Tamerlano le sentisse, ha l’indirizzo, i numeri di casa, i miei indirizzi di posta elettronica e, se non riceverà nessuna comunicazione da me entro breve, andrà dalla polizia con una mia dichiarazione firmata riguardo quanto accaduto in villa. Chiariremo questa storia e poi, Azam, usò intenzionalmente il cognome in luogo del nome, mi riporterai all’orfanotrofio, dicendo che non sei tagliato per fare il padre. La storia del tuo club greco rimane a me ed io non la dico a nessuno.” Erano in mezzo alla strada e se mai Billy avesse temuto che Simon Azam in altre circostanze avrebbe potuto fargli del male, dubitava seriamente fosse così spostato da rischiare in un luogo pubblico con tanti potenziali testimoni in giro.

“Sta bene.” Capitolò Simon, dopo aver deciso che quella era la cosa migliore da fare.

“Rimango in ascolto, campione.” Disse Freddy.

“Ci conto.” Rispose Billy.

“Sai una cosa? Se fossi stato nell’esercito avrebbero dovuto farti capitano su due piedi, solo per le palle che hai tirato fuori qui.”

“Grazie. Una futura carriera militare non è da escludersi. Ricordami di chiederti una lettera di referenze.”

Senza dirgli nulla, Freddy di sua iniziativa si diresse verso Azam. “Posso dirle una cosa?”

“Prego.”

Azam riuscì a deviare per un soffio il pugno che l’altro gli aveva sferrato, mirando al naso. Il braccio di Simon era scattato trasformandosi in un cuneo che deviò il colpo, facendolo passare al pochi centimetri dall’orecchio destro. Tamerlano era scattato con la rapidità di un felino, trascinando via da Azam, Freddy che, per tutta risposta, non reagì nemmeno quando l’aiutante di Azam gli piegò il braccio destro dietro la schiena. I muscoli erano rilassati così come l’espressione. Un sorriso strafottente sul volto e disse: “Sai qual è il brutto dei soldi? Eh, Mr. Azam?”

“Qual è?” Chiese incuriosito e un po’ stupito mentre si aggiustava la cravatta regimental che aveva deciso di indossare quel giorno.

“Che per quanti ne puoi avere non mi impedirebbero di spaccarti la faccia.”

“Mi sembra di esserci riuscito senza spendere un cent.” Osservò il ricco imprenditore.

“Sei veloce. Te lo concedo. Se però avessi voluto farti male, ci sarei riuscito.” Era serio. Non stava né bluffando, né vantandosi a vanvera. Gli stava semplicemente dicendo quello di cui era sinceramente convinto.

“Potrei chiamare la polizia.”

“Per favore. Sbuffò divertito Freddy. Non ci vuole un genio per capire che la polizia lei non la vuole intorno.”

“Potrei ricorrere ai miei avvocati e metterla in mutande.” Insistette.

“Poveri loro, allora.”

“Perché?”

“Poi spaccherei la faccia anche a loro.” Strizzò nuovamente l’occhio.

“Lascialo.” Ordinò Azam. Tamerlano Tiger che aveva capito l’antifona lo lasciò andare, rimanendogli comunque vicino quanto serviva a scoraggiare eventuali altri colpi di testa anche se, ne era consapevole, non si era trattato di uno scatto ma di un atto deliberato. Beck era stato veloce quasi quanto Tamerlano, facendosi vicino ad Azam, pronto a coprirgli il fianco sinistro. Cee Cee era scesa della macchina. Alcuni passanti avevano osservato la scena solo nel momento in cui era tutto finito.

“Ricorda cosa ha detto Billy. Mi raccomando.” Consiglio Freddy.

“Lo farò.”

“Bene, perché altrimenti ti aprirò, fece un gesto con il pollice, facendolo scivolare lungo un immaginaria linea che attraversava il torace passando per lo sterno, come un pesce.”

“Grazie per l’avviso.” Fece un cenno per richiamare i suoi uomini e Billy, dopo aver ringraziato ancora una volta Freddy, lo seguì verso la macchina.

“Ah, esclamò Freddy,mi sono dimenticato di dirle una cosa, Azam.”

“Che cosa?”

“Che se la dovessi aprire in due, poi le piscerei dentro come se fosse una latrina da due soldi. Mi raccomando! Guidate con produenza.”

Simon salì in macchina dopo Billy, che si ritrovò così seduto tra lui e Tamerlano.

“Il tuo amico ha davvero fegato.” Disse poi con un sorriso compiaciuto sulle labbra.

“Se mi fai qualcosa, ti denuncerà.” Replicò tranquillo Billy.

“Qualcosa la farò ma non quello che credi.”

“Ah, no? E che cosa farai?”

“Ti dirò tutto.”

Ora Billy era davvero sorpreso. Lanciò un ultimo sguardo a Freddy mentre la macchina si allontanava e poi tornò a focalizzare la sua attenzione su Azam.

“Tutto?”

“Hai ragione. Ci sono cose che ti ho colpevolmente taciuto ma solo perché pensavo avessi tempo. Tempo per farti capire ed addestrarti.”

“Addestrarmi a fare cosa?”

“Nella vita, delle volte, si viene chiamati a compiere una missione, Billy. Ti ho scelto perché confidavo nella tua naturale forza d’animo ma al tempo stesso non volevo gravarti con responsabilità che forse non eri pronto ad assumerti. Ho sbagliato tutto e me ne dolgo. Ti faccio una proposta. Io ti dirò ogni cosa e tu, poi, deciderai se accettare o rifiutare, se rimanere con me o tornartene in orfanotrofio.”

“Mi dirai anche di mia sorella?”

“Tutto vuol dire tutto.” Specificò Azam.

La macchina imboccò l’autostrada che li avrebbe riportati a casa.

 

 

VI

 

Los Angeles, da qualche parte nella periferia – 3 Ottobre

 

Mr ebbe avvertì una violenta contrazione degli arti a cui seguirono una serie di dolorosi crampi. Dette di stomaco un paio di volte. Succhi gastrici e poco altro visto che non era riuscito a mangiare nulla durante tutto il giorno. Era sempre così quando si profilava all’orizzonte una crisi. Stimoli come sonno o fame s’attenuavano ma stavolta, tra il suonare del campanello d’allarme e l’attacco vero e proprio era passato un intervallo di tempo più breve del solito.

Portò le mani tremolanti alle tempie che pulsavano ritimicamente. Alzò lo sguardo allo specchio, gli occhi arrossati ed umidi, le carotidi dilatate e ben visibili, il torace che s’alzava e abbassava con ritmo irregolare.

Il tremore gli percorse le braccia, fino alle mani, inarrestabile, inevitabile.

Un filo di sangue cominciò a colare copiosamente dal naso, gocciando nel lavandino.

‘Andrà tutto bene’, cercò di calmarsi come faceva di solito. ‘ Tra poco passerà ogni cosa’. Anche solo il formulare quei pensieri gli costava fatica.

Uscì lentamente dal bagno, le gambe rigide, i piedi piegati, il bordo esterno a poggiare sul pavimento. S’era pulito alla meno peggio ma, con la sua coordinazione momentaneamente in tilt, temeva d’aver fatto solo peggio. Disseminò un po’ di gocce scarlatte sul pavimento. Si era dimenticato del sangue ma il suo sapore nella bocca gli aveva ricordato della massiccia epistassi in corso. ‘Non l’avevo fermata?’. La confusione aumentava ma darsi per vinto significava ammettere la sconfitta e lui non lo avrebbe mai fatto. Mai più.

‘Nessuno mi spezza. Nemmeno me stesso’ asserì tra sé e sé con orgoglio.

Si lasciò cadere sul letto e rimase lì per un po’, tentando di riordinare i pensieri.

La depressione che accompagnava quei terribili momenti non s’era tardata a farsi sentire e pareva volergli togliere ogni speranza ma lui rise, crudele, spietato perché erano la crudeltà e la spietatezza le armi che lo rendevano forte, così forte da poter guardare con divertito cinismo persino alla propria condizione, per quanto patetica potesse trovarla.

“E così anche tu hai i tuoi punti deboli.”

Mr alzò la testa e posò il suo sguardo su Black Adam che, sulla soglia della porta, lo studiava, il volto una maschera indecifrabile.

“Se stai pensando di pareggiare i conti, lo canzonò con un sorriso sprezzante sul viso, sappi che non sono del tutto indifeso. Ho ancora abbastanza forza da farti tuffare di testa dalla finestra della mia stanza.”

“Non era mia intenzione fare nulla del genere.” Lo rassicurò l’altro.

Mr lo squadrò con sospetto. Non riusciva ad avvertire niente durante gli attacchi e questo perché era come se la sua mente fosse una radio che avesse perso un dato canale e non riuscisse più a risintonizarcisi. Si pulì la bocca dal sangue che gli aveva insozzato i pantaloni.

“E qual è la tua intenzione?”

Black Adam, con calma, s’andò a sedere di fronte a Mr e, dopo essersi accomodato su di uno sgabello, “ Volevo solo informarti che ho piazzato l’ultima partita. Ho i soldi che mi avevate chiesto ed insieme al gruzzolo che mi avete sottratto, avete la cifra che vi serve per finanziare le vostre operazioni.”

“Molto bene.” Commentò secco.

“Questo ti capita per via di quel tuo potere?”

“Questo mi capita per via di quel mio potere.” Confermò Mr, non riuscendo a trovare un motive per mentire.

“Tu non sei nato così, vero?”

“Come mai sei venuto da me e non da Adam?”

“Sono andato da lui. Gli ho fatto rapporto e lui mi ha mandato a cercarti. Ha detto che dovevo fare rapporto anche a te.”

Mr sospirò, cercando di calmare il suo tremore. Non gli piaceva che qualcuno lo vedesse così, specialmente se quel qualcuno era stata una delle sue vittime. Che Adam lo avesse fatto a posta? Anche Adam aveva capito che certi segnali preludevano a quegli episodi. A quale scopo quella mossa? Forse era un modo per fargli capire che doveva accettare definitivamente Black Adam nella loro squadra? Delle volte le azioni di quell’uomo, così come le sue motivazioni, gli erano imperscrutabili. “No, non sono nato così, ammise, anche se, fin dalla nascita, possedevo un certo latente talento psichico, o almeno lo chiamavano così quelli che mi hanno fornito questa bella abilità.”

“Che ti sta consumando.”

Mr ridacchiò e si trovò a dover ammettere che l’altro aveva perfettamente colto nel segno.

“Ti ricordo nuovamente che non sono indifeso.” Sottolineò ancora una volta l’altro.

“Lo so. Chi ti ha fatto questo?”

“Una lunga storia ma per fartela breve, l’uomo che io e Adam intendiamo mettere in ginocchio.”

“E per questo che avete bisogno di tanti soldi? Fa parte del vostro piano per vendicarvi? Perché è di questo che parliamo, vero? Vendetta.”

“Ammetto che la vendetta è una componente importante delle nostre vite e il suo raggiungimento è tra i nostri obbiettivi ma è al potere che miriamo e quest’uomo è l’ostacolo principale tra noi ed il potere.”

“Il potere di cui mi parla Adam?”

“Quello.”

“Esiste davvero? Non dubito delle sue parole. Lui ci crede veramente e anche tu. Voglio dire, per me è già incredibile che qualcuno possa fare quello che tu fai. Non arrivo a capirlo veramente. Figurati capire un potere come quello di cui mi racconta lui.”

“Io sono figlio della scienza. Spiegò paziente Mr, atteggiamento nuovo per Black Adam che era sempre stato oggetto dei suoi maligni scherzi e delle sue vessazioni. Il potere di cui parla Adam, quello che per lui è il Potere con la p maiuscola, è figlio di un tempo in cui era il misticismo e la magia a reggere questo mondo.”

“Tu lo hai mai visto?”

“Ho visto molte cose incredibili nella mia vita ed io stesso, come hai notato tu, ne faccio parte. Più che altro ho visto Adam, la sua determinazione, il fuoco che gli arde negli occhi. Si, gli credo.”

“Credi che con quel potere davvero possa prendere il Mondo intero?”

“Qual è la cosa più importante di un’arma.”

Black Adam ci pensò alcuni istanti, corrugando la fronte e mordendosi istintivamente il carnoso labbro inferiore: “Chi la usa”, rispose con convinzione.

“Ottimo! Le lezioni di Adam stanno sortendo il loro effetto! Era stupito. Black Adam non era certo stato un campione d’intelligenza e lui lo sapeva, meglio di molti altri, avendone sfiorato la mente, sebbene impercettibilmente per non correre il rischio di rovinarla irreparabilmente. Forse, dandogliene l’opportunità ed i giusti stimoli, gli esseri umani potevano migliorare sé stessi. Forse con quel potere, un altro uomo non riuscirebbe comunque in un’impresa così titanica ma lui? Adam è diverso. Adam potrà fare cose che gli altri non possono, arrivando a luoghi per altri inaccessibili e compiendo imprese apparentemente impossibili e tutto questo perché ha il potenziale e la volontà per farlo. Ora gli servono solo gli strumenti adatti.”

“Lui è la mente di tutta questa operazione? O tu?”

“Forse cinquanta e cinquanta. Io ho trovato lui, scoprendone per caso l’esistenza. Ero in fuga, preoccupato che nessuno s’accorgesse di me che non scoprissero che ero ancora vivo. Andai da lui perché mi dissi che era la migliore occasione per riscattarsi, per raggiungere gli obbiettivi che mi ero prefissato o, semplicemente, pensavo che avrebbe potuto dirmi che cosa fare. Abbiamo organizzato insieme il piano ma è lui che lo ha sempre diretto, devo ammetterlo. Era intrappolato in questa specie di clinica eppure, nonostante lo avessi risvegliato solo da poco tempo dal torpore in cui l’avevano affossato, dimostrò di possedere una lucidità spaventosa. Sapeva bene cosa voleva e come ottenerla. Impiegammo alcuni anni per realizzare il nostro disegno ed organizzare questa fase finale ma ne è valsa la pena.”

“Credo che tu abbia ragione. Siete incredibili e state per fare qualcosa di straordinario ed ora, voglio esserne parte.”

“Anche se ti ho schernito? Anche se ti ho perseguitato? Anche se ho ucciso i tuoi amici e le tue puttane? Anche se ti ho fottuto il tuo piccolo impero del crimine?”

“Si. Una risposta sobria e franca. Le tue torture, alla fine, mi hanno rafforzato. Amici? Non credo di averne mai avuti e le puttante si possono sempre sostituire se ti dovesse tornare la voglia. Eravate forti, i più forti, e vi siete semplicemente presi quello che volevate. Quello che ora io voglio e imparare da voi. Quello che desidero veramente è elevarmi ed essere come voi.”

Mr sorrise, per la prima volta in modo amichevole.

“Allora imparerai. Le lezioni che ho da impartirti non sono finite. Ora però toglieti dalle palle, ho bisogno di riposare.”

Black Adam si alzò e, dopo averlo salutato rispettosamente, se ne uscì.

“La mente.” Sussurrò mentre si sdraiava sul letto.  ‘ La mente’ si ripeté senza parole.

“Ho trovato il mio nome.” Disse, ripensando al discorso che Adam gli aveva fatto sull’importanza dei nomi.

 

 

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