Yuri N.A. Lucia
Presenta
“Chi è il vostro Re? Il vostro amato Sovrano? Il
Signore del Cielo e della Terra?”
“ZEUS! ZEUS! ZEUS!” Gridò all’unisono il pubblico
accorso ad ascoltare il discorso che dal suo trono, stava tenendo il dio
padrone del mondo conosciuto.
Questi si eresse, in tutta la sua imponente statura,
gonfiò il petto, battendolo con il pugno destro all’altezza del cuore,
facendolo risuonare quasi fosse un tamburo.
“Chi ha dunque sconfitto i vecchi dei? Chi ha
relegato i Titani tra le ombre?”
“ZEUS! ZEUS! ZEUS!” Acclamò la folla, accalorata
dall’arringa e dal vino.
“Non erano forse dei selvaggi? Non erano essi feroci
e spietati? Non tormentavano questo mondo come un’orrida, infetta piaga,
flagellandolo per pura crudeltà? Non vivevano essi nell’empietà? Non mangiavano
forse la propria progenie per l’insana brama che li animava?
Cronos stesso, mio padre, non sbranò i suoi propri
figli, i miei fratelli, poco dopo che Gea li aveva partoriti? Non era l’avidità
di potere e la profezia che uno tra essi un giorno l’avrebbe spodestato ad
alimentare quest’immonda pratica? Quanti tra voi ricordano quei giorni bui e
senza speranza? Io ricordo la sua bocca aprirsi,” mise in mostra la sua chiostra perfettamente formata, sporcata
dai grappoli d’uva poco prima addentati,”
e chiudersi di scatto sulle tenere carni non ancora completamente formate dei
neonati e poi strappare con forza,”
serrò i pugni e mimò un gesto, estendendo le braccia poderose, come se tirasse
qualcosa d’elastico,” i muscoli e le
arterie dalle morbide ossa! Ricordo il sangue sulla sua barba e sulle labbra
sorridenti, il suo sguardo idiota e compiaciuto per l’infame pasto! IO RICORDO!” Allargò le braccia rivolgendo i palmi
al cielo, il corpo nudo eccezion fatta per un paio di sandali legati ai
possenti polpacci, il torace imponente e arrossato per la foga del momento. I
suoi sudditi mandarono gridolini d’assenso e d’ammirazione.” Non fui io stesso quasi vittima di quel folle?” Lesto assunse un tono dismesso, mentre
indicava sé stesso con fare volutamente infantile, strappando qualche risata ai
suoi auditori che subito, al suo sguardo severo, si ricomposero tentando,
nonostante i fumi dell’alcool di assumere un atteggiamento consono al tono
drammatico del racconto.” Non stavo
io stesso diventando l’ennesima, innocente vittima? Quanti ne ha mangiati?
Quanti del frutto dei suoi lombi sono finiti nei suoi sozzi visceri? Quanti tra
i figli avuti dalle mogli e i bastardi generati con le sue puttane? Invece mi
salvai. Mi salvai per uno stratagemma della mia amata madre,” girò il capo, un espressione di
solenne raccoglimento, cercando ed ottenendo la commozione dei presenti,
scendendo con studiata lentezza i gradini ai piedi dell’alto scranno di pietra
su cui era solito sedere,” una
stratagemma che costò a Gea, signora tra le titane, orribili sofferenze.
Abusata dai servi del marito, dagli sciacalli che venivano dalle terre a
meridione che tanto amava tenere presso la sua casa, DA CHIUNQUE VOLESSE
TOGLIERSI IL CAPRICCIO DI VIOLENTARE UNA TITANA!” Il tono della voce crebbe fino ad ammutolire gli altri,
sprofondando quell’assemblea in un irreale silenzio che Zeus nutrì ad arte con
una lunga pausa.” Non fui cresciuto
io in una spelonca, allattato da una capra e protetto da mortali fedeli alla
mia augusta madre? Non crebbi sottoponendomi alle più dolorose atrocità pur di
essere un giorno pronto ad affrontare il Signore dei Titani e compiere così il
mio destino?! Non feci dunque questo!?!”
“SI!!!” La risposta arrivò senza esitazione.
“E LO FECI! SI! Affrontai Cronos e ancora ricordo il
volto di quel vecchio, bastardo! C’era la più assoluta sorpresa perché era
convinto che i suoi scagnozzi, anni addietro, fossero riusciti ad uccidermi
prima che potessi crescere e divenire un dio a tutti gli effetti! Era lì,
intento a mangiare, insieme a due delle sue mogli, l’ultimo tra i suoi
sfortunati figli. Le due baldracche si contendevano, come le peggiori e più
selvagge delle fiere, quanto rimaneva di quel corpicino straziato mentre lui se
ne stava lì, compiaciuto, a godere di quel disgustoso spettacolo, con un dito,
un minuscolo, fragile dito, che spuntava da quella bocca atteggiata in quel
perverso, odioso SORRISO!” Agitò il
pugno in aria, lì, in mezzo a loro che lo fissavano con sentimenti contrastanti.
Rispetto. Timore. Invidia. Desiderio.”
IO SMORZAI QUEL SORRISO PER SEMPRE! Oh, non fu facile! No, no amici miei, amati
fratelli. Non fu facile.” Scosse la
testa, il capo chino, l’espressione grave, le mani dietro la schiena.” Lo costrinsi alla ritirata, con le mie
sole forze ma lui si riorganizzò, chiamando all’adunata i suoi fratelli,
corrotti e depravati quanto lui e le loro rispettive mogli e tutti quelli che,
stoltamente, s’erano legati a lui in un’infausta alleanza: deformi, mostri,
assassini, barbari! Se aveste visto quale convegno radunò ai piedi della sua
nera fortezza sull’Otri. Se aveste sentito le imprecazioni! Le minacce! I volti
sfigurati dalla demenza, dall’odio cieco, dalla lussuria, dal male assoluto! Ed
io forse m’arresi? Forse fui tentato, anche solo per un attimo, di fuggire
innanzi a quell’esercito di orrori?!”
“NO!” Nessuno pensò il contrario, nemmeno per un
istante.
“Non lo feci!” Ribadì lui.
“Non lo hai fatto!” Gli gridò ammirata una
giovinetta.
“No, non lo feci!” Confermò compiaciuto.
“Non lo avresti mai fatto!” Gli disse un giovane
guerriero agitando il pugno.
“No, mai!” Guardandolo fisso negli occhi.
“Non fuggiresti mai, mio Signore!” Urlò tra lacrime
di commozione una delle sue serve preferite.
“No.”
Disse quasi in un sospiro, mani ai fianchi, l’immagine vivente del virile
coraggio.” Mai.” Il capo eretto, lo sguardo che vagò brevemente lungo la volta
celeste, il mento prominente messo in risalto dalla sua barba, i folti riccioli
trattenuti alla fronte da una fascia di stoffa tinta di blu.” Non lo farei mai e non lo feci allora.
Chiamai a raccolta tutti quanti gli oppressi, chi aveva patito per mano di quei
vecchi, rozzi, selvaggi dei. Chi aspirava ad una vita diversa. Chi desiderava
con tutto sé stesso un mondo governato dalla giustizia e non dalla follia.
Chiamai a raccolta chi condivideva il mio sangue e desiderava un nuovo ordine,
un Cosmos in terra che sostituisse il Caos portato dai prepotenti Titani! Oh,
che giorno glorioso! Quale suprema, meravigliosa forza si compattò sotto il mio
comando e quale battaglia, degna d’essere narrata per tutti i giorni che il
Mondo vivrà, combattemmo in Tessaglia. Le fertili vallate furono arrossate dal
sangue dei mortali e degli dei stessi che li comandavano!” Una luce ferina brillò per un istante nei suoi occhi di ghiaccio,
inequivocabile prova del suo retaggio, una luce che qualcuno vide ma a cui non
osò far seguire commento alcuno, una luce che fu subito stemperata dal
compiacimento.” Io stesso calcai
l’immenso campo di battaglia! Io stesso affrontai il mio genitore e quel
giorno, a sue spese, scoprì che il figlio possedeva virtù sconosciute agli altri
dei! Perché io solo, figlio di Cronos, posso comandare alla Natura figlia del Fato!
Io solo posso evocare la CELESTE FOLGORE C’OGNI NEMICO SBARAGLIA! IO! ZEUS” Il tuono annunciò il lampo che aprì in
modo spettacolare la strada al fulmine e giù, nella valle ai piedi del monte
dove si trovavano, un ulivo venne incenerito dalla veemente potenza evocata dal
dio. Un suo gesto. L’indice puntato in segno di implacabile condanna e il cielo
s’era animato nel tempo di un respiro per rovesciare sulla terra la propria
furia e quanto rimaneva di quella dimostrazione di potere era una colonna di
fumo e fiamme che si levava da braci ardenti.” Questa fu la sorte dei nemici del Signore degli dei, uccisore di
titani.”
Tutti assentirono, adoranti, spaventati.
“E dopo che ebbi liberato il mondo, non fui io equo
nel riconoscere agli alleati giusta ricompensa?”
“SI! LO FOSTI SIRE!” Gli fece eco un veterano di
quei giorni.
“Non distribuì tra tutti i tesori che quei porci
tenevano per sé?”
“Sei magnifico e generoso, mio Signore!” Non vide
chi l’aveva lusingato, anche se gli parve di riconoscere uno dei suoi guerrieri
più valenti.
“Portai la pace su queste terre. Persino i poveri
mortali beneficiarono della mia bontà e della mia generosità. Detti loro il
permesso di possedere bestie da pascere, da mungere, da macellare e terre da
coltivare. Non l’ho fatto? Non ho detto loro di essere felici? Non sono stato
come un padre di famiglia persino per loro?
E cosa ha fatto il vostro Re per i suoi simili? Cosa ha fatto per tutti gli
dei che hanno ripudiato i titani combattendo dalla parte giusta? Li ho
dimenticati? Ho forse mancato nei loro confronti?”
“NO! ZEUS!”
“Non ho eretto su questo Sacro Monte, sede della
prima adunata divina, la nostra casa, lo splendido Olimpo?!”
“Lo hai fatto!”
“Si! L’ho fatto! L’ho costruita intorno alla Sacra
Ara “ indicò il tempio eretto intorno
alla grande pietra usata come altare in quei giorni di lotta,” dove giurammo tutti di abbattere gli
odiosi nemici, a qualsiasi costo, e dove i miei amati guerrieri e fratelli
giurarono fedeltà a me. E non è qui che
governiamo, dei giusti e generosi, questo mondo? Non è dunque questa la vera
Età dell’Oro?”
“VIVA ZEUS! VIVA L’ETÀ DELL’ORO CHE HA PORTATO AL
MONDO!” L’olimpico che aveva preso parola, minuto e dai neri capelli, parve voler arringare i
presenti, sbracciandosi e gridando e gli altri risposero con mugolii di gioioso
assenso.
“E cosa chiede il vostro Sovrano? Cosa chiede il
vostro Re? Null’altro che amore e lealtà.
Amore e Lealtà! Questo chiedo!”
“E NOI TE LI DAREMO, SEMPRE!”
“Allora dunque, miei amati olimpi! Chi è il vostro
Re?! CHI AMATE AL DI SOPRA D’OGNI ALTRA COSA?!”
“ZEUS! ZEUS! ZEUS!”
Il Signore dei Fulmini era soddisfatto. “Allora,
fratelli e sorelle! Amati sudditi! Godete della mia generosità!” Ad un suo
gesto, una schiera di giovinetti rimasti fino a quel momento in disparte,
avanzò, guidato da Ganimede, tra di essi il favorito di Zeus. Ganimede non
guardò nessuno dei presenti, il capo basso quando gli si rivolgevano, così come
aveva insegnati agli altri di cui era stato nominato responsabile. Il vino
contenuto nelle otri trasportate sulle spalle ancora immature vene mesciuto nei
crateri che gli dei porgevano, desiderosi di inebriarsi ancora di più.
Zeus staccò con una lama un pezzo di cervo arrostito
poco prima e ne assaporò le fibrose carni.
“FESTEGGIAMO!” Incitò e in risposta ricevette
un’ovazione a cui seguirono danze sfrenate al suono delle siringhe di altri
pastorelli sottratti alle famiglie.
Ganimede si ritrovò improvvisamente di fronte il suo
padrone che gli sorrideva con voglia e fu costretto ad elargire un sorriso per
non mal disporlo. Intorno a loro intanto, i presenti cominciavano a cercarsi,
toccandosi, sfiorandosi, baciandosi.
Poco distante, nei pressi del tempio sorto per
celebrare la vittoria sui Titani di cui aveva parlato Zeus, tre figure se ne
stavano in solitaria contemplazione.
“Questa è un’indecenza!” Disse tra i denti quello
più massiccio e fisicamente imponente.
Teneva l’elmo stretto al fianco e l’asta stretta in
pugno.
“ Devi ammettere, che se pur è un fanfarone
arrogante, ci sa fare con gli altri e poi diciamolo, le cose non sono andate
molto diversamente da come le ha raccontate.” A parlare era stato un giovine la
cui ingannevole magrezza avrebbe potuto far pensare ad un fisico esile, acerbo
ma sotto la cui pelle guizzavano muscoli ben formati.
“Non stiamo mettendo in discussione le sue doti da
oratore,” fece la donna che componeva il terzetto,” ma il suo ruolo di Signore della Mano
di Dio.”
“Non ha nemmeno fatto un accenno a noi!” Il
disprezzo trapelava dalle parole del guerriero.
“Non lo fa mai.” Il giovinetto sorrise con amara rassegnazione.
“Questo cambierà.”
Assicurò la donna.” Questo cambierà.”
Ripeté con gli occhi fissi all’orgia che si stava consumando.
Yuri
Lucia
Presenta:
2
I
Otto
Building, Los Angeles, California – 13 Settembre
James Barr fissò Simon Azam con un misto di odio e
timore. Dove finisse l’uno e iniziasse l’altro, nemmeno lo stesso Barr avrebbe
saputo dirlo.
Simon gli si fece vicino e lo squadrò tentando di
non essere troppo severo, nonostante quella visita non gli fosse per nulla
gradita.
Aveva fin troppe cose che ora lo preoccupavano. La
fuga del suo prigioniero dall’Istituto in cui lo credeva al sicuro era stata
per lui come un colpo di scuro diretto alla sua stessa anima. Avrebbe dovuto,
tra poche ore, affrontare una commissione del Governo il cui compito era
decidere se Azam sarebbe stato o no il principale fornitori di armi degli USA
per i prossimi 10 anni e se i suoi robot da combattimento erano stati un saggio
investimento o un enorme buco nell’acqua.
Barr non era la persona che avrebbe desiderato
vedere in quel momento. Per sua fortuna, Tamerlano Tiger era con Billy e questo
gli permetteva, almeno per quanto riguardava tale questione, sentirsi sicuro.
Tamerlano lo avrebbe protetto ad ogni costo ed era il suo uomo più fidato.
“Buongiorno, Jim. È tanto che non ci vediamo.” Tese
la mano in un gesto di distensione. Quell’uomo, la barba fatta alla meno
peggio, l’aria tirata e gli abiti sgualciti, un completo color crema che aveva
visto giorni migliori, aveva bisogno di una tregua e tutto sommato, al di là
dell’irritazione per aver chiesto quell’incontro, Simon Azam non riusciva non
provare del dispiacere per le condizioni in cui versava. L’altro parve
intimorito e diffidente, quasi quella che doveva stringere fosse la testa d’un
serprente a sonagli. Barr non aveva dimenticato che
Simon Homer Azam sorrideva sempre con estrema e
sincera cordialità persino a chi stava per togliere tutto, affondandolo nella
disperazione totale.
Si fece animo e accettò di ricambiare il gesto,
anche se la sua fu una stretta poco convinta ed i suoi occhi non si staccarono
mai da quelli di Azam, come a cercare un segno dell’imminente catastrofe.
“Buon giorno, Simon. Grazie per avermi ricevuto.” Le
ultime parole gli costarono davvero un grande sforzo e Simon se ne accorse.
Avrebbe scrollato le spalle in altre circostanze ma Simon era vittima di un
crollo nervoso e non voleva infierire in alcun modo.
“Tamerlano mi ha detto che volevi incontrarmi. Sono
qui.”
“A proposito,”
cominciò a cercare intorno, preccoputa,”
lui non lo vedo. Dov’è?” Gli faceva paura quell’uomo, quasi quanto Simon.
Tamerlano era il braccio destro di Azam, anche quando c’era da tagliare delle
gole e non in senso figurato.
“Gli ho affidato un incarico. Affari. Ti saluta.”
“Risalutamelo.” Per nulla persuaso che Tamerlano gli
mandasse davvero dei saluti.
“Come di certo sai, tra poco avrò un incontro con
quelli dell’Esercito. Ho accettato di incontrarti per darti la possibilità di
parlare, Jim. L’ho fatto perché sei stato uno dei miei migliori ricercatori e
soprattutto perché sei stato mio amico. Io non ho molti amici, Jim e questo di
certo lo sai. Non apro a tutti le porte di casa mia. Dunque sono qui, anche se
ci siamo detti tutto quello che dovevamo, e forse anche di più, quel triste
giorno, due anni fa. Ti chiedo di non fare troppi giri di parole ed andare
dritto al punto.”
“Stai facendo una cazzata!”
“Per essere diretto è diretto. Forse non dovrebbe
essere così diretto. Puoi spiegarmi?”
James Barr lo fissò. Aveva immaginato più e più
volte quel momento ed ora, per la prima volta, si sentiva a disagio. Non era
certo se avrebbe o no detto le parole giuste ma doveva tentare.
“Credi davvero che quest’idea dei robot da guerra
sia buona? Cristo santo, Simon! Stiamo parlando di mandare in guerra delle
macchine!”
“Scusa, credo d’essermi perso,” confessò senza secondi intenti Azam,” credevo che già lo facessimo.”
“Aerei militari, carri armati, elicotteri certo ma
tutti hanno l’uomo al comando.”
“Ed i droni? I robot artificieri?”
“Un drone ed un robot artificiere sono un altro paio
di maniche. Non si può metterli sullo stesso piano di quei cosi che stai per
tentare di vendere al nostro Governo! Ti rendi conto che hai costruito delle
macchine programmate per uccidere?”
“Sono programmati per uccidere il nemico.”
“E chi è il nemico? Definiscimi nemico! Un uomo con
un turbante in testa? È così che AX-1 seleziona il bersaglio perché allora hai
un grosso problema amico!”
“AX-1, Jim, possiede un multiprocessore ed un programma
che gli permettono di identificare fino a 500 obbiettivi potenzialmente
pericolosi allo stesso tempo e, credimi, i parametri scelti non sono solo i
capi di vestiario, per quanto esotici possano essere.”
“Molto bene! Allora facciamo finta che AX-1 riesca
ad affrontare il nemico in campo aperto con successo, cosa di cui sinceramente
dubito molto,” gesticolò nervosamente
con le mani, distraendo per un istante Simon,” però, per amore di conversazione, prenderò per buono quello che
mi dici. Cosa succede quando il tuo campione di metallo entra dentro un
villaggio? Cosa succede quando AX-1 deve stanare un talebano che si è annidato
dentro un ospedale civile o una scuola?”
“Jim,”
cercò di spiegare con infinita pazienza,”
AX-1 è nato proprio per questo. Le bombe intelligenti hanno un limite, un
limite che AX-1 supera ed è proprio l’esigenza di colpire bersagli specifici
che ci ha portato a pensare e progettare un androide da combattimento
multi-ruolo.
Può agire come fanteria pesante, può fungere da
cecchino, da incursore e grazie al modulo CJP- 1 può anche compiere operazioni
aeree.”
“Grazie a Susan, eh?”
Simon era in imbarazzo. Non avrebbe dovuto tirare in
ballo, anche se indirettamente, Susan. Lei non avrebbe gradito una cosa del
genere. Si diede dello stupido e tentò di rimediare sviando il discorso: “Jim,
ancora non capisco il motivo di questo incontro e, francamente, il tuo tempo si
sta rapidamente esaurendo.”
“AX-1 è una fregatura! Lo sai anche tu! Non ci credo
che tu sia così sicuro del tuo mostro meccanico! Ti rendi conto che affiderai
la sicurezza dei nostri soldati e la vita di chissà quanti civili innocenti ad
un computer?! E se si surriscaldasse? Se avvenisse un guasto che gli impedisse
di funzionare come dovrebbe?”
“E quando un colpo di mortaio uccide un civile?
Quando ad un posto di blocco i militari sparano contro un auto, convinti che
siano dei kamikaze, salvo poi scoprire che era una famiglia del tutto innocua?
Credi che AX-1 alzerà i fattori di rischi che provocano la morte dei civili in
guerra? O quelli che costano la vita ai ragazzi che mandiamo in Medio Oriente?
Avanti, Jim! Sii realista!
AX-1non solo non aumenta quel rischio ma lo
diminuisce. Certo, può esserci un malfunzionamento anche nel sistema più
collaudato e sicuro del mondo! Ma l’impiego su larga scala di questi robot
abbasserà complessivamente il numero dei così detti danni collaterali in
guerra! Inoltre, Jim, l’esercito li vuole! Un soldato che non deve essere
addestrato per mesi ma che ha bisogno solo di una programmazione di poche ore.
Un combattente che non ha bisogno di mangiare grazie alla sua pila agli ioni.
Un arma che non necessita di qualcuno che la impugni o la guidi perché può
utilizzarsi da sola, pensando, decidendo di applicare, in caso di necessità, la
strategia migliore.
AX-1 ha dei costi elevati ma può essere
riutilizzato, a differenza di missili e bombe. AX-1 è stato costruito per
mettere in atto manovre di disimpegno che gli consentono di prevenire danni a
sé stesso e conservare al meglio le proprie funzioni per la successiva
missione.
Jim, ascoltami te ne prego,” era un appello accorato, sincero,” hai investito tutta la tua vita nel Progetto Master Men, hai
dedicato tutta la tua intelligenza e le tue risorse mentali al suo
perfezionamento e alla sua attuazione ma guarda cosa è successo! Mi avevi detto
che eravamo pronti per la sperimentazione sugli esseri umani. Mi avevi detto
che il margine di rischio era ridotto a meno dell’1 per cento e che avevi
ottenuto risultati strabilianti sulle cavie da laboratorio.
Il risultato? 10 marines morti. 10 giovani, marines,
ragazzi nel fiori degli anni, stroncati l’uno dopo l’altro dal collasso di
tutti gli organi. Li ricordi Jim? Ricordi come urlavano sui tavoli
dell’infermeria mentre cercavamo di capire cosa gli stesse succedendo? Io lo
ricordo, Jim.
Ricordo anche che, fino all’ultimo, ho cercato di
difenderti agli occhi dei militari, del mio stesso consiglio d’amministrazione,
salvo poi scoprire che tutti i dati che mi avevi sottoposto erano stati
falsati! JIM MI HAI MENTITO! Ed è questa una delle cose che mi ha fatto più
male! Ti avevo dato tutto! Ti ho permesso di portare avanti il tuo progetto, il
tuo sogno, anche quando più d’una persona a Washington mi palesò la propria
opinione contraria. Io ho fatto di tutto, compreso mettere in ballo il mio culo
per te e poi salta fuori che mi avevi propinato un sacco di balle!”
Barr era ammutolito. Non era riuscito a replicare a
quello che era uno sfogo di Simon.”
Ed ora vieni qui, a farmi la morale su AX-1! Da non credere! Senza offesa, Jim!
Tu sei l’ultima persona che dovrebbe parlare dei rischi connessi a qualsiasi
cosa!”
“Tu non vuoi capire!” Piagnucolò Jim Barr, tentando di ritrovare il controllo di sé
stesso e riprendere il filo del discorso che avrebbe voluto fargli.” Ti sei affidato completamente a
Sivana! Ti sei fatto irretire dalle sue promesse, le promesse di un pazzoide
squinternato che è stato allontanato da tutti i circoli scientifici degni di
questo…” Jim non finì la frase. Lo sguardo di Simon Azam era eloquente. Non
c’era più traccia della compassione dettata dalla vecchia amicizia o dalla
semplice umanità. Erano gli occhi di un vecchio quelli che fissava, un vecchio
severo, indurito dallo scorrere del tempo, freddi come la nuda roccia. Per un
uomo di quell’età, quegli occhi sarebbero sembrati fuori posto ma Simon era
questo, un pericolo celato sotto le sembianze di un affabile uomo d’affari.
“Questo non dovevi dirlo,” ammonì con così gelido vigore da far provare un brivido alla
schiena a Barr,” è un colpo basso.
Stai attaccando una persona che non è qui per difendersi. Stai attaccando una
persona che ti è stata amica e che ha parlato in tua difesa, sebbene il tuo
progetto fosse in concorrenza con il suo. Taddeus Sivana non ha mai detto una
sola parola cattiva nei tuoi confronti e i suoi giudizi su te ed il tuo lavoro,
non sono mai stati men che rispettosi. Anche quando i tuoi stessi assistenti ti
scaricarono dandoti del pazzo e dell’assassino. Sivana ha lavorato duro al suo
progetto, sacrificando il proprio tempo, la propria famiglia, la propria salute
fisica pur di onorare un impegno che aveva assunto con il sottoscritto. Ero
disposto ad ascoltarti, James. Davvero e solo il cielo sa perché. Però non sono
disposto a lasciarti spargere merda su un collega che ti è stato leale anche
quando tutti ti hanno voltato le spalle. Ora abbiamo finito.”
Quell’ultima frase era come un muro insormontabile,
una porta chiusa, stavolta per sempre, attraverso cui Jim Barr non poteva più
passare. Aprì la bocca diverse volte, gli occhi inumiditi dal pianto, tentò
vanamente di discolparsi ma i pensieri erano confusi e non riuscivano a farsi
parola. Portò i pugni al petto, il capo sporto in avanti, leggermente piegato
sulle ginocchia, la cravatta marrone scuro che penzolava fuori, mal annodata e
rovinata. “Mi dispiace …” Riuscì a balbettare dopo quella che doveva essere
stata una dura battaglia interiore.
“Anche a me.”
Poi, raddolcitosi un po’ per via della pietà che quella figura patetica gli
ispirava.” So che hai bruciato tutti
i soldi della tua liquidazione ed i tuoi risparmi in quell’impresa che è
naufragata solo dopo tre mesi. Jim, sei al verde. Completamente. Passa dalla
mia segretaria, ti farò avere un po’ di contanti ed un assegno. Se il conto
corrente è ancora quello, o se ne hai uno nuovo comunicale gli estremi, ti farò
depositare del denaro sopra. Non sperperarlo stavolta. Vattene dalla California, scegli un posto tranquillo, vivi
una vita tranquilla e dimenticati tutta questa merda. Anche quella che hai
fatto tu.” Dette una lieve pacca sulla spalla all’uomo. Un gesto di triste
affetto. Un addio.
Quando uscì dalla stanza dove aveva ricevuto l’ex
ricercatore ed amico, questi si lasciò andare ad un lungo, disperato pianto.
II
Los
Angeles, California – 13 Settembre.
A Billy non era parso vero. Il volo in elicottero,
la Crysler che l’aspettava all’eliporto della Fawcett e Fawcett, lo shopping. I
negozzi di Bel Air avevano vetrine scintillanti, variopinte ed urlavano “Se hai
una golden card posso venderti anche il Paradiso!”.
Per questo motivo, dopo qualche giro, quasi supplicò
Cee Cee di portarlo in una zona più popolare.
L’autista era in borghese, occhiali da sole, i
capelli scalati tenuti fermi da un cerchietto. Billy deglutì un paio di volte
cercando di toglierle gli occhi di dosso. Era un ragazzino e lei una
stipendiata che probabilmente non era nemmeno troppo contenta di doversene
occupare.
“Conosco un posto dove sicuramente ti sentirai più a
tuo agio.” Non c’era traccia di fastidio nella sua voce. Non era confidenza o
vera cortesia ma nemmeno fastidio ed il che, per Billy, era già un inizio.
“Il Signor Azam ha molti elicotteri?” Il silenzio
nell’auto non gli piaceva, così come non gli piaceva sedere sul retro. Lo
imbarazzava non poco.
“Elicotterei, aerei ed imbarcazioni. Si. Se vuoi
sapere il numero esatto degli elicotteri, oltre al Bell su cui siamo arrivati
qui, ha altri due elicotteri a suo nome più altri venti che appartengono alla
compagnia.” Billy fischiò ammirato e subito si sentì uno stupdio.
Simon Azam era un uomo ricco. Molto ricco e quanto,
Billy non sapeva proprio dirlo. Questo faceva anche di lui un ragazzo ricco?
Come Richie Rich si disse senza trattenere un sorriso compiaciuto che subito
smorzò, sincerandosi che Cee Cee non lo stesse guardando. Cosa accadesse al di
là del confine delle lenti foto-cromatiche non era facile da stabilire ma
decise, o meglio sperò, che in quel momento fosse stata più interessata alla
strada che non a lui. Non doveva dimenticare che era l’ultimo arrivato in casa
Azam, forse poco più di un capriccio di chi voleva mettersi la coscienza a
posto. Quanto sarebbe durata? Al meglio, poteva aspettarsi gli studi pagati, la
possibilità di una lettera di presentazione per un qualche lavoro che non gli
sarebbe stato rifiutato. Si accomodò meglio sul sedile postieriore, tentando di
sciogliersi e vincere l’opprimente senso di disagio che lo continuava ad
accompagnare. La prospettiva che s’era figurato, in quegli anni di nera crisi
in cui i servizi televisivi parlavano di ragazzi che tiravano a campare con il
sussidio di disoccupazione accontentandosi di un pasto al giorno, era molto più
di quello che s’era aspettato per la propria vita. Non aveva talenti
particolari. Non sapeva fare nulla di speciale. A scuola era sempre andato bene
ma senza eccellere in alcuna materia e per quanto riguardava le borse di studio
sportive, non erano per lui. Troppo basso per il basket. Troppo gracile per il
football. Una totale schiappa a baseball. Se la cavava bene con la ginnastica
ma non era certo un atleta da competizione.
Aveva quasi 13 anni e non aveva neppure ben chiaro
in mente cosa avrebbe voluto fare tra qualche anno. Il College lo aveva escluso
in passato per mancanza di mezzi e perché dubitava di poter vincere una qualche
borsa di studio ma ora, di sicuro, Azam glielo avrebbe proposto, se fosse
durato a sufficienza come figlio adottivo.
“ È da molto che lavori per Azam?” Chiese per
distrarsi da quei pensieri.
“Cinque anni.”
“Ti chiami davvero Cee Cee?” Forse era una domanda
troppo impertinente ma probabilmente lei non la pensava allo stesso modo e
rispose: “ Cissie. Cissie Sommerly. C.C. era uno zio materno a cui ero molto
legata. Mi soprannominavano tutti così, da piccola, perché passavo molto tempo
con lui. Praticamente mi ha allevato.”
Billy sorrise, evitò accuratamente di chiederle il
perché e disse: “ Anch’io sono stato cresciuto da uno zio materno, per un certo
periodo. Sia io che mia sorella, Mary. Lo zio però stava male, aveva l’alzheimer
ed è stato portato in una struttura a lunga degenza. Un posto di quelli dove
non vorresti mai stare, nemmeno un minuto.”
Disse con sconfinata tristezza. Cissie gli lanciò un’occhiata dallo specchietto
retrovisore, meravigliandosi di quanto quel ragazzino sembrasse grande,
nonostante la giovanissima età.” È
stato un bel periodo. Raccontava un sacco di storie, tutte inventate. Erano
frottole ma di quelle divertenti. In particolare ci piaceva quando ci
raccontava le sue storie di marina.”
Sorrise mentre gli pareva di poterle ancora sentire, mentre guardava il mondo
fuori dal finestrino.” Quello che so
è che ha passato davvero qualche hanno della sua vita nella marina. Cinque,
come marinaio semplice. Poi si è imbarcato su un mercantile per altri due anni
e poi, non so, è semplicemente sceso a terra e non è più ripartito.”
“Anche mio zio raccontava storie di guerra. A
sentirlo, aveva dieci Medaglie del Congresso! In realtà aveva ricevuto una
medaglia per il suo lavoro come responsabile del magazzino della caserma dove è
stato per tre anni.”
Risero entrambi. C’era solidarietà, allegria e un
pizzico di nostalgia in quelle risate.
“Probabilmente si sarebbero piaciuti,” ipotizzò Billy,” e avrebbero passato il tempo a giocare a chi la sparava più
grossa!”
Cissie annuì e dopo un po’, rallentò accostando:
“Siamo arrivati. Questo è il centro commerciale Sanders. Quanto di meglio tu
possa trovare se cerchi moda giovane, roba da ragazzi della tua età, videogames
e quant’altro. Ti aspetto qui. Tu fai con comodo.”
“Non vieni?” Si rimproverò nuovamente per aver fatto
trasparire la propria delusione.
“Non preoccuparti. Ho il cellulare. Se hai bisogno
di qualcosa, fai uno squillo. Hai memorizzato il numero sul cellulare che ti ha
dato Tiger, vero?”
“Si. Allora a tra poco e grazie.”
“Di nulla.”
Billy si allontanò, sotto lo sguardo di Cee Cee che
lo seguì fino all’ingresso del centro commerciale.
“Gli siete dietro, vero?” Chiese dopo alcuni secondi
e, in risposta, una voce all’auricolare:
“Sissignora. Io e Beck gli siamo dietro, invisibili
come due angioletti custodi.”
“Non fare lo spiritoso. Non perdetelo di vista.
Tiger mangerà le vostre palle a colazione se doveste perderlo anche per meno di
un minuto.”
“Tiger non avrà le nostre palle, madame.” Fece
allegro.
“Non sto scherzando. Intendo sulla storia delle
palle.”
Non arrivò subito risposta.
“Ricevuto. Passo e chiudo.”
Cee Cee ridacchiò divertita pensando a Beck che se
la stava facendo sotto al pensiero di Tamerlano Tiger che gli strappava i
testicoli per mangiarseli. Per quanto ne sapeva lei, effettivamente, sarebbe
stato capacissimo di farlo.
III
Otto
Bulding, sede della Fawcett e Fawcett, Los Angeles California – 13 Novembre.
“Eccolo il mio Leonardo del ventunesimo secolo!”
Simon Azam diede un’amichevole pacca a Thaddeus Sivana che, colto alla
sprovvista, trasecolò solo per sorridergli calorosamente pochi istanti dopo, il
tempo che gli era necessario per riprendersi dalla sorpresa. Si aggiustò gli
occhiali sul naso e Simon notò che ne aveva un paio nuovi, con una montatura
molto più moderna e piacevole da guardare. Sivana, come indovinandone i
pensieri: “Li ha scelti mia figlia per me. Ha detto che avevo bisogno di un
nuovo look.”
Effettivamente, Simon constatò che gli occhiali gli
stavano bene, rendendo meno severo e stralunato il suo volto, non bellissimo ma
alla fine nemmeno completamente inguardabile. Aveva dato un’aggiustata ai
capelli, comprato un bel completo dai colori chiari per quella giornata e
persino la cravatta, sebbene non perfettamente in tinta era bella e ben
annodata.
“Anche questo è merito di tua figlia?” Chiese
divertito Simon.
“Come ti ho detto, pensa che mi servisse un nuovo
look.”
“Ha ragione.”
“Non ero decoroso quello vecchio?”
“Certo che lo era ma era anche demodé e non certo il
massimo. Guardati. Ora non solo sei uno scienziato da premio Nobel ma lo sembri
anche! Sai che dovresti dare retta a tua figlia e cominciare a stipendiarla.”
“Lo sospettavo.”
“E tuo figlio che dice?”
“Ha scelto l’orologio,” mostrò un bell’esemplare in acciaio, dal quadrante bianco, molto
semplice, sobrio ed elegante,” e mi
ha consigliato di fare un po’ di palestra! Ci credi? Hanno ripreso dalla
madre.”
“Ti adorano. Almeno quanto tu adori loro. Dagli
retta, un po’ di sport ti farebbe bene. Magari potremmo allenarci un po’ alla
palestra dell’azienda. Lo sapevi vero che ne avevamo una?”
“Lo sospettavo. Credo anche di sapere qualce sia il
piano ma l’ho sempre accuratamente evitato. Però se mi dici che ci andiamo
insieme.”
“Sarò il tuo personal trainer.”
“Vuoi vedere che mi faccio i muscoli stavolta?” Era
allegro, di buon umore. Thaddeus Sivana era nel suo momento migliore. Simon non
poté non paragonarlo a James Barr, un uomo distrutto, professionalmente ed
umanamente finito. Sorrise con calore allo scienziato. Si era guadagnato quel
momento ed il diritto alla felicità.
“Ti farò diventare un divo di Hollywood. Dovrò
nasconderti perché se no qualche agente ti proporrà di fare la star di uno di
quei film tutta azione ed adrenalina che piacciono tanto. Però, oggi, sei mio,
caro Thaddeus! Il mio campione è pronto a scendere nella fossa dei leoni e
fargli vedere i sorci verdi?”
“Io e AX-1? Prontissimi.”
“Tad, solo una cosa prima di andare.”
“Dimmi tutto.”
“Grazie per tutti questi anni di leale amicizia e
dedizione al lavoro.”
Thaddeus Sivana tentò di rispondere ma non ci riuscì
subito. “Grazie a te.” Disse alla fine.
“Dovremmo ridiscutere la tua posizione
nell’azienda.”
“Posizione?”
“Tad, credo che non dovresti esserne solo un
dipendente, per quanto apprezzato. Ti vorrei come socio.”
Sivana si tolse gli occhiali e lo fissò con grande
serietà.
“Non ho mai avuto un amico come te.”
“La mia amicizia te la sei meritata tutta. Si va?”
“Andiamo!” Esclamò lui con energia.
“Sai, dovrei chiedere a tuo figlio dei consigli sui
miei orologi. Ha ottimo gusto! Oh, ti dispiace darmi un attimo? Vescica piena!”
“Certo capo! Ti aspetto di là.”
Simon Azam lo guardò sorridendo mentre usciva
dall’ufficio.
Prese il cellulare e chiamò Tiger.
“T.T., tutto bene?”
“Cee Cee e Beck sono con il ragazzo.” Rispose la
voce profonda del suo braccio destro.
“Ho visto Barr.”
“Cosa voleva?”
“Una seconda occasione.”
“Tu che gli hai detto?”
“Secondo te?”
“Sei preoccupato?”
“Ti sembro preoccupato?”
“Assolutamente si.”
“Avresti dovuto vederlo. Sembrava la caricatura di
sé stesso. Era sul punto di spezzarsi. Ho un brutto presentimento.”
“Non è mai stato un uomo pericoloso, lo sai.”
“Non credevamo nemmeno ai nostri occhi quando
scoprimmo che ci aveva imbrogliato. Ricordi?”
“Devo dartene atto.”
“Forse c’è lui dietro la storia dell’evasione.”
“Sei serio?”
“Lo sono.”
“Non ne sapeva niente. Jim non sapeva niente di lui.
Come avrebbe potuto?”
“Magari su questo sono paranoico ma teniamolo
comunque d’occhio. D’accordo?”
“Consideralo fatto.”
“Ti saluto.”
Simon Homer Azam chiuse la comunicazione e raggiunse
Thaddeus Sivana, le preoccupazioni ed i sospetti ben nascosti dietro la sua
maschera di uomo d’affari garbato e amichevole.
IV
I commessi nel negozio stavano rispettivamente
leggendo un numero di tatto magazine, la rivista degli amanti dei tatuaggi come
recitava lo slogan sulla lucida copertina da cui sorrideva sorniona una
brunetta vestita da pin-up con le braccia ricoperte di tatuaggi, e Armi da
Fuoco.
Nessuno dei due lo degnò di qualcosa di più di
un’occhiata e Billy ne fu felice. Non amava le attenzioni quando andava a fare
compere. Non andava a fare compere da anni si disse. All’istituto c’era poca
scelta sui capi di vestiario.
Aveva scelto quel negozio attirato dall’insegna che
prometteva acquisti alla moda per prezzi stracciati. Nonostante avesse a
disposizione un budget consistente non voleva approfittarne. Il locale era
vuoto e dopo di lui entrò un tizio che sembrava un po’ troppo grande per il
tipo di vestiario che vendevano lì ma, del resto, gli USA erano un paese
libero. Ognuno era libero di vestirsi come meglio credeva. Senza limiti di età,
sesso, razza o religione.
“Dio benedica l’America!” Sussurrò alzando le
spalle.
Prese un paio
di magliette e andò a provarsele. Ne mise una con le maniche lunghe sotto una a
maniche corte con il collo svasato.
“Non male. Moderno, trendy, un po’ post-grunge
magari. Sei un playboy
Billy Batson!” Strizzò l’occhio allo specchio da cui la
sua copia lo guardava sorridendo e fece il cenno di sparare un colpo con indice
e pollice.
Uscì fuori, riposò le magliette e si mise nuovamente
a scegliere. Blu e marrone erano un accostamento migliore nella sua mente ma
nella realtà, indosso a lui, non gli era sembrato gran ché.
Vide due maglie, una gialla e l’altra rossa. “Così
sembrerei un fuoco d’artificio,” fece
tirandole su entrambe,” e poi chi
diavolo vorrebbe vestirsi di rosso e giallo?”
“Io.”
Si voltò e incontrò lo sguardo di lei.
Era un paio di centimetri più alta di lui. Bionda,
capelli lisci, occhi azzurri. Portava un top bianco con su scritto “Booble
gum!” fatta di strass, una minigonna di jeans forse un po’ troppo corta per una
ragazzina così giovane, stivaletti bianchi scamosciati, corti, con il tacco
largo. La borsetta a tracollo, l’I-pod che pendeva dal collo, gli occhiali da
sole tirati su, cerchi piuttosto vistosi alle orecchie e trucco troppo pesante.
Era magra, come le amiche che le stavano vicino e ridacchiavano.
“Sei una bellezza!” Si immaginò di dirle. “Stasera
fai qualcosa?” Provò a pensare che forse era l’approccio migliore.
“Piacere, Billy Batson.” Si sarebbe dato volentieri
una martellata sui denti da solo se avesse avuto a disposizione lo strumento
adatto. Era lì, una maglia per mano, con lo sguardo ebete e quel piacere Billy
Batson incespicato uscitogli dalla bocca.
“Di dove sei?” Chiese lei con la bocca atteggiata ad
un mezzo sorriso, mentre le due amiche sghignazzavano.
“Berkley.”
“Me l’ero immaginato.”
“Per via dell’accento?”
“Perché è un posto da sfigati. A parte El Paso, è il
più grande fornitore di sfigati della California.”
Improvvisamente a Billy venne voglia di dirle che
s’era accorto che il biondo dei capelli non era naturale e che le lenti a
contatto azzurre le davano l’aria d’una trucida quasi quanto l’eccessiva
abbronzatura della pelle.
“Non è così male come posto.” Minimizzò invece la
battuta di lei.
“Li abbiamo stracciato due volte quest’anno.”
“Li?”
“La Kennedy School. Le nostre squadre di Football e
Baskett, i cui colori sono rosso e oro,”
mani ai fianchi accennò con un sopraciglio in direzione delle maglie che Billy
teneva ancora su,” hanno stracciato
le due scuole più importanti della tua città. Tu non hai l’aria di uno che
gioca a Football, o a Basket.” Altre risate.
“Preferisco il gioco degli scacchi.” Se voleva essere
una battuta era pessima.
“Anche questo me lo ero immaginato.” Lo squadrò
dall’alto in basso.
“Grazie per il benvenuto in città.” Con il tono più
amichevole che riuscì a simulare.
Andò alla cassa, pagò le due maglie e se ne uscì.
Uscendo urtò un energumeno, che lo guardò in
cagnesco nonostante si fosse scusato quasi immediatamente.
“Che città!” Si disse. Non era certo che Los Angeles
gli sarebbe piaciuta.
C’era un chiosco che vendeva hot dogs e nachos.
Pensò che a Cissie sarebbe piaciuto mangiare qualcosa ed il suo budget gli
permetteva di pagare il pranzo ad entrambi.
“Hai fatto il buco nell’acqua con la reginetta del
ballo. Ora lo facciamo anche con la femme fatale.”
Almeno, si disse, Cissie era simpatica ed educata.
Non le sarebbe dispiaciuto mangiare con lui prima di riprendere i giri.
Pagò due hot dogs, due coche e una confezione maxi
di nachos con le salsine. Si ritrovò a pensare che non potevano mangiare quella
roba in macchina o l’avrebbero ridotta un piccolo porcile. Lungo la via aveva
visto dei tavolini, poco distanti dal centro commerciale, in una specie di
isola verde dove si sarebbero potuti fermare qualche minuto.
Quando si voltò si ritrovò l’energumeno di prima
davanti.
“Vai a mangiare cerebroleso?”
Non se l’era trovato davanti, si corresse subito,
gli sbarrava la strada.
Con il sacchetto in mano e l’aria dubbiosa: “Prego?”
Il pugnò gli spaccò il labbro mandandolo contro una
panchina. Colpendola cadde all’indietro e le immagini si offuscarono.
“SEI IMPAZZITO!” Era la ragazza finto-bionda che
urlava al tipo. Lui se la scrollò di dosso e tornò alla carica. Billy si rialzò
barcollando, un formicolio che dalla testa s’estendeva al collo e al braccio.
“M’ammazza.” Pensò cercando di capire cosa avrebbe
dovuto fare per non rimetterci le penne.
Prima che un secondo pugno gli si abbattesse sul
volto vide il braccio del suo aggressore bloccato.
“Fermo là, bello!” Aveva già visto quel tizio.
Fisico normale, capelli biondi, una mosca sul mento, l’aria un po’ trasandata,
sulla trentina.
“TOGLIMI LE MANI DI DOSSO!” Con sua sorpresa, il
bestione non si riuscì a liberare della presa e provò una fitta di dolore
quando quello gli torse il braccio, portandoglielo dietro la schiena.
“Calmiamoci tutti. Ok? Perché hai picchiato il
ragazzo?”
“Ci stava provando con la mia ragazza …” Sibilò per
il dolore.
“Non è vero …” Billy parlò come se non fosse nemmeno
veramente lì. Non era nemmeno sicuro di essere stato lui a parlare. Ondeggiava
tenendosi la testa. Un signora era corsa da lui chiedendogli come stesse. Cercò
di rassicurarla ma non ci riuscì molto bene.
“NON È VERO!” Confermò la ragazza dai finti occhi
azzurri, lanciando poi un’occhiata assassina alle sue amiche che se avessero
potuto, si sarebbero sepolte vive in quel momento.
“Devi andare all’ospedale a farti vedere!” Fece la
signora.
“Lo porterò io.” Disse l’uomo che aveva salvato
Billy. Lasciò andare il ragazzo che era stato costretto con il ginocchio in
terra.
“Lo conosci?” Chiese la signora a Billy senza
staccare gli occhi di dosso all’uomo.
“Non mi conosce ma io conosco lui. È figlio di un
mio collega, l’ho riconosciuto. La sorella lo aspetta qui fuori su una crysler.
Vero?”
“Billy annuì.”
“Ho riconosciuto subito tua sorella Cee Cee anche se
è un po’ che non la vedevo. Tu ti ricordi di me? Lavoravo nell’ufficio di tuo
padre. Mi chiamo Beck.”
“Certo. Mi ricordo …” Confermò Billy sorridendo.
La signora parve rassicurata. Il ragazzo che l’aveva
aggredito si era rialzato e prese per il polso la sua ragazza trascinandosela
dietro.
“Hey …”
“Lascia stare,”
ammonì Beck,” non immischiarti. Un
labbro spaccato è abbastanza per una giornata di shopping a Los Angeles, no?”
Sorrise amichevole.
Billy seguì il consiglio e lo sconosciuto, che lo
portò da Cissie.
Decise che Los Angeles non gli sarebbe decisamente
piaciuta.
V
Downtown,
Los Angeles, California – 17 Novembre
Il piccolo uomo vestito con una giacca color verde
scuro a costine ed un paio di pantaloni sabbia camminava disinvolto tra le due
grandi e massicce guardie del corpo afroamericane.
Entrambe, pensò l’uomo, erano lo stereotipo del
gangster di colore degli anni 2000.
Completo costoso, una taglia più grande, fisici
ipertrofici, occhiali scuri, cavezze ed anelli d’oro.
Seduto su di una poltrona di pelle rossa, quasi
fosse un trono, stava il capo di una delle più spietate ed attive gang della
California. Alla destra e alla sinistra due delle sue ragazze-party, così le
chiamava.
La stanza dove era stato ricevuto era grande, con un
palco per la lap dance, al tipo doveva piacere farsi intrattenere pensò tra sé
e sé, grandi casse ed una postazione per il dj.
C’erano un paio di grandi divani neri, uno schermo
al plasma sul cui numero di pollici non era certo, una basso tavolino dove
stava una console e diverse buste di patatine aperte. Intravide con la coda
dell’occhio i resti di quella che era stata una pista innevata con tanto di
banconota da cento arrotolata vicino ed in bella vista.
Alle pareti alcuni quadri, arte contemporanea. Chi
li aveva acquistati doveva essersi fatto impressionare da qualche scaltro
mercante d’arte con il risultato che quest’ultimo si era disfatto di imitazioni
da quattro soldi di Basquiat e Dalì, svuotando la galleria e riempiendo il
portafogli, mentre l’acquirente era divenuto il felice e compiaciuto
proprietario di pacchianate che nessun collezionista serio avrebbe mai e poi
mai voluto nella propria casa. Nemmeno nella rimessa degli attrezzi da
giardino.
Il re indiscusso di quel castello, un’imponente
palazzina un tempo adibita a fabbrica di imballaggi, rimodernata e comprata per
essere trasformata in una lussuosa centrale del crimine, si grattò
distrattamente il mento. Indossava una conotta bianca che mostrava le braccia
muscolose, ricoperte di tatuaggi, e metteva in risalto, con il suo candore, il
nero della pelle.
Pur essendo un afroamericano era eccezionalmente
scuro, al punto da sembrare un pezzo di carbone. Le sue labbra carnose erano
atteggiate in una smorfia di disgusto, il berretto portato storto, con
un’enorme patacca della polizia, se vera o meno non riuscì a stabilirlo,
appuntata sopra gli dava un’aria scimmiesca quasi comica.
Nella stanza c’era un altro uomo. Dalle sue
informazioni doveva essere il manager che curava i suoi interessi musicali.
“Allora?”
Il tono era annoiato e pregno d’infastidita arroganza.” Quali sono gli affari di cui mi dovresti parlare? Non sono in
molti a venire qui e ancora meno quelli che ricevo. Spera di non avermi fatto
perdere tempo.”
Lui sorrise. Era stereotipato proprio come i suoi
sottoposti e le sue bagasce da due soldi. Questo pensò.
“La ringrazio per avermi ricevuto, signore e per di
più con così poco preavviso. Le assicuro che non le farò perdere il suo
prezioso tempo.”
“Papi! Lorna è annoiata,” squittì una delle due ragazze, il cui seno era stato palesemente
gonfiato,” perché non porti Lorna a
fare shopping?”
La collega si destò come dal sonno in cui pareva
sprofondata poco prima, annuendo con gli occhi che le brillavano ma il loro
padrone le zittì con un cenno della mano.
Doveva ammettere che il modo in cui lo fece era da
manuale, con l’indice sollevato in alto, il pollice rivolto verso l’interno, le
altre dita semi chiuse ed il polso piegato con il giusto angolo.
“Per ora hai parlato già troppo e non mi hai detto
ancora nulla. Come ha detto di chiamarsi T-Bob?” Il nero alla sua sinistra
rispose: “Alvin Seville, signore.”
“Alvin Seville? Dove ho già sentito questo cazzo di
nome?” S’interrogò lui.
Il sedicente Alvin era soddisfatto. Aveva appena
vinto una scommessa. Parlò con pacatezza, in modo rassicurante: “ Signore, mi
permetta di spiegarle di cosa mi occupo. Per prima cosa, lavoro su commissione
e può considerarmi come un esperto di finanza e gestione aziendale. Quello di
cui mi interesso sono le aziende.”
“E qui che cazzo ci sei venuto a fare?” Chiese per
nulla impressionato e sempre meno ben disposto il suo interlocutore.
“Sono nel posto giusto, visto che come le dicevo, mi
occupo di aziende. La vostra è, a tutti gli effetti, una vera impresa con tanto
di presidente, lei, consiglio d’amministrazione, i suoi soci in affari,
dipendenti con vari inquadramenti, come ad esempio il qui vicino T-Bone e …?” L’altra guardia del corpo esitò
qualche istante ma ad un cenno del suo capo rispose Jahmal. Alvin sorrise e
ripeté il nome” Jahamal, la signorina
Lorna e via discorrendo. Ha un capitale che proviene in parte dalle sue
attività e che reinveste per migliorare l’efficienza della sua azienda.
Certo, qualcuno potrebbe obbiettare che gli
interessi di questo tipo di impresa non siano propriamente legale ma, accipicchia,
anche la Coca Cola o McDonalds ogni tanto hanno forzato la mano la mano,
muovendosi sul pelo della legalità. Lei ha messo su un’impresa che rifornisce
produce giovani promesse dell’Hip Hop”
si produsse in un gesto da rapper che gli valse solo una smorfia di disgusto da
parte dei presenti,”, le più quotate
e trasmesse da canali storici come MTV e che riempie i migliori club giù in
città. Club che, tra l’altro, rifornisce di cocaina di ottima qualità. In
questo ha battuto i suoi rivali colombiani, distruggendoli e ha relegato i
messicani e gli altri latini alla gestione delle droghe leggere. Un brutto
colpo per loro. Lei è un uomo di successo, perché negarlo? La sua impresa è
vitale, forte, estremamente remunerativa. Quello che faccio io con esattezza, è
trovare imprese come le sue ed acquistarle.”
L’enorme boss si sporse in avanti, la mano al
ginocchio, l’aria tra l’incredulo ed il divertito.
“Fammi capire bene, Mr. ometto bianco. Sei venuto
fin qui per dirmi che vorresti comprarti la mia attività?”
“Assolutamente no. Come le ho già detto io lavoro
per conto di altri. L’acquisizione non è una mia iniziativa. La conduco per
conto di un cliente. Il mio cliente è molto, molto interessato alla sua
attività e pronto a pagare una cifra considerevole per rilevarla. La gestione
rimarrebbe la stessa ma lui acquisirebbe il controllo di maggioranza della
società.”
“E giusto per ridere. Quale sarebbe l’offerta?”
“Risparmierà le vostre vite se lavorerete per lui.”
Il manager spruzzò dal naso una considerevole quantità
di birra che aveva stava ingollando.
Occhi sbarrati si fissarono sul piccolo, fragile
Alvin che invece pareva essere l’uomo più tranquillo del mondo, quasi non fosse
nemmeno veramente lì.
Ci fu uno scoppio fragoroso di risa. Persino le
guardie ridevano a crepapelle, ed il loro capo sollevò gli occhiali da sole per
asciugare le lacrime.
“Davvero? Cioè, tu, Mr. pisello pallido, vieni fino a qui per
sparare una cazzata del genere?”
“Temo proprio di si.” Sorrise paziente.
“Lo sai vero, che non te ne andrai. Non vivo
intendo.”
“Immaginavo una sua reazione in questo senso.”
Il grande e grosso capo fece un cenno a quello
chiamato Jahahal tirò fuori la pistola puntandola alla tempia dell’uomo. “Hai
un ultima stronzata da sparare prima che ti faccia schizzare quel cervello di
merda dalla testa?”
“Si. Jamahal, tu non mi sparerai.”
“Ah, no? E perché?” Fece quello ancora ridacchiando.
“ Perché quando te lo dirò sparai a T-Bone, in
testa. Poi voglio che tu uccida il manager del tuo capo e le sue due
accompagnatrici. Una volta finito farai schizzare il tuo di cervello fuori dal
cranio.
Tutto chiaro?”
“Oh, oh si badrone!” Risero tutti sguaiatamente.
“Bene, esegui.”
Jamhal non era certo un tiratore provetto ma T-Bone
era vicino e lo colpì alla gola e poi in fronte.
Il manager finì contro il divano che si rovesciò,
facendolo comicamente rotolare all’indietro. Comicamente se non fosse stato per
i proiettili che gli avevano trapassato spalla e addome.
Lorna si accorse a malapenna di avere un seno
massacrato da tre proiettili prima che il quarto, diretto contro di lei,
s’infrangesse contro i denti.
L’altra finì faccia a terra, un colpo nella nuca ed
un secondo nella schiena.
Per Jamahal l’ultimo tiro fu il più semplice. Si
puntò la pistola all’occhio destro e spinse il grilletto senza esitazioni,
senza paura, senza nemmeno tremare.
VI
Downtown,
Los Angeles, California – 17 Novembre
L’uomo chiamato Alvin era compiaciuto, lì, nel suo
completo macchiato di schizzi di sangue, imperturbabile, pacioso, sorridente
come se si preparasse ad andare in chiesa o partecipare ad una qualche gita
domenicale.
“Non ti muovere.”
L’altro, nonostante il terrore non riuscì a muovere
un muscolo. Non riuscì a prendere la pistola che portava sempre con sé.
“CHE CAZZO MI HAI FATTO?!” Ulrò sbavando, gli occhi
sbarrati, liberati alla vista quando i suoi grandi occhiali da sole erano
caduti a terra.
“Ti ho fatto quello che ho fatto a Jamahal e che
faccio a tutti quanti quelli che non sono abbastanza svegli e saggi da darmi
retta.”
“CHI CAZZO?...”
“È MAI POSSIBILE CHE TU NON RIESCA A DIRE NULLA
SENZA QUELL’INTERCALARE?!” Sbaraitò
all’imrpovviso, come un cane inferocito.”
TUTTA LA TUA VITA È UNA MISERABILE SEQUELA DI FRASI FATTE DA RAPPER O COSA?” Quando vide l’altro ammutolito si
aggiustò la giacca, compiaciuto.”
Molto bene. Torniamo agli affari. Come dicevo prima, mi occupo di acquisizione
per conto di altri. In questo caso il mio datore di lavoro è qui. Vuole
conoscerlo? Bene, perché lui non vedeva l’ora di incontrarla.”
Guardò il cellulare e dopo essersi assicurato che ci
fosse l’sms che aspettava fece uno squillo.
Dopo cinque minuti scarsi fece il suo ingresso un
altro uomo.
Era alto, molto alto, il volto scavato come da una
malattia, la carnagione un tempo doveva essere stata scura ma s’era schiarita,
d’un chiarore malsano, come di chi abbia seguito una qualche terapia pesante e
piena di controindicazioni.
Indossava una giacca di tessuto nero, pantaloni
grigio scuro, una camicia di eguale colore e non portava cravatta.
Avanzò, ai piedi un paio di mocassini fuori moda ma
piuttosto eleganti.
Il passo sicuro, gli occhi scuri fissi come quelli
d’uno sciacallo a quello che era stata il Re di quel tempio della corruzione.
“Salve capo!” Salutò con allegria Alvin.
“ Sarebbe questo qui?” La sua voce era metallica,
monotona e proveniva dall’altezza della cintura. Nonostante fosse sintetica,
riusciva ugualmente a trasparire un disprezzo assoluto per quell’ammasso
tremante di carne che lo squadrava cercando di capire chi fosse.
“E TU CHI?...”
Si trattenne dal dire quella parola. Ripensò a quanto Alvin avesse detto
prima, alla sua reazione e a come Jamahal si fosse fatto saltare le cervella
senza batter ciglio ubbidendo ai suoi comandi. Alvin mostrò un sorrisetto
compiaciuto e alzò il pollice destro quasi a dirli bravo ragazzo,” tu chi
sei?” Tentò di riacquistare il controllo di sé stesso anche se il sangue che
gli stava addosso non gli rendeva facile
l’impresa.”
“Chi sono io?”
Disse quello puntandosi l’indice al petto.”
Io sono l’alpha e l’omega, io sono … no, aspetta. Non suona troppo
pretenzioso?” Chiese improvvisamente con il suo tono piatto ad Alvin.
“No capo! Secondo me vai alla grande! A me il
discorso sull’Apha e l’Omega piace! E poi te l’ho detto, un personaggio come te
ha bisogno di una frase ad effetto.”
L’altro alzo uno dei folti sopracigli neri,
scettico. Tornò ad interessarsi all’impaurito boss che ormai non si sentiva più
sicuro.
“Hey, uomo coraggioso!” Lo apostrofò sprezzante e poi fece un inequivocabile gesto passando
l’indice all’altezza della gola.” In
caso ti chiedessi che fine hanno fatto gli energumenti che pagavi per fare la
guardia all’ingresso principale. Che brutta cosa, assumere personale
incompetente ma di questi tempi, lo capisco, ci si deve accontentare. Allora?
Come è che ti chiami?”
“Non… non sia chi sono?”
“Ti ho fatto una domanda. Tu rispondi. È una
questione di buone maniere.”
“Mi chiamo Black Adam.”
Pensò che era il suo momento fosse giunto. Pensò che
l’uomo con lo sguardo folle l’avrebbe azzannato alla gola, squarciandogliela.
Non c’era un termine di paragone per descrivere l’odio ed il disgusto che
emanava quell’alta ed emaciata figura.
“Adam. Un nome di potere.” Il suo cambio d’umore era stato così repentino da far dubitare
della sanità mentale di quell’uomo. Mani dietro la schiena, sguardo pensoso.” Adam è il nome del primo uomo nella
tradizione ebraica ed è formato dalle prime lettere dei nomi che indicavano i
punti cardianli nell’antica lingua aramaica. Il suo nome simboleggeva la
centralità dell’uomo nel creato e la sua preminenza rispetto alle altre
creature di Dio.
È stato Dio a dare all’uomo il nome Adam. Dio in
persona. Adam, su mandato di Dio, ha dato nome a tutte le altre creature
viventi e cose che stavano su questa terra.
Questo perché Adam avesse potere su di loro e perché
Dio aveva potere su Adam. Solo lui.
La linea di comando era Padre Eterno, Adam e tutto
il resto.
Adam non conosceva il nome di Dio. Nessuno dei suoi
figli lo avrebbe conosciuto. I nomi, le parole, sono potere. Se conosci il vero
nome di qualcosa o gliene dai uno hai potere.
E tu? Adam, che hai un nome così importante, cosa
hai fatto della tua vita?”
Adam deglutì. “Che vuoi dire?”
“Come hai impiegato il tempo durante il quale hai
vissuto?”
“Ho messo su un impero.” Cercò di mostrare orgoglio
e dignità ma provocò nell’altro solo una sonora risata.
“Questo?”
Indicò con un ampio gesto del braccio.”
Questo piccolo tempio della corruzione e dell’avidità sarebbe il tuo impero? I
Persiani, Adam, avevano un impero. I Babilonesi, avevano un impero. Lo hanno
avuto, dopo di loro, Cinesi, Romani, Maya, Inca, e le perdute civiltà africane.
Il Giappone e la Gran Bretagna, Adam, hanno avuto un impero.
Oh nella tua testa, pensi di essere un Carlo o un
Alessandro? Credi di poter rivaleggiare con uomini di quel calibro?” Se lo
stesse prendendo in giro o no era impossibile dirlo. Il volto era una maschera
inespressiva quasi quanto la voce.
“No.” Forse quella risposta gli avrebbe permesso di
conservare la vita.
“Una risposta intelligente. Una risposta non
sincera. Tu pensi di essere qualcuno. Hai sempre pensato di essere qualcuno.
Qualcuno di importante, di intelligente, qualcuno che ha potere. Il potere,
Adam, è qualcosa che si deve sapere gestire una volta che lo si possiede. E tu?
Lo hai saputo gestire? Ti dispiace ricordarmi cosa ha fatto Adam?” L’uomo che
si era fatto chiamare Alvin, in tono affabile, rispose: “Il Signor Adam,
originario della città, ha intrapreso, dopo l’interruzione degli studi avvenuto
prima del diploma alle superiori, un ‘interessante carriera, caratterizzata
dall’estrema versatilità che ha saputo dimostrare e anche, se me lo permetti,
da una certa dose di iniziativa, lodevole poiché gli USA sono il paese
dell’iniziativa. Per via delle sue peculiarità, ha recitato in diversi film per
adulti, di quelli che hanno il bollino rosso e che non si guardano di certo a
Natale con tutta la famiglia riunita intorno alla tv, a meno che non si parli
di famiglie particolari, anche se la parole recitare forse è un po’ fuori luogo
per quel tipo di produzioni. Performer. Ecco, performer è molto più adatto.
Cinque film della serie La Gang Nera e le giovani gattine bionde, e persino due
film a suo nome. La Gang gli andava stretta ormai.” Ridacchio.” Poi conosce
un rapper piuttosto quotato, un fan dei suoi film. Qualche scambio di favori ed
ecco il suo primo disco, La Gang di Adam. Siamo fissati o sbaglio con questa
Gang?” Agitò il dito come a
rimproverare scherzosamente un bimbetto.”
La fama di divo di film vietati ai minori e la popolarità di cui godotono rap
ed hip hop gli permette di vincere un disco d’oro in breve tempo. Cinque
settimane! Così esce un secondo disco, ed un terzo che gli valgono
rispettivamente un oro ed un platino ed il Signor Adam decide che la vecchia
etichetta discografica gli stava troppo stretta. Ne crea una tutta sua. La Da
Broda Shockz. L’ho detto bene? E poi c’è la storia con H.Boner, un collega
musicista che appartiene ad una gang rivale. Ti avevo detto che Adam è membro
di una gang? Si? Sin dalle medie. Niente di serio. Un paio di furti, qualche
gomma fregata, un po’ di erba recquisita ed una rissa in un bar. H.Boner, che
nome da gentil’uomo tra parentesi, viene trovato morto e viene escluso il
suicidio per via dei numerosi fori da proiettile che gli scorpono addosso. Il
nome di Adam spunta subito perché i due avevano un appuntamento per chiarire
una faccenda. Faccende di gang sembra. Nessuna prova contro il nostro caro Adam
che affronta un processo che si regge a stento in piedi e da cui ne esce più
popolare di prima. Un vero eroe americano dei nostri tempi! Il Signor Adam
vendeva cocaina ai suoi colleghi attori. Scusatemi! Performers! E ha cominciato
a venderla anche ai suoi colleghi del mondo del rap e dell’hip hop facendone un
commercio redditizio, almeno quanto quello della vendita dei dischi. Si è
saputo inserire in un mercato dove gli scontro tra ispanici e russi ha lasciato
vagante un’ampia fetta di territorio fertile per la vendita di coca. Adam si è
fatto un nome con l’omicidio, presunto, del signor Boner. È un duro, un vero
duro. Una congiunzione favorevole ed ecco che riesce, con pochi ma fidati
uomini, ad assumere il controllo della valle del Nilo. Vi piace il paragone? È
per via del fatto che prima ho detto che era un terreno fertile. Comunque, il
Signor Adam qui presente ha fatto bingo. I migliori locali della città vogliono
la sua coca, che compra a prezzi stracciati da piccoli coltivatori
indipendenti, perché ha prezzi ragionevoli e perché è trendy. Tutti sanno che è
la sua. La coca dell’uomo che fa fessi gli sbirri ed accoppa i rivali!” La leziosità ed il brio con cui lo
disse lasciò ammutolitò Adam e strappò una smorfia di fastidio nell’altro.” Adam è stato veramente fortunato. Non
credi?”
“No. È stato il potere del suo nome. Le coincidenze
sono state favorevoli ma quanti altri c’erano che avrebbero potuto sfruttarle?” La domanda risuonò fredda, meccanica.” Lui è riuscito la dove altri avrebbero
potuto perché il suo nome l’ha aiutato. Adam. Perché Black? Il tuo cognome è Cobb
se non sbaglio.”
“Fu un’idea del mio agente. Quello dei film…” Disse
in un sussurro.
“Black Adam.”
Rifletté.” Devo ammettere che suona
bene. Ha un che di minaccioso e regale al tempo stesso. Sa di bello e dannato.
Sai come mi chiamo io?”
“No.”
“Adam.”
Black Adam si lasciò scappare un gemito. Era dolore
frammisto al timore che la sua vita stesse per esaurirsi bruscamente. Era
chiaro che aveva detto il vero. Gli altri ragazzi erano morti. Non aveva modo
per chiedere rinforzi. Non erano previste visite per tutta la giornata. C’era
solo lui e quei due pazzi. Lui e loro.
“Mi dispiace, amico. Senti, non so quale sia il tuo
problema con me mai io…”
“Non hai mai ucciso quello chiamato Boner. Vero?” Con quella domanda ingorò quanto gli
stava dicendo prima.” Dopo,
probabilmente, ha ucciso o meglio, hai ordinato delle uccisioni, per via dei
tuoi affari ma non quella di Boner. Non hai la stoffa. Non hai il fegato. Non
hai l’attitudine per uccidere, per spezzare una vita, per strapparla via dalle
carni di un uomo. Sei grande e grosso e hai picchiato quelli più piccoli di te
ma sei solo un vigliacco. Noi due portiamo lo stesso nome, Adam. Un nome di
potere. Tra noi due solo uno però ha conosciuto il potere, quello vero, quello
che non ti arriva dalla vendita di un po’ di droga a qualche ricco annoiato o
dall’ordinare ai tuoi uomini di accoppare qualche disgraziato. Parlo del
potere. Anzi, il Potere con la P maiuscola Adam. Quel Potere che deriva
dall’avere controllo il controllo sul tuo destino, su quello degli altri e di
tutto questo mondo. Il Potere di non potere più essere feriti ma di poter
infliggere impunemente ferite. Il Potere di fissare il sole ad occhio nudo
senza divenire ciechi. Il Potere di parlare e con una singola, breve parola,
scatenare la furia degli elementi. Boner lo ha ucciso qualcun altro. Non mi
interessa sapere chi o come e tu sei finito solo tra i sospettati, Adam. Hai
sfruttato questo piccolo incidente di percorso per essere qualcuno.” Rimise su il diavano caduto,
appongiandovi sopra un piede e spingende e vi si lasciò cadere, sprofondandoci,
indifferente alla morte e all’odore di sangue. Black Adam deglutì pesantemente.
Quell’uomo era diverso da tutti quelli che aveva conosciuto, criminali o meno
che fossero.” Hai cavalcato l’onda.
Bravo. Ma io sono stato l’onda. Io sono stato il vasto oceano che tutto spazza
via.” Aprì il colletto della camicia
e mostrò la cicatrice che correva lungo la gola interrotta alla vista dal
cerotto che teneva fermo il microfono che gli permetteva di parlare nonostante
il danno permanente alle corde vocali.”
Con una parola potevo scatenare l’inferno, Adam! Se mi avessi visto! Il mondo
era davvero mio ma ho fatto uno sbaglio e ho abbassato la guardia ed ora la mia
voce esce da un misero amplifcatore assicurato alla mia cintura. Sai cosa
voglio Adam?”
Lo guardò senza nessun particolare sentimento.
“Cosa?” Chiese con un filo di voce.
“Voglio rifarmi. Voglio quello che mi spetta. Voglio
quello per cui sono nato e per cui ho patito. Mi servono però i mezzi, i soldi,
gli uomini e tu hai tutte queste cose e la chiave per avere molto di più. Sia
chiaro, mezzi, soldi e uomini non mi interessano di per sé. Rivoglio quello che
era mio. È l’unica cosa che mi interessa e tu, Adam mi servirai e se non lo
farai, ti torturerò. Ti torturerò così tanto che mi chiederai la morte ma io te
la negherò, Adam. Ti farò rimpiangere ogni giorno passato al mondo. Sono stato
chiaro, Adam?”
“Si.”
“Si cosa?”
“Sissignore.”
“Bravo. Lascialo andare ora.”
“Muoviti pure.” Fece Alvin che nel frattempo stava
studiando i dischi che stavano alla postazione del DJ.
“Non provarci. Non pensare nemmeno di poterlo fare.
Non puoi battermi. Non sono alla tua portata. Sii un buon servo e alla fine,
forse, ti ricompenserò. Deludimi, infastidiscimi, prova solo a tentare di prendermi
in giro, e sarà solo dolore per te.”
“Sissignore.”
“Ottimo. Ora vai a riposarti. Domani hai un incontro
d’affari con i tuoi fornitori. Ti voglio in forma perché nominalmente, questa è
ancora la tua impresa. Chiaro?”
“Sissinore.”
“Nominalmente. Da dieci minuti fa è la mia.”
“Sissingore.”
L’altro Adam, l’Adam dagli occhi folli, sorrise
soddisfatto.
Continua