Yuri N.A. Lucia
Presenta
Distolse subito lo sguardo dalla finestra, serrando
gli occhi, come se volesse cacciare lontano da sé una visione molesta.
“Ti prego,”
si rivolse alla giovinetta che da qualche tempo le faceva da ancella,” chiudila.”
La voce era grave, esitante, piegata da una profonda
tristezza che fece stringere il cuore della fanciulla.
“Si, mia Signora.” Nascondendo meglio che poté il
turbamento per la sofferenza dell’amata padrona.
Tirò la pelle di cinghiale che impediva al freddo notturno d’insinuarsi e attutiva le voci
provenienti da fuori.
Grida selvagge, piedi che pestavano a terra, mense
rovesciate per fare posto alla sfrenata orgia che si consumava sulla sommità
dell’Olimpo.
“Non sa più cosa sia la decenza.” Disse in un mormorio
la Regina degli dei.
“Mia Signora?” Ebe non era certa d’aver capito
quelle parole, anche se il senso non le sfuggiva.
La vita della Sovrana degli Olimpi era scandita dai
sacri riti a cui, in quanto consorte di Zeus, doveva presenziare. Non c’era giorno
in cui non si sacrificassero un cervo o un toro per inaugurare una nuova
battaglia o per propiziare l’esito d’una in corso da qualche parte in quel
mondo che Zeus pareva intenzionato a tenere saldamente tra le proprie mani.
“Forse ti sembrerà incredibile,” fece grave la dea,” ma
in alcuni momenti sembrava persino capace di gentilezza. Ho voluto pensare, a
lungo, che la sua brama, la ferocia di cui è capace, fossero solo le cicatrici
lasciate da un padre depravato e mostruoso quale era Crono. Che errore ho
commesso!” Si lasciò andare in una
risata, una risata di scherno verso sé stessa.” Ahimè! Delle volte la gioventù sa essere una così maldestra
consigliera!” Il suo sorriso si
raddolcì mentre i suoi occhi si posarono sulla ragazza che invitò a sedere al
suo fianco, sul talamo nuziale con un cenno a cui lei, dopo un istante
d’esitazione, obbedì.” Zeus, piccola
mia, è semplicemente figlio di Crono. Non serve dire altro e non saranno le sue
belle bugie, i suoi teatri, i banchetti, il vino che fa scorrere a fiumi a
nasconderlo. La fuori, gli Olimpi possono anche continuare ad illudersi,” il disprezzo espresso nelle parole
pronunciate fendette l’aria quasi fosse stata una spada brandita da un
guerriero,” e possono anche lasciare
i loro sensi smorzarsi sotto l’effetto delle misture e delle pozioni a cui
molti di loro sono divenuti dediti. Zeus, uccisore di Titani, è il figlio di
Crono. È uno di loro. Lo è sempre stato. Lo sarà sempre e, quando arriverà il
momento, quando tutti lo capiranno, avrà bruciato tutto quello che c’è intorno
a sé, così come fa la folgore che corre al suo comando.”
Carezzò la guancia di Ebe. Un gesto lento, tenero in
cui c’era un po’ di benevola invidia per quell’innocenza, per la freschezza di quel volto così pulito,
per quegli occhi limpidi come un cielo estivo. Sfiorò con indice e medio le
piccole e carnose labbra che s’atteggiarono in un sorriso confuso ed incerto.
Era incredibile pensare ch’ella fosse venuta dai lombi dello stesso dio di cui,
poco prima, stava deprecando la selvaggia natura.
La porta si spalancò sotto la spinta violenta di
colui il quale entrò barcollando nell’Augusta dimora della coppia reale.
Avanzò con passo incerto, l’otre che penzolava in
una mano, sgocciolando quanto rimaneva del contenuto in terra, la barba impiastricciata
da umori e cibo, gli occhi azzurri, dell’azzurro innaturale che si poteva
ammirare solo negli occhi di chi aveva sangue divino nelle vene.
L’ancella si strinse alla sua padrona, cercando
rifugio nel suo abbraccio, nascondendo il volto sulla sua spalla.
Lei, la Regina, invece non cercò riparo da quella
vista, non distolse lo sguardo, decisa a non mostrarsi debole.
“Eccola qui, la mia meravigliosa sposa.” Sorrise
Zeus. Il sorriso che un gatto, se ne fosse stato capace, avrebbe elargito al
topo poco prima di divorarlo. Sornione e cattivo al tempo stesso.
“Sei ubriaco e rechi teco l’odore del tuo scellerato
festino. Cosa vuoi? Perché sei qui?”
Lo rimproverò con gelido astio lei.”
Forse che le cosce delle tue devote puttane non ti bastano più?
O hai deciso che per stanotte hai tormentato a
sufficienza quel povero, sfortunato pastorello che copri da giorni e giorni.
Sei venuto qui, arrogante come sempre, per umiliarmi? Per farmi sentire la tua
superiore virilità?”
Zeus poggiò l’otre in terra, piegandosi leggermente
sulle ginocchia. Parve quasi non riuscire a drizzarsi ma contro ogni
previsione, s’erse, schiena dritta, mento alto.
Applaudì divertito: “Moglie mia! Adorata consorte!
L’eloquio non t’ha mai fatto difetto e forse questo è uno dei motivi per cui ti
scelsi. Tutte erano così condiscendenti con me! Tutte erano così ansiose di
compiacere il futuro Re del mondo. Tu sola, mia delizia, m’hai sempre tenuto
testa. Tu sola mi sfuggivi, divenendo altera come la lontana luna nei cieli
invernali.” Accennò ad un inchino, in
segno di verace ammirazione.” Eppure
solo tu, tra tutte, sai essere calda e ardente come e più del sole che nasce
dal lontano oriente.” Si toccò i genitali senza nessuna vergogna e non si
preoccupò di celare il turgore che cominciava a farsi evidente.
“Non osare!” Sibilò minacciosa lei.
“No? Perché? Che farai altrimenti?” La sfidò.
“Il potere in cui ti crogioli ti ha fatto dimentico
della realtà? Quando le sorti della tua guerra contro Crono erano incerte, chi
portò presso l’Ara Sacra gli alleati che t’assistettero nella battaglia
decisiva? Io. Chi trattò con loro, persuadendoli uno ad uno a prestarti la loro
forza? Io.
Chi consacrò la pietra su cui giuraste, uccidendo un
toro bianco proveniente dalle lontane isole dell’Egeo? Io! E quanti di quegli
uomini e donne che la fuori, adoranti, ti hanno poc’anzi giurato fedeltà,
dichiarandoti amore incondizionato, t’avevano invece abbandonato? Io li ho
richiamati a te! Io! E tu come mi ripagasti? Mi rinchiudesti in una gabbia
d’oro da cui guardare il mondo a cui hai dichiarato guerra, che stai piagando
con la tua folle bramosia. Mi hai reso lo zimbello di tutti gli dei, infilando
il tuo regale batacchio,” indicò la
poderosa erezione con un gesto stizzito,”
in ogni pertugio che trovi disponibile!”
“Lo sai perché l’ho fatto. Sai perché ti tengo qui.” Ruttò per liberare l’aria che s’era
accumulata ma non di certo per scherzarla o sminuirne le parole.” Ti proteggo dalla tua stessa,
straordinaria natura. Io e te siamo speciali, moglie. Pochissimi nella nostra
stirpe eletta sono stati ulteriormente benedetti come noi.”
“Ed è con questa scusa,” accusò lei,” che mi hai
separata da tutto e tutti e che mi tieni qui, non tua sposa ma prigioniera!
M’interpelli solo quando abbisogni dei miei talenti, altrimenti, per te sono
poco più d’un passatempo, una bestiola domestica da tormentare.”
Zeus s’avvicinò, facendo istintivamente ritrarre lei
che teneva stretta a sé la terrorizzata Ebe.
“Stai parlando troppo, donna.” Ammonì lui.
“Sono la tua prigioniera,” insistette invece quella,”
perché sono la custode dei tuoi più oscuri segreti.”
“Ora hai parlato troppo.”
Separò le due donne e le costrinse contro il
materasso imbottito di lana.
“Non farlo …” Singhiozzò lei. Non temeva quello che
le sarebbe successo di lì a poco. C’era abituata. Sapeva come cacciare via il
dolore e la paura. Ebe invece no. Era solo una ragazzina che ancora non aveva
conosciuto l’amore e la passione ed era spaventata a morte.
“Perché no? Perché non dovrei?”
“Perché ti imploro.”
Zeus, soddisfatto per quella vittoria, prese Ebe per
un braccio e la tirò a forza su.
“FILA VIA!” Le gridò e subito ella si diresse alla
porta ancora spalancata. Sostò, voltandosi, e con gli occhi chiese alla sua
padrona che cosa fare. Non desiderava lasciarla lì, sola.
La dea per tutta risposta le sorrise, cercando
d’apparire serena, e le disse, senza emettere un solo suono, “Vai”. Riluttante,
Ebe obbedì.
Zeus allargò le gambe di lei dopo aver scostato la
tunica che indossava. Osservò con desiderio le carni sode e la pelle levigata
della sua bellissima sposa.
La possedette per quello che rimaneva della notte,
mentre lei non pianse. Mai. Nemmeno quando, in preda ad un irrefrenabile
impulso, la ricoprì prima d’insulti e poi, mentre ghignava, la riempì di botte.
Nonostante tutto la Sovrana s’avvide che non erano
soli. Una figura stava all’uscio, fissando entrambi con odio bruciante.
Gli sguardi s’incrociarono e a lei parve di sentire:
“Te lo sei meritata”.
Serrò nuovamente gli occhi per cacciare via le
visioni e per darsi l’illusione di non esser veramente lì.
Il trio s’avvicinò all’uomo che osservava quello che
un tempo era stato un vigoroso e bell’olivo. Un tronco spezzato ed annerito era
tutto quello che ne rimaneva.
“Lo sapevate che questo fu piantato da mio padre?
Per celebrare la prima vittoria contro i Titani.” Fece mesto.
“Lo sappiamo.” Disse la donna che avanzava verso di
lui.
“Distrugge tutto. Lo fa senza quasi accorgersene. È
come il fuoco. Sembra così bello, luminoso e caldo, eppure alla minima
distrazione, divora rapido tutto quello che gli sta intorno.”
“Bentornato a casa, vecchio Sileno!” Fece allegro il
giovane magro, per smorzare la cupezza di quel momento.
“Grazie, mio buon Hermes.”
“Bentornato tra gli Olimpi!” Salutò la donna.
“Grazie a te, nobile Athena.”
“Sbrighiamoci! Non sappiamo quanto quel porco
rimarrà addormentato, stordito dal banchetto e dall’orgia.” Tuonò Ares.
Sileno sorrise. Il dio che guidava le cariche della
più potente armata di Zeus, non cambiava mai.
Ares gli ricordava pericolosamente il Sovrano degli
dei. Era folle e selvaggio quanto lui ma, a differenza di Zeus, Ares aveva
qualcosa che ne mitigava la natura distruttrice.
Athena toccò con gentilezza la spalla di Ares che
subito parve quietarsi.
I quattro iniziarono il loro colloquio privato,
lontani da occhi ed orecchie indiscrete:
“Qual è la situazione?” Chiese Sileno.
“Quella che lasciasti,” fece Ares,” solo più
grave, se possibile.”
“Siamo in guerra con tutto e tutti,” fece seria Athena,” ormai è impossibile trattare pace o anche solo tregue con gli
altri immortali e con gli eserciti a loro fedeli. Nessuno si fida più di Zeus.
Non dopo quello che ha fatto a Sisifo.”
“Ci sono troppi fronti,” si lamentò Ares,” il
campo di battaglia è il mondo intero! Ovunque avanziamo troviamo solo nemici
ostili.”
“Ovunque passiamo,” aggiunse Athena,”
lasciamo solo morte e distruzione.”
“Internamente,”
intervenne Hermes,” le cose non sono
migliori. La fedeltà dei mortali alla causa di Zeus è largamente dettata dalla
paura che nutrono nei suoi confronti ma i loro re sono stanchi di soddisfare le
sue crescenti richieste di uomini e materie prime, senza contare i sacrifici
imposti per il culto della sua persona. Non hanno ancora trovato la forza di
ribellarsi ma se un qualche nemico esterno dovesse far leva sul loro
malcontento offrendogli sostegno e protezione, ci ritroveremmo con un bel
problema nella nostra stessa casa.”
“Credevo che Ellenio gli fosse fedele.” Osservò
Sileno.
“Ellenio lo è. Non può però tenere a bada l’intera
terra che Zeus ha chiamato con il suo nome per celebrarne la lealtà: l’Ellade;
Il più valente generale dei mortali ha vita difficile di questi tempi e deve
fare i conti con lotte intestine e vecchie rivalità mai del tutto sopite.”
“Questo Impero,”
commentò con grande serietà Athena,”
ha confini assai mutevoli ed irregolari. Ogni giorno cambiano e pare quasi
d’assistere all’espansione incontrollata d’uno di quei cancri che tormentano le
carni dei mortali.”
Sileno assentì con gravità. Non s’era aspettato
certo parole diverse anche se l’udirle l’aveva ugualmente scosso. Guardò Ares
negli occhi e gli disse: “Rimani dello stesso avviso? Condividi ancora la
nostra causa?” Anche da lui s’era aspettato le parole udite ma mai che
sarebbero state pronunciate con tanta convinzione, senza neppure cercare lo
sguardo d’Athena.
“Si”.
“Devo sapere una cosa, Ares. Perché lo stai facendo?
Tutto sommato tu hai tutto quello che vuoi. Non hai mai aspirato al trono. Sei
un soldato nato e puoi combattere tutte le battaglie bramate dal tuo animo
inquieto. Puoi sfogare la tua forza mostruosa sul campo di battaglia, strage
dopo strage. Molti militari, ti adorano in segreto, un culto proibito di cui
Zeus sa ma che tollera, visto il tuo ruolo di Signore della Guerra. Allora
perché? Perché assecondi la nostra causa?”
Sileno sapeva che era stata Athena a convincerlo.
Era per lei, e solo per lei che si era, segretamente, rivoltato al Re degli
Olimpi. O almeno così pensava.
“Perché è giusto farlo. Perché c’è una differenza
tra il combattere una, dieci, cento persino mille battaglie e condurre una
campagna infinita, in cui non esistono più tregue, in cui non c’è più il
rispetto dell’onore, in cui soldati, vecchi, donne e bambini sono egualmente
vittime.
Ho sete di sangue, Sileno. Non di così tanto sangue
però.
Zeus è fuori controllo, persino più di me. Il mondo
non ne può più. I campi sono coperti d’erbacce e gli armenti muoiono nelle
stalle e nei recinti perché tutti gli uomini forti, anziché occuparsene, sono a
morire su di un fronte che cambia ogni giorno. Gli orfani aumentano e gli
indigenti sono divenuti una legione. No. Non posso essere complice di questo.”
Forse persino Athena era rimasta sorpresa da quelle
parole. Hermes lo aveva osservato come se non lo riconoscesse. Sileno sorrise
soddisfatto e gli dette una pacca sulla spalla.
“Sei un bravo ragazzo. Un macellaio sanguinario, si
ma in te c’è del buono.
Amici, fratelli, ormai il momento è quasi giunto. Il
piano sta per compiersi.”
“Andrà come tu hai stabilito?” Chiese Hermes.
“Mi stai chiedendo se usciranno ai dadi i numeri su
cui hai scommesso.”
“Se uso i miei dadi, so sempre che numeri
usciranno.” Sorrise malizioso il ragazzo.
“Diciamo che sto cercando di usare i miei allora.
Piuttosto dovremo essere pronti per il dopo. Se l’impresa riesce, non potremo
non fare i conti con quello che ci aspetterà.”
“Di quello, come d’accordo, me ne occuperò io.”
Rassicurò Athena.
“Molto bene. Allora, direi che per ora è tutto.
Rechiamoci in Olimpo, dove il Signore del Cielo e della Terra tra poco vorrà consultarci, per
avere il nostro cieco consenso ad uno dei suoi scellerati piani di conquista.”
Il quartetto s’incamminò per un sentiero che
arrivava fino ad un ingresso segreto, ai piedi dell’Olimpo, da dove avrebbero
salito la scalinata che portava alla Città degli dei.
Yuri
Lucia
Presenta:
3
I
Villa
Athene, California – 23 Settembre
Tamerlano Tiger fintò un paio di volte, cercando di
cogliere di sorpresa il ragazzo. Ci andò piano, non voleva esagerare. Notò con
piacere che quello tentava di non perdere d’occhio i movimenti fondamentali del
corpo, così come gli aveva insegnato, per non farsi distrarre e sorprendere
dall’avversario. Billy Batson aveva un buon colpo d’occhio, abituato ad avere a
che fare con i bulletti che, arrivato all’istituto dove aveva vissuto per due
anni, avevano cercato di metterlo sotto.
Era ancora malconcio per lo scontro al Centro
Commerciale, per cui sia Cee Cee che Beck s’erano presi una bella ramanzina da
Simon Azam. Simon non era in villa. C’era il collaudo con i militari quel
giorno.
Tamerlano aveva messo sotto Billy. Corsa, flessioni,
addominali e poi gli incontri in palestra.
Utilizzavano dei guanti tagliati, per insegnargli
anche le prese.
“Una buona presa, può mettere in difficoltà il tuo
avversario e se sei rapido, puoi causargli seri danni e tornare ad occuparti di
eventuali altri.”
Con un gancio lo mandò a terra ma Billy si rialzò
determinato a non cedere.
Cercò di andargli contro, di insinuarsi nella sua
guardia, portando dei veloci colpi al ventre.
Era bravo, non poteva negarlo. Aveva la giusta
grinta e non si lasciava abbattere.
Tamerlano gli sferrò un calcio alla spalla,
costringendolo nuovamente a terra.
“Pausa?” Gli chiese.
Billy s’alzò madido di sudore, il respiro pesante,
barcollando leggermente. Erano venti minuti buoni che lo teneva impegnato in
quel combattimento.
Tamerlano Tiger fissò con attenzione gli occhi di
Billy. Cercò, come se volesse con lo sguardo arrivargli sin nel più profondo
dell’anima. Era stato come una scintilla, meno di una frazione di secondo,
troppo poco per dire se fosse stata autentica o solo il frutto della sua
immaginazione.
“Continuiamo.” Chiese Billy con un sorriso
entusiasta sul volto.
Tiger assentì, anche se non completamente convinto.
“Come ti trovi qui in villa?” Incrociarono i pugni
un paio di volte. Teneva bene le guardie, anche se faticava. Non aveva ancora
l’allenamento necessario ma stava facendo ottimi progressi.
“Benone.” Annaspò un poco nel dare quella risposta e
subito tentò un affondo al plesso solare.
Cercava di raggiungere punti sensibili. Tiger se ne
compiacque.
“Tra due giorni inizierai la scuola.”
“Dove andrò?”
“Los Angeles.”
“Los Angeles?”
“Non ti piace?”
“La mia prima esperienza con la città non è stata
propriamente positive. S’indicò il livido sul volto.”
“La seconda potrebbe essere migliore.”
“Lo spero perché peggio di così c’è solo l’accoltellamento.”
Fece partire un veloce assalto, sfoggiando energie
di cui Tiger non aveva sospettato. Cercava di agire con astuzia, risparmiando
le forze e utilizzandole per attacchi veloci e mirati. Lo bloccò con un paio di
colpi alla testa protetta da un caschetto. I due cercarono di afferrarsi
vicendevolmente.
Billy tentò di portare delle ginocchiate ai fianchi
di Tamerlano così come questi lo aveva esortato precedentemente a fare. Finì
ancora una volta a terra.
“Vedrai che ti troverai bene e che dimenticherai
quella brutta vicenda.”
“Lo spero.”
I due proseguirono nell’allenamento per un altro
quarto d’ora buono.
Tamerlano sedette alla scrivania di Simon, lì
nell’ufficio dove più di una volta avevano discusso dell’adozione di Billy
Batson. “È troppo piccolo.” Aveva
obbiettato più d’una volta.
“Proprio perché è giovane lo possiamo modellare come
con la creta.” Si era sentito rispondere.
“Il discorso fila solo se gli dai il tempo di
maturare ma tu hai in mente tempi troppo brevi.”
“Ha del talento, ne sono sicuro.”
“Ne fai una questione di genetica.”
“Ho perso lei. Non lascerò sprecato il suo
potenziale.”
“Lo stai condannando.”
“E che dovrei fare?”
“Chiuderla qui. Forse dovremmo chiudere tutta questa
storia. Forse dovresti essere tu l’ultimo e, quando sarà il momento, deciderti
ad andare a quella maledetta clinica e piazzare un proiettile in testa a quel
…” avrebbe ricordato per tutta la vita quello sguardo. L’aveva fatto sentire
colpevole e sporco. Non avrebbe dovuto dirgli una cosa tanto crudele. Azam gli
disse solo:
“I tempi sono cambiati. Sta per succedere qualcosa.
Qualcosa che va oltre le nostre capacità di comprensione. Un’era folle quanto
quella in cui iniziò tutto questo sta per cominciare. Credi che tante
generazioni di uomini e donne votate al sacrificio siano state vane? Credi che
fossero mossi solo da vanità o desiderio? Io stesso, sono stato testimone di
accadimenti straordinari.
Potremmo far finire tutto, subito, ora. Potrei fare
quello che tu mi dici e poi, piazzarmi una pallottola qui, nella testa.” Si picchettò con l’indice la tempia.” E poi? Poi avremmo perso forse l’unica
cosa che potrebbe salvare l’umanità intera dalle tenebre.”
“Oppure affondarcela definitivamente.” Rispose lì,
nel presente, Tamerlano Tiger.
Guardò il telefono e pensò di chiamare Simon per
parlargli ma lui era impegnato con i test.
Si disse che forse s’era ingannato. Non aveva visto
davvero ciò che aveva creduto.
II
Deserto
della California, Sito A – 23 Settembre
Fece un cenno d’assenso a Sivana che rispose con un
ok.
“Guardi bene, Generale Stevens. Guardi il futuro.”
Avvertì Simon l’alto graduato che gli stava di fianco.
Taddheus sfiorò un tasto sulla plancia di controllo
lì, nella torre d’osservazione dove si trovavano.
L’apache cercò di inquadrare il bersaglio ma quello
si muoveva velocemente nella sua corsa a zig zag attraverso il deserto.
“Non riesco ad mettermelo nel mirino e anche il
computer fatica ad agganciarlo.”
Confermò il pilota via radio.” Si
muove ad una velocità approssimativa di cinquanta, sessanta chilometri orari ma
cambia continuamente direzione.”
Dumso bloccò la sua avanzata e, a sorpresa, spiccò
un possente balzo, appiattendosi prima a terra e poi dandosi slancio con ambo
le braccia mentre si proiettava verso l’alto, balzo la cui traiettoria fu rafforzata
dall’unità propulsiva montata sulla schiena. Una fiammata, quattro secondi
circa che aumentarono la sua accellerazione. Arrivò lì, attaccandosi al
parabrezza della cabina di pilotoggia. Aveva fatto in modo di non schiantarcisi
contro e le sue dita in fibra di carbonio gli garantivano una salda presa che
gli impediva di scivolare. Un piede sul cannoncino vulcan ed uno sul vetro era
lì, perfettamente immobile.
“Gesù santissimo!” Esclamò il fuciliere che era
seduto sul sedile posteriore. Il pilota non si fece prendere dal panico. Tentò
subito di compensare il peso in eccesso che si ritrovava l’elicottero. Era un
veterano ed era stato avvertito che quel mostro avrebbe tentato qualche trucco
folle. Non poteva crederci. I freddi occhi della macchina osservavano i due
umani all’interno. L’ordine era quello di raggiungere l’elicottero, non di
distruggerlo.
Quel veicolo apparteneva allo schieramento del robot
così come i due occupanti.
Non doveva danneggiarli.
Si staccò, lasciandosi cadere a terra, trenta metri
più in basso, ammortando la caduta grazie alle molle in acciaio contenute nei
piedi e riprese la sua corsa.
Alcuni caccia carri si erano messi alle sue costole,
correndo veloci sulle sei ruote motrici. Erano più veloci di lui ma quello
contava su una maggiore capacità di manovra. Tentarono di bersagliarlo con i
cannoncini mobili ma i proiettili lo mancavano sempre per un soffio.
Dumso usò il suo fucile mitragliatore per spaventare
gli inseguitori, ottenendo l’effetto aspettato.
Quelli ruppero la formazione e lui gli fu addosso in
breve. Toccò i due veicoli, un colpo leggero alle rispettive fiancate, senza
danneggiarli, e andò a fronteggiare l’ultimo ostacolo.
I droni erano stati armati con missili anti-blindato
e cannoncini vulcan.
Dumso offriva uno scarso bersaglio, difficile da
tenere sotto tiro. Quello era uno dei suoi elementi di forza. Uno. Il primo
drone l’abbatté sparandogli una raffica che colpì nelle zone meno corazzate.
Teneva fermo il fucile mitragliatore, utilizzandolo con una precisione
chirurgica che un umano non avrebbe potuto sfoggiare. Lasciò cadere in terra il
nastro vuoto e lo sostituì rapidissimo con uno che stava nello scomparto che
s’aprì all’altezza di quella che in un uomo sarebbe stata la spina iliaca.
Fece in modo che il secondo ed il terzo drone
s’abbattessero vicendevolmente, lasciandosi accerchiare. L’unità propulsiva lo
portò via alla velocità di quasi 120 chilometri orari proprio prima che i
missili s’abbattessero su di lui.
Volò, tornando lì da dove era venuto. Atterrò sul
tetto della torre e dopo aver aperto uno sportello scassinandolo con un
grimaldello contenuto nell’indice sinistro, si lasciò cadere al centro della
sala, dirigendosi verso Stevenson: “DA QUESTO MOMENTO LEI È SOTTO LA CUSTODIA DEL GOVERNO DEGLI
STATI UNITI D’AMERICA. NON TENTI NESSUNA REAZIONE OSTILE. NON TENTI LA FUGA.
EVENTUALI TENTATIVI DI SUICIDIO SARANNO SCORAGGIATI SUL NASCERE.”
Stevenson alzò le mani, in segno di resa, strappando
ai presenti delle sonore risate.
“Lei ed il suo Sivana siete dei maledetti geni,
Azam. Lo sa che sta per diventare ricco? Intendo più di quanto già non lo sia.”
Disse allegramente il Generale.
“Speravo di sentire questa notizia.” Simon fece
l’occhiolino a Sivana che sorrise compiaciuto.
AX-1, detto Dumso, non aveva certo un aspetto
pericoloso o tanto meno particolarmente inquietante. Non corrispondeva, con il
suo metro e settanta, all’immagine del robot killer tramandata dai film di
fantascienza e se non fosse stato per la livrea mimetica più che un’arma
dell’esercito sarebbe potuto passare per un qualche stravagante giocattolo in
esposizione in un centro commerciale durante le festività natalizie.
Quel genere d’attrazione piazzata all’ingresso per
attirare clienti, far parlare la stampa locale e divertire i bambini.
Dumso aveva linee arrotondate, morbide, per ridurre
l’attrito con l’aria specie in fase di volo, e mentre stava lì, in posizione di
riposo, braccia lungo i fianchi, ginocchia leggermente piegate, aveva un aria
vagamente comica con il volto inespressivo dai grandi occhi, il cui diaframma
era chiuso, e quelle strane gambe, simili a protesi cheetah.
La maschera facciale era provvista di una striscia
più scura che simulava una bocca stilizzata, costituita da una rivestimento a
micro celle attraverso cui passava la voce di dumso.
La testa era allungata, la forma ricordava quella
dei caschi usati nel ciclismo o nelle gare con il bob. Sulla schiena un
rigonfiamento, una protezione che poteva essere rimossa facilmente per
installare l’unità propulsiva che gli consentiva di volare con un’autonomia di
venti minuti, un vero record, ad un’altezza di 700 metri e ad una velocità di
massima di 250 chilometri orari.
Le mani erano forse la cosa più notevole ed
impressionante del robot: sembravano quasi del tutto umane, anche se erano
fatte di fibra di carbonio e titanio; con quelle mani dumso poteva accendere un
fiammifero, adoperare un cacciavite, chattare se fosse stato programmato per
farlo, o sparare con il suo fucile-mitragliatore Combat A1, ideato per lui,
un’arma che combinava tecnologia classica ed una nuova versione di quella ad
impulsi che era allo studio, capace di forare senza problemi la blindatura di
un Abraham e che avrebbe staccato, per via del contraccolpo, il braccio
dall’articolazione della spalla anche ad un culturista.
Stevens guardò ammirato Dumso, che se ne stava lì,
come in attesa di ricevere un ordine da eseguire.
“Le dispiace se fumo?” Chiese con il tono arrochito
dal tempo e dalle sigarette.
“No, faccia pure.” Concesse amichevolmente Simon
Azam.
“Meno male. Per un attimo,” confessò allegramente,”
ho pensato potesse essere uno di quegli esaltati salutisti che hanno preso il
controllo del mondo. Ne vuole una?”
Offrì porgendo un elegante porta-sigarette in argento, un oggetto di squisita
fattura che Azam apprezzò e da cui, dopo aver accettato ringraziando, trasse
una sigaretta.” Aspetti, gliela
accendo io.”
Il Generale aveva modi affabili ed era una persona
gioviale, in contrasto con l’aria burbera che i pesanti, ad antiquati, mustacci
che sfoggiava, unitamente alla corporatura massiccia, gli conferivano.
Entrambi, trassero una boccata di fumo che riversarono in una sottile colonnina
che salì verso l’alto, verso l’impianto di areazione, lì nell’ufficio privato
di Simon Azam nell’Istallazione nota come sito A, la base dove per due anni si
era lavorato alla realizzazione del robot, testandone le capacità e
perfezionandolo.
“Allora? Che mi dice Generale? È soddisfatto del
nostro campione?” Indicò con il capo AX-1
“Soddisfattissimo. Il suo Sivana gongolava con un
bambino.”
“Non posso dargli torto. È merito suo se AX-1 è una
realtà e non solo un mero progetto su carta.”
“Cosa ne è stato della proposta del nome Mr.
Atomic?”
“Ringraziando il cielo ho convinto Thaddeus ad
accantonarla! Ha un pessimo gusto in fatto di marketing ma è un uomo
intelligente e ragionevole. Mi è un po’ dispiaciuto perché si meritava di poter
dare il nome che preferiva alla sua creatura ma Mr. Atomic mi è sembrato
davvero troppo difficile da far digerire all’opinione pubblica.”
“Che tra poco verrà a conoscenza di AX, visto che
presto ci sarà la presentazione ufficiale.”
“Abbiamo già in mente una data?” Azam si grattò con
il pollice il naso, la sigaretta tra indice ed anulare.
“Un mese a partire da oggi. A Washington scalpitano,
Azam. Il Governo in carica è andato su promettendo il ritiro dalle zone calde.
Promesse da marinaio. Siamo ancora lì ed il numero di morti è aumentato.
Succede così quando si gestiscono in maniera dilettantesca le cose serie. Non
bastano gli slogan o i sorrisi vincenti. Il Presidente probabilmente non verrà
rieletto ma potrebbe salvare il partito da una bella batosta se mandassimo il
ragazzo qui a combattere in medi oriente al posto dei nostri soldati. Lo
sappiamo che non potremo rimpiazzare completamente l’uomo e che ci vorrà del
tempo per avere una presenza massiccia di dumso sul campo di battaglia ma è un
inizio. Per loro è tutta pubblicità.”
“Detto tra noi, Generale, lei mi è sempre sembrato
diverso dagli altri militari con cui ho trattato. Vuole bere qualcosa? Ho dei
liquori per le grandi occasioni o per quando voglio dimenticare qualche guaio.”
Stevens sorrise sornione, annuendo con il capo. Azam
trasse dalla spartana scrivania che aveva fatto portare lì due anni prima una
bottiglia di scotch ed un paio di bicchieri. Ne teneva sempre uno in più per un
eventuale ospite. Riempì generosamente entrambi i bicchieri e ne porse uno
all’Ufficiale che lo alzò in segno di brindisi.
“Ad AX-1.”
Esclamò. Fece tintinnare il bicchiere contro quello di Simon e poi ingollò un
po’ della bevanda, assaporandola con piacere.” Sono diverso, Signor Azam, perché a differenza di alcuni miei
colleghi, sul campo di battaglia ci sono stato e perché, sostanzialmente, non
ho ambizioni politiche. Delle volte non capisco nemmeno come ci sono arrivato
al grado di cui godo attualmente. Non ci crederà ma non ho mai leccato il culo
a nessuno per ottenerlo.”
“Le credo.” Simon lo scrutò. Era un uomo sincero,
questo gli diceva la sua esperienza.
“Vuole sapere che cosa penso? La verità?”
“Diciamo che sono curioso.”
“Se fosse per me, riporterei subito a casa tutti i
nostri ragazzi. A chi abbiamo fatto guerra? A gente che non ha nulla, Azam.
Gente che vive nella polvere e tra la sabbia da generazioni, che in mezzo a
quella polvere e sabbia riesce a sopravvivere con un goccio d’acqua scovato
chissà sotto quale sasso. Non sono come noi. Non come me e lei. Non sono come
gli occidentali. Il loro mondo è completamente diverso. Parlarci, dialogarci è
una stronzata da radical chic, si dice così credo, da quattro soldi. Non c’è
dialogo. Non c’è possibilità di ragionarci. Se gli dai un fucile in mano, anche
quegli scarti che hanno loro, diventano invincibili a casa loro. Tu gli corri a
presso per prenderli a schiaffi ma quando sei entrato nel loro territorio, sei
tu a prenderli gli schiaffi. Pensi solo a quello che gli afghani hanno fatto
passare ai russi. Santo Cielo! I russi non erano certo gente che scherzava e
non ci sono andati leggeri con quelli lì! Eppure non sono riusciti mai a
piegarli. Che possibilità abbiamo noi che siamo legati da vincoli politici ed
esigenze di comportamenti politcamente corretti? Zero. Non vinceremo mai. Non
Afghanistan. Non in nessuno di quei fottuti scatoloni pieni di nulla che
chiamano medioriente. Sa qual è l’unico modo di ottenere una vittoria? Lo sa?”
Azam vide che il suo volto s’era indurito. Lo
sguardo s’era fatto cupo e triste.
“No. Mi dica Generale.”
“Dovremmo gasarli tutti. Dal primo all’ultimo.
Vecchi, donne e bambini. Soprattutto i bambini perché crescendo poi cercherebbero
la vendetta. Non lo abbiamo fatto in Vietnam con i charlie e non lo faremo
nemmeno qui.” Si versò altro liquore.” Dumso non ci farà mai vincere questa
guerra impossibile, perché non siamo disposti a fare tutto quel che dovremmo.
Loro sono disposti a morire, dal primo all’ultimo. Noi non abbiamo il coraggio
di convivere con il peso dell’unica scelta tatticamente giusta. Quello che farà
Dumso sarà continuare a combattere una serie di battaglie che si risolveranno
come la proverbiale battaglia di Pirro. Catturerà per noi qualche capo
terrorista, tamponerà qualche iniziativa ostile qui e là e basta. Quello che mi
interessa, che mi interessa veramente, è che potrò mandarlo a combattere al
posto dei miei ragazzi. Posso chiedere loro di morire per una ragione ma per
una guerra persa in partenza no. Non me ne frega un accidenti se sarà un costo
addizionale sul groppone dei contribuenti. Sono stanco di contare il numero dei
morti sui bollettini. Se cento di questi cosi potesse salvare anche solo uno
dei miei, non ci penserei su due volte a rapinare personalmente una banca per
procurarle i soldi necessari a costruirli.” Ingollò altro scotch.
“Ha mai esternato le sue perplessità ai piani alti?”
Chiese Azam.
“Un Generale, Azam, non deve mai avere perplessità,
a meno che non voglia un pensionamento anticipato e se andassi in pensione,
tremo all’idea di chi potrebbero mettere al mio posto.
Sa che cosa rende gli USA una nazione?”
“La bandiera, la Costituzione e la torta di mele?”
Stevens rise di gusto battendosi il ginocchio con la
mano.
“Non ci avevo mai pensato alla torta di mele, sa?” Agitò l’indice verso Azam, quasi a
dirgli vecchio briccone, la sai lunga.
Prese un altro sorso.” Forse la torta
di mele sarebbe la risposta giusta ma non era quella che avevo in mente. La
bandiera? È un pezzo di stoffa. Colorato, bello e ci associamo tante belle idee
quando lo vediamo. La Costituzione? Ci sarebbe molto da discutere.
Quando un manipolo di Stati pensò che fosse stata
disattesa cercò la via dell’indipendenza.
Se lo ricorda vero?”
“Mi pare che si sia chiamata Guerra Civile la
parentesi storica che sta citando.”
“Si. La storia gli ha dato torto, facendoli passare
dalla parte dell’errore ma se ci si riflette a mente serena, non avevano forse
ragione? Non erano forse state tradite le premesse della Costituzione con il
rafforzamento progressivo dello Stato Centrale e la prevaricazione della
autorità locali? Unica ed indivisibile sotto Dio ma ogni Stato, ogni singolo
Stato doveva essere libero nelle sue decisioni locali. Non è stata una
questione di pro o contro lo schiavismo. Molti sudisti in realtà erano
anti-schiavisti ma era una questione di principio. Il principio della libertà.
Il mio bisnonno, era un colonnello della cavalleria confederata. Non lo dica a
nessuno però!”
Risero entrambi. “Manterrò il segreto.” Promise
Azam.
“No, mio caro. Né la costituzione, né la bandiera ci
rendono una nazione. Chi vive in Florida, non si sente un cittadino degli USA,
tranne quando deve mostrare il passaporto da qualche parte. Così come chi vive
a New York City o a Los Angeles non sente certo di appartenere a chissà quale
superiore realtà nazionale. Azam, ci sono contee, città a statuto speciale,
regioni dove chi ci vive non si cura troppo dei propri vicini. I telefilm e le
sit-com ci fanno vedere gente che si sposta da uno stato all’altro come se
nulla fosse, che va a vivere di continuo in altre città dal capo opposto del
territorio rispetto a dove vive ma è fasullo. Si, ci sono le persone che si
spostano è vero ma quante sono rispetto a chi, da generazioni, vive nello
stesso luogo senza essersi spostato mai se non di pochi chilometri? Sa cosa
ricucì lo strappo tra gli Stati Uniti e quelli Confederati? L’Esercito
nordista. Riconquistò il sud, lo occupò militarmente e si curò che s’insediassero
governi fantoccio. Ed eccoci qui, un'unica Nazione. È la forza che tiene
insieme gli USA, Azam. È l’Esercito, oggi come allora. È la necessità di avere
una difesa comune. Perciò di nuovo a Dumso!”
Alzò il bicchiere verso la macchina.”
Che ci porta in una nuova era. Un’era in cui forse qualche bravo figlio o padre
di famiglia, o figlia e madre di famiglia, sarà risparmiato dal dover compiere
l’estremo sacrificio.”
Simon Azam brindò con Stevens e gli parve di capire
solo allora quanto grande dovesse essere il peso che quell’uomo si portava di
continuo sul cuore e che teneva nascosto dietro i suoi modi bonari a tutto il
mondo.
III
JFK School, Los Angeles,
California. – 26 Settembre
“Siete impazziti!” Gli aveva detto Billy quando
Tamerlano Tiger gli disse il nome della scuola. In realtà gli ci vollero dieci
minuti per ricordarsi dove l’aveva già sentita nominare e quando l’associò al
pazzo che l’aveva aggredito al centro commerciale ebbe un sussulto.
“Mi dispiace ma la scuola era stata già stata
scelta. Non avevamo idea che fosse frequentata dal tipo che ti ha dato un
pugno. Ascolta, è un istituto grande, ci sono sia medie che superiori e
sicuramente non lo incontrerai più. Se dovesse succedere, parleremo subito con
chi di dovere.”
Tarmerlano, per la prima volta, sembrava a disagio
mentre parlava con Billy.
“Certo! Dopo che mi avrà di nuovo spaccato la
faccia!” Protestò mentre s’indicava il labbro tumefatto.
Non c’era stato verso di convincerli a fargli
cambiare scuola. “Hai perso sin troppi giorni”, era stata la giustificazione
che telefonicamente gli aveva dato Azam. Non lo vedeva da una settimana,
impegnato a condurre affari con il Governo.
Respirò profondamente, cercando di mantenere la
calma. Camminò lungo i corridoi, guardandosi a destra e a sinistra. Era stato
colto del tutto impreparato al loro primo incontro e non voleva ripetere
l’esperienza. Certo, si disse, data la differenza di stazza tra di loro anche
se gli avesse mandato una e-mail per avvertirlo, avrebbe difficilmente potuto sostenere
il confronto. Sarebbe finito a terra lo stesso ma forse, si disse, sarebbe
stato meno traumatico. Non era la prima volta che veniva malmenato ma forse
quella era stata la peggiore batosta mai subita.
Entrò in classe, salutando i presenti che lo accolsero
con indifferenza. C’era abituato. Alla scuola dell’istitituto era stato lo
stesso il primo giorno, tranne per il fatto che l’indifferenza s’era
protatratta con gelida ostinazione per tutti e due gli anni di permanenza.
L’insegnante di Storia fu invece gentile. Era un
uomo di bell’aspetto, vestito in modo sportivo, sulla quarantina. Lo invitò a
prendere posto ed iniziò la lezione, l’argomento era la Rivoluzione Industriale
in Gran Bretagna. Il tono era piacevole e sapeva rendere l’argomento interessante,
sebbene Billy non ne sapesse praticamente nulla.
Il primo impatto era andato bene. Doveva trasferirsi
di classe per seguire economia domestica.
“Hey! Tu!”
Provò un brivido alla schiena ma trovò la forza di
girarsi ostentando una certa sicurezza.
La finta bionda del centro commerciale stava lì,
libri e quaderno legati insieme da un elastico color verde acqua marina,
stretti al petto, lo sguardo fisso su di lui.
“Hey, tu.” Salutò lui. Si chiese se non potesse
sembrare un tentativo di scimmiottarla. Decise che non aveva importanza.
“Che ci fai qui?” Chiese lei.
“Sembra che ci debba studiare, fino a quando il tuo
ragazzo non deciderà di ammazzarmi. Perché anche lui frequenta qui, vero?”
“Vero ma sei fortunato. Sta al penultimo anno e
frequenta le lezioni che si tengono nell’altra ala della scuola.”
“Sono nato con la camicia allora.” Fece sarcastico.
“Oddio! Si vede ancora!” Disse lei guardando il
segno sul labbro.
“Hai visto? Mi ha lasciato una bella firma.” Billy
non poté non far trapelare un po’ di risentimento.
“Senti, è vero che nel negozio mi sono comportata da
stronza,” l’ammissione era franca,
cosa che lasciò Billy sorpreso,” ma
stavo solo giocando! Gesù, lo faccio spesso! Mi diverto a fare l’acida con la
gente! È un modo divertirsi idiota, lo so ma è solo un gioco! Capisci? Quelle
stronze delle mie ex amiche hanno detto a Kyle che uno ci aveva provato con me!
Non ti avrei mai mandato dietro quello stronzo, credimi! Hanno pensato che
fosse divertente farlo ingelosire!”
“Kyle? Si chiama Kyle l’armadio che mi ha pestato?”
“Si.” Fece lei vergognandosi al pensiero di quello
che era successo. Non sembrava più la ragazza spavalda del negozio.
“Kyle ha vinto qualcuna delle partite che mi parlavi
contro le scuole di Berkleey?”
“Si.” Abbozzò un mezzo sorriso che le diede, per
qualche istante, l’aria di una gioconda liceale.
“Hai detto ex amiche.”
“Non potevo sopportare di continuare ad uscire con
delle bastarde del genere.”
“Non hai detto ex ragazzo.”
“I nostri rapporti si sono freddati ma…” Si bloccò.
Si chiese come mai stesse dicendo qualcosa di tanto personale a quello
sconosciuto. Era combattuta. Da una parte era come se fosse in credito nei suoi
confronti.
“Non ti preoccupare,” concesse Billy con un sorriso,”
mi va bene così. Non sono fatti miei.”
“Scusami.”
“Scuse accettate.”
“Mi chiamo Mary. Mary Bromfield.”
Billy s’irrigidì un attimo.” Tutto
bene?”
“Si. Tutto ok. Ti dispiace? Ho lezione tra
pochissimo e non vorrei fare tardi.”
“D’accordo. Volevo solo sapere se…”
“Siamo pari.” La rassicurò lui prima di voltarsi ed
andarsene.
Camminò lungo il corridoio, il cuore che gli batteva
all’impazzata.
Sentire quel nome gli aveva fatto ripensare a sua
sorella. Una cicatrice che pensava fosse chiusa aveva ripreso a sanguinare e
provò una fitta di dolore che percorse la sua anima.
Si sentì stupido per aver provato paura. Paura di
essere nuovamente picchiato da Kyle.
“Che cazzo di nome di merda.” Ringhiò tra i denti.
Kyle si piegò per bere alla fontanella, lì nel
cortiletto dietro la scuola dove andava tutti i giorni a passare un po’ di
tempo durante la ricreazione.
Prima ci andava con Mary ma da quando avevano
litigato le cose tra loro si erano raffreddate parecchio.
“Sei una merda! ERA LA METÀ DI QUANTO SEI TU E NON
CI HAI PENSATO DUE VOLTE A DARGLI QUEL PUGNO!”
Quelle parole gli risuonarono dentro la testa più e
più volte. Aveva ragione. Non c’era ragione di fare quello che aveva fatto. Si
era comportato da vera carogna e da vigliacco. Prendersela con qualcuno di
indifeso non era da lui. Poteva magari fare il gradasso con qualche nerd o
qualcuno delle medie ma non era mai arrivato a tanto. Avrebbe potuto ammazzarlo
e tutto perché non sapeva controllare la sua gelosia. Si disse che, se avesse
potuto, gli sarebbe piaciuto fare le proprie scuse a quel tipo.
La maglietta gli calò sulla testa subito dopo che il
violento calcio alla piega del ginocchio lo fece finire a faccia in avanti,
contro la fontanella da cui stava bevendo.
Sentì chiaramente un paio di denti spaccarsi, anche
se non avrebbe saputo dire quali.
Qualcuno gli saltò di peso sulla schiena, facendogli
sbattere la fronte contro la pietra.
Il sangue s’insinuò tra il tessuto che tirato lo
avvolgeva impedendogli di vedere, scivolando lungo il volto.
Sentì una scarica di pugni contro le spalle, la
schiena, un calcio sferrato contro le reni ed uno al fegato.
Quando finì a terra sentì a malapena i colpi alle
gambe.
Quando lo trovarono in cortile sanguinante e pesto
quasi non si accorse delle grida.
Quando lo portarono via in ambulanza gli venne
persino da ridere perché non gli sembrava possibile che stesse accadendo
davvero.
IV
Los
Angeles – 24 Settembre.
Adam osservò con indifferenza Black Adam camminare a
quattro zampe mentre Mr Alvin gli chiedeva ancora una volta di imitare un cane
da riporto. Alvin applaudì divertito e compiaciuto per essere riuscito ad
inculcare nella sua vittima un terrore così profondo da spingerlo ad
accontentarlo anche nelle più assurde ed umilianti richieste.
Era un sadico, indubbiamente, un sadico psicopatico
ma lucido nella sua follia e nel suo delirio di onnipotenza. Non una persona di
cui fidarsi mai completamente ma un potente alleato, per via delle sue
capacità, in una lotta per riconquistare il potere. Adam si versò un po’ di
vino e dopo averlo fatto rimescolare nel bicchiere, osservandone i cerchi lo
bevve pentendosi di non aver mai fatto un corso da somelier o qualcosa del
genere. Il vino gli piaceva molto e coltivare l’arte del saperlo riconoscere
era un piccolo sogno coltivato lungamente nel segreto della sua mente. Un sogno
che era stato sacrificato al potere. Uno dei tanti.
“Balck Adam, vieni a me.” Il grosso nero rimase
fermo a carponi, indeciso su cosa fare. Alvin lo spaventava ma l’uomo chiamato
Adam lo spaventava ancora di più. Era gelido come il ghiaccio ed aveva lo
sguardo di chi non fa distinzione tra vita e morte, come se fossero state
un’unica inscindibile cosa. Alvin rise perché indovinò il conflitto interiore
di quello e, per non fare un torto ad Adam, gli fece un cenno d’assenso con il
capo, sollevandolo dalla necessità di non contrariare nessuno dei due. Si alzò
un po’ a fatica, le ginocchie dolenti e s’avvio verso Adam che occupava una
delle poltrone del suo salotto. Era come se fosse un trono perché quell’uomo
possedeva un’innata regalità, come se il comando fosse suo per diritto di
nascita.
Adam lo invitò a sedersi vicino, su una poltrona
identica alla sua e Black Adam si sbrigò a rispondere al gesto.
“Cosa posso fare per te?” Chiese ansioso. Finché gli
era utile, lo aveva capito, sarebbe rimasto vivo. Dopo avrebbe fatto la fine di
tutti gli altri. La strage nei suoi studi di registrazione non era bastata.
L’avevano costretto ad attirare in quella che era divenuta la sua fortezza
altri suoi amici che erano stati sottoposti ad angherie e torture di ogni tipo.
Gli avevano dato un messaggio e volevano sincerarsi che avesse capito bene.
Black Adama si era fatto obbediente e mansueto, eseguendo tutti i compiti che
gli erano stati assegnati. Aveva trattato con i trafficanti di coca così come
gli era stato chiesto accettando di piazzare una grossa partita a Los Angeles
in pochi giorni. I proventi sarebbero serviti per quella che entrambi i suoi
carcerieri definivano enigmaticamente il quarto passo. Quali fossero i primi
tre e quanti ne sarebbero seguiti poi non osava nemmeno immaginarlo.
“Ho visto qualcosa di sorprendente, ieri.”
Black Adam corrugò la fronte a quell’affermazione.
“E che cos’era?” Una domanda stupida, forse troppo. L’avrebbe maldisposto e
quello si sarebbe sfogato malmenandolo. Adam invece rimase calmo, persino
imperturbabile, come un sereno corso d’acqua che attraversava una silenziosa
vallata.
“Ho visto un eco. Un riflesso di me stesso la dove
non credevo ne avrei visto. Ho compiuto un azzardo, ieri. Mr. Alvin non era
d’accordo ma lui sa che sono un tipo a cui piace rischiare. Dovevo sapere.
Dovevo vedere e capire. Ho visto me stesso, diversi anni prima. Avevo delle
idee, prima di vederlo, un piano ben preciso ma ora sto riconsiderando le mie
priorità.” Black Adam non seguiva
quel discorso che gli suonava nebuloso e criptico. Alvin ascoltava, braccia
conserte, un sorriso furbetto sul volto.”
Voglio dire, il potere, quello famoso di cui abbiamo parlato, quello con la P
maiuscola, è ancora l’obbiettivo ma, mi chiedo, una volta che l’avrò ottenuto?
Un uomo non ha comunque bisogno di una compagnia?” Nella sua voce metallica, Black Adam avrebbe giurato di cogliere
qualcosa di simile ad amara tristezza o al rimpianto.” Cos’è l’eternità se non la puoi dividere con un tuo simile? Non
lo pensi anche tu?”
“Si.” Di nuovo temette di non aver dato la risposta
giusta.
“Puoi andare. Vai a riposarti, domani sarà una
giornata dura.” Lo congedò con un gesto della mano e quello ne approfittò
subito per poter lasciare la stanza. Sapeva che tentare la fuga era impossibile
se non da folli ma almeno, in camera sua, avrebbe avuto il conforto del sonno.
Lo sguardo di Adam pungolò Mr.Alvin come la punta
d’un affilato coltello e quest’ultimo, a disagio, si voltò verso di lui facendo
spallucce. “Che ho fatto?” Chiese con l’aria di chi non si rende conto d’averla
combinata grossa.
“Ricordi cosa mi hai risposto quando ti ho chiesto
perché non potevi mantenere a lungo quello,”
riferendosi a Black Adam,” sotto il
tuo controllo?” Il tono era pacato, misurato in contrasto con l’espressione
fosca sul volto.
“Certo che me lo ricordo.” Non era però convinto che
fosse quella la risposta giusta.
“Puoi ripetermelo?” La voce metallica risuonò con il
suo monotono riverbero nella stanza.
“Perché le menti”
ripeté diligentemente, mani dietro la schiena, come un bimbo che si esibiva
in una recita scolastica,” tendono a reagire male quando eserciti
un’influenza su di loro, soprattutto se tocchi le loro strutture fondamentali e
nel tipo di controllo che opero, si toccano soprattutto quelle strutture, motivo
per cui a differenza della comune suggestione ipnotica posso far, fare alle
persone tutto quello che voglio, compreso uccidere o uccidersi. Ogni volta che
manipolo una mente, però corro il rischio di cambiarla, magari
impercettibilmente, e questo potrebbe compromettere alcune delle sue funzioni,
capacità o ricordi. Più lunga e profonda è la manipolazione, più grande è il
rischio.” Si chiese se Adam fosse soddisfatto. Quello accennò un si
d’approvazione con la testa.
“Dunque se avessi tenuto al guinzaglio Black Adam
per tutto il tempo, l’avresti ridotto ad una specie di ritardato, giusto?”
“Giusto.”
“E mi hai detto che controllare una mente
danneggiata diventa difficile. Com’era il paragone che mi hai portato?”
“Come guidare una macchina senza servo-sterzo, con i
freni mezzi rotti, le gomme usurate ed il motore ingolfato. Puoi essere un
pilota di formula uno ma non puoi certo far miracoli.”
“L’atteggiamento del manipolato si fa rigido,
artificiale, e anche fargli pronunciare semplici parole diviene un’impresa.”
“Proprio così.”
“Abbiamo così deciso, di comune accordo, di non
lasciare Black Adam sotto il tuo controllo troppo a lungo, perché ci serviva
che sembrasse il più naturale possibile o quando meno che non apparisse come
una marionetta agli occhi delle persone con cui tratta affari, per non
insospettirle.”
“Eh, si.”
“E quindi gli facciamo delle pressioni, lo
spaventiamo, gli ammazziamo sotto gli occhi qualcuno dei suoi amici e soci ed
il gioco è fatto. La paura può tenerla sotto controllo con altra paura,
corretto? Mentre se fosse cerebroleso sarebbe un problema usarlo.”
“Verissimo.”
“Allora non eccedere.”
“In che senso?”
“Ti piace torturarlo. Ti piace umiliarlo. Ti piace
fargli sentire che puoi, in ogni momento, fargli fare la fine del topo con il gatto.
Se eccedi otterrai il risultato di farlo crollare e allora sarà comunque
difficile da governare.” Era un avvertimento. Cortese, ragionevole ed
opportuno.
E se Mr. Alvin l’avesse disatteso avrebbe dovuto
guardarsi dal suo alleato più di quanto già non facesse.
Doveva ammettere che Adam lo intimoriva. Era molto
tempo che aveva smesso di sentirsi impaurito dal prossimo ma quell’uomo era
un’eccezione.
Era pericoloso. Molto pericoloso e se davvero avesse
ottenuto il potere di cui gli aveva parlato, sarebbe divenuto l’uomo più
pericoloso mai vissuto.
Tuttavia c’era un motivo per cui, quando capì chi
era e con chi aveva a che fare, non l’aveva costretto a finire il lavoro
avevano iniziato anni prima costringendolo ad aprirsi da solo la gola.
Adam lo affascinava. Era un uomo di parola e sapeva
cosa fare. La sua intelligenza era vivace e brillante e lui lo sapeva, perché
aveva carezzato quella mente. Nessun timore, rimorso, nessun dubbio. Tutti
avevano dubbi, anche l’uomo più sicuro di sé, persino lui che poteva
controllare le menti aveva dei dubbi. Non Adam. Mai.
Il mondo ai suoi occhi era un ribollente e caotico
mare a cui solo la forza e la determinazione di un uomo pronto a tutto poteva
portare ordine e pace.
Aveva intravisto, tra i meandri delle sue sinapsi,
un Nuovo Ordine, fatto di equità e giustizia, dove il forte occupava il posto
di comando e chi non era degno, semplicemente, veniva eliminato.
Si chiese se in quel mondo ci sarebbe stato un posto
per lui e Adam gli aveva promesso di si.
Adam non aveva mentito quel giorno. La sua parola
era una e sacra.
Sospirò e, chinando leggermente il capo: “Hai
ragione. Mi sono fatto prendere la mano. Non succederà più.” Poche sintetiche
parole. Era questo il modo di esprimersi che compiaceva Adam. Odiava a morte
chi si prostrava, producendosi in pianti ed invocazioni di perdono.
“Molto bene,”
concluse l’argomento e la questione,”
ora dobbiamo prepararci per l’incontro tra due giorni. Dovresti cambiare nome.”
“Mr. Alvin non va bene?”
“Il tuo piccolo scherzo andava bene per Black Adam
ed i suoi tirapiedi. Il nome è una cosa seria e quando ci sarà bisogno di fare
sul serio, ne abbisognerai di uno consono a quello che sei.”
“Mr. però lo terrò. Mi piace.”
“Molto bene. Allora mantienilo e dagli un
completamento.”
“Ci proverò.”
V
Villa
Athene, California – 26 Settembre.
Simon Azam indicò a Billy, entrato con Tamerlano
Tiger e l’uomo chiamato Beck alla sua destra e alla sua sinistra, una sedia
dello studio sulla quale il ragazzo, cercando di apparire sicuro di sé
s’accomodo. S’era sentito quasi un prigioniero in marcia sul miglio verde
quando erano venuti a prenderlo nella sua stanza, dove, dal tardo pomeriggio,
gli era stato di rimanere. Nessuna spiegazione. Lui non ne chiese. Tamerlano
alzò un sopraciglio guardando Azam che per tutta risposta lo congedò.
C’erano diversi oggetti che sembravano provenienti
da un museo in quello studio. Piatti ed anfore decorate, tele di lino dipinte
con scene di lotta, guerra e caccia conservate in teche di cristallo, mezzi
busti e piccole statuette votive di bronzo poste su mensole di legno o pietra,
levigate dal tempo e dalle intemperie. Billy non era un esperto ma sembravano
tutte greche o comunque provenienti dall’area del Mediterraneo. Le coste dei
libri ordinati nelle librerie riportavano titoli in oro, argento o neretto
quali: “Diritto romano, i grandi generali greci, le campagne del medi oriente,
la Persia e l’Occidente”, e via dicendo.
“Non ti porrò la domanda una seconda volta.” Disse secco Azam, facendo passare
qualche secondo prima di aggiungere.”
Saprò subito se mi hai mentito quindi non farlo ed evita di prendermi in giro.” Scavò dentro Billy con quello sguardo
in cui c’era qualcosa di fiero e crudele al tempo stesso, qualcosa che mise a
disagio il ragazzino tuttavia intenzionato a non mostrarsi debole o impaurito.” Kyle, il ragazzo che ti ha aggredito
nel centro commerciale e che frequenta la tua scuola, lo hai malmenato tu?”
“Mi stai facendo un processo?” Rispose serio.
“Ti rendi conto di cosa hai fatto?”
“Voglio tornarmene in istituto.”
“Non hai ben chiaro cosa sta succedendo. Kyle
Sommerset è in ospedale, ricoverato con gravi levisioni, sottoposto ad un
intervento d’urgenza, con danni probabilmente permanenti alle articolazioni
delle gambe. Tu non torni in istituto, Billy. Per te c’è il riformatorio.”
Billy Batson rimase impassibile: “Non mi pare di
aver detto di essere stato io. Non sapevo nemmeno che fosse in ospedale. Ho
saputo dell’aggressione a scuola, come tutti quanti gli altri, dopo che
l’ambulanza se ne era andata.”
“I giochetti con me non funzionano. Non sono un
poliziotto, non sono un avvocato, non sono un giudice. Non devo essere né
giusto, né imparziale. Non ho bisogno di prove ed indizi. Billy, l’ho visto
sulla tua faccia che sei stato tu.”
“Solo perché mi ha aggredito non significa che sia
stato io…” Disse in un sussurro.
“Perché non mi hai detto subito la verità?”
“Questo è una specie di gioco per te?” La voce
tremò.
“Un ragazzo ridotto in fin di vita non è un gioco.”
“Mi hai messo nella sua stessa scuola. Lo sapevi.
Perché?”
“Non è questo il punto.”
“Nemmeno ti prendi la briga di negare. Mi fai
addestrare da Tamerlano a fare a pugni e mi metti nella scuola dove già sapevi
avrei trovato la persona che mi ha quasi ammazzato qualche giorno fa. Cos’era?
Un qualche perverso test? Ed ora mi accusi, dicendomi che non hai bisogno di
prove, di aver fatto questo? Mi minacci di mandarmi in riformatorio? Credi che
mi metterò ad urlare o a piangere? Credi che ti implorerò di non farlo o mi
metterò in ginocchio per convincerti che non sono stato io? Se dubiti di me,
della mia parola, non me ne importa niente. Mandami pure in galera se vuoi.
Avanti. Non ho paura di te. Non ho paura di niente.”
Simon Azam era rimasto stupito. Billy aveva detto la
verità. Non aveva paura.
“Ora torna in camera, Billy. Domani parleremo
ancora.”
Il ragazzo non disse nulla. Si alzò e se andò via,
lasciando Azam a riflettere sulle scelte operate di recente.
L’eterogeneo gruppo arrivò verso le 11 di sera,
ognuno con la propria auto, guidata personalmente o da un autista. Le macchine
vennero parcheggiate nel grande piazzale davanti Villa Athene ed il quintetto
entrò nella grande sala al di là della portale di legno dai pannelli lavorati a
mano.
Tamerlano Tiger, insieme a Cee Cee e Beck diede loro
il benvenuto, invitandoli pure a dare ai suoi assistenti i loro soprabiti. La
silenziosa processione lo seguì lungo le scale che portavano al piano superiore
e di lì all’ala orientale dove stava lo studio privato di Azam che, nel vederli
entrare, si alzò in piedi, portando il suo saluto ad ognuno di loro con
l’antico gesto che, da generazioni, simboleggiava amicizia e fratellanza.
Afferrò, con la mano destra il braccio che gli veniva offerto, lasciando a sua
volta che l’altro stringesse il suo. Poche parole, convenevoli ridotti al
minimo. Prese la chiave dal cassetto della sua scrivania e dopo aver aperto una
sezione del muro premendo un contatto mimetizzato da decorazione, sbloccò
l’ascensore che li condusse tutti nel seminterrato, dove percorsero un corridoio
che, attraverso quello che pareva un pronaos dava alla camera semi-circolare
ove ognuno prese posto.
Trovandosi vicino al mare, per evitare
infiltrazioni, Azam aveva fatto spendere una fortuna per isolare adeguatamente
l’ambiente così come per il sistema di condizionamento che lo rendeva
confortevole.
L’ambiente, era spoglio e disadorno, fatta eccezione
per lo stemma alle spalle del leggio dove
Simon prese posto. Era triangolare, bianco, il palmo aperto d’una mano
circondata da una corona d’alloro come simbolo.
“Mi dispiace aver convocato d’urgenza l’Augusta
Assemblea qui nell’Odeon.”
Gli auditori erano seduti su panche di legno,
disposte intorno al leggio come a rappresentare una mano stilizzata. Il più
anziano tra di essi, una donna i cui lineamenti testimoniavano la sua bellezza
d’un tempo, prese la parola: “L’Assemblea corre se il Cerimoniere chiama.” Era una frase rituale, pronunciata in
occasioni come quelle.” Posso, temo
di immaginare il motivo per cui ci hai chiesto, con così breve preavviso, di venire
qui.” C’era del rimprovero in quelle parole. Azam lo sapeva. Era il modo della
donna di dirgli “ te l’avevo detto.” Non poté far altro che incassare, chinando
lievemente il capo come a rispondergli “lo so”.
“Onorata Sorella, purtroppo i tuoi timori potrebbero
trovare fondamento ed è perché il cuore mio è gonfio di dubbio che vi ho
chiesto di accorrere qui. Solo voi potete darmi il consiglio di cui bisogno in
questo momento.”
“Momento che,”
a prendere la parola era stato il più giovane del gruppo, a cui la donna a cui
poco prima s’era rivolto Azam, scoccò un’occhiata di eloquente fastidio per il
modo in cui, senza rispettare la tradizione, era intervenuto,” abbiamo già vissuto, se non erro o
meglio, che visse il mio predecessore e di cui voi mi metteste a conoscenza. In
quell’occasione il mondo visse forse la sua ora più buia e allora, come oggi, è
stato un errore di valutazione tuo, Cerimoniere, a portarlo sull’orlo
dell’abisso.” Parole dure, spietate, che esprimevano il disprezzo che il
giovane uomo aveva da sempre nutrito nei confronti di Simon Azam, disprezzo
noto a tutti i presenti ma che fino a quel momento era stato mitigato dalla
necessità e dal contegno richiesto dal ruolo.
Simon ingoiò la rabbia che per un attimo lo
percorse. “Non nego l’addebito di quanto accaduto in passato. Mi lasciai
guidare troppo dai sentimenti al punto che non riuscii a vedere la verità
finché non fu dolorosamente manifesta,”
ammise,” per poter fare alfine quello
che era il mio dovere, a dispetto di quegli stessi sentimenti che m’avevano
indotto nell’errore.” Ricordò.” Ho commesso uno sbaglio di valutazione
ma dettato dalla necessità di trovare chi potesse farsi carico del fardello,
perché il tempo in cui il mito irromperà nuovamente nelle vite dei mortali
forse è giunto e perché, ricordo, l’Assemblea allora votò favorevolmente alla
mia proposta.”
“Con riserva.” Puntualizzò l’uomo.
“Ma pur sempre favorevolmente. La candidata morì,
gettando nel caos i nostri piani, e sapevamo che mantenere ancora in vita il
vecchio candidato era pericoloso.”
“Candidato che,”
fece il giovane che si era ormai apertamente schierato contro il Cerimoniere,” è fuggito. Se non sbaglio avevamo già
convocato un’Assemblea d’emergenza proprio per questo motivo.” Tentò di dare un tono canzonatorio
alle parole pronunciate, per porre in ridicolo Azam agli occhi degli altri ma
quelli mantennero un atteggiamento composto e apparentemente neutrale, cosa che
lo infastidì.” A tutt’oggi non
sappiamo dove sia.”
“I miei uomini sono impegnati in una ricerca
ventiquattro ore su ventiquattro.”
“Infruttuosa. Non sappiamo neppure chi lo abbia
favorito nella sua fuga.”
“Lo troveremo.”
“Così come non ci saremmo pentiti della decisione di
nominare il ragazzino tuo erede? Quali erano le argomentazioni che portasti?
Ah, si! Ecco: essendo il fratello della precedente candidata è adatto.”
Stavolta la sua affermazione ottenne un effetto sui presenti i cui volti furono
attraversati da sentimenti contrastanti, anche se solo per un istante che però
non gli sfuggì e che non sfuggì nemmeno ad Azam che replicò: “ Sei ingiusto,
Onorato Fratello. Citi le mie parole svincolate dal contesto e soprattutto in
modo parziale. Portai anche, se ricordi, diversi episodi che i miei
investigatori hanno documentato di cui William Batson è stato protagonista,
prova della solidità del coraggio e della perseveranza di cui è capace.”
“Però siamo qui. Il che significa un fallimento in
una delle prove.”
“Si.” Ammise non senza fatica Simon.
“E quale prova avrebbe fallito?” Chiese la donna che
per prima, tra i cinque, aveva parlato ad Azam, ristabilendo così l’ordine e provocando una fitta d’insofferenza
nell’uomo che avrebbe voluto continuare nella sua accusa contro il Cerimoniere.
“La prova del controllo. Ha ceduto alle proprie
passioni e al desiderio di vendetta.”
“Vista la sua giovane età, è comprensibile.”
“Onorati Fratelli, prendo la parola.” A parlare era stato un signore
imbolsito e dall’aria assonnata, le cui incipienti calvizie erano evidenti
nonostante la pettinatura e messe ancora più in risalto dalla forma della
testa. Era vestito in modo casual, nonostante lo avesse si fosse presentato in
villa con tanto di autista in livrea e segretaria al seguito, entrambi rimasti
in auto ad aspettarlo rispettosamente. Anche i baffi che portava da anni
contribuivano ad accentuare una sorta di intrinseca comicità che quella figura
emanava. La sua voce però era bassa e calda, vibrante, leggermente arrochita
dal fumo e dalla passione per i buoni liquori, stranamente bella e
affascinante, come quella di certi cantanti popolari negli anni ruggenti.” Vorrei sottolineare che, prima di
tutto non siamo qui per intentare un processo contro il Cerimoniere.” L’affermazione mise in manifesto
malumore il giovane e gli tagliò qualsiasi possibilità di riprendere la sua
mascherata invettiva contro Azam. La donna anziana parve invece soddisfatta di
quell’intervento ed indirizzò all’uomo un piccolo gesto d’assenso.” Ci sono, è vero, attualmente due
problemi, tenendo conto di quello i cui particolari dobbiamo conoscere e
quello, invece, i cui particolari ci sono ben chiari. Su quest’ultimo dirò solo
che confido che il Cerimoniere agisca per il meglio con la lealtà alla causa
che ha dimostrato a suo tempo di avere. Ora sarei curioso di sapere, però, il
motivo per cui siamo qui. Voglia il Cerimoniere avere la compiacenza di
spiegarcelo e, Onorati Fratelli, invito voi tutti a non interromperlo.” Detto questo
invitò Azam a proseguire e questi, grato per quelle parole, lo accontentò,
spiegando loro nei dettagli cosa era successo.
Una donna d’aspetto piuttosto ordinario, d’un’età
indefinita, tra i trenta ed i quarantanni, dopo aver chiesto la parola, espresse
la sua opionione al termine del racconto di Azam: “Dovevi aspettarti, oh
stimato Cerimoniere, che il ragazzo avrebbe potuto fallire nelle prove. Lo hai
preso in un momento critico della sua vita: non è stato preparato sin dal che
era un bambino, come prescriverebbe la tradizione, o tanto meno è un adulto
formato, come lo era la sorella; cosa vuoi che sappia della differenza tra bene
e male? Non puoi pretendere che si comporti come il campione che dovrebbe
essere, senza insegnargli. Lo hai buttato nella fosse dei leoni aspettandoti
cosa? Che avrebbe trionfato? Il suo fallimento era annunciato, Cerimoniere. Ora
hai solo due scelte. Una è tornare indietro sui tuoi passi e riportarlo
all’istituto dove lo hai preso. L’altra è quella di continuare il suo addestramento,
sincerandoti che di questo sbaglio faccia tesoro ed esperienza. Tu vedi questo
accadimento, con giusta preoccupazione ma corri il rischio di perdere di vista
una cosa importante. Quando accadde il disastro, l’allora candidato non aveva
mai dato un segno di cedimento ai propri istinti così evidente e nessuno
avrebbe mai potuto crederlo capace delle malvagità di cui si macchiò. Hai visto
il bene, nel ragazzo e quel bene è ancora lì ma ora sai anche di cosa è capace
se privo di una guida.”
Simon Azam riflettè su quelle parole.
“Onorata Sorella, parli con saggezza, come sempre.
Bene, allora con la benedizione di questa Augusta Assemblea io …”
VI
Jack
of Spade Hotel, Berklee, California – 29 Settembre.
Simon Azam riattaccò al telefono e si lasciò cadere
a sedere sul letto.
“I militari sono ansiosi di organizzare nei dettagli
la presentazione ufficiale di Dumso.” Disse stancamente. Si massaggiò una
tempia.
Tamerlano Tiger si accomodò su di una poltrona
antistante. “ Dovresti dedicarti a loro, altrimenti potresti scontentare i tuoi
clienti e non è il caso, proprio ora che stai per raggiungere il compimento del
piano che hai perseguito per tanti anni.”
Simon rise tristemente. “Per tanti anni. Forse tanti
anni sprecati, vista la sequela impressionante di fallimenti che ho
collezionato.”
“Non essere troppo severo con te stesso.”
“No? Del ragazzo non c’è traccia. Lo stiamo cercando
da giorni ma lui sembra sparito nel niente.”
C’era un’allarmata preoccupazione nella sua voce.
“È intelligente, sa che saremmo andati a guardare
nei posti che hanno a che fare con lui ed il suo passato. Prima o poi però ci
passerà. Abbiamo fatto mettere della sorveglianza ed è stata una buona mossa.”
“E lui è ancora là,” con il braccio descrisse un arco,” in qualche posto, magari gli è successo qualcosa, ha incontrato
qualcuno.”
“Billy non è così stupido.”
“Il mondo è abbastanza feroce da mangiarsi anche un
ragazzo sveglio come lui.”
“Non è successo.” Insistette Tamerlano.
“Lo dice il tuo sesto senso?” Rispose stizzito Azam.
“Lo dice la speranza.”
“E se lo avesse trovato lui?”
“Pensi che sappia della sua esistenza?”
“Certo. Perché sarebbe scappato proprio ora? Se lo
ha fatto era sicuramente in grado di farlo già da un po’ di tempo ma non ha mai
fatto le sue mosse a caso. Cosa è cambiato ora rispetto a solo pochi mesi fa?
Billy Batson. Sa che c’è un nuovo candidato e che se lo avessi battezzato la
sua vita sarebbe finita.” Gli tremolò leggermente la voce nel dire l’ultima parola.
“Lo avresti fatto?”
“Si.”
“Anche se nel farlo ti saresti praticamente
strappato il cuore da solo?”
“Si.” Ripeté con ferma convinzione Simon Azam.
“Concordo. Ne sei di certo capace.”
“Il problema ora rimane trovare Billy e assicurarci
che stia bene.”
“Che farai dopo?”
“Dopo averlo trovato?”
“Dopo averlo trovato.”
“Che dovrei fare secondo te? Riportarlo
all’istituto?”
“Non lo faresti mai.”
“Cosa te lo fa credere?”
“Se sospetti che lui sappia della sua esistenza, lo
condanneresti a morte riportandolo in istituto. Lui non lo mollerebbe mai, non
lascerebbe mai in vita un potenziale altro candidato e lo ammazzerebbe alla
prima occasione.”
“Perché è fuggito?”
“Un quasi tredicenne che si da alla fuga? Più che
altro, tenendo conto della testa che un ragazzo ha a quell’età, c’è da
chiedersi perché non l’abbia fatto prima.”
“Ci è scappato da sotto il naso.”
“Non ce lo aspettavamo.”
“Avremmo dovuto.”
“Dovresti farti una dormita. Sono tre giorni che non
chiudi praticamente occhio.”
“Me lo merito.” Simon Azam si alzò e andò alla
finestra. Guardò fuori chiedendosi dove fosse e soprattutto con chi fosse Billy
Batson, il ragazzo designato a divenire il suo successore.
Continua.