Yuri N.A. Lucia

 

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Ai piedi del Trono di Zeus s’era fatto, d’improvviso, un silenzio gelido come l’inverno e buio come notte senza luna. I quattro che, insieme al Padre degli dei, componevano la Mano di Dio non proferirono parola all’annunzio del messaggero giunto dalla provincia meridionale del vasto impero che l’Altissimo stava creando, battaglia dopo battaglia, affondandone i pilastri nelle ossa e nelle carni dei suoi nemici o di chi non fosse sufficientemente rapido nel porgli onori ed omaggi.

“Cosa hai detto?...” La voce del Signore della Folgore era attraversata da una sinistra vibrazione, simile a quella che porta con sé il terremoto e che riverbera anche a grandi distanze.

Il soldato dell’esercito agli ordini di Ellenio era provato dalla lunga marcia che lo aveva privato di molta della sua massa originaria, al punto che le ossa erano quasi visibili ed il volto, in diversi punti ustionato dall’impietoso sole, pareva una grottesca maschera.

Il corazzamento e le armi erano state abbandonate ad un certo punto del viaggio per rendere più veloce l’incessante corsa, una massacrante prova che gli era costata cara, come testimoniavano le orribili piaghe sui piedi privati dei calzari e le numerose escoriazioni su cosce e braccia. Quello spettacolo era così penoso che persino Ares, solitamente indifferente alle sofferenze altrui, provò un moto di compassione per quel guerriero che tuttavia, in presenza dei suoi dei, mantenva un contegno degno del proprio rango. Lo sguardo dritto davanti a sé, il torace all’infuori, le braccia lungo i fianchi.

“Creta è sotto assedio, Eccellente Signore. Le forze nemiche sono arrivate dalla direzione dell’isola di Santorini, così hanno asserito i guardiani sopravvissuti al primo attacco, e sono riusciti a sbarcare sulle coste di levante e di ponente. La flotta su cui viaggiavano era composta da piccoli vascelli, ognuno dei quali poteva trasportare, secondo le nostre stime, circa venti soldati escluso l’equipaggio. Le nostre navi sono cadute in una trappola, intercettando un’avanguardia mandata per aprire le difese marittime e ci siamo ritrovati ad affrontare un’invasione ben pianificata e condotta.

Una grande falange oplitica fiancheggiata da un reparto di cavalleria, si è messa in marcia dalle spiagge dove uomini e cavalli sono sbarcati, fino a risalire alla Sacra città di Amaltea.

Le truppe hanno cercato di fermarne l’avanzata, riuscendo in un primo tempo a rallentarli e ad infligergli dei danni. Tuttavia alle nostre spalle è arrivato il contingente sbarcato nella direzione opposta. Hanno risalito dei sentieri che usano i pastori, muovendosi attraverso boschi e colli. Piccole unità che si muovevano veloci. Non ci aspettavamo una cosa del genere. Si sono compattati mentre inseguivamo il nemico, una manovra messa in atto per ingannarci. Ci siamo trovati chiusi da altre due falangi, più piccole di quella che ci ha attaccato per prima, e sotto la pioggia di frecce di due reparti di arceri. Il primo assalto è costato la vita a quasi metà dei nostri. Eravamo del tutto impreparati. Intanto gli inseguiti si sono fatti inseguitori, ricompattandosi e mandando avanti la fanteria di linea.”

“Ellenio?” Chiese Zeus preoccupato.

“Ha combattuto coraggiosamente, mio Signore ed è riuscito a riorganizzare i sopravvissuti portandoli all’interno della città dove abbiamo iniziato la difesa. Tutti i cittadini sono stati mobilitati. Il mio Signore, il nobile Ellenio, mi ha inviato da Voi, Supremo tra i Supremi, per chiedere aiuto. Il ciondolo che portava al collo, dono di Zeus in persona, che Ellenio gli aveva affidato era testimone della veridicità delle sue parole e dell’urgenza del momento. Purtroppo l’ippogrifo che ci avete generosamente donato è stato ucciso quasi immediatamente dagli strali ostili e dunque ho dovuto viaggiare via nave, superando la rete di vascelli che si stava intanto formando intorno all’isola per chiudere ogni via di fuga. Due legni ci hanno inseguito ed i miei compagni hanno dato la vita per permettermi di raggiungere a nuoto le coste della Grecia e poter giungere al cospetto dell’Ottimo Zeus.”

Il dio era cupo come non mai e chiese: “Chi sono costoro? Cosa vogliono? Hanno dichiarato le loro intenzioni?”

“Mai. Hanno attaccato. Semplicemente, oh mio Padrone. Non c’è stato nessun tentativo di trattativa. I loro ufficiali si sono limitati a guidare una carica omidica dietro l’altra contro di noi. Tutti i contadini, i pastori ed i pescatori sorpresi da costoro, sono stati semplicemente trucidati. Giovinetti o vecchi che fossero.”

“La situazione, quando hai abbandonato l’isola?”

“Il coraggioso Ellenio è nella città, con quello che rimane delle truppe e la guardia cittadina. Cibo ed acqua al momento non erano un problema e possono resistere, razionandoli, per almeno tre mesi.”

“Son passate tre settimane da quando partisti … Non era né una domanda, né un’affermazione ma una riflessione ad alta voce. Il soldato, indeciso se fosse il caso di rispondere o meno, si limitò solo a fare un cenno d’assenso con il capo. Philota, chiamò il capo dei suoi schiavi, un corpulento mortale a cui mancava la falange del mignolo sinistro, persa per una scommessa durante un’orgia in cui si era bevuto troppo, porta quest’uomo nelle stanze riservate agli ospiti e fai in modo che sia servito e riverito a dovere. Che sia trattato come se fosse frutto dei miei stessi lombi.”

“Il mio amato Padrone ordina, ed il suo fedele Philota esegue.” Disse esibendosi in un ossequioso e profondo inchino.

“Parmenione, chiamò poi il capo della Prima Armata dell’Olimpo, manda i servi a convocare, immediatamente, Eracle.”

L’uomo non riuscì a nascondere il suo stupore: “Sacra ed Eccelsa Maestà, tentò di replicare, Eracle è sul fronte orientale, nelle lontane terre d’India, dove sta domando la rivolta contro il vostro Giusto e Saggio Governo. Voi stesso lo mandaste in missione, affidandoglio il comando della Terza Armata.” Il militare sapeva di rischiar grosso ma non poteva nascondergli la verità, nemmeno se ne fosse andata la sua vita ed effettivamente, era proprio la sua vita ad essere in gioco.

“Cosa stai cercando di dirmi?” Chiese Zeus che lo fissava con l’aria del predatore pronto a saltare al collo della preda.

“Quello che il buon Parmenione cerca di dirti, intervenne Ares, sorprendendo i suoi compagni, Athena compresa, è che il Generale Eracle, tuo figlio, sta conducendo una delicata campagna militare ad est da dove la rivolta minaccia di estendersi nei territori attigui, trasformandosi in un bagno di sangue più grande di quanto non sia. Dopo l’attacco perpetrato, per tuo ordine, oh Divino, non abbiamo nemmeno più la possibilità di trattare una tregua con i nostri nemici in quelle terre. Ora più che mai, la guerra deve essere vinta altrimenti rimettere la situazione sottocontrollo si farà ancora più difficile.”

“Osi mettere in dubbio la mia decisione …” A Zeus non era mai piaciuto essere sfidato. A Zeus si doveva obbedire, senza batter ciglio, pena la folgore che dai cieli avrebbe portato la rovina su chi, con il proprio comportamento, l’avesse offeso.

“Nessuno mette in dubbio né la tua saggezza, né il tuo diritto al comando, oh Padre degli dei. Tuttavia il tuo affetto per Ellenio e la tua giusta preoccupazione per i tuoi domini meridionali e per la splendida città di Amaltea dove Ellenio era stato mandato ad officiare i lavori dell’assemblea delle città del Mediterraneo sotto il tuo controllo, potrebbero spingerti a decisione azzardate e questo perché, oh Re dei Re, l’acutezza della tua mente è superata solo dalla grandezza del tuo cuore.”

Mai, in tutta la sua lunga vita, Athena avrebbe mai creduto di assistere a qualcosa di simile. Hermes e Sileno erano esterreffati. Ares aveva tenuto a bada il proprio, cocente odio per Zeus e, nel rivolgerglisi, era stato diplomatico.

La cosa, nonostante il momento, non era sfuggita a Zeus stesso che gli rivolse un sorriso sardonico, a ricordargli che non era facile ingannarlo e, al tempo stesso, in segno d’apprezzamento per quel tentativo che al dio della guerra, doveva essere costato uno sforzo sovrumano.

“Sia. Allora, Ares, convocherai i tuoi generali, Deimos e Phobos. Li voglio all’isola di Creta entro tre giorni, non uno di meno.”

“Si, mio Signore.”

“E noi ci recheremo immantinente colà.”

I quattro si scambiarono una veloce occhiata tra loro e stavolta fu Sileno a parlare.

“Credi che sia prudente, mio Signore?”

“Cosa c’è? Hai paura Sileno? E dire che tuo padre, il coraggioso Pan, affrontò a caro prezzi i nemici Titani in mio nome, durante i giorni bui. È per questo che sei stato chiamato a presenziare in questa nostra Santa Assemblea. Per onorare il coraggio di Pan.” Le parole di Zeus furono come una sferzata all’orgoglio di Sileno che, se possibile, odiava Zeus ancor più di quanto non lo odiasse Ares.

“Sileno non he nessuna nessuna paura. Sileno infligge agli altri, la Paura. Sono pronto a muovermi quando Zeus lo ordinerà.”

Zeus apparve soddisfatto di quella dichiarazione.

“E tu? Mia dolce Athena? Non hai nulla da dire?”

Il modo in cui il Re dell’Olimpo si rivolse alla dea provocò un moto di stizza in Ares ma il tocco gentile di lei sulla sua spalla lo aiutò a contenere la rabbia che come era come un lago prossimo a tracimare.

“Raccomando di muoverci in modo prudente. L’attacco, mio Signore, è sospetto. Sappiamo tutti che in Santorini non ci sono mai state forze così prominenti da poter mettere in ambasce le armate della Folgore o tanto meno un condottiero abile ed impavido quale Ellenio. Poiché della natura del nemico ignoriamo la vera origine, consiglio di organizzare un manipolo di soldati ed esploratori che si curi, mentre ci recheremo in loco, di raccogliere quante più notizie su questi misteriosi invasori.”

“Parli delle tue truppe scelte?”

“Si.”

“Allora affido a te quest’aspetto della missione che c’accingiamo a compiere.

Prima però, consulteremo ancora una volta colei la quale vede e sente oltre i limiti a cui tutti, persino io, siamo soggetti. Fece un cenno per chiamare a sé uno schiavo, un giovane di non più di undici anni a cui ingiunse severo: va alla mia casa e convoca la Regina degli dei. Dille che è desiderio del suo sposo ch’ella venga immantinente al mio trono.”

Il quintetto attese l’arrivo di colei che brillava per bellezza tra i divi e le dive, i neri capelli pettinati in ordinate onde e trattenuti da un pettine d’argento, gli occhi del colore della stirpe divina, le labbra rosse come il papavero serrate a sottolineare l’algida espressione sul volto. Il suo incedere era lento, volutamente, per irritare il marito che invece le aveva implicitamente ordinato, tramite lo schiavo, di muoversi celermente. Indossava un semplice chitone bianco, fermato alla spalla da una grande spilla d’oro, lavorata in forma d’ape, ai piedi semplici calzari allacciati al polpaccio, e al collo dei monili d’osso, eredità della sua genitrice titana. Con lei solo l’amata ancella Ebe che la seguiva di pochi passi, lo sguardo fisso in terra per evitare quello di Zeus,  il dio che quasi l’aveva stuprata.

“Benvenuta a quest’Assemblea Sacra, Signora degli dei, disse Zeus, che nonostante fosse in parte indispettito per l’ostinazione con cui lei gli si ribellava, non riusciva a non provare desiderio per quella dea così bella da risplendere di luce propria, così fiera, da riuscire a zittire anche il più feroce tra i guerrieri, benvenuta al cospetto della Mano di Dio, oh Saggia Meti.”

 

Meti era stata destinata ad andare in sposa a Zeus. Così si mormorava. In realtà Meti era stata, originariamente, destinata ad andare in sposa ad Hyperione, uno dei più potenti tra i titani.

Zeus l’aveva fatta sua dopo il suo ritorno dal lungo esilio in Creta. Prima sua prigioniera, insieme agli altri titani catturati durante l’incursione che aveva costretto il padre ad una frettolosa ritirata e poi sua regina, quando capì d’essersene invaghito perdutamente.

Molti credevano trattarsi d’una figlia illegittima di Crono che aveva violentato Dike, a sua volta figlia del titano. Da quella presunta relazione forzata ed incestuosa ne sarebbe nata la bellissima Meti, la cui bellezza era, forse, offuscata solo dall’intelligenza. Forse, si favoleggiava, era quello il motivo per cui Dike era fuggita via, lontano dalla sua gente, probabilmente nel gelido sidereo.

La vista della neonata            le ricordava l’abuso subito in modo troppo doloroso.

Athena si lasciò sfuggire un sorriso in sua direzione e Meti, amorevole come sempre, controcambiò la figlia. Sapevano entrambe perché fosse stata convocata lì ed entrambe lo avrebbero evitato. Non era però dato loro di decidere. Zeus, aveva deciso e al suo ordine ci si doveva attenere.

“Eccomi, Oh titanicida,in bocca a lei quel titolo suonava quasi come uno sberleffo, Meti compare  davanti a te.”

C’era un altro motivo per cui Zeus s’era voluto unire in matrimonio alla dea. Tutti lo sapevano. Ella possedeva una virtù sconosciuta a tutti gli altri divi.

“Moglie mia, mia Regina, fece in quel tono fintamente accondiscendete che la indisponeva ancor più degli stupri e dai sopprusi a cui il figlio di Crono la sottoponeva ormai quasi quotidianamente, un’ombra proveniente dal mare è calata cupa ed oppressiva sulla bella città di Amaltea, nelle terre di Creta a me tanto care. I miei coraggiosi mortali, guidati dal prode Ellenio stanno dando la vita per il loro Divino Sovrano ed io abbisogno conoscere il nome di questa minaccia che osa insidiare il mio giusto dominio.”

“Giusto?” Chiese Meti, incurante dell’espressione truce che si dipinse sul volto del marito.

“Giusto.” Ribadì lui.

La dea stavolta non replicò ma si limitò ad aprire le braccia, dopo aver invitato Ebe a prender distanza. La fanciulla odiava quel momento perché sapeva quale fosse il prezzo da pagare per la sua amata Signora.

Meti trasse un profondo respiro, gli occhi chiusi come se si preparasse a dormire e poi, dopo alcuni istanti, il suo corpo rovinò pesantente a terra, dove iniziò a contorcersi vittima di dolorosi spasmi.

Sileno avrebbe voluto dire qualcosa, Hermes stesso trovava insopportabile quello strazio, Ares era stato sempre contrario, in principio per amore di Athena ma poi, qualcosa, nel suo cuore si era inesplicabilmente sciolto e colui il quale era noto come il dio della violenza, della brutalità e del furor guerriero provò pena per quella donna.

Meti rovesciò gli occhi nelle orbite e a più riprese la lingua rosea penzolò fuori dalle belle labbra.

Inarcò la schiena al punto che quasi parve volersi spezzare ed il corpo era madido di sudore, le carni pallide mentre la febbre sacra la pervadeva.

Avvicinandosi al lei ci si accorgeva che l’aria intorno si surriscaldava, al punto da tremolare mentre piccole volute di vapore s’alzavano dal capo di lei. Eppure toccandola ella era fredda, come un pezzo di ghiaccio ‘si che ci si sarebbe potuti ustionare le mani.

“Fa che finisca presto.”

Ares udì sussurrare queste parole da Athena. Avrebbe voluto cingerla d’abbraccio, traendola a sé e proteggendola da quello spettacolo. Invece rimase lì, al suo posto, chiuso in un altero silenzio come ci si sarebbe aspettati da colui il quale aveva le mani lorde del sangue di migliaia di nemici.

“Oh, Meti la Saggia! L’appello Zeus. Ch’incarni le più nobili virtù divine e possiedi la conoscenza segreta, io che degli dei sono il Re, invoco la tua Sapienza! Disvelami la vera natura di questo pericolo.”

Un ululato, come un miscuglio di dolore e crudele gioia, uscì dalla gola di Meti che così parlò:

IL SIGNORE DEGLI DEI, A CUI è PRIVILEGIO POTER CONVOCARE IN SUA PRESENZA LA FOLGORE CHE CADE DAI CIELI, HA VOLUTO CONTINUARE LA SUA CAMPAGNA SENZA CONCEDERE PIETÀ O TREGUA ALCUNA ED ORA RACCOGLIERÀ CIÒ CHE SEMINÒ.

UNA BESTIA SI ALZA GIÀ DALLA LONTANA SANTORINI, UN MOSTRO FIGLIO DI TUTTO L’ODIO NUTRITO NEI TUOI CONFRONTI. L’ESERCITO CHE ORA ELLENIO COMBATTE, È SOLO L’AVANGUARDIA DI UNA FORZA CHE STA PER ABBATTERSI IMPIETOSA SU DI TE E GENITRICE A QUELLA FORZA È UN TITANO, UN TITANO A TE LEGATO DA UN PROFONDO RAPPORTO!

“IMPOSSIBILE!” Tuonò Zeus, il terrore a deformarne i lineamenti.

QUESTA FORZA” porseguì ella nel suo vaticinio,indifferente alla paura che il Re del Cielo aveva palesato davanti agli altri, attoniti spettatori,  CHE RACCHIUDE IN SÉ QUANTO DI PIÙ SELVAGGIO ESISTA IN NATURA, SARÀ LA TUA ROVINA, SIGNORE DEGLI DEI. SAPPI, CHE UN’ERA SI CHIUDERÀ PER SEMPRE ANCHE SE ZEUS TORNERÀ CON LA SUA REGINA AL MONTE OLIMPO.

“Crono è nelle lontane regioni del Tartaro… mormorò tra sé e sé Zeus, nessuno può tornare da lì! Tanto meno lui che ho ferito e mutilato …”

SAPPI CHE LA MANO DI DIO, CRESCERÀ E DIVERRÀ MOLTO PIÙ DI QUANTO NON SIA MAI STATA. QUESTO AVVERRÀ A SANTORINI. QUELLO SARÀ IL LUOGO IN CUI IL MONDO CONOSCERÀ UN POTERE MAI VISTO PRIMA…” Il corpo di Meti cadde nuovamente a terra, esausto e subito Athena gli corse vicino, insieme ad Ebe, per sincerarsi che la visione non le fosse stata fatale. Ancora una volta la Regina degli dei s’era dimostrata all’altezza del proprio titolo e del proprio potere. Sorrise, sebbene debolmente, gli occhi ancora velati dalle allucinazioni che recavano seco brani di presente, passato e futuro, indistricabilmente legati insieme.

Zeus, sul suo trono, pareva dimentico di tutto e ripeteva un nome: “Crono”.

 

“Ci siamo.” Si lasciò sfuggire Hermes, subito reguardito da Ares che lo invitò a non perdere le staffe e a mantanere il suo solito fare spensierato che gli era valsa la fama di divinità poco incline alla serietà e più interessato ai giochi e alle piccole truffe.

“Per quanto ne sappiamo il momento è giunto.” Confermò sottovoce Sileno.

“Potrebbe essere l’ora attesa.” Assentì Athena.

“Lo è.” Tutti si voltarono verso la figura ammantata che fece ingresso nel tempietto dove il quartetto aveva cercato riparo dallo sguardo indiscreto degli olimpi fedeli a Zeus.

“Sei qui, finalmente.” Sileno temeva quella persona ma al tempo stesso sapeva che solo la sua guida poteva portarli al successo sperato.

“Non ho avuto modo di incontrarvi perché le mie assenze stanno divenendo un motivo di sospetto per quel vecchio depravato. Altri, persino in privato, avrebbero avuto paura ad esprimere un opinione così negativa e con così tanta veemenza nei confronti del Signore dell’Olimpo. Quelle parole però erano state pronunciate senza timore alcuno. Non posso permettermi ancora di mostrare il numero uscito sui miei dadi ma presto arriverà il momento della resa dei conti.”

“Questo è l’evento di cui ci parlasti?” Chiese Hermes.

“Si.”

“Come hai fatto a provocarlo?”

“Questo non vi deve riguardare. Voi dovrete accompagnarlo alla battaglia. La sua ultima battaglia.”

“Ma Meti ha detto che …”

“I vaticinii e gli oracoli non hanno un’interpretazione univoca. Per questo serve un sapiente che intepreti le parole di chi le pronuncia. Meti ha il potere di guardare più in là e più a lungo di chiunque altro ma non è certo meno criptico quello che le ascoltate dire. Vi ho promesso la fine di Zeus e questa avverrà molto presto.  L’importante è spingerlo a partire prima che arrivi il figlio Eracle. Il bastardo potrebbe, al momento opportuno, allearsi con lui a dispetto dei loro contrasti.”

“Non sarebbe un problema!” Scattò Ares che venne subito trattenuto per un braccio da Athena.

Il dio si pentì di quel gesto improvviso. La sua vecchia natura, sebbene ingentilita da quel sentimento ardente per la compagnia, era ancora vivace e bellicosa.

“Non dubito del tuo braccio, disse il capo congiura, so bene che il tuo vigore è pari a quello del mezzo mortale ma non di meno se unisse le forze a Zeus, il nostro piano potrebbe naufragare miseramente e sapete bene tutti cosa ci aspetterebbe da un siffatto fallimento.”

Nessuno rispose ed il loro interlocutore sorrise con soddisfatta cattiveria.

 

 

 

Yuri Lucia

 

Presenta:

 

 

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4  PT I

 

I

 

Contea di Coryell, Texas – 27 Settembre

 

Billy sussultò, svegliandosi di colpo e nel farlo, sbatté leggermente la testa contro il finestrino. Si passò una mano sulla fronte e arrossì quando si rese conto che la signora seduta alla fila opposta sorrise divertita.

Gli sembrava di poter sentire ancora i discorsi del gruppo di uomini e donne riuniti con Azam nella sua stanza segreta. Era uscito di soppiatto dalla sua stanza, dirigendosi nello studio del genitore adottivo. Avrebbe dovuto mettersi subito a letto, dormire, prepararsi a qualsiasi punizione l’uomo gli avrebbe inflitto o semplicemente, tornarsene in istituto. Poi aveva visto l’arrivo di tutte quelle macchine e qualcosa non gli era tornato.

Non era luogo dove Azam trattasse affari quello. Poteva non sapere molte cose del suo così detto benefattore, però di una cosa era certo: Villa Athene era una sorta di santuario per Simon H. Azam;

tutti i reperti, rispettosamente conservati in quelle teche, le tele e le scene di tempi antichi ricamate su di esse, il luogo stesso in cui la Villa si trovava.

Era come trovarsi in una specie di chiesa. Aveva avuto da subito quell’impressione ma non l’aveva palesata a nessuno. Né a Tamerlano, né a Cee Cee, per quanto entrambi, per motivi diversi, gli piacessero.

Voleva capire cosa accadeva, cosa stavano facendo quelle persone lì e neppure lui poteva dire esattamente il perché.

Lasciare l’ascensore privato sbloccato era stata una grave imprudenza. Nessuno si aspettava che venisse chiamato e che qualcuno potesse scendere. Nessuno, probabilmente, aveva capito che dopo aver sentito tutto dall’anticamera che separava la stanza dove si teneva la riunione dal corridoio, era tornato su mandando indietro l’ascensore semplicemente schiacciando il pulsante ed uscendo prima che le porte si chiudessero.

Il resto era stato frutto di una serie di incredibili disattenzioni da parte degli abitanti della casa che si erano preoccupati che estranei potessero accedervi con difficoltà dall’esterno ma non che chi vi si trovava potesse andarsene facilmente.

Nelle sue passeggiate intorno alla Villa aveva avuto modo di memorizzare i sentieri che s’inoltravano nel parchetto prospiciente e da lì era riuscito a ricavarsi una via di fuga.

Scese dal bus dopo aver preso il proprio zaino e aver lanciato un’ultima occhiata alla donna che, silenziosamente, era stata una sorta di compagnia per tutto il viaggio.

Gli occhi erano gonfi di sonno e insieme alle immagini di quella sera in cui aveva sentito nominare il nome di sua sorella.

Chi erano? Chi era veramente Azam? Era chiaro che lo tenesse d’occhio da tempo o meglio, che tenesse d’occhio Mary, prima che morisse. Perché? Era per caso coinvolto in qualche modo nella sua morte?

Sentì la rabbia montargli dentro al pensiero che in qualche modo potesse esserne stato responsabile. Se fosse stato così, Billy avrebbe vissuto sotto lo stesso tetto dell’assassino di sua sorella.

No, si disse con forza. Mary era morta in guerra. Era stato un ufficiale dell’esercito a dirglielo. C’erano stati i funerali di stato. La bandiera, i colpi a salve, la medaglia che gli avevano consegnato, la stessa che aveva portato via con sé da villa Athene e che in quegli anni era stato per lui il più prezioso dei tesori e al contempo l’oggetto più odiato. Era un ricordo di sua sorella, la testimonianza del suo eroismo ma era a causa di quell’eroismo che era morta e ogni volta che guardava la superfice metallica, provava un misto d’emozioni indistinguibili l’una dall’altra, tanto erano avvinghiate insieme a formare un groviglio indistricabile.

Si avviò verso il gruppo di edifici circondati da una rete metallica. All’ingresso c’erano due militari che facevano la guardia e, inciso su un portale, il motto “Fedeli e Costanti”.

Billy era giunto a Fort Hood, base del Quarto Fanteria.

 

Nella contea di Coryell c’era una parte della grande base di Fort Hood, quella dove la sorella era stata dislocata per un anno intero dalla fine del suo addestramento, prima di partire per la sua prima missione.

Non c’era molto da vedere. In realtà si trattava più che altro di una serie di uffici dove venivano sbrigate le faccende burocratiche inerenti le attività della Quarta Divisione di Fanteria Meccanizzata.

Ovviamente c’era una polveriera, un’armeria e alcuni veicoli blindati parcheggiati nel piazzale, contò otto Humvee e un paio di vecchi IFV che dei soldati stavano lucidando.

Uno dei soldati di guardia gli intimò l’alt.

Probabilmente al militare doveva sembrare strano pronunciare, in modo tanto perentorio, un ordine del genere ad un ragazzino ma i regolamenti sulla sicurezza non ammettevano regole.

Billy si fermò.

“Ragazzo, questa è zona militare. È vietato proseguire oltre. Disse in tono meccanico. Stai cercando qualcuno?” Aggiunse conciliante. Probabilmente, pensava, poteva essere il figlio o il fratello di qualcuno alla base, anche se l’ora per una visita era decisamente insolita, così come vedere qualcuno di così giovane avvicinarsi da solo alla base.

“Mia sorella era un Sotto-Tenente della 4° Divisione, Signore. È caduta in missione due anni fa e sono qui per parlare con i suoi superiori.”

Nel frattempo, dalla guardiola, era uscito un altro soldato che aveva ascoltato la seria risposta di Billy rimanendo colpito dalla solennità e dalla compostezza delle parole pronunciate.

“Come si chiamava tua sorella?” Domandò.

“Mary Batson, Signore.”

“Tu come ti chiami?”

“William, Signore.”

I due si scambiarono uno sguardo, per decidersi sul da farsi. Quello che doveva essere il più anziano per servizio e responsabile del turno gli fece cenno di aspettare e tornò in postazione dove prese il telefono e fece una chiamata interna. Rimase un paio di minuti all’apparecchio e quando terminò invitò Billy ad entrare.

Il ragazzo passò di fianco alla sbarra che limitava l’accesso ai veicoli, attraversando il passaggio pedonale e vide che gli veniva incontro un terzo uomo che, a differenza dei due che erano in mimetica, indossa l’uniforme di servizio.

Salutò marzialmente ed il saluto venne subito ricambiato.

“William Batson?”

“Sono io.”

“Sono il Caporale Stanford. Roger Stanford. Così sei il fratello di Mary Batson?”

“Si.”

“I tuoi parenti sanno che sei qui?”

“Sisgnorsi.”

“Nei sei sicuro?” L’uomo era dubbioso ma Billy aveva l’aria tranquilla e sicura.

“Mio Zio Dudley sa che sono qui. Può chiamarlo se vuole. Volevo parlare con le persone che hanno lavorato insieme a mia sorella perché desideravo capire delle cose.”

Stanford aggrottò un sopraciglio. Il ragazzino era sorprendente. Si esprimeva e comportava come un adulto.

“Che cosa?”

“Le dispiacerebbe? Sono faccende private.”

“Certo. Seguimi pure.”

Si allontanò con Billy non prima che quest ultimo avesse ringraziato le sentinelle per la loro disponibilità.

 

Venne fatto accomodare in sala d’attesa dove, a parte lui, c’erano altre due persone.

Un signore di mezz’età, dall’aria piuttosto distinta e composta ed un ragazzo, forse poco più che ventenne che invece aveva l’aria piuttosto trasandata e sciatta, la barba mal rasata, gli abiti sgualciti, la giacca di jeans indossata lisa sui gomiti e recante alcune macchie di sporco e vernice.

Billy sapeva che in quel momento, dentro l’ufficio del Capitano Burr stavano decidendo se riceverlo o meno o, peggio, se chiamare lo zio Dudley per aver conferma della versione della sua storia.

Avrebbero quasi certamente optato per quest’ultima opzione e lui sarebbe stato fregato.

Si disse che venire sin lì, era stata una mossa stupida ma con i pochi soldi che aveva, non poteva certo rimanere in fuga per sempre e presto o tardi, ne era certo, Azam l’avrebbe ritrovato.

Cosa gli sarebbe successo?

Nulla, non era un ragazzino particolarmente ansioso.

La sua adozione da parte di Azam era un atto ufficiale. C’erano testimoni, documenti, incontri periodici con gli assistenti sociali per verificare che stesse bene. Se mai l’imprenditore avesse cercato di farlo fuori, soldi o non soldi, avrebbe passato guai molto seri.

Sarebbe stato minacciato e rispedito in orfanotrofio. Era lo scenario più probabile ma al momento, comunque, desiderava godere ancora della libertà di movimento per tentare di risolvere quella storia.

Forse era poco educato ma doveva sapere cosa sarebbe successo di lì a poco.

Si avvicinò alla porta, ignorando i presenti e approfittando del fatto che il ragazzo che svolgeva mansioni di segretario si era allontanato un attimo per andare in bagno.

 

“Dico di chiamare subito lo zio del ragazzo.” Sentenziò il Capitano Jonhatan Burr.

“Concordo.” Dichiarò petulante un giovane Tenente deciso ad ingraziarsi a tutti i costi il superiore.

“Comunque dovremmo rispondere alle sue domande, sostenne il Caporale con cui Billy aveva parlato, anche se, come sospetto, fosse scappato di casa. Non si tratta né di una fuga adolescenziale, né di una brava da ragazzini. Non è andato a divertirsi con gli amici al lago o in città ma è venuto fin qui, dalla California al Texas, per porci delle domande sulla sorella.

Credo abbia diritto ad averle.”

Burr sembrò piuttosto seccato per quella risposta. “E cosa dovremmo dirgli? Tutto quello che doveva sapere gli è stato comunicato il giorno in cui l’ufficiale incaricato ha portato le notizie relative alla morte.”

“Un conto è un discorso preparato e fatto di frasi di circostanza, insistette, un conto è sentirsi dire la verità.”

“E quale verità dovremmo dirgli, è Caporale? Burr non nascose né il fastidio, né lo scherno in quelle parole, provocando l’ilarità del Tenente, ilarità che si smorzò subito quando quest ultimo s’avvide dell’occhiataccia di Stenford. I dettagli tecnici della missione? Cosa ne capirebbe. Ha dodici anni. Gli dovremmo dire che la sorella era un’eroina?”

“Forse. Forse gli dovremmo dire che ha fatto il suo dovere.”

“Gli è stato già detto.”

“Non da qualcuno che la conoscesse.”

“Lei la conosceva?”

“Signorsì e la ricordo bene.”

“Se è per questo la ricordo bene anch’io, un sorriso malizioso si dipinse sul suo volto, Mary Marvel la conoscevano in tanti qui dentro. Come crede abbia fatto carriera tanto in fretta? Alla Scuola Allievi Ufficiali non si entra tanto facilmente. Pare che si sia data da fare anche lì.”

“Con tutto il rispetto, Signore, gli costò fatica usare il titolo, queste sono voci infondate. La condotta del Sotto-Tenente Batson per quanto mi riguarda, era irreprensibile.”

“Solo perché con te non poteva ottenere quello che voleva ma se ti interessa saperlo, Caporale, riamarcò in modo particolare il grado per fargli pesare la superiorità gerarchica, è passata per questa scrivania, anzi, sotto!” I due ufficiali risero e non si resero conto dello sguardo di sorpresa costernazione di Stenford e solo quando lo notarono, si voltarono verso la porta.

Erano rimasti gelati dallo sguardo di Billy che se ne stava lì, sull’uscio, il volto privo di qualsiasi emozione e poi, con un sorriso amichevole, “forse mia sorella ha fatto davvero quello che lei dice. Però che lo abbia fatto con lei, è una spacconata bella e buona. Lo squadrò dalla testa ai piedi, come se fosse stato il soggetto di una crudela beffa e, con cattiveria: Uno sfigato come lei se la poteva solo sognare e grado o meno, non l’avrebbe sfiorata nemmeno con un dito. Grazie per avermi ricevuto.”

Mentre si allontanva sentì Burr uscire di corsa dall’ufficio, paonazzo in volto: “Come ti permetti di?...”

Fu bloccato da una presa al braccio e subito si ritrovò l’arto in chiave soprana. Emise un gridolino strozzato. “Mr., dopo la figura di merda che hai rimediato, io non aggiungerei anche quella di essermela presa con un ragazzino.” Era il giovane dall’aspetto malconcio della sala d’attesa ad aver parlato. Il Caporale venne subito fuori e tentò di calmare gli animi.

 

Billy aveva assistito alla scena quasi distrattamente e si diresse fuori, senza una meta precisa. Uscì dal posto di blocco da dove era entrato, salutando cortesemente gli stessi soldati di prima e camminò, come in trance, verso la fermata del bus, rendendosi conto solo allora che non era quella la sua vera meta. Non aveva una meta. Camminò fino a raggiungere un parco dove c’erano dei giochi per bambini. L’erba era stata falciata da poco ed era una giornata molto calda per essere Settembre.

Si sedette su di un altalena ed iniziò a dondolarsi, lo sguardo perso nel vuoto, l’angoscia che lo pervadeva.

 

 

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