Yuri N.A. Lucia
Presenta
La figura ammantata s’incamminò lungo il pendio
erboso, risalendolo senza troppe difficoltà. Il sole brillava alto e forte nel
cielo e sicuramente siffatto abbigliamento avrebbe attirato più d’uno sguardo
incuriosito se vi fossero state persone a sufficienza per notarlo.
Raggiunse l’uomo che dalla sommità del clivo
osservava un gruppo di pastori che, nella vallata, s’erano riuniti per bere un
po’ di vino e guadagnare una tregua dalla calura estiva.
Il ronzio delle cicale riempiva l’aria e dall’ovest
si levò un lieve vento che generoso, mitigò in parte l’afa.
“Provi grande piacere ad osservarli.” Esordì il
nuovo arrivato in tono sprezzante.
“Conducono vite semplici e s’accontentano di
semplici piaceri. Si. Trovo che sia istruttivo e piacevole parteciparne anche
solo guardandoli da lontano.”
“Da come parli, parrebbe quasi che tu li invidi.”
C’era un miscuglio in districabile di sorpresa, incredulità e disgusto in
quelle parole.
L’altro sospirò, un sospiro carico di pazienza e sopportazione
per un argomento che gli era già costato molto. “Ti è così difficile credere
che la loro possa essere un’esistenza felice?”
“Si.” Secco il commento dell’interlocutore dal volto
nascosto nelle pieghe d’un ampio cappuccio.
“Comunque, ti aspettava già da un po’. Sei in
ritardo di due giorni e credevo ormai di non poter più contare su di te.”
“Però hai continuato ad attendere.”
“Avevamo un accordo e prima di considerarlo rotto,
volevo esserne certo.”
“Hai fatto bene. Devo essere prudente negli spostamenti
per non destare sospetti. Fino ad ora nessuno ha fatto mai domande, sia per la
discrezione dei miei comportamenti, sia perché sono stati impegnati in altro.”
“Ha pianificare una nuova conquista?” La domanda era
retorica e carica d’amaro rammarico.
“Anche ma dovresti rallegrartene, visto che li tieni
occupati. Non badano molto a me.” Non
riuscì a trattenere il risentimento.”
Ho imparato a farne la mia forza.”
“E dunque eccoci qui, i due cospiratori, gli empi
che s’apprestano a compiere l’inconcepibile.” Sussurrò quasi con timore le
ultime parole.
“Oppure coloro i quali saranno puniti come mai nella
storia di questo vasto mondo.”
“Conosciamo entrambi i rischi.”
Rimasero un po’ a guardare i pastori, rapiti qualche
istante dalle loro grasse risa mentre il vino e la compagnia ne scioglievano i
freni. Uno stava inequivocabilmente mimando quello che di solito gli uomini
bramavano di fare con il favore delle tenebre insieme ad una bella donna o ad
un morbido giovinetto. Il movimento ritmico ed esagerato dei lombi ne faceva
sobbalzare i genitali e strappava altre sguaiate risate ai suoi compagni.
“Lui li ha sempre temuti.” Si avvolse di più nel suo
mantello di lana grezza nonostante il caldo, quasi volesse scacciare il freddo
di qualche fosco pensiero.
“Anche io.”
A tale affermazione l’altro lo osservò.
“Non si direbbe, da come ti sei sempre battuto per
loro, al punto da essere cacciato dalla tua stessa casa.”
“Sai perché spaventano entrambi?”
“Dimmelo.”
“Perché sono ambiziosi. Perché sono arroganti. Perché
possiedono un intelletto vigoroso ed una grande curiosità. Perché posseggono la
forza per poter realizzare i propri desideri.”
“Ricordano molto noi.” Ammise.
“E proprio per questo lui li teme. Teme che possano
un giorno essere la causa della sua caduta.”
“Impossibile!” Sibilò quasi con sdegno.
“Non ne saresti felice? Non desideri più d’ogni
altra cosa vederlo in ginocchio? Agonizzante? Spogliato d’ogni dignità?”
“Per mia mano? Certo! Per mano di simili esseri?
Mai!”
“Eppure, in un certo senso, sono loro che hanno
messo in moto tutto questo.”
“Ma se li temi anche tu, allora perché? Perché la
tua ribellione? Perché sopportare il peso dell’esilio?”
“Perché lui vuole evitare il pericolo che
rappresentano per noi e per essi stessi reprimendoli.
Io li voglio responsabilizzare. Lui vuole trattarli
come eterni bambini, privandoli degli affanni e delle gioie della crescita. Io
voglio che camminino al nostro fianco, da amici e fratelli.”
“Fratelli?” Provò ribrezzo nel pronunciare quella
parola.
“Puoi fingere che tra noi e loro esista un abisso
incolmabile ma sai benissimo che non è così. Loro sono ciò che eravamo nemmeno
troppo tempo fa e forse proprio per questo li odiamo tanto. Eppure li
cerchiamo, giaciamo con loro e ci danno dei figli. Io ho il loro sangue che mi
scorre nelle vene e lui stesso, forse, na ha generato dei mezzo sangue con le
amanti che ha scelto tra loro?”
Per un istante l’odio che l’ammantata figura provava
divenne quasi palpabile.
“E dunque,”
cambiò discorso mentre reprimeva a stento i propri sentimenti,” è per redimerli e salvarli che fai
tutto questo?”
“Non solo loro. Anche noi.”
“Noi?”
“Stiamo soffocando il loro potenziale riducendoli al
rango di servi mentre noi abbiamo smarrito il senso del nostro cammino
divenendo oppressori. Entrambi siamo condannati ad una morte lenta nella gabbia
dorata di quest’età dell’oro che lui ha generosamente fabbricato per noi tutti.
Sempre che non ci uccidano prima le guerre che sta, un giorno dopo l’altro,
conducendo contro chi osa soltanto mettere in dubbio i suoi capricci.”
“Hai mai pensato che potresti tentare un’altra via?”
“Come parlargli? L’ultima volta non è andata affatto
bene. Non sono più nelle sue grazie a giudicare dall’avvertimento che mi
diede.”
“Ed è qui che sbagli. Sei il suo favorito. Lo sei
sempre stato e lo sei ancora oggi. Se così non fosse non avresti ricevuto
nessun avvertimento. Ora saresti cenere o peggio, t’avrebbe rinchiuso la dove
un tetro rossore scioglie solo in parte le tenebre. Non dimenticare chi è e
cosa ha fatto al suo stesso padre.”
“Lui si difese,”
gli venne naturale pronunciare quelle parole, non senza provare sorpresa,” lottò per la sua libertà e per la sua
vita ed in questo non posso condannarlo senza contare che il genitore s’era a
sua volta macchiato di crimini forse ben più grandi. Evirò chi l’aveva
concepito. Ricordi?”
“E la madre allora? Non era stata la madre a
sottrarlo ad una fine certa? Non è lei che poi, scoperto l’inganno, venne
svergognata ed umiliata di fronte alla sua stessa gente? E lui come ripagò gli
stupri e le botte subite? Con la carcerazione a vita ed altre angherie da
patire, solo perché ella osò invitarlo alla clemenza nei confronti dei propri
nemici.”
“Se è questo quello che pensi, allora perché prima
mi inviti a riflettere sui miei passi?”
“Perché il cammino che stiamo per intraprendere non
ha ritorno e volevo testare se eri saldo nei tuoi propositi. Lo sei ma tu lo
ami ancora. Non negarlo.”
“Lui è stato un padre per me. Come potrei mai solo odiarlo?”
“Eppure sei pronto a fare l’impensabile! Sei pronto
a farlo cadere nella polvere e privarlo del regno che ha tanto desiderato, al
punto da sacrificare i suoi stessi affetti.”
“E tu? Non hai provato anche tu amor per lui? Ed ora
sei qui e posso sentire il tuo desiderio di vendetta vibrare con tanta forza da
risuonare per tutta questa grande, fertile vallata.”
“L’amore e l’odio spesso sono le due facce della
stessa medaglia, mio giovane amico. Il tuo così detto padre è un bieco e
spietato tiranno, incapace di mettere da parte il proprio egoismo,
disgustosamente indulgente verso le proprie mancanze ma privo d’ogni
comprensione nei confronti degli altrui errori.”
“Alla fine, dunque, è la vendetta che ti muove. Non
siamo una strana coppia di cospiratori?”
“Strana ma vittoriosa, spero. Cosa osservi con tanta
attenzione?”
“Nulla.” Tentò di divagare ma non venne creduto.
“Quel giovane pastorello dalla pelle imbrunita che
mesce il vino nei corni dei suoi compagni anziani? Sai che cosa ha fatto?
S’invaghì qualche tempo addietro d’un giovane pastore, simile a quello che ora
il tuo sguardo sta contemplando e l’ha rapito, egli stesso, per portarlo alla
sua casa. I genitori dello sventurato, quegli stupidi, tentarono di dissuaderlo
e lui, per tutta risposta, fece loro assaggiare la leggendaria collera di cui è
capace.
Lo usò a suo piacimento per notti e notti ed alla
fine, lo costrinse a servirgli il vino durante i suoi banchetti, gli occhi
ancora arrossati per il pianto disperato, mostrandolo ai propri commensali come
se fosse un trofeo.” Sputò in terra
in segno di disprezzo.” Forse hai i
suoi stessi gusti?”
“No!” Si affrettò ad affermare con energia.
“Siete simili. Più di quanto non ti piaccia
ammettere. Forse è per questo che ti ha sempre guardato con un misto di timore
e di amore. In te vedeva un sé stesso più giovane. Quel figlio che il resto
della sua progenie, nonostante tutto, non è riuscita ad essere.”
“Forse è proprio per questo che alla fine mi ha
allontanato.”
“Forse. Di sicuro se avesse capito che eri più
simile a lui di quanto non immaginasse, ti avrebbe ucciso.” Deglutì mentre gli diceva quelle parole, mentre un ricordo
doloroso e bruciante tornava alla mente. Il motivo primario che scatenò l’odio
che ne aveva guidato i passi sino a quel giorno.” Dunque il giorno s’appresta. Sei pronto? Sei certo che
funzionerà?”
“La certezza non esiste, quando si parla di magia.”
“Non sono parole da dirsi quando ci si appresta ad
una simile impresa.”
“Nascondersi la verità può solo ispirare una falsa
fiducia, pericolosa quanto la paura perché potrebbe allentare la nostra
guardia.”
“Pensavo che il tuo sperimentare avesse dato dei
risultati!” C’erano impazienza e delusione nelle sue parole.
“I risultati ci sono stati ma non è detto che
funzioni come mi aspetti. La magia è come una selvaggia fiera, difficile
prevederne le mosse, impossibile da domare completamente. Tende a cercare
continuamente il raggiro dell’autorità di chi la esercita ed è pronta a
rivoltargli si contro ad ogni occasione, anche quando sembra ormai impossibile
che questo avvenga.”
“Spera allora che la tua bestiola faccia il proprio
dovere e decida di non azzannarti il collo all’ultimo.”
“Lo farò e tu ricorda che senza di te non potrò
riuscire nel nostro intento.”
“Abbiamo un patto, non dimenticarlo.”
“Il suo trono per il tuo tradimento. Così sia.”
“Ci rivedremo fra venti giorni per gli ultimi
dettagli.”
“Che il viaggio di ritorno sia lieve e rapido.”
“Che la tua coscienza possa smetterla di torturati e
la tua mano essere salda quando sarà il momento.”
Con questi reciproci auguri, i due si separarono.
Quando tornò ad essere solo sulla sommità del colle,
tornò ad osservare il piccolo pastore.
Lo osservò con grande attenzione.
Yuri
Lucia
Presenta:
1
I
San
Diego, California, Istituto Nostra Signora della Carità – 4, Settembre.
Il suo sguardo cadde ancora una volta al cortile,
dove lo vide ancora una volta, attraverso la grande finestra, intento ad
qualche gioco solitario. Gli altri ragazzi erano impegnati in una partita di
basket, lui se ne stava in disparte.
“Non capisco quale sia il problema. Pensavo che le
mie credenziali fossero più che sufficienti.” Disse l’uomo, con il suo tono
neutro e pacato.
Il Direttore Robert Sullivan aggiustò la cravatta
per l’ennesima volta, segno di disagio e insofferenza per la presenza di
quell’uomo che da un quarto d’ora violava l’amata privacy del suo ufficio.
“Signor…” Scivolò in un imbarazzato silenzio quando
si rese conto di non esser certo della pronuncia del nome. L’altro, con
pazienza, lo ripeté per la seconda volta da quando era giunto:
“Azam. Simon Homer Azam.” Scandì bene ogni sillaba
per esser certo di non doversi presentare nuovamente.
“Azam?Un cognome curioso. È di origini
mediorientali?” Cercò di studiare l’uomo nel modo più discreto possibile, per
tracciarne la possibile provenienza. Carnagione media, alto, barba e baffi
curati, capelli rasati forse per nascondere delle calvizie, naso aquilino,
occhi stretti, dal taglio all’insù, una bocca che non sembrava abituata al
riso.
“Mi scusi? È un problema per lei?” Non era un accusa
ma suonò ugualmente come una sferzata.
“No, no!”
Si affrettò a giustificarsi l’altro.”
Era solo, curiosità!”
“Sono cittadino americano da diverse generazioni,
Signor Sullivan. Da dove vengano o meno i miei antenati, non mi sembra determinante
per l’adozione.”
“Signor Azam, la prego, cerchi di capire. Su di lei
non abbiamo trovato molte notizie …”
“Ed è per questo che sono venuto qui. Ancora però
non capisco quale sia il problema.”
“Beh, di certo in quanto presidente di una delle più
importanti compagnie di elettronica del Paese e proprietario di uno dei più
grandi politecnici californiani lei ha delle credenziali eccellenti come
genitore adottivo.”
“Il che ci riporta alla mia domanda: perché state
facendo tutti questi problemi?”
“Non sappiamo nulla su di lei dal punto di vista
personale. Vede, essere genitori è una grande responsabilità e prima di
affidare un ragazzo a qualcuno, in qualità di funzionario, devo essere certo
che il richiedente sia una persona equilibrata, da provata integrità.”
“ Come ha fatto notare, sono il Presidente di
un’importante compagnia che sviluppa e produce tecnologia, Sig. Sullivan.
Lavorando spesso per conto del Governo, tendiamo a mantenere un profilo
piuttosto basso per via della necessità di riservatezza che questo comporta. Se
è comunque delle referenze che cerca, posso farle scrivere dal Governatore in
persona.”
Sullivan deglutì. Non stava bluffando, o almeno non
dava assolutamente l’impressione di farlo. Non aveva mai alzato la voce e non
pareva né spazientito, né irritato. Il che poteva significare che era davvero
talmente ammanicato da potergli far scrivere dal Governatore in persona.
“D’accordo, Signor Azam. Ammetto che le referenze
l’aiuterebbero non poco ma dovrà comunque sostenere un colloquio con uno
psicologo e con un assistente sociale.”
“Cosa che ho già fatto.”
“Si tratta di un nostro psicologo e di un assistente
del Municipio. Lei ha affrontato solo dei colloqui preliminari con lo psicologo
e l’assistente che seguono questo tipo di casi per conto dello Stato della
California .”
“Dai miei precedenti colloqui però risulta che io
fossi idoneo all’adozione.”
Sullivan lanciò una frettolosa occhiata alla
cartellina che stava sul suo tavolo.
“Effettivamente, da questo punto di vista il suo
profilo è stato giudicato eccellente,“
ammise” ma non di meno dovrà comunque
sottoporsi a nuovi colloqui.” Insistette con un vigore che giudicò eccessivo.
Non voleva passare per l’indisponente funzionario di turno ma al tempo stesso
voleva sbarazzarsi di quell’uomo al più presto.
“E quando dovrei incontrare questi funzionari?”
“Le daranno un appuntamento al più presto. Tra un
paio di mesi sarà tutto fatto.”
Il Direttore per un attimo provò un brivido lungo la
schiena. La massiccia figura davanti a lui parve sul punto di esplodere. Fu
solo un piccolo, infinitesimale istante ma poté avvertirlo in tutta la sua
forza.
“Signor Sullivan, non sono arrivato qui con l’idea
di prendermi e portarmi il ragazzo e sapevo che avrei dovuto sbrigare altre
procedure burocratiche. Tuttavia reputo assurdo che per parlare con due
funzionari debba passare tutto questo tempo.”
“Sono le procedure …” Si giustificò Sullivan, a
volersi liberare da ogni responsabilità.
“Eppure ancora non arriviamo al punto. Non mi sta
dicendo il motivo per cui il mio caso debba essere oggetto di valutazioni così
lunghe.”
“Risulta, Signor Azam, che lei non sia sposato …”
Ammise alla fine con un filo di voce.
“Ho divorziato dodici anni fa.”
“Inoltre lei ha compiuto cinquant’anni.” Fu come se
quella frase gli fosse stata estorta dall’inesplicabile carisma di quell’uomo.
“Quindi, mi faccia capire bene, sta dicendo che in
California due persone dello stesso sesso possono adottare un bambino ma un
genitore single che ha superato i quarant’anni d’età, no.”
“La prego non la metta sulla questione in questi
termini.” Suonò quasi come una supplica.
“E lei che la sta mettendo così.”
“Deve anche tener conto che trovandosi già nella
maturità dobbiamo tener conto se a lungo termine …”
“Ho cinquanta due anni, Signor Sullivan e buone
aspettative di vita, visto che sono in perfetta salute fisica e mentale.
Inoltre stiamo parlando di un ragazzo che sta per compiere dodici anni. Ci sono
molte coppie in cui il padre ha il primo figlio a trent’anni d’età passati.
Potrei dare a quel ragazzo un futuro, Signor
Sullivan, un futuro come mio figlio adottivo. Sa benissimo che per ragazzi di
quell’età l’adozione è difficilissima se non impossibile.”
Aveva pronunciato quelle parole con freddezza,
presentandole come il risultato di un ragionamento rigoroso e razionale ma non
di meno Sullivan trovò la forza di obiettare:
“Capisco quello che dice ma per noi, il benessere
del ragazzo viene prima di tutto.”
“Balle.”
Robert Sullivan si ritrovò lì, paralizzato, con la
mano alla cravatta, bloccata mentre per l’ennesima volta cercava di
aggiustarla. Balbettò un paio di volte prima di riuscire a prodursi in uno
sdegnato: “Come prego?”
“Sullivan,”
l’omissione del signor non era né casuale, né il tentativo di portare la
discussione ad un livello meno formale. Di certo negli occhi di Azam quella che
brillava non era una luce amichevole,”
voi tenete a quei ragazzi nella misura in cui per voi rappresentano un
contributo da parte dello Stato. I ragazzi grandi, poi, rappresentano
contributi più sostanziosi, aumentando notevolmente le spese per il loro
mantenimento. Come Direttore di questo posto, lei cerca di tirare il più alla
lunga possibile questo tipo di pratiche per usufruire fino all’ultimo di quei
fondi.”
“COME SI PERMETT…” L’ultima lettera gli venne
ricacciata in gola dall’occhiata che Azam gli lanciò. Non era semplice
disprezzo. Era derisione frammista a disgusto.
“Lei, come si permette di insultare la mia
intelligenza. Risponda ad una domanda: qual è il piatto preferito di quel
ragazzo?”
“Cosa?”
“Non tergiversi e mi risponda. No? Allora il suo
colore preferito? Il suo sport? Il programma tv che guarda più volentieri?
Potrei andare avanti all’infinito, Sullivan e non mi dica che lei ha troppo da
fare per sapere queste cose. Quel ragazzo è qui da due anni. Due. Non ha mai
trovato il tempo di interessarsi a lui. Non ne sa praticamente niente. Invece,
Robert,” nemmeno l’iniziarlo a
chiamare per nome fu casuale, e a quel punto il direttore s’accorse che il
piede sinistro tremava per il nervosismo,”
so molte cose su di te.”
“Non, non starà mica cercando? …”
“Di minacciarti? Robert, non essere ridicolo. Quelli
come me non minacciano mai. Non gli serve. Ti sto facendo un favore, un atto di
generosità se preferisci. L’unico che riceverai da me.
Hai aperto un nuovo mutuo, Robert, per comprare
quella bella villa sulla riviera che tua moglie voleva da quando vi siete
sposati. Peccato che tu abbia saltato una rata del pagamento. Lei non lo sa
vero? Non sa che stai mettendo in vendita la tua bella auto sportiva ed il tuo
mini appartamento in città per rimediare. Non lo sa perché altrimenti dovresti
spiegarle che i soldi ti sono serviti per comprare il silenzio di quella bella
signorina di Las Vegas, quella che hai frequentato da tre anni a questa parte
tutte le volte che dicevi alla tua signora di essere impegnato in qualche
convegno del tuo gruppo religioso. Quella che hai messo incinta otto mesi fa e
che non ha voluto abortire. Sei proprio recidivo eh?” Lo canzonò beffardo.”
Cosa direbbe tua moglie se sapesse che all’inizio della tua carriera hai avuto
lo stesso problema ma con una delle ragazze che avevi sotto la tua tutela? Ha
sempre pensato che l’essere passato dal dirigere il vecchio istituto a questo
fosse stata una promozione per il tuo impegno. Invece è stato un favore che
qualcuno in alto ti doveva. Qualcuno di cui tra l’altro so il nome ed il cognome,
Bob. Non ti spiace se ti chiamo Bob, nevvero? Direi di no. Allora Bob, ecco
cosa si fa ora. Voglio adottare il ragazzo e lo farò. Tu agevolerai tutte le
pratiche e le formalità e tra una settimana me lo porterò a casa. Non un giorno
di più.
Accontentami e la rata saltata non sarà più un
problema, anzi, diciamo che non lo sarà più nemmeno la prossima e la prossima
ancora. Non dovrai vendere la sportiva, non dovrai vendere il tuo scannatoio in
città e tirerai il fiato per un paio di mesi.
Scontentami e credimi Bob, lo rimpiangerai per il
resto dei tuoi giorni.” Robert
Sullivan fu scosso da un paio di violenti tremiti, il volto pallido e sudato,
incapace di replicare a quanto gli era stato detto. Azam si alzò, imponente nel
suo metro e novanta. Non degnò nemmeno di uno sguardo il Direttore
dell’orfanotrofio mentre imboccava la porta. Gli disse soltanto:” una settimana. Domani m’aspetto che il
mio avvocato riceva buone notizie riguardo la pratica.”
Simon Homer Azam uscì dall’ufficio, lasciandosi alle
spalle un uomo distrutto ed in lacrime.
Nulla a cui non fosse abituato.
II
San
Diego, California, Istituto Nostra Signora della Carità – 12, Settembre.
William Batson non si voltò mai, nemmeno una volta,
per salutare l’istituto. Non era la sua casa, non lo era mai stato e se mai
avesse dovuto passarci ancora altri anni della sua vita, non lo avrebbe mai
considerato tale. La sua casa era un’altra e per quanto ne sapeva ora ci
vivevano altre persone.
L’uomo che l’attendeva alla macchina lo intimorì non
poco.
Aveva una corporatura massiccia, trattenuta a stento
dal completo in tweed che indossava, un collo taurino messo in risalto dal
candore del colletto di una camicia confezionata su misura e da una cravatta di
seta su cui spiccava un ferma-cravatta d’oro e l’incisione di una doppia T
finemente cesellata.
“Buongiorno, William.” La voce era profonda, quasi
cavernosa e strideva con l’accento compassato e la perfetta dizione con cui
parlava. La carnagione era olivastra e portava i capelli, neri come il carbone,
tagliati cortissimi, quasi a pelle. Le guance erano ornate da due favoriti
demodé ma che conferivano a quei lineamenti spigolosi un’aria ancora più
solenne.
“Buongiorno a lei, signore. Mi hanno detto che l’ha
mandata il Signor Azam a prendermi.”
Il ragazzo attese che l’altro gli desse risposta e
strinse quasi subito la mano che gli veniva tesa.
Vinse la paura di vedersi stritolare da quell’arto
che trasudava forza da ogni poro e con un certo sollievo constatò subito che
l’altro aveva regolato la stretta ‘si da non fargli alcun male.
“Tamerlano Tiger, piacere William Batson. Sono
l’assistente e consigliere del Signor Azam.”
“Consigliere?”
“Un uomo come il Signor Azam ha spesso bisogno di
consiglieri, anche se poi tende a fare sempre di testa propria.” Quell’affermazione
strappò un sorriso al ragazzino che notò con piacere ricambiato dall’altro.
Venne fatto accomodare sulla Bentley e notò che ha
tenergli lo sportello c’era una bellissima ragazza in uniforme.
“Lei è Cee Cee. È l’autista preferita del Signor
Azam e non solo per la sua bellezza,”
gli disse Tiger quasi ne avesse indovinato i pensieri,” è estremamente qualificata e professionale. Non troverai autista
migliore in tutto lo stato.”
Il volto di lei rimase impassibile a quel
complimento e si limitò ad un cenno d’assenso e ad uno di saluto indirizzato al
ragazzo che salì sulla lussuosa auto.
“Non devi preoccuparti per il resto delle tue cose,” lo rassicurò Tiger che gli si era
seduto affianco,” verranno a
prenderle domani.”
“Non ho molto, a dire il vero. Quello che conta l’ho
messo in questo zaino.” Disse William indicando la borsa malandata che aveva in
spalla.
“Buon per te che sai distinguere le cose veramente
importanti da quelle che non lo sono.”
Gli disse Tiger. William non sapeva se interpretarla come una frase di
circostanza, una presa in giro o un vero complimento. Optò per la prima.
L’interpretazione più prudente.
“Dove andremo?”
“Non ti hanno detto nulla in istituto?”
“Non molto.” William sentì a malapena l’auto
iniziare a muoversi. Doveva ammettere che Cee Cee aveva il piede leggero.
“Per ora andremo in villa. Il Signor Azam possiede
un vigneto vicino la costa, a circa trenta chilometri da qui. Rimarrai lì fin
quando non inizierà la scuola.”
“Ed è stato già scelto che scuola frequenterò?”
“Questo te lo dirà il Signor Azam in persona.”
“Perché non è venuto di persona.”
Tamerlano lo guardò fisso negli occhi. Doveva
ammettere di non essersi aspettato gli avrebbe posto così presto quella
domanda.
“Il Signor Azam è un uomo d’affari estremamente
impegnato. Questo ti è stato detto, vero?”
“Si. Onestamente però mi aspettavo che, dal momento
che mi ha adottato, sarebbe venuto lui in persona a prendermi. Non mi
fraintenda, gli sono grato di avermi tirato fuori di lì. Solo trovo il suo
comportamento, curioso.”
Si era espresso come avrebbe fatto un adulto. Non
doveva essere stata facile per lui in istituto. Lo si capiva da come era stato
costretto a maturare velocemente.
“Una incontro improrogabile con un cliente gli ha
impedito di essere qui. Avrete modo di incontravi stasera.”
La conversazione parve finita ma poi: “Billy”;
“Come?” Chiese Tiger.
“Nessuno mi chiama William. Mi chiamano tutti Billy.
Billy Betson. È un allitterazione e suona anche meglio, non crede?”
“D’accordo. Billy Batson. Si, suona bene.”
La macchina proseguì il suo viaggio verso la nuova
casa di Billy.
III
Sede
Centrale delle Fawcett & Fawcett Enterprise, Los Angeles, California – 12
Settembre
“Davvero, non capisco, sarebbe stato così terribile
usare il nome a cui avevo pensato?”
L’osservazione di Thaddeus Sivana era pregna del suo
malcontento per la decisione del CEO della società per cui, da oltre quindici
anni, lavorava in esclusiva.
Simon H. Azam gli sorrise bonario e lo invitò a
sedersi su una delle comode poltrone del suo ufficio, all’ultimo piano
dell’Otto Building, il simbolo della potenza della F&F Ent.
Mentre Sivana sprofondava nella comoda imbottitura
rosso-marrone, Simon prese dal suo mobile bar un paio di bicchieri e del
Bourbon che servì a sé stesso e al suo amico.
“Thaddeus,”
gli disse in una caricatura di un tono solenne,” sei forse l’uomo più intelligente di questo pianeta, credimi. Non
ho mai visto nessuno fare quello che fai tu e senza il tuo apporto, questa
compagnia non sarebbe divenuta la numero uno qui nei vecchi USA o tanto meno
una delle più importanti del globo. Tuttavia, permettimi di dirtelo, quando si
tratta di marketing, non ne capisci proprio un bel niente.” Ingollò
allegramente un po’ di liquore.
“Mister Atomic non mi sembra un brutto nome! Voglio
dire, è così deliziosamente retrò, ricorda i cartoni in cui c’erano buffi
marziani e strani dischi volanti, alla Duffy Dodger per rendere l’idea.”
Difese con calore la propria idea e questo fece solo
aumentare il buon umore dell’altro.
“Thaddeus, abbiamo orde di contestatori ai nostri
stabilimenti di Pasadena, aizzate da giornalisti radical chick, che hanno da
ridire sulla messa in produzione di androidi da combattimento da utilizzare
nelle zone calde del pianeta. Parlano di guerra disumana, di macchine di morte
senza cuore.”
“Ma a cosa dovrebbe servire un robot da
combattimento, scusa? I nostri soldati sparano durante le missioni, per
difendere sé stessi o per compiere il dovere loro affidato! Perché diavolo
dovrebbero essere contro ad un dispositivo che risparmierà la vita a tanti
bravi ragazzi americani?” Sivana non riusciva a concepire come le persone
potessero essere tanto ostili ad un simile concetto e Simon l’aveva capito. Sivana
aveva sempre addifettato in questo: la comprensione degli esseri umani;
“Perché credono che nella vita le cose siano sempre
o bianche o nere, che non esistano le sfumature e che la guerra sia sempre e
comunque un male.”
“Da come lo dici, sembra quasi che tu li capisca.”
“La guerra è un male, Thaddeus. La gente muore e per
quanto le armi divengano intelligenti, il rischio che un indifeso o un
innocente ci vada di mezzo non può essere azzerato. I terroristi montano le
batterie di missili sui tetti degli ospedali, delle scuole elementari, delle
abitazioni civili. È facile capire che l’idea di premere il grilletto con il
rischio concreto di uccidere un bambino sia una cosa che possa creare un
problema morale ed etico.”
“Io …, non ci avevo mai pensato in questi termini.”
Ammise Sivana, come se per la prima volta prendesse coscienza del fatto che una
guerra non era un semplice scorrere di statistiche e dati.
“Tuttavia pensare di risolvere il problema con il
pacifismo ad oltranza, è un’idea idiota.”
Prese un altro sorso di burbon e pensò che doveva decisamente dare un aumento
alla sua segretaria. Sceglieva sempre i liquori migliori.” La vita spesso è lotta e si deve essere disposti a combattere per
quello che si ama o per quello che si è conquistato duramente o, spessissimo,
per entrambi. Non puoi tendere la mano ad un talebano sperando che la stringa
perché lui la taglierà di netto con un machete. Ci sono situazioni che non
possono essere risolte con la diplomazia, purtroppo e che richiedono scelte
dolorose. Quando mandiamo i nostri soldati diciamo che si tratta di missioni di
pace ed in un certo senso è vero, solo che per portare quella pace e mantenerla
devono combattere.
Sono esseri umani e per quanto delle volte certi
correnti di perbenisti da quattro soldi li additi come assassini e mercenari
non possono negare possiedano una coscienza. Una macchina che agisce
autonomante, invece, fa paura. Non ha coscienza o pietà e se cominciassimo a
mandare simili artefatti al posto degli esseri umani, potrebbero pensare che
stiamo eliminando l’elemento pietà dalla guerra.”
“Lo stiamo facendo?” La domanda di Sivana era
sincera, senza nessun doppio fine polemico dietro.
“La pietà può rallentare un soldato. Lo scrupolo può
mettere in pericolo la sua vita e quella dei propri compagni, compromettendo il
buon esito di una missione e meno un obbiettivo è vicino dall’essere
realizzato, più aumentano i tempi ed il numero di soldati che servono per
conseguirlo. Pensa al dannato Vietnam e cosa ha significato la non riuscita di
Rolling Thunder. È un circolo vizioso.
Si tratta di scegliere tra quali vite vogliamo sacrificare sul campo di
battaglia. Sono convinto che alla fine troveremo il modo di far apprezzare
questo aspetto al pubblico senza necessariamente presentarlo nella sua
interezza.”
“In che modo?”
“Le persone vogliono avere la coscienza a posto, Sivana.
Trova il modo di soddisfarle e potrai fare tutto. Anche volgere a tuo vantaggio
la riluttanza inziale.”
“E come si può fare una cosa del genere? Ottenere un
vantaggio da una resistenza.”
“I proiettili.”
“I proiettili?”
“Sai che i proiettili che si usano nei conflitti a
fuoco hanno l’ogiva diminuita.”
“Per ridurre il numero dei morti.”
“Ufficialmente.”
“Ufficiosamente?”
“Mi sorprende che tu non ci abbia mai pensato. Un
soldato ferito lasciato tra le fila nemiche va a pesare sullo sforzo bellico
del tuo avversario. È un’unità non riutilizzabile che devi mantenere. Un peso
morto. Ecco che i benpensanti sono soddisfatti così come chi deve combattere.
Il sacrificare la sicura eliminazione di un nemico per la sua trasformazione in
un elemento indebolente è un buono scambio.
Mi serve un po’ di tempo per riuscire a fare
qualcosa del genere. Accontentare tutti. Non posso però farlo se tu getti
benzina sul fuoco.”
“Avrei fatto una cosa del genere?”
“Thaddeus! I padri ed i nonni di quei contestatori,
nella maggior parte dei casi, sono stati dei maledetti hippies che andavano a
protestare contro le centrali nucleari! Se chiamiamo i nostri androidi da
battaglia Mister Atomic non solo non li rendere più appetibili all’opinione
pubblica ma probabilmente faremo inferocire di più chi si oppone ad essi e
magari ci tireremo contro anche chi ora non lo è.
Sarà anche vintage e dolcissimo come nome ma la
maggior parte degli americani, alla parola atomic, associa l’immagine di un
tetro fungo che si alza all’orizzonte.”
Sivana sorseggiò lentamente il suo bourbon, gli
occhi fissi nel vuoto, mentre elaborava quello che gli era stato appena detto.
“Sono un totale cretino.” Ammise quasi si trattasse
di una totale disfatta.
“Sei un adorabile genio,” lo rincuorò Azam,” ma
un vero disastro nelle pubbliche relazioni. Capisci perché alla riunione del
Consiglio di Amministrazione non ti ho fatto parlare? Capisci perché ti tengo
lontano dalla stampa?”
“Per fortuna sei tu il boss.”
“Per fortuna posso contare sul tuo impareggiabile
cervello.” Alzò il bicchiere in un brindisi in onore dello scienziato. Questi
controcambiò alzando a sua volta il suo.
“Allora come lo chiameremo il nostro campione?”
“Forse un nome come Dumso è più adatto.”
“Dumso?”
“Dummie Soldier. Si, lo ammetto, non è il massimo. Lo
ha proposto un nostro stagista ma al momento non mi viene in mente nulla di
meglio. Ho intenzione di commissionare il lancio ufficiale dell’AX-1 ad
un’agenzia pubblicitaria.”
“Allora perché non lo chiamiamo direttamente AX-1?”
“Troppo formale. Troppo da scenziato pazzo.”
“Quale io sono.”
“Pazzo e fantastico!” Strizzò l’occhio a Sivana che
proruppe in una fragorosa e divertita risata.
“Sai, Simon, non te l’ho mai detto ma ti voglio bene.”
“Non me lo hai mai detto ma lo sospettavo dai tuoi
sguardi.”
“No, no. Dico davvero. Con tutto il mio genio, prima
di incontrarti, non ero riuscito a combinare nulla di buono. A parte qualche
brevetto s’intende. Tutti credevano fossi davvero pazzo e, forse, un po’ lo
sono veramente. Hanno sempre pensato a Thaddeus Sivana come ad un uomo fuori
controllo e potenzialmente pericoloso ma non tu. Tu mi hai dato un lavoro, un
posto nella tua società, credito e rispetto.”
“Volevo un vincente Tad, e tu lo sei.”
“Non ti deluderò. AX-1, Dumso o come cavolo si
chiamerà non ti deluderà.”
“Lo so. I test preliminari sono andati molto bene
tra l’altro. Attualmente siamo i soli capaci di costruire una cosa del genere e
la produrremo in esclusiva per il nostro Paese. Forse qualche esemplare per gli
alleati più fidati. Sarà un bell’incasso e tu avrai un bonus che permetterà a
te e alla tua famiglia di vivere nel lusso per generazioni e generazioni.”
“A proposito di famiglia! Oggi è il gran giorno!”
“Si. Il ragazzo sarà arrivato in villa a quest’ora.
Tamerlano si sta occupando di lui.”
“Dovresti essere lì.”
“Posso arrivarci velocemente con il mio jet privato
e con l’elicottero. Non potevo mancare a questa riunione, lo sai bene. Si
tratta di una svolta epocale per la Fawcett.”
“Anche avere un figlio è una svolta epocale.”
“Per te lo è stato?”
Sivana sorrise teneramente. “Quando ho avuto i miei
ragazzi, l’intero mondo è cambiato per me. Sai, non credevo sarei mai stato
padre. Voglio dire, diciamoci la verità, non sono certo un adone.”
“Andiamo, non dovresti buttarti via così.”
“Simon, sei gentile, come sempre ma la bellezza non
è certo il mio forte e non sono mai
stato nemmeno molto sciolto con le ragazze. So che il mio matrimonio con Venus
ha fatto sorridere più di una persona. Anzi, so benissimo che cornuto è uno
degli appellativi con cui si riferiscono a me quando non sono presente.”
“Usi ancora delle cimici per sapere cosa pensa il
personale su di te?”
“Ogni tanto ma il punto è che sono consapevole di
tutto. Anche del fatto che a Venus interessavano i soldi che stavo facendo con
il mio lavoro. Sono sciocco non imbecille. Però mi ha dato comunque la gioia
più grande mettendo al mondo due figli miei. Miei. Se ti interessa, ho fatto
fare il test del dna.”
“Se ti ha fatto sentire più sicuro.”
“Me ne sono pentito quasi subito perché, prendimi
per matto, dal primo momento che li ho visti volevo comunque prendermene cura,
dna in comune o meno che fosse.”
“Invidio quello che hai.”
“Allora corri da quel ragazzo. Ti aspetta una bella
responsabilità.”
“Lo credo anch’io.”
“Gli attaccherai quella tua passione per i greci?”
Azam alzò lo sguardo e sorridendo, “Credi sia tanto
disdicevole.”
“No, è solo che non mi hai mai detto molto sul tuo
passato o sul come sia nato il tuo interesse al riguardo.”
“Mio padre se ne interessava. Devo a lui questa mia
passione. Sai cosa mi piace tanto di quei vecchi popoli?” Indicò con un cenno del capo un’anfora che faceva bella mostra di
sé in una teca a ridosso di una delle pareti.” L’onestà.”
“L’onestà?”
“Erano bellicosi ed arroganti, sempre in guerra e
convinti di essere la razza eletta. Però non facevano tutte le menate che
facciamo noi quando dovevano scontrarsi con qualcuno o tanto meno si
nascondevano dietro donne e bambini quando venivano attaccati.”
I due brindarono ancora una volta e dopo averlo
salutato calorosamente, Simon Homer Azam prese congedo dall’amico.
IV
Villa
Athene, 30 chilometri da San Diego,
California – 12 Settembre.
Billy guardava con un certo timore i dipinti che
stavano alle pareti dello studio. Uomini dallo sguardo ruvido e rapace
sembravano fissarlo dalle tele, oltre i confini stessi del tempo.
“Sono i fondatori della Fawcett e Fawcett.” Disse l’uomo che aveva fatto il suo
improvviso ingresso.
Era molto alto, più del Signor Tiger che pure non
poteva certo definirsi basso.” Sono
Simon Azam.” Gli porse la mano che il ragazzo strinse prontamente e senza
esitazioni.
“Billy Batson.” Disse cercando di non apparire in
soggezione.
“Billy?”
“William lo uso solo nelle occasioni ufficiali,
signore.”
“Simon è sufficiente. Ti ho adottato. Mi farebbe
strano sentirmi chiamare tutto il giorno Signor Azam da mio figlio. Non ti
chiedo di chiamarmi papà perché sei grande e mi sembrerebbe di importi
qualcosa.”
“Simon va benissimo,” disse sollevato Billy,”
confesso che non sapevo come rivolgermi a lei.”
“Dammi del tu.”
“Confesso che non sapevo come rivolgermi a te.”
“Abbiamo superato lo scoglio delle presentazioni.
Stiamo andando meglio di quanto avessi pronosticato.”
“Per ora posso dire la stessa cosa.”
Simon trattenne un sorriso. Non voleva aprirsi
troppo presto ma doveva ammettere di essere compiaciuto da come il ragazzo
affrontava la cosa. Gli stava tenendo testa, cercondo di non apparire né
intimorito, né sfrontato. Un comportamento equilibrato in una situazione
difficile. Era troppo presto per dire se le speranze che aveva riposto in lui
erano state attese ma di sicuro al momento si stava difendendo bene.
“Siediti, vuoi?”
Gli indicò una poltrona su cui, dopo aver ringraziato, Billy prese posto.
Azam si sistemò davanti a lui chiedendo,” Cosa ne pensi?”
“Della mia adozione?”
“Di quella.”
Azam era curioso di vedere quale risposta il ragazzo
gli avrebbe dato. Sembrava sveglio per la sua età, proprio come Tamerlano gli
aveva detto.
“Di certo è strana.” Billy aveva pensato bene a cosa
dire ma alla fine, aveva deciso che l’essere onesti era la cosa migliore da
fare.
“Cos’è che la rende strana?”
“Lei è un ricco uomo d’affari di cui non so
praticamente nulla, a parte il fatto che ha divorziato da sua moglie e che non
ha figli.”
“Non c’è molto da sapere su di me.”
“Ora so anche che è piuttosto sfuggente.”
L’uomo colse subito la sfumatura ironica, sebbene
discreta. Il ragazzo aveva fegato.
“Sono poco incline a confidarmi con il prossimo
anche se, devo ammettere, dovrei cambiare questo mio atteggiamento, almeno con
te s’intende.”
“Sono un indesiderabile.”
“Un indesiderabile?”
“Simon, non serve raddolcire la pillola. So come
stanno le cose. A dodici anni nessuno vuole adottarti. Non lo vogliono fare
quando ne hai dieci di anni, come quando sono rimasto solo, figurarsi quando
ormai non puoi di certo definirti più un bambino. Non sei simpatico a nessuno e
nessuno vuole prendersi la responsabilità per qualcuno che difficilmente
sentirebbe davvero come un figlio proprio. Quando sei molto piccolo hai delle
speranza perché è più facile creare un legame duraturo ma man, mano che cresci,
le speranze svaniscono. Lo sapevo dal giorno in cui sono entrato in
orfanotrofio.”
“Pensavi che saresti rimasto da solo per sempre?”
“Avevo tutte le motivazioni. Aggiungici che sono un
ragazzo problematico.”
“A guardarti non si direbbe.”
“Però è così che mi hanno etichettato gli psicologi
e gli assistenti sociali dell’istituto. Tu lo sai, avrai senz’altro letto tutto
quello che c’era da leggere su di me.”
“Lo ammetto.”
“Tu sai tutto sul mio conto, vero? I miei genitori
sono spariti quando ero piccolo. Erano entrambi trafficanti di droga. Lo so, l’ho
scoperto qualche anno fa. Abbandonarono me e mia sorella da uno zio, Dudley,
che ci ha cresciuto al meglio delle sue possibilitì, almeno fin quando l’alzheimer
non lo costrinse ad un ricovero in ospizio.
Mary, mia sorella, è entrata nell’esercito per
potermi garantire un futuro. Buona carriera, soggetto brillante, alcune
decorazioni, una missione di troppo e sono rimasto solo.”
Simon lo aveva ascoltato con grande attenzione, le
braccia conserte, gambe accavallate, sguardo fisso su di lui a studiarne ogni
espressione del volto.
“Lei ti manca?”
“Ogni giorno della mia vita. Era tutta la mia
famiglia, lo è sempre stato. Non mi è pesato crescere senza genitori, dico
davvero. Non ho avuto priaticamente modo di conosceri e quel poco che ricordo
non mi piace nemmeno. Zio Dudley era meraviglioso. Un tipo strambo ma a posto.
Quando lo ricoverarono mi sono sentito morire. Però avevo Mary. Mary è stata
tutto per me, sorella, amica, madre. Ha scelto di sacrificarsi per me.”
“Ti senti in colpa per questo?” Simon Azam rimase
sorpreso dal come mantenne il controllo nonostante la domanda diretta.
“Si. Se è andata a morire in un posto onospitale ed
ostile come quello dove ha trovato la sua fine è solo colpa mia. C’è altro che
vuoi sapere su di me?”
“Al momento no. È stato un incontro più intenso di
quanto non mi aspettassi e tu sarai stanco.”
“Dubito che dormirò.”
“Dovresti provarci.”
“Cercherò di seguire il consiglio.”
“Troverai la tua camera spartana. Volevo arredarla
insieme a te. A dire il vero questa non è la casa dove starai ma verremo
comunque a passare del tempo qui e quindi vorrei che la rendessi confortevole
secondo i tuoi gusti.”
“Dove andremo a stare?”
“Los Angeles. Ne parleremo domani. D’accordo?”
“D’accordo.”
Azam osservò il ragazzo andare verso l’atrio dove lo
attendeva Tiger. Il suo consigliere gli avrebbe mostrato la camera.
Era misurato in ogni risposta che dava e se da una
parte era un bene da un’altra questo lo preoccupava.
Cosa sarebbe successo se un giorno avesse perso il
controllo?
IV
Clinica
Psichiatrica Ocean Side, Pasadena, California – 12 Novembre
Avanzò con passo sicuro, forte del suo
travestimento. Un infermiere della cooperativa mandato a sostituire un collega
malato. Salutò affabilmente, attendo a non eccedere, il personale che
incontrava, tenendo sotto braccio una cartella.
Sembrare impegnato in qualcosa l’avrebbe aiutato a
non essere notato.
Raggiunse la stanza in breve. Aveva memorizzato il
percorso alla perfezione.
“Buonasera, dolce principe.” Sussurrò una volta
scivolato al suo interno.
L’uomo disteso sul lettino distolse lo sguardo dalla
tv e gli rivolse un ghigno sprezzante.
L’altro sospirò e fece spallucce: “So che non è il
massimo vedermi. Avresti preferito una coniglietta di palyboy ma questo
attualmente passa il convento e dunque dovrai accontentarti, anche perché sono
venuto a tirarti fuori.”
Il paziente alzò scettico un sopraciglio.
“Andiamo,”
disse il finto infermiere,” stasera è
la grande serata! Il ragazzo è arrivato a villa Athena, o almeno credo. I miei
informatori mi hanno detto che Tiger è andato a prenderlo all’orfanotrofio
oggi. Si sta mettendo in moto il meccanismo, Azam sta per ricominciare d’accapo
e questo significa che tu sei in pericolo! Se sei rimasto vivo fino a questo
momento è stato solo perché non poteva ucciderti! Quando avrà terminato con il
ragazzo, ti eliminerà, tu lo sai!”
Negli occhi dell’altro si accese una fiamma di
rabbioso odio, così ardente che l’altro non trattenne un singulto per il timore
che incuteva.
“Vedo che ci intendiamo! Devi andartene, devi
andartene ora! Fino a questo momento non ha mai saputo dei nostri contatti e
deve continuare così! Non sa che hai trovato un alleato, non sa che hai trovato
me. Ti credo nelle condizioni di non nuocere e sarebbe così se non avessi
pagato l’infermiere che ti somministrava la terapia per gettare via gli
psicofarmaci.
Allora? Che farai? Vuoi rimanere qui a fare la
bestia da macello o?...”
L’uomo sul lettino sorrise cattivo.
“Molto bene, amico mio. Avrai bisogno di abiti e,
guarda caso, ne ho portati. Devi solo seguirmi fino alla Sala Giochi e poi ci
penserò io. Fuori c’è un bolide che ci aspetta. Ho già organizzato tutto:
mezzo, luogo dove nasconderci, fondi; ho solo bisogno che tu mi stia dietro
ora, con l’aria più tranquilla di cui sei capace. D’accordo?”
L’altro assentì. Percorsero insieme il corridoio che
portava alla zona ricreativa dell’istituto psichiatrico. Lui camminava, ostentando il suo passo sicuro,
l’altro dietro, l’aria un po’ assente, gli occhi privi di qualsiasi
espressione. Dovevano sembrare un paziente che andava a fare una visita e
l’infermiere che lo stava accompagnando. Nella sala ricreativa c’erano cinque
pazienti, ognuno intento in una differente attività, ognuno perso nel proprio
mondo.
“Non ci daranno nessun fastidio. Non sanno neanche
che siamo qui.” Si voltò divertito
verso l’altro.” Perché sono stato io
a dirgli così.” C’era sadica soddisfazione nella voce.
Passare attraverso la finestra la cui rete di
sicurezza era stata rimossa fu facile. Poco dopo la ford grigia noleggiata per
la fuga, si allontanò lungo la via, portando con sé la strana coppia.
Sull’auto, il finto infermiere parlò, “Ho portato
questo,” gli mostrò un microfono
collegato ad un simulatore di voce, di quelli utlizzati da chi aveva perso per
sempre l’uso delle voce,” ci ho
pensato su varie volte. Tu sei convinto che non funzionerà ma non possiamo
esserne certi. Se ti sbagliassi? Sai che avremmo già risolto metà dei nostri
problemi? C’è una collina poco lontano da qui. È un posto isolato dove nemmeno
le coppie s’appartano per fare zum, zum.”
Mimò il gesto con la mano in modo osceno ed esagerato.” Non abbiamo nulla da perdere. Tu fai un tentativo e se non va, ci
atterremo al piano che abbiamo concordato.”
La macchina imboccò una strada secondaria e proseguì
fuori città, fino ad arrivare al luogo di cui si era parlato poco prima. L’uomo
senza voce scese subito e si diresse fino alla sommità del colle, portando con
sé l’apparecchio, un groviglio di emozioni che violente si azzannavano l’una
con l’altra nel suo cuore. Si fermò nei pressi di un albero e stette lì, la
mano appoggiata sulla corteccia, gli occhi alle luci della città che brillavano
lontane.
“A quest’ora si saranno accorti della nostra grande
fuga.” Fece allegramente l’altro, senza aspettarsi alcuna risposta. Sedette su
di un sasso levigato dalla pioggia ed attese paziente.
Passarono diversi minuti prima che il muto
poggiasse, con mano incerta, il microfono alla gola, proprio vicino dove c’era
la cicatrice che lo traversava in tutta la sua lunghezza.
La voce del modulatore era atona e gracchiante.
Risuonò nella sua metallica freddezza in quella notte silenziosa.
V
Villa
Athene, 30 chilometri da San Diego, California – 12 Settembre.
Billy sbarrò gli occhi. Per un attimo gli sembro che
Mary e lo Zio Dudley fossero lì, sorridenti ma sapeva che era solo una bella
illusione. C’era solo il buio intorno a lui. Il buio di una stanza che non
conosceva. Il buio che stava nel suo cuore. Si tirò a sedere nel letto e
sospirò. Sapeva che forse non era buona educazione andarsene in giro per una
casa che non era la sua ma del resto gli era insopportabile l’idea di starsene
ancora lì, ad addormentarsi solo per svegliarsi di soprassalto. Infilò le pantofole
che gli erano state fatte trovare, indossò la giacca del pigiama e si disse che
non sarebbe andato a ficcanasare per tutta la villa. Si sarebbe limitato al
soggiorno che aveva visitato poche ore prima. C’era una televisione. Magari
avrebbe potuto vedere qualcosa, a basso volume. Non era sua, si rimproverò. Non
avendo ricevuto esplicitamente il permesso di usarla, si sarebbe solo seduto un
po’ sul divano. C’era una grande porta-finistra che dava su di un panorma
meraviglioso che lo aveva colpito subito. Il vigneto s’estendeva ai piedi della
villa che sorgeva su di un clivio artificiale ed in lontanzanza si poteva
ammirare l’oceano. Sarebbe stato un gran bel posto dove passare del tempo se
non fosse stato così a disagio.
Simon Azam gli sembrava una persona estremamente,
troppo, criptica. Era sfuggente e stava senza dubbio nascondendo qualcosa.
Perché lo aveva adottato? Così su due piedi non gli aveva dato l’impressione di
essere un tipo molto paterno. Nemmeno un pervertito se doveva essere sincero.
Dunque cos’era per lui? Una buona azione per
guadagnarsi un posto in Paradiso? Possibile ma non gli sembrava nemmeno
quel tipo di persona. Che tipo di persona fosse Simon Azam non poteva di certo
dirlo. Non poteva dire nulla. Stava semplicemente subendo quella situazione.
Quando gli avevano parlato dell’adozione aveva accettato senza batter ciglio
perché l’idea di rimanere anche un solo giorno in più all’istituto gli faceva
mancare il respiro. Era giunto lì quando gli orfani avevano tutti legato tra
loro da diversi anni. Non fu mai completamente accettato nel gruppo. Gli
insegnati ed il personale in genere era molto freddo e distaccato nei loro
confronti. Sembrava di essere in un mondo di cartone, con persone disegnate su
fogli, prive di reale spessore e per cui era impossibile provare sentimenti di
simpatia e solidarietà.
Scese le scale cercando di non far rumore e di non
dar troppo peso ai pensieri che lo tormentavano. Aveva una buona memoria e,
nonostante il buio, confidava di riuscire a trovare con una certa facilità il
soggiorno.
Doveva percorrere un corridoio che dal grande
ambiente dove portavano le scale e che fungeva da anti-camera per il piano
sottostante, conduceva alla meta di quel suo peregrinare a tarda ora.
Durante il tragitto però vide una luce provenire da
una porta aperta e sentì dei rumori. Troppo tardi, forse in parte per via della
stanchezza, decise che sarebbe stato meglio farsi i fatti propri e si affacciò,
incontrando lo sguardo di Tamerlano Tiger, intento ad allenarsi nella palestra
della Villa.
L’uomo gli fece un sorriso e con il capo accennò un
invito ad entrare.
Ormai Billy era lì, tanto valeva stare un po’ in
compagnia in attesa che il sonno decidesse a fargli visita.
“Vedo che sei insonne. È per via del trasferimento?”
Chiese l’assistente di Azam.
“Penso sia per quello. Mi sento un po’
scombussolato. Forse ho mangiato troppo, chissà. Vedo che anche lei ha
difficoltà ad addormentarsi.” Billy aveva dato un’occhiata all’orologio sulla
parete di fronte. Segnava quasi le due. Tamerlano era intento a sollevare dei
pesi, ad occhio e croce una ventina di chili ciascuno. Billy pensò che li
avrebbe sollevati con una certa difficoltà anche con due mani. Tamerlano Tiger
indossava una canottiera bianca ed un paio di pantaloni da tuta verde scuro,
con una banda grigia al lato. Si accorse del tatuaggio che aveva disegnato
all’altezza del cuore. La testa di una tigre che ruggiva. S’avvide quasi subito
di un secondo tatuaggio, sul braccio, un’altra tigre, però accovacciata, quasi
fosse in attesa di balzare sulla preda.
“Un consiglio?”
Gli fece Tiger che s’era accorto dei suoi sguardi.” Quando sarai grande non sbronzarti mai, specie in certi posti.
Quando ti risvegli corri il rischio di ritrovarti come me.”
Billy sorrise divertito.
“Davvero? Glieli hanno fatti durante il sonno?”
“Forse. Comunque puoi darmi del tu. Simon ti ha
detto che puoi farlo con lui, non vedo perché non puoi farlo con me.”
“Anche tu ti rivolgi a lui per nome?”
“In privato o tra amici, si. Nelle occasioni
ufficiali ci diamo sempre del lei. Una questione di formalità.”
“Delle volte fatico a capirle le formalità.”
“Però sai attenerti bene ad esse.” Posò i pesi e si diresse verso un
estensore.” Non ti dispiace se
continuo? Tutto il giorno sono alle prese con impegni di carattere burocratico
ed organizzativo. Il tempo per allenarmi non lo riesco quasi più a trovare e
quindi la notte vengo qui a scaricare un po’ di tensione.” Passando vicino a
Billy rivelò possedere sul corpo una terza tigre, tatuata sulla schiena. Billy
non riusciva a vederla per intero ma i particolari rivelavano trattarsi d’una
tigre bianca, candida come la neve.
“Anche questo te lo hanno fatto mentre era
addormentato?”
“Non lo escludo.”
“Curioso pensare che sia una coincidenza.”
“Per via del mio cognome?”
“Si. Tra l’altro lo trovo curioso.”
“Non c’è nulla di strano. Il mio bisnonno era di
origine indiane. Indiano dell’india. Sposò mia nonna che invece era americana e
veniva dalla Louisiana, discendente d’una famiglia di schiavi che lavorava una
delle tante piantagioni di tabacco dei vecchi tempi andati. Il bisnonno era
negli USA con un circo. Si era unito a loro da giovane, dopo aver combattuto
per gli inglesi un paio di battaglie in Africa. Aveva moglie e figli indiani ma
erano tutti morti nel continente nero a causa di un epidemia. Provò a tornare
in India ma anche lì, la sua famiglia d’origine non aveva avuto una sorte
migliore. Un’alluvione gli aveva tolto tutti i parenti che aveva e anche quel
po’ di beni che gli sarebbero spettati. Faceva il domatore di tigri e da quello
gli è derivato il cognome. Quando si stabilì qui, dopo aver girato la vecchia
Europa e le due Americhe, sul documento scrissero Tiger perché non riuscivano a
capire come si scrivesse il suo vero cognome e, credo, a lui non interessasse
spiegarglielo. Forse era il suo modo di tagliare con un passato che non gli
apparteneva più.”
“Accidenti! È una storia fantastica!”
“Mi sono sempre chiesto se fosse vera.”
“Vuoi dire che non ne sei certo?”
“Sul fatto che abbia lavorato al circo, almeno per
un buon periodo della sua vita, si. C’erano diverse vecchie foto e persino un
paio di manifesti pubblicitari conservati dove appariva con il suo nome d’arte:
il Signore delle Tigri; per il resto chi può dirlo? Magari era semplicemente
scappato dal suo paese d’origine perché era un farabutto.”
“Non mi sembra una cosa bella da dire nei confronti
di un nonno.”
“Con il tempo sono diventato cinico. Che ci vuoi
fare? È il rischio che si corre quando lavori in questo ramo.” Tamerlano Tiger
prese a fare la sua serie di esercizi sotto il vigile sguardo di Billy Batson.
“E come mai Tamerlano?”
“Lo sai chi era?”
“Si. Il Signore di Samarcanda. Un conquistatore.
Vedi, qualcosa di storia la so anche io.” Fece con tono compiaciuto.
“Questo dimostra che studiare fa bene alla mente e
all’anima. Pare che mia madre fosse di origini uzbeke, almeno in parte.”
“Cavoli! Una storia famigliare complessa!”
“La nonna di mia madre veniva da lì ed era figlia di
una schiava proprietaria di un ricco signore di Samarcanda finito in disgrazia
dopo la rivoluzione russa.”
“Avevano schiavi anche lì?”
“Non lo sanno in molti ma si. C’erano schiavi anche
nelle russie degli zar e nei territori limitrofi, sebbene ufficialmente fosse
proibito quel tipo di commerci.”
“E tu? Da quanto tempo conosci Simon?”
“Praticamente da quasi tutta la vita. Ci siamo
incontrati la prima volta alle superiori. Non legammo subito, anzi, a dire il
vero finimmo per fare a pugni.”
“Come mai?”
“Era un tipo molto diverso da quelli che conoscevo,” prese una piccola pausa per
concentrarsi sull’esercizio,” parlava
in modo forbito e vestiva elegante. Non aveva i soldi che ha adesso anzi, a
dire il vero, non aveva neppure molti soldi ma ci teneva a certe cose. La scusa
per la nostra scazzottata fu una ragazza e la precedenza che avrebbe dovuto
avere l’uno piuttosto che l’altro nell’invitarla al ballo di fine anno. Credevo
non avesse il fegato di tenermi testa. Sai, già al tempo era piuttosto piazzato
ed ero il vice campione di boxe della scuola.”
“Come andò a finire?”
“Lo stesi. Lui si rialzò e ne rimasi sorpreso.
Allora ci riprovai e lui si rialzò di nuovo.”
“Poi hai smesso?”
“Sinceramente si.”
“E allora vi siete stretti la mano.”
“Devo deludere le tue aspettative. Mi piantò a
bruciapelo un bel calcio ai gioielli di famiglia.”
Billy avvertì una sgradevole sensazione al pensiero
e si lasciò scappare un eloquente sibilo di solidale comprensione.” Si, fece davvero un gran male,” confermò Tamerlano,” e per il dolore vomitai anche l’anima
poco dopo. Da quel momento iniziò una piccola guerra tra noi ed io uscivo
puntualmente sconfitto.”
“Avete fatto di nuovo a botte?”
“Assolutamente no. Simon è sempre stato un tipo
furbo. Sapeva che in un secondo incontro non mi sarei mai fatto cogliere alla
sprovvista così come era successo quella volta. No, non era tipo da cascarci e
poi aveva ottenuto quello che voleva. Mi aveva atterrato sul retro della
scuola, davanti a diversi compagni, davanti alla ragazza che piaceva ad
entrambi e questo gli era bastato. Mi aveva umiliato per bene.”
“Descritto così, onestamente, non sembra una brava
persona.”
“Simon Azam, quando vuole, sa essere un vero
bastardo. Spostò il nostro duello su un piano a lui più congeniale. Riusciva
sempre a farmi fare la figura dell’ignorante e del maleducato, mettendomi in
imbarazzo nelle situazioni più disparate. Lo faceva in modo sottile ma
incredibilmente crudele.”
“Scommetto che eri esasperato!”
“Scommessa vinta. Ero indeciso tra due opzioni. La
prima era ammazzarlo di botte.”
“La seconda?”
“Era cominciare a frequentare la biblioteca della
scuola e provare ad ampliare la mia cultura. Al tempo, devi sapere, non ero
certo una cima. Avevo interessi molto diversi dallo studio ed i miei modi non
erano certo quelli di un gentleman. Ero la disperazione dei miei.”
“Lo studio dette i suoi frutti?”
“Anche di più. Mi trattenevo un paio d’ore dopo la
scuola. Avevo programmato di leggere un libro per volta, uno per ogni argomento
ed il primo, riguardava la storia di Tamerlano. Non sapevo nulla su di lui,
tranne il fatto che era di un paese di cui non riuscivo a pronunciare bene il
nome. Ero al mio decimo giorno di studi e mi facevano male gli occhi. Mi
sentivo intontito da tutto quel leggere a cui non ero abituato e frustrato
perché non sentivo di riuscire a raggiungere il risultato sperato. Volevo
mollare.”
“Però non lo hai fatto. Perché?”
“Simon. Venne al mio tavolo proprio quel giorno in
cui stavo per mollare tutto. Ti ho visto venire qui negli ultimi giorni, mi
disse. Non aveva né l’aria canzonatoria, né di sfida. Mi chiese il perché, lo
fece persino in tono educato ed io, nonostante l’iniziale imbarazzo, gli dissi
la verità, o meglio una parte, che volevo migliorarmi. Omisi che il desiderio
di migliorarmi era nato dall’odio che avevo per lui ma lui lo capì ugualmente
solo che non mi prese in giro per questo.
Mi chiese cosa stessi leggendo ed io gli mostrai il
libro e lui, non potevo crederci, si sedette vicino a me. Scoprii che era
solito fare un salto in biblioteca per leggere un po’ dopo le lezioni. Lo
rilassava. Mi iniziò a parlare di Tamerlano, raccontandomi diversi episodi
storici che lo riguardavano e che riguardavano la sua terra. La cosa
straordinaria era che Simon Azam non stava facendo il saputello, o tanto meno
stava cercando di mettermi soggezione. Stava semplicemente parlando con me di
cose che conosceva. Quando finì mi disse che il libro che leggevo ero molto
bello, che lui lo aveva già letto e sicuramente mi avrebbe appassionato. Si
alzò, mi salutò cortesemente e se ne andò. Io ripresi a leggere il libro e
m’accorsi che aveva ragione. Era davvero un bel libro.”
“Stai dicendo che ti trasmise la passione per la
lettura?”
“Sto dicendo questo. Lo incontrai di nuovo dopo
qualche giorno. Avevo finito il libro e, anche se titubante, andai da lui. Mi
salutò per primo, senza nessun problema, come se tra noi non ci fosse mai stato
nessun litigio. Gli chiesi se avesse avuto qualche altro libro da consigliarmi.
Divenimmo compagni di lettura. Non conversavamo molto, o meglio, non di cose
personali o private. Facevo molte domande a Simon, sulle cose che non capivo
delle mie letture e lui, con grande pazienza, mi rispondeva dandomi spiegazioni
chiare e dettagliate. Quando ci incontravamo per i corridoi a scuola non
facevamo certo i salti di gioia ma smettemmo di guardarci in cagnesco così come
smisero anche gli sberleffi ai miei danni.”
“Siete diventati amici?”
“Non subito. Un giorno, di punto in bianco, mentre
eravamo seduti al solito tavolo della biblioteca, lui mi disse che l’indomani
non sarebbe più venuto a scuola. Si ritirava per frequentarne un’altra. Non
seppi cosa rispondergli e gli dissi solo in bocca al lupo. Non lo vidi per
qualche anno.
Ci rincontrammo sotto le armi. Una bella
coincidenza. Durante una missione, rischiammo grosso entrambi ma ci proteggemmo
a vicenda e riuscimmo a venirne fuori. Credo si possa dire che divenimmo amici
da quel giorno. Alcuni anni dopo gli chiesi come mai, dopo quello che era successo
a scuola, si fosse messo a darmi una mano con il mio proposito degli studi
extra. Lui mi rispose che non importava se era il tuo nemico, un uomo di valore
andava sempre lodato e sostenuto quando possibile e, aggiunse, un uomo che
s’impegnava per migliorare sé stesso era un uomo di valore.”
Billy aveva seguito con grande interesse il
racconto. Chiese, “ E tu cosa gli rispondesti?”
“Gli dissi che in realtà il giorno in cui ci
incontrammo per la prima volta in biblioteca avevo deciso di mollare. Simon non
si scompose ma mi fece un sorriso gentile e comprensivo dicendomi che l’aveva
capito ed era per questo che si era fermato a chiacchierare con me. Sarebbe
stato un vero peccato se avessi mollato per un momento di sconforto.” Tamerlano Tiger lasciò l’estensore
sistemandosi sulla stessa panca dove aveva preso posto Billy.” Questo è Simon Azam. Una carogna capace
di atti d’incredibile altruismo e generosità. Quando iniziò la sua carriera
come imprenditore mi disse che voleva che lo aiutassi e stessi al suo fianco.
Gli replicai che non ne capivo molto di economia, di finanza, di mercato e di
altre cose simili ma lui per tutta risposta disse che non gli serviva un
economo, un esperto di borsa, di investimenti o altro. Quelli glieli poteva
procurare il danaro. Voleva vicino una persona leale e che avesse la grinta e
la forza di sopravvivere a quel mondo. Ecco come io e Simon ci siamo conosciuti
e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Ho conciliato il tuo sonno con le mie
chiacchiere?”
Billy Batson sorrise soddisfatto. Si alzò e lo
ringraziò,” credo che ora sia meglio
tornarmene a letto. È stato un piacere chiacchierare con te, Tamerlano.”
“TT. Gli amici mi chiamano così. È stato un piacere
anche per me, Billy.”
Si scambiarono una veloce stretta di mano e il
giovane Batson si diresse verso quel letto di cui cominciava a sentire il
richiamo.
VI
Villa
Athene, 30 chilometri da San Diego California – 12 Settembre.
Tamerlano Tiger osservò il volto di Simon Homer Azam
passare in rassegna tutta una serie di eloquenti espressioni che andavano dalla
sorpresa alla rabbia, passando per frustrazione, odio, irritazione e, persino,
paura.
“Lei avrebbe deciso che era meglio avvertirmi ora e
non quando ve ne siete accorti?” Non era
una domanda ma una violenta accusa sibilata tra i denti all’uomo che stava
dall’altra parte della cornetta.”
Lei, dottore,” usò in tono di spregio
quel titolo,” è stato profumatamente
pagato in questi anni per uno scopo ben preciso, tenere sotto controllo il
paziente che vi avevo affidato. Vi avevo avvertito, dovevo essere informato di
tutto quello che faceva o che non faceva, di quante volte si alzava dal letto
per andare a pisciare, se guardava la tv, se aveva problemi di salute, la
febbre, il raffreddore. Figuriamoci se tentava la fuga!” Ringhiò quell’ultima frase.”
Mi aveva assicurato che era del tutto innoquo, che i farmaci lo inibivano,
impedendogli di compiere azioni pericolose per sé e per gli altri. Da quello
che è successo qualcosa non ha funzionato! Solo la staff migliore? Così mi
aveva detto vero? Dottore, mi creda, quello che è successo avrà delle serie
ripercussioni e non è una minaccia a vuoto. Se non vuole peggiorare la
situazione, eviti di coinvolgere la polizia. Spero che almeno questo lei sia in
grado di farlo.” Attaccò senza nemmeno degnare di un saluto il balbettante e
spaventato medico. Tormentò una pellicina al lato del pollice, strappandola
nervosamente con i denti. Era un piccolo tic nervoso che Tarmerlano non vedeva
da anni. Gli occhi di Azam erano fissi ad un imprecisato punto nel vuoto.
“Aveva di sicuro un complice.” Spezzò così il
silenzio che aveva riempito lo studio dove si trovavano.
“Ma chi?”
Chiese Azam che era tornato a guardarlo, come se si fosse ricordato in quel
momento della presenza di Tiger.” Non
aveva nessuno, nessuno sapeva nemmeno più della sua esistenza, avevamo fatto in
modo di cancellarne le tracce da ogni data base. Solo un nome fittizio, John
Norton ed una falsa identità correlata per evitare domande da parte della
legge.”
“Qualcuno invece lo conosceva. Se sapesse con chi
avesse a che fare questo non possiamo dirlo ma di certo lo ha aiutato nella
fuga.”
“Ed ora è la fuori, solo il cielo sa con cosa in
mente!” Nonostante la rabbia, nelle parole di Azam c’era anche una punta di
preoccupazione, cosa che non sfuggì a Tiger che sospirò comprensivo.
“Lo troveremo, vedrai.”
“Devi metterti sulle sue tracce.”
“Lo farò ma ora tu devi prepararti. Hai l’incontro
con i militari e non puoi presentarti così.”
“Con l’aria da folle?” Chiese tristemente.
“Con l’aria sconvolta. Sei Simon Homer Azam, CEO
della Fawcett & Fawcett, la più grande produttrice di elettronica e
robotica negli USA e stai per aggiudicarti un appalto da miliardi e miliardi di
dollari.”
“Già. Tre urrà per noi.” Il sarcasmo di quelle
parole in parte stemperò la tensione.
“So che non dovrei darti altre brutte notizie ma
preferisco farlo adesso in modo da evitarti brutte sorprese.” Quella premessa provocò in Azam uno
sguardo di interrogativa preoccupazione rivolto all’amico e consigliere.” Barr si è fatto sentire mezz’ora prima
che tu parlassi con il Dottore.”
“Barr?! Cosa succede?! Adesso ci si mette anche
lui?! Gli avevo detto chiaramente che i rapporti tra noi erano finiti! Che non
volevo più sentirlo o averci a che fare!” Era esasperato. Si portò una mano
alla fronte e l’altra al al fianco. Sembrava l’immagine della disperazione in
quel momento.
“Credo, da quanto mi ha detto, che voglia comunque
un colloquio con te. Se posso permettermi, io glielo concederei. Non mi
sembrava molto stabile ed ora come ora, non possiamo permetterci che compia un
qualche azzardo. Il suo nome è ancora troppo collegato alla Fawcett.”
“Mi toccherà portare una pistola. Quel figlio di
puttana potrebbe tenerarlo con me l’azzardo.”
“Ottima idea, anche se non credo lo farà.”
“Tamerlano, voglio che la sicurezza qui in villa sia
raddoppiata. Con lui in giro,”
sussurrò quelle parole,” non voglio
correre rischi. Billy non deve saperne niente. Siamo intesi?”
“Terrò entrambi gli occhi ben aperti.”
Si scambiarono una veloce ed informale stretta di
mano, a voler suggellare quella linea d’azione.
Azam imboccò la porta, diretto alla sua Bentley.
La mente era martoriata da diversi pensieri tra cui
l’incolumità di Billy.
Non poteva essere un caso che per tutti quegli anni
fosse rimasto buono nell’istituto e poi, una volta trovato un nuovo candidato,
si fosse dato alla macchia.
Sapeva. In qualche modo sapeva e per questo sia lui
che Tamerlano avevano accuratamente evitato di dirlo ad alta voce. Lo pensavano
entrambi. Tamerlano Tiger era sveglio, il miglior amico e aiutante che potesse
avere. Era a tutti gli effetti il suo braccio destro e sapeva che avrebbe fatto
perlustrare casa alla ricerca di cimici e mini-camere.
Scese le scale e si diresse verso il cortile dove
l’auto l’aspettava. Prima di salirvi lanciò un’occhiata al piano superiore, e
si disse che Billy doveva essere ancora a letto.
Comprensibile. Per lui era stata una giornata
stressante quella da poco vissuto ma nonostante il dispiacere, ora sapeva che
il tempo stringeva e che Billy avrebbe dovuto essere molto forte, più forte di
quanto Azam sperava non dovesse essere.
Avrebbe proceduto velocemente. Il passaggio, il
battesimo doveva avvenire prima di quanto programmato.
Non era un opzione. Era una necessità.
Continua.
Yuri N.A. Lucia.
Per commenti,
suggerimenti, critiche
Grazie a tutti per l’attenzione dedicata a questo
racconto e a presto con il seguito.