YURI
LUCIA
Prologo:
“Ed essi torneranno, per far conoscere ancora
una volta al mondo la loro potenza,
e saranno nuovamente i suoi
protettori ed i suoi carcerieri,
e combatteranno nuovamente guerre
tali da inaridire i campi,
bollire i mari,
ridurre in polvere boschi e
foreste.
Gli uomini li temeranno, gli uomini
gli adoreranno,
ergeranno idoli in loro onore e
templi dove pregarli.
A migliaia ogni giorno chiederanno
ad essi grazie e favori,
rendendoli sempre più forti.
Arriverà il momento in cui essi
doneranno la luce ma poi affonderanno le città nel caos ed il mondo stesso
nelle tenebre”,
con
voce atona e sussurrante, la figura che se ne stava avvolta in un vecchio
mantello lì nell’ombra, aveva recitato a memoria quella cantilena che ripeteva
ogni giorno nella sua mente.
“La
Profezia ancora ti ossessiona vedo”, commentò con tristezza la donna che stava
sulla soglia della stanza illuminata dal tenue raggio di luce di un lampione
che brillava non troppo lontano dalla finestra.
“La
Profezia di Tiresia si è realizzata in più di un punto,” affermò con amara
decisione.
“Questo
è opinabile. La sua interpretazione è ancora oggi oggetto di discussione. Non
possediamo la certezza d’aver usato sempre la corretta chiave di lettura e tu
sai bene che una predizione può presentare più di un significato. È il grande
limite dei vati e degli oracoli. No c’è sicurezza di aver capito il messaggio”,
espresse con fermezza la sua posizione.
Dal
buio della piccola stanza dove aveva trovato rifugio dalle inquietudini di
quella notte sospirò e disse, “la Profezia ha guidato la nostra gente, tu lo
sai bene. L’ha salvata dalla totale estinzione, ha tracciato i passi che
abbiamo seguito e che ci hanno portato fin qui. Tu non hai fede in essa?”, non
c’era nessun rimprovero in quell’affermazione. Solo un eco di compassione per
quella donna che sembrava aver smarrito il sentiero.
Lei
non si sentì offesa, sapeva che quello era il segno di un affetto profondo che
i loro contrasti non avevano smorzato.
“Ho
fede, lo sai bene. Tuttavia sono anche prudente. Hai una missione da compiere,
una missione che può determinare finalmente il realizzarsi del Grande Disegno.
Ora chiedi di deviare dal tuo cammino, il cammino che proprio dalla Profezia è
stato segnato, per inseguire ombre senza sostanza, sussurri che arrivano dai
margini stessi di questa società.”
“Lo
chiedo perché non possiamo ignorare qualcosa di così importante. Se fosse vero,
sai che sarebbe il segno che prelude al loro ritorno, un ritorno che non
vogliamo e che stiamo cercando di impedire da tempo immemore ormai.”
“E
fin ora abbiamo mantenuto fede ai nostri giuramenti. Mai più”, pronunciò quelle
ultime due parole con orgoglio e forza.
“Mai
più,” ripeté la voce sussurrante,” e per continuare a far in modo che sia
così, devo poter agire secondo quanto ritengo essere giusto. Chiedo molto, lo
so e rischio molto ma rischieremmo di più se semplicemente decidessimo di
ignorare il pericolo perché non vogliamo accettare che possa accadere
veramente.
Tu
sei una delle favorite del Consiglio. Se parlerai davanti a loro, in
un’udienza, e perorerai la mia causa, allora potrei ottenere quello che
desidero.”
“E
cosa desideri?”
“Desidero
assicurarmi che il nostro Popolo continui il suo cammino e salvi questo mondo,
come è suo sacro dovere fare,” le sue parole vibrarono di intensa e fervente
devozione tanto da indurre l’altra a dubitare, a chiedersi se fosse non avesse
ragione e il ritorno dei nemici dell’umanità non fosse realmente prossimo.
YURI
LUCIA
Presenta:
WONDER WOMAN
YEAR
ONE…
I,
AMAZON
A
Prophecy
I
Il
respiro di Michael Harris si fece pesante, la fatica indolenziva i suoi
muscoli, la sua figura massiccia indietreggiò, la sua glock
protesa in avanti a minacciare l’ombra che avanzava con incedere lento verso di
lui.
Doveva
essere un lavoro facile quello, così almeno risultava sulla carta,
un’operazione a prova di bomba che gli avrebbe garantito un notevole guadagno.
Michael
era un ex stella locale del football, una promessa destinata al mondo del
professionismo, una promessa rotta da un incidente d’auto che compromise uno
dei suoi ginocchi e spinse l’università a ritirare la borsa di studio per
meriti sportivi che gli aveva offerto e gli agenti a tenersi lontani da lui.
L’esercito fu la sua seconda opzione ma nonostante la sua nuova carriera fosse
iniziata bene, compì degli errori che gli costarono il suo status di servizio e
gli procurarono un congedo anzi-tempo che lo restituì ad una vita
apparentemente priva di prospettive per lui.
Il
lavoro di guardia giurata non era il miglior impiego del mondo e lo odiava
davvero. L’occasione arrivò quando, insieme ad alcuni ex commilitoni che
versavano nelle sue stesse condizioni, decisero di effettuare una rapina per
ripagarsi di quello che pensavano la vita dovesse loro.
Michael,
dopo il colpo, venne avvicinato da uno dei suoi uomini che gli rivelò di
lavorare per l’organizzazione nota come Intergang e
che i suoi capi erano interessati al talento che aveva dimostrato. L'accordo
era semplice. Informazioni attendibili e attrezzatura di prim’ordine in cambio
del 50 per cento dei ricavati. Le cifre di cui si parlava erano comunque sempre
considerevoli, quindi anche il 50 per cento, diviso 6 garantiva un guadagno
notevole.
In
due anni aveva messo a segno cinque rapine, tutte con il più completo successo
e la polizia ancora brancolava nel buio.
La
rapina alla Fargo doveva rappresentare il suo capolavoro. I suoi datori di
lavoro forse gli avrebbero offerto un ruolo negli alti ranghi dell’Intergang, magari coordinatore regionale e in caso
contrario comunque si sarebbe ritrovato un milione e mezzo di dollari in più
sul suo conto olandese, cosa che non gli dispiaceva affatto.
Doveva
essere un colpo facile, si ripeté.
Lei
era apparsa dal nulla, probabilmente nascosta tra i clienti della banca si
disse, perché quella era l’unica spiegazione che avesse un senso.
Bennett
era un pezzo d’uomo, 1.90 per cento chili di cui la gran parte di muscoli ed
un’esperienza di quattro anni nei Rangers
dell’esercito. Lei lo sollevò prendendolo per la gola, il braccio veloce come
un serpente a sonagli, la stretta che tolse il fiato all’altro prima
arrossandogli il volto e poi impallidendolo. Lo scaraventò verso il muro e
l’armadietto dei medicinali ed un estintore tremarono staccandosi dai
rispettivi supporti finendo a terra, proprio come Bennett. Il rumore non aveva
coperto quello sgradevole delle ossa della spalla che finivano in pezzi.
Clive
tentò di centrarla con la sua pistola ma non riusciva a mettere a segno nessun
colpo perché nonostante il poco spazio del cavou si
muoveva con agilità e sicurezza tali da uscire dalla sua linea di tiro. I
proiettili mancarono il bersaglio e rimbalzarono contro alcune cassette di
sicurezza.
Michael
urlò all’altro di smetterla ma non fece in tempo a terminare la frase. Il polso
di Bennett venne spezzato come un fuscello e la mano, con l’arma ancora stretta
nel pugno, penzolò con un angolazione grottescamente sbagliata.
Gli
altri uomini che si trovavano sopra dovevano essere stati già messi fuori gioco
da quell’infernale apparizione, spettrale nei suoi abiti bianchi come la neve.
Raggiungere
il Direttore della banca per prenderlo in ostaggio era impossibile. Bennett
avrebbe dovuto farlo ma si era lasciato prendere dal panico distraendosi e
l’uomo si era rifugiato dietro una scrivania su cui stava un grande registro,
proprio all’ingresso della cassaforte.
Lei
continuo ad avanzare, tranquilla, come se non avesse nulla da temere e a
Michael tremò la mano quando incrociò lo sguardo di quegli occhi azzurri,
freddi come il ghiaccio, resi ancora più algidi dalle sopracciglia corvine che
li incorniciavano, che lo scrutavano impietosi da un volto i cui lineamenti
erano duri, quasi selvaggi, eppure non privi di una primordiale e feroce
bellezza. Sorrise, un sorriso spietato, mettendo in mostra una chiostra di
denti che sembravano avorio, le labbra carnose sensuali e atterrenti allo
stesso tempo. I capelli color dell’inchiostro e tagliati corti contrastavano
con il candore delle sue vesti, la pelle sembrava bronzea ed era liscia, come
se fosse stata una statua.
Lo
disarmò con una facilità sconcertante, quasi senza che lui se ne rendesse conto
ma fu il dolore dell’indice rotto che poco prima stava sul grilletto a
richiamarlo alla realtà.
Non
era un sogno, stava accadendo tutto veramente.
“Voglio
delle informazioni e tu me le darai. Non mi mentirai, perché se lo farai me ne
accorgerò e allora dovrò smetterla di essere gentile con te e ricorrere a
maniere assai meno piacevoli,” lo
ammonì severa quella donna giunonica,”
ti è tutto chiaro?”, chiese come se si fosse rivolta ad un bambino.
Michael
stesso si sorprese quando si ritrovò a rispondere, “si”, senza aver tentato
nemmeno di minacciarla o intimorirla.
Chiunque
fosse, sentiva di essere alla sua mercé.
II
Ufficialmente,
il grande edificio di mattoni rossi costruito 200 anni prima che sorgeva non
troppo lontano dalla vecchia fabbrica di birra, ospitava una società che si
occupava di import ed export, quanto di più generico si sarebbe potuto
scegliere come copertura. Al suo interno era locato uno dei centri analisi dati
della CIA americana. I suoi impiegati lavoravano notte e giorno per fornire
un’interpretazione di ogni tipo di notizia che giungeva ai quattro angoli del
globo.
Etta
Candy giocherellò un po’ con il suo orecchino, lo sguardo fisso su Matt Travor che invece si ostinava, da dietro le lenti dei suoi
occhiali, a passare in rassegna ancora una volta delle mail mandate da alcuni
agenti di stanza a Islamabad.
“Loro
ci credono”, disse infine come incapace di trattenere oltre quel suo pensiero.
“Loro
sono almeno tre o quattro secoli indietro”, precisò Etta,
chiedendosi se quel commento non fosse stato un po’ troppo rude.
“Non
possiamo liquidare il tutto così. Non possiamo semplicemente dire che siccome sono
arretrati rispetto a noi, allora si stanno sbagliando per forza perché sai che
non è così.”
“Anche
se avessi ragione, cosa possiamo fare? Il Contro-spionaggio ti ha ringraziato
per la segnalazione è ti ha detto che avrebbe preso in considerazione i documenti
che gli hai passato”, disse lei facendo spallucce.
“Equivale
a dire che si sono fatti una risata rispetto a quanto gli ho detto e di non
annoiarli più con le mie strambe idee”, precisò Matt con l’aria di chi non
riusciva a digerire quella storia.
“Il
che allora dovrebbe bastarti. Non puoi insistere troppo, lo sai.”
“Non
posso nemmeno ignorare qualcosa del genere.”
“Loro
ci riescono. Perché non dovresti tu?”
“Perché
quando abbiamo abbassato la guardia, abbiamo pagato caro il prezzo della nostra
disattenzione. Ricordi? Pensi che allora fosse diverso? Ci furono delle
segnalazioni ma i pezzi grossi decisero di ignorarle, bollandole come poco
probabili.”
Etta
non seppe cosa replicare a quell’affermazione. Fu l’ingresso di Diana Prince a
rompere l’imbarazzante silenzio che era calato nella stanza.
“Hai
cambiato pettinatura Etta?”, chiese in tono amichevole, strappando un sorriso all’altra,” ciao Matt, ancora a caccia di
fantasmi?”, se quella battuta infastidì o meno l’uomo quest’ultimo non diede a
vederlo, concentrato su di un articolo di giornale che stava studiando, frase
per frase, parola per parola.
“I
fantasmi non m’interessano”, fece placidamente lui.
“Interessante,
non ti sei scomodato a dire che non esistono. Hai semplicemente detto che non
esistono. Credi ai fantasmi allora?”
“Anche
se fosse?”, Matt non sembrava realmente interessato ad una conversazione con
quella donna. Quella risposta l’aveva data più per educazione che non per
altro.
“Che
ne pensi del caso Deadman?”
“Mhhh?”, questa volta l’attenzione di Matt Travor era stata realmente catturata da Diana.
“Non
posso credere che non lo abbia mai sentito menzionare nemmeno una volta.”
“Certo
che si. Tutti quelli che sono passati al corso d’addestramento avanzato ne
hanno sentito parlare è solo che erano anni che nessuno lo nominava in mia
presenza.”
“L’X-file
più intrigante che la CIA abbia mai avuto per le mani.”
“Ti
piacciono i termini ad effetto? Anche X-file non lo sentivo dire da un bel po’.
La parola è fuori moda e non è nemmeno vista bene dai nostri capi.”
“Ha
un sapore troppo drammatico secondo loro, da serie televisiva. Comunque ricordi
il caso?”
“Un
agente che lavorava per l’intelligence, un killer incaricato di eliminare
bersagli pericolosi per la sicurezza nazionale venne ucciso in circostanze
piuttosto singolari. L’ipotesi ufficiale era che qualche agente straniero fosse
stato incaricato di neutralizzarlo.”
“Però?”
“Però
c’erano diversi elementi che non tornavano e l’indagine portò alla luce una
strana connessione con un nome. Boston Brand.”
“Vedo
che hai una buona memoria.”
“Deadman, era il nome d’arte di Brand. Veniva da una
famiglia di artisti circensi piuttosto famosa nel circuito dei piccoli circhi
di provincia, almeno così dichiarava. Apparve anche come ospite in alcune
trasmissioni televisive e divenne una stella del piccolo schermo, affrontando
di volta in volta prove al limite del folle e dell’impossibile, così recitava
lo spot che serviva a pubblicizzare il programma. Boston Brand era un nome
fittizio. Nessuno sapeva con certezza chi fosse stato prima dei suoi 20 anni. Comunque
era sospettato di essere uno degli ingranaggi di un traffico di informazioni
sensibili che finivano nelle mani del KGB. Brand venne freddato dal nostro
killer che fece in modo di far apparire il suo omicidio un incidente di scena.”
“Tutto
giusto però c’è anche dell’altro.”
“Però
venne fuori che in realtà le prove sulla colpevolezza di Brand non fossero così
solide ma erano i ruggenti anni della caccia alle streghe comuniste e al tempo
non ci andavano tanto per il sottile. Inoltre il killer quella volta, per
arrivare a Brand, fece fuori anche una sua collega, una trapezista con cui
aveva una relazione.”
“Cosa
accadde dopo?”
“Ci
furono una catena di morti, tutte all’apparenza accidentali, tutte iniziate
dieci anni dopo. All’inizio nessuno capì cosa stava accadendo fin quando anche
il nostro uomo, il killer spietato, non morì.”
“Killer
spietato? È così che lo hai ribattezzato? Anche tu hai un debole per i nomi ad
effetto vedo. Qualcuno azzardò l’ipotesi che fosse stato Brand ad ucciderlo.”
“Però,” fece Matt stiracchiandosi,” era difficile immaginare che uno come
lui potesse arrivare tanto facilmente ad un agente di livello così alto,
addestrato e con una buona copertura. Inoltre c’era la non trascurabile
faccenda della morte. L’autopsia era ampiamente documentata, così come
l’inumazione del corpo. Vennero comunque riesumati i resti per essere sicuri
che fosse veramente deceduto.”
“Sai
cosa accadde all’agente che aveva battuto questa pista? L’uomo che aveva
azzardato l’ipotesi che fosse stato Boston Brand ad eliminare l’agente del
controspionaggio in questione?”
“Venne
degradato e retrocesso, lo sbatterono in oscuro ufficio a timbrare carte e
temperare matite fino la fine dei suoi giorni. Lo chiamarono Deadman anche per questo, oltre che per Boston Brand.”
“Quell’uomo
era sicuro della sua teoria. Era certo che si trattasse di Brand. Aveva persino
degli indizi. Non delle prove ma comunque non si poteva certo dire che avesse
un pugno di mosche in mano. Sai però cosa non andava?”
“Che
la teoria era impossibile. Brand non poteva essere in alcun modo il colpevole
visto che era all’altro mondo.”
“Il
fatto che tu abbia raccolto delle notizie interessanti su questi tizi di cui
tutti parlano e che sembrano essere capaci di cose incredibili, non significa
necessariamente che riuscirai a provare qualcosa. L’unico finale possibile per
la tua indagine personale è un fiasco colossale, come quello che ha fatto il
Planet con la storia del Cavaliere Oscuro. Mi capisci? Etta
ed io siamo preoccupate per te,” il
tono era completamente cambiato. Diana Prince gli parlava con tenerezza e
sincero affetto mentre Etta assentiva seria a quelle
parole,” hai la possibilità di fare
una brillante carriera, perché sei un uomo capace. Davvero sai? Non diventare
il prossimo Deadman inseguendo dei fantasmi.”
Matt
Trevor non disse nulla, limitandosi a fissare lo schermo davanti a sé per un po’.
“Buona
notte”, disse in fine, dopo aver spento il suo terminal ed essersi alzato dalla
sua postazione.
III
“Matt!
Per favore, fermati!”, a quel richiamo Matt Travor si
bloccò, richiamato dai pensieri in cui si era sprofondato, voltandosi verso
Diana Prince che percorreva veloce il marciapiede nonostante i tacchi. La sua
figura slanciata ed atletica sovrastò quella dell’uomo che, istintivamente, si
strinse nel suo soprabito, quasi in un gesto di difesa.
“Cos’è
tutta questa fretta?”, fece lui sorridendo.
“Matt,
non vorrei che tu fossi arrabbiato con me per quello che ho detto prima in
ufficio.”
La
strada era quasi completamente deserta a quell’ora. Non c’erano molte persone
che transitavano di lì, solo qualche occasionale passante.
“Per
aver detto la verità?”
“L’ho
detto solo perché ci tengo davvero a te. Sei una brava persona ed un buon
amico.”
“Non
avevo idea che fossimo buoni amici”, fece sorpreso lui.
“Forse
non amici intimi ma sai cosa voglio dire.”
“Più
o meno. Comunque non sono arrabbiato, davvero. Quello che hai detto è sensato e
credo che seriamente alla tua buona fede. Non pensarmi un completo pazzo.
Ovviamente non sono intenzionato ad irritare i nostri capi fino al punto di
farmi cacciare via a pedate dal centro. Il lavoro mi piace e la paga è
veramente buona. Però sento anche di avere una responsabilità e nulla mi vieta
di avere un opinione riguardo tutta questa vicenda dei così detti meta-umani.
Tranquilla, fin tanto che non avrò le prove inoppugnabili per sostenere le mie
idee non andrò oltre a quello che sto facendo.”
“Questo
mi rasserena un po’”, gli confessò lei.
“Bene.
Non diventerò il nuovo Deadman, tranquilla. Uno è
stato più che sufficiente.”
“Allora
direi che dovremmo festeggiare.”
“Come?”
“Si
potrebbe iniziare con un caffè.”
“Si
potrebbe iniziare con un caffè”, ripeté lui in segno che accettava
quell’invito.
Diana
lo portò in un locale non molto distante, una caffetteria dove gran parte del
personale del Centro si recava dopo il lavoro, per rilassarsi, per riprendere
il contatto con la quotidianità. C’erano dei turni di lavoro che duravano per
giorni interi, con solo qualche pausa per poter dormire un paio d’ore e
mangiare un boccone. Delle volte il flusso di informazioni richiedeva che gli
analisti rimanessero al loro posto per periodi di tempo molto più lunghi del
normale e loro lo facevano. Così tutti quelli che lavoravano per loro dovevano
adattarsi a quei ritmi, da chi raccoglieva le informazioni, a chi si occupava
della prima scrematura, ai tecnici dei sistemi informatici e via dicendo. Un
luogo dove poter bere un caffè e assaporare un po’ di normalità prima di
tornare a casa era importante per quella gente.
“Meta-umani?”,
chiese Diana mentre sorseggiava la sua bevanda, un caffè nero senza zucchero
che aveva l’aria di essere bollente.
Matt
mandò giù un po’ del suo maccacino e rispose, “ è
spuntato su internet, in un forum di appassionati. È stato un ragazzo russo ad
utilizzarlo la prima volta. Scrivono persone da tutto il mondo e ognuno dice la
sua. Secondo me è calzante al tipo di esseri di cui parlano.”
“Tu
credi veramente che esistano?”, il locale non era molto affollato ma c’era quel
tanto di persone che bastava per animarlo in modo allegro e vivace. Le
cameriere giravano per i tavoli prendendo gli ordini, gli avventori ridevano,
sbadigliavano, si sbracciavano per sottolineare l’importanza dei propri
discorsi.
“Chi
può dirlo? Quando comparve l’AIDS erano in molti a non crederci. Sono girate
per anni le teorie più assurde tra cui che sarebbe stato proprio il nostro
Governo a crearla per usarla come arma biologica.”
“Però
un conto è una nuova malattia, un conto è un uomo che può volare.”
“Sono
d’accordo, era per fare un esempio. Il punto Diana è che non possiamo
sottovalutare quello che riteniamo impossibile perché potrebbero essere i
nostri parametri di giudizio ad essere viziati.”
“Viziati
da cosa?”
“Dalla
mancanza di esperienza. Non abbiamo mai avuto a che fare con nulla del genere
perciò lo bolliamo subito come impossibile. Di storie assurde, leggende
metropolitane se preferisci, ne girano tante ma quando le stesse storie
cominciano a diffondersi in certi ambienti e cominciano a verificarsi tutta una
serie di fatti inspiegabili correlati ad esse, beh, quanto meno una domanda io
me la farei. Forse non sarà un uomo volante o un cavaliere oscuro ma qualcosa
potrebbe esserci dietro.”
“E
cosa secondo te?”
Matt
dette un morso alla sua ciambella, masticò un po’, quasi stesse prendendo tempo
per pensarci e poi inghiottì, “da quando circola la storia del Cavaliere Oscuro
a New York la criminalità è in subbuglio. C’è stata una guerra all’interno
della mala organizzata che ne ha ridotto di molto il potere. Sembrerebbe che
qualcuno abbia usato questo Cavaliere quasi fosse uno specchietto per le
allodole. Gli ha messo il sale sulla coda, li ha resi paranoici e poi ha fatto
in modo che si ammazzassero a vicenda. Qualcuno potrebbe trarre un vantaggio da
una situazione del genere, magari un’organizzazione estera, come un forte
gruppo terroristico. Ci sono varie ragioni. Potrebbero prendere il controllo
dei traffici illeciti di una piazza redditizia come quella della grande mela
per auto-finanziarsi, potrebbero al tempo stesso usare quanto rimane delle
vecchie famiglie criminali per fiancheggiare e proteggere delle cellule qui in
America. Insomma, i motivi non mancherebbero.”
“Detto
così, potrebbe avere un senso.”
“O
forse c’è davvero un misterioso ed invincibile vigilante che manda all’ospedale
i delinquenti lì a Gotham.”
“Invece
così suona folle.”
“Perché
è il dubbio. Non hai la sicurezza di cosa stia accadendo veramente. Magari qui
sono vere tutte e due le ipotesi.”
“Ovvero?”
“Potrebbe
esserci una persona sola, non un’organizzazione, dietro tutto questo. Potrebbe
aver creato la figura del Cavaliere Oscuro come mezzo per condurre una sorta di
guerra psicologica, un terrorista che si è accanito contro dei vecchi mafiosi.
L’idea non sarebbe malvagia, anche se richiederebbe una mente in grado di
pianificare un piano a prova di bomba, consistenti mezzi e un bel po’ di pelo
sullo stomaco.”
“Sembra
quasi che tu ammiri questo fantomatico Cavaliere.”
“Se
fosse una persona reale come potrei non farlo? Dire che è in gamba non sarebbe
abbastanza.”
“E
l’uomo volante?”
“Un
jet pack”, fece lui.
“Un
jet pack?”
“Quello,
o un drone o un dispositivo di volo molto sofisticato e dalle dimensioni
ridotte.”
“Un
uomo con un jet pack?”, ripeté lei incredula.
“Io
la prenderei seriamente come ipotesi. Del resto il nostro stesso Governo ha
finanziato studi molto costosi sui jet pack. Ce ne è uno interessante risalente
addirittura agli anni della Seconda Guerra Mondiale. Un tipo di nome Hall
diceva di aver ottenuto dei risultati incredibili. Non era uno svitato
qualunque ma un professore di Harvard.”
“E
cosa è successo?”
“Il
Governo aveva per le mani il Progetto Manhattan e preferì concentrarsi su
quello oltre che sul perfezionamento di dispositivi bellici già in uso. Una
nuova tecnologia di cui non avrebbero saputo nemmeno bene cosa fare non era
molto attraente. Il progetto a cui lavorava venne chiuso dopo un paio d’anni.”
“Ha
senso se ci pensi.”
“Sicuramente
ma questo non vieterebbe a qualcuno di tentare di sviluppare un dispositivo del
genere oggi.”
“E
chi?”
“Ci
sono diversi gruppi privati che potrebbero essere interessati a farlo il punto
è perché? Perché potrebbero guadagnarci sopra bei milioni vendendolo alla
persona o al paese giusto.”
“Hai
scritto questo nel tuo rapporto.”
“L’ho
fatto, non con questi esatti termini ma il risultato non sarebbe cambiato. Non
sono interessati, semplicemente. Ora hanno altro per la mente e ho paura che
quando tutto verrà a galla loro saranno impreparati.”
“Tutto
cosa?”
“Lo
scopriremo tra non molto, temo”, finì il suo moccaccino
e attese che Diana finisse il suo caffè, poi la salutò, prendendo congedo e
auspicando che ci sarebbe stata ancora modo di passare del tempo assieme.
IV
“Hai
davvero rischiato molto. Forse anche troppo,” rimproverò la donna che stava
sull’uscio, al confine tra luce e buio.
“Dovresti
imparare ad annunciarti, non è educato piombare così in casa mia, lo sai?”,
cercò di nascondere l’affanno e la stanchezza che la colpivano ogni volta che
si svegliava. Durava solo pochi istanti, quasi avesse dovuto sopportare
nuovamente lo sforzo del nascere e necessitasse di prendere una lunga boccata
d’aria.
“Hai
fatto parlare parecchio di te con la storia della Fargo”, osservò l’altra, del
tutto indifferente alle rimostranze appena udite.
“Ero
dietro da molto, troppo tempo a questo gruppetto di rapinatori. Lavorano per l’Intergang ed io voglio sapere tutto il possibile su di
essa.”
“Perché?”
“Non
puoi giocare una partita così importanti senza conoscere tutti i giocatori
coinvolti.”
“Sono
dei criminali.”
“Sono
dei terroristi. Le attività criminose sono solo il mezzo con cui si finanziano.
Hanno preso il controllo di gran parte dei traffici illeciti costringendo con
la forza bande e piccoli boss locali ad affiliarsi alla loro società. Stanno
riducendo le loro attività ultimamente, segno che si preparano per qualcosa di
grosso.”
“Che
intendi dire?”
“Non
escludo un attento su larga scala.”
“E
questo sarebbe un male?” domandò con fare provocatorio.
“Il
tipo di instabilità che ne seguirebbe non giocherebbe a nostro favore.”
“Ne
sei certa?”
“L’11
Settembre non l’ha fatto. Inoltre quando turbi un equilibrio non puoi predire
con assoluta certezza cosa avverrà. Vuoi questo? Vuoi correre il rischio di un
altro evento che possa interferire con la nostra missione?”
Aella
sorrise, un sorriso triste e cinico, “sorella, ancora una volta cerchi di
manipolarmi. Fai leva sul mio punto debole, la devozione alla causa e sfrutti
la fiducia che nonostante tutto ripongo in te. Però non credere che io sia una
sciocca. Non mi sfugge quello che stai facendo. La stampa ancora non sa della
tua esistenza ma stai facendo di tutto per farti notare. Stai lavorando alacremente
per creare un nuovo mito urbano, così come dici che sta facendo questo così
detto Batman a New York.”
“Aella è essenziale che io lo faccia. Ne abbiamo già
discusso.”
“Mi
sono esposta con il Consiglio, due anni fa, perché credevo in te. Credo in te. L’accordo
però non era questo e tu lo sai.”
“Devo
avvicinarli,” insisté caparbiamente lei.
“Non
sai nemmeno se esistono veramente,” fece notare con dolcezza Aella.
“Lo
sapremmo se avessi ottenuto le altre risorse che avevo richiesto ma gli indizi
danno ragione alla mia tesi.”
“Gli
indizi, sorella, non sono prove.”
“No
ma non possiamo nemmeno ignorarli. Ho bisogno di tempo Aella.”
“Devi
evitare di esporti. Se le anziane cominceranno a capire quello che vuoi fare
veramente, non potrò proteggerti. Potrebbero destituirti dalla tua carica o
peggio, farti imprigionare per tradimento.”
“Sono
una dei loro migliori agenti operativi e sono un valido ufficiale, lo sai.
Pensi davvero che si priverebbero di me con tanta facilità?”
“Liliana,” disse con gran serietà Aella,” non
sopravvalutare il tuo valore agli occhi del Consiglio. La superbia non è da te
e potrebbe esserti fatale.”
Liliana
sospirò e si lasciò cadere seduta sul divano allungando le gambe sul basso
tavolino di fronte, “lui darebbe di matto se mi vedesse farlo, ama questo
tavolino in modo morboso” fece lei con tono ilare.
Aella
la osservò e non poté far a meno di sentirsi preoccupata, “tu vuoi che menta
alle anziane, vero?”
“Voglio
che tu guadagni tempo per me.”
“Per
far cosa? Vuoi metterle di fronte al fatto compiuto?”
“Devo”,
ripeté ancora una volta con assoluta convinzione.
Aella
scosse la testa chiedendosi se non stesse sbagliando ad assecondare così tanto
l’amata sorella in quel pericoloso piano.
“Hai
dimenticato un’altra cosa, Liliana”, fece lei.
“Cosa?”
“Anche
l’Intergang ora sa di te e questo non è un bene. Li
hai messi in allarme e questi criminali, o terroristi se preferisci, posseggono
notevoli risorse. Come tu stessa hai detto gli equilibri potrebbero essere
turbati in modo tutt’altro favorevole per la nostra causa e non vorrei che
fossi stata tu ad innescare questo processo. Ora devo andare. Presto dovrò far
rapporto ad un’agente di collegamento il che significa che dovrò prepararmi a
mentire per te”, il suo tono era rattristato e venato da un rassegnato
risentimento.
Liliana
la guardò mentre guadagnava l’uscita e, con dolcezza, mormorò al suo indirizzo:
“grazie”.
V
La
gang dei Cuchilos aveva faticato a riconquistare i
territori persi a Los Angeles. Ogni suo sforzo era stato finalizzato al conseguimento
di due obbiettivi: riorganizzare i ranghi e riprendere il controllo degli
affari; nessuno dei due era stato raggiunto facilmente e non senza sforzi.
I
suoi occhi misero a fuoco l’uomo che stava cercando da quasi due settimane.
Camminava
zoppicando vistosamente, aiutandosi con un bastone. Era molto alto e le grinze
sulla pelle delle braccia e del volto rivelavano che doveva aver perso
velocemente peso in passato.
Pequeńo era uno dei
sopravvissuti alla guerra interna che aveva quasi spazzato via i Cuchilos ed era divenuto uno dei luogo tenenti più fidati
di Gabriel, il nuovo capobanda.
Ogni
passo rivelava una intensa sofferenza eloquentemente espressa dalle espressioni
che il viso assumeva. L’uomo compariva di persona solo quando si doveva
concludere un grosso affare o un’importante trattativa come quella in corso con
le Salamandre, un piccolo gruppo criminale formato per lo più da
ex-motociclisti ed ex-soldati che stava scalando i vertici del malaffare a
Downtown. Con Pequeńo
c’era la sua guardia del corpo, un individuo dall’aria piuttosto truce,
nonostante la giovane età, e dalle maniere sprezzanti e bizzarre. Liliana aveva
cercato delle informazioni sul suo conto ma era emerso ben poco, se non che
tutte le sue fonti concordassero con il definire quell’uomo come estremamente
pericoloso.
Nessuno
di loro era preparato a quanto accadde di lì a poco.
La
due granate fumogene che Liliana lanciò, fecero il loro dovere. Il senso di
panico colse subito le due fazioni in campo, concentrate l’una sull’altra per
cogliere qualsiasi segno rivelasse l’intenzione di tradire la tregua concordata
per quell’incontro. Panico che l’esplosione di una granata esplosiva alimentò
ulteriormente, facendolo divampare come un incontrollabile incendio.
I
Cuchilos e le Salamandre aprirono il fuoco, sparando
praticamente all’impazzata.
Gli
uomini cadevano, il più delle volte colpiti dal fuoco amico in quella
sparatoria alla cieca.
Per
Liliana era stata una questione di pochi istanti. Premette il contatto sul suo
radio comando e la botola sulla quale Pequeńo
stava transitando si aprì facendolo finire nella trappola Liliana aveva
diligentemente allestito due giorni prima.
Il
suo lavoro di intelligence unito alle informazioni ottenute tramite i suoi
contatti nell’Intelligence avevano dato i loro frutti. Sapeva che la polizia
non sarebbe intervenuta in quanto alcuni ufficiali erano stati corrotti,
finendo sul libro paga dei nuovi Cuchilos, mentre
l’FBI al momento non aveva intenzione ad intervenire, nonostante tanto i Cuchilos che le Salamandre si fossero macchiati di reati
federali. Volevano attendere che la situazione si stabilizzasse senza rischiare
che il vuoto di potere presente nella malavita locale potesse portare ad una
nuova e sanguinosa guerra tra bande. Per Liliana erano le condizioni ideali per
agire. Nessuno l’avrebbe disturbata.
Fu
solo questione di attendere pazientemente che i due gruppi finissero di
massacrarsi a vicenda mentre la sua preda stava al sicuro nella buca da lei
personalmente approntata.
Un
piano semplice, che aveva richiesto molto lavoro ma che avrebbe evitato la
presenza di scomodi testimoni. In quello specifico caso non voleva farsi troppa
pubblicità a differenza delle altre volte.
Avanzò
tra i sopravvissuti, attraverso il fumo che ormai si diradava. La morte era sta
rapida nel cogliere quegli uomini, uno ancora vivo le afferrò la caviglia, “chi
cazzo sei?.... aiutami cazzo….”, pronunciò in un roseo, spumoso gorgoglio al
suo indirizzo, “stolto”, replicò
sprezzante lei prima di spaccargli il cranio sferrandogli un violento calcio.
Un
altro, che si era rimesso in piedi, barcollando cercò di prendere la mira con
la sua pistola. Lei attese paziente, non si mosse nemmeno di un passo,
consapevole dalla sua postura che non l’avrebbe centrata. Il proiettile fischiò
a diversi centimetri di distanza e, lentamente, Liliana lo raggiunse, gli
afferrò il polso vincendo con estrema facilità le resistenze di quello. Prima
lo costrinse a sparare su altri due sopravvissuti che stavano in terra, poi
mentre quello bestemmiava e supplicava, piegò il braccio facendo si che si
puntasse l’arma sotto il mento e premette sul dito che teneva il grilletto.
Il
corpo s’accasciò come una marionetta a cui avessero improvvisamente tagliato i
fili.
Pequeńo,
seduto in terra nel pozzo scavato da Liliana, teneva il ginocchio al petto, le
lacrime agli occhi i denti digrignati.
“Non
ci credo!”, urlò indispettito e
frustrato,” non di nuovo!”
“Non
è la prima volta che ti ritrovi in mezzo ad una sparatoria del genere, eh?”, chieste sprezzante lei,” sono qui proprio per chiederti di
quanto accaduto un anno e mezzo fa.”
“Per
chi lavori?!”, chiese invece lui con sprezzante rabbia.
“Non
credo ti sia ben chiara la situazione, Pequeńo.
Se sei ancora vivo è solo perché io ho voluto che fosse così. Ho bisogno di
sapere una cosa da te e tu me la dirai. Questa è la chiave per la tua
sopravvivenza”, non terminò la frase. Per poco non si era accorta dell’uomo
alle sue spalle.
Lui
le vuotò contro quanto rimaneva del caricatore della sua pistola, lei si mosse
con agilità e velocità disarmanti, evitando di essere colpita.
“CATZZO!”,
urlò lui con un sorriso selvaggio sulle labbra.
Gettò
via l’arma ormai inutile ed estratto un pugnale da combattimento le si avventò
contro con brutale rapidità, bersagliandola con una serie di veloci affondi.
Benché
apparisse invasato non stava colpendo a caso ma tentava di mettere a segno i
ogni affondo in un punto ben preciso fallendo tuttavia nell’intento a causa
della velocità dell’altra..
Tentò
di accecarla lanciandole a bruciapelo dei calcinacci raccolti da terra e poi
provò ad assestarla un calcio a frustata sul fianco.
Stavolta
Liliana non si spostò, non cercò di evitare l’attacco ma incassò senza batter
ciglio.
“Devo
ammettere che sei bravo. Hai reagito velocemente e per questo ti sei salvato
prima. Sei riuscito a scivolarmi alle spalle arrivandomi così vicino che quasi
avresti potuto sorprendermi. Quasi. Sei efferato ma metodico e non te la cavi
male nel corpo a corpo ma purtroppo per te, sono al di fuori della tua
portata”, gli assestò un manrovescio che gli fece perdere la presa sull’arma e,
dopo averlo fatto girare su sé stesso, lo costrinse a terra.
“Non
muoverti da lì”, lo ammonì lei tornando dal suo prigioniero.
“Che
vuoi da me?”, chiese lui spaventato, fissandola dal basso verso l’alto, il
sudore che imperlava la fronte.
“Voglio
che tu mi riferisca con dovizia di particolari su di un incontro avvenuto
proprio in occasione del massacro della tua gang. Voglio che tu mi parli di
quel giorno a Los Angeles. Ho sentito solo un racconto confuso, da parte di un
tuo ex compagno ma il suo cervello era andato per via delle metanfetamine
e della cocaina. Ho bisogno di sapere se quello che mi ha detto è la verità e
se c’è dell’altro da sapere. Soddisfa la mia curiosità e da qui ne uscirai
vivo.”
L’uomo
parlò, tremando, raccontando ogni particolare di quanto avvenuto due anni
prima.
Liliana
ascoltò con grande attenzione.
La
giovane guardia del corpo se ne stava a terra, ancora intontita per lo
schiaffo. Alzò lentamente, famelico, lo sguardo sulla donna, sorridendo
sornione, la bocca piena del suo stesso sangue. Sputò in terra per liberarsene
e disse stancamente, “adesso arriva la parte in cui finisci il lavoro e mi fai
secco, eh? Nulla da ridire. Sai, non me ne frega se è una fica a farmi fuori.
Non se quella fica è l’avversario più tosto che abbia mai affrontato.
Lasciatelo dire, il tuo piano è stato fantastico ed il modo in cui hai
eliminato i superstiti? Sei una meraviglia di donna!”
“Vattene”,
disse lei tranquillamente.
“Vattene?”
il ragazzo era genuinamente sorpreso.
“Non
sei uno di loro, vero? Sei una specie di guardia assoldata per guardare il
grassone, vero?”
“Si”,
ammise lui.
“Hai
combattuto bene. Troppo bene. Posso fare solo due cose: eliminarti o
risparmiarti.”
“Com’è
che scegli la seconda opzione? Qualcosa mi dice che non è certo per il mio
fascino o tanto meno per un qualche tuo senso di pietà, non a giudicare da come
hai finito questi perdenti.”
“Lo
faccio perché non è cosa da tutti i giorni trovare qualcuno che quasi potrebbe
tenermi testa. Sei bravo e ucciderti sarebbe uno spreco secondo me. Tra quattro
giorni vai al Best Market, angolo 5° e San Pedro Street a Skid
Row, Los Angeles. Trovati lì alle 13 in punto. Non un
minuto prima, non un minuto dopo. È chiaro?”
“Chiaro.
Chiaro che sei una pupa esigente eh?”
fece lui divertito,” sai bene che
dopo questo,” indicò con un gesto del
braccio,” se rimetto piede a Los
Angeles i Cuchilos cercheranno di prendersi le mie
palle. Mi sta bene. Per una pupa come te farei qualsiasi cosa”, il suo ghigno
era quasi animalesco.
“Ce
l’hai un nome?”
“Non
uno di cui vada particolarmente fiero.”
“Come
ti fai chiamare?”
“Nell’ambiente
mi hanno soprannominato il Solitario,
ti dico subito che non è per via delle seghe. Mi chiamano così perché lavoro da
solo, di solito.”
“Come
un lupo solitario. Mi piace. Allora, mio lupo, ci sentiamo tra quattro giorni.”
“E
di lui?”, indicò la fossa dove era
stato preso in trappola l’uomo che avrebbe dovuto proteggere,” cosa ne farai?”
“Pensi
che mi interessi la sua sorte?”
Lui
assentì divertito, “a tra quattro giorni”.
Attese
che lei si fosse allontanata e poi, a fatica, si rimise in piedi.
“Un
solo colpo e mi hai ridotto così male, sei davvero una meraviglia di donna,” raccolse una pistola e si diresse
verso la buca da dove Pequeńo ancora imprecava,” ti sento, non hai bisogno di gridare
così,” fece lui mentre si accendeva
una sigaretta,” datti una calmata.”
“Brutto
stronzo! BRUTTO SACCO DI MERDA! Tu dici a me di calmarmi?! Vedi di tirarmi
subito fuori di qui oppure…” le parole gli morirono in bocca quando vide la
canna dell’arma puntagli contro.
“Oppure
niente”, spiegò placido l’altro.
“Ascolta
amico, non fare cazzate. Ti ho pagato bene per venire qui. Posso pagarti anche
meglio per…”
“Non
è vero e lo sappiamo entrambi. Pequeńo,
risparmiati le cazzate per l’altro mondo perché se non ti ci mando, mi ci
spedirai comunque tu per il mio fallimento. Conosco troppo bene la gente come
te. Non sono sopravvissuto in questo ambiente così a lungo per sola fortuna.
Detto tra noi, poi, non mi sei nemmeno stato mai particolarmente simpatico”,
premette il grilletto.
Un
unico colpo, l’odore della polvere dello sparo che si mescola a quello del fumo
della sigaretta, il la fronte bucata del fu Pequeńo,
il suo corpo che scivolò pesantemente a terra.
Il
ragazzo si voltò, senza guardarsi mai indietro e s’incammino per allontanarsi
dal teatro della mattanza appena consumata.
VI
Steve
Trevor osservò la foto scattata da satellite “Pinkerton”, “per gentile concessione della Lex Corps,” fece Steve soddisfatto,”
va detto che i suoi satelliti spia sono tra i migliori in circolazione. La
nuova tecnologia per la ricerca di bersagli volanti sospetti è davvero efficace
come aveva promesso.”
Amada
Waller, Direttrice del Centro di Analisi Dati della CIA studiò con attenzione
la foto che Steve le porse.
“Quanti
l’hanno vista?”, chiese seccamente.
“Per
ora solo io. L’ho presa dalla stampante appena l’elaboratore ha terminato di
processare l’immagine. È la più nitida che abbiamo e di più non si può fare.”
La
Weller sembrò trattenere il fiato ad un certo punto e
così, per alcuni secondi, fece Steve.
“Questa
foto va considerata come documento classificato. È chiaro?”,
“certamente
Direttore”, rispose Steve.
“Dovrei
farti incarcerare a vita, lo sai?”, Steve Trevor la fissò con l’aria di chi
fosse appena caduto dalle nuvole, “mi scusi, credo di non capire”, azzardò
timidamente lui.
“Signor
Trevor, non sono nata ieri. Se sono Direttore di questo centro c’è un motivo.
Le nomine non vengono fatte a casaccio o su raccomandazione, non per quel che
concerne strutture di rilevanza quali questa. Da mesi lei ha cercato di
spingerci ad indagare su queste così dette Leggende,
l’uomo anti-proiettile e il Cavaliere Oscuro in particolare. Tutte le volte le è
stato educatamente risposto che l’Agenzia al momento non aveva né il tempo, né
la disponibilità economica per mettersi a cacciare le ombre. Lei era stato
avvertito. Invece, nel suo tempo libero, ha portato avanti per conto suo tali
ricerche e, casualmente, lei è venuto in possesso di questa foto? Scommetto che
se facessimo un controllo dei nostri computer salterebbe fuori che lei ha
guardato più di una volta nell’archivio tra i dati provenienti dai Pinkerton”, Amanda Weller lo
fissava con uno sguardo di tale intensità che per alcuni istanti Steve non
riuscì a sostenerlo e dovette abbassare gli occhi. Si dette dello stupido
perché aveva appena silenziosamente ammesso che lei aveva ragione.
“Non
possiamo permetterci di sottovalutare qualcosa del genere, Signora. Non dopo
l’11 Settembre. Non mentre siamo in guerra con praticamente mezzo mondo e
sembriamo intenzionati ad inimicarci anche l’altra metà”, pronunciò quelle
parole a bassa voce ma con grande convinzione.
“Questo
dunque l’autorizza a scavalcarmi?”, chiese lei freddamente.
“Questo
mi spinge a fare qualsiasi cosa per il mio Paese. Qualsiasi. Se il prezzo è una
punizione da parte della CIA sono disposto a pagarlo”, stavolta sostenne il suo
sguardo, senza ombra d’esitazione o paura alcuna e la Weller
appoggiò il capo sul poggia testa della sua sedia.
Amanda
Weller aveva 35 anni, era una dei Direttori più
giovani nella storia della CIA e alle sue spalle aveva un curriculum vitae
impressionante sia come Agente Operativo che come esperta nell’elaborazione dei
dati. Alta, mulatta, capelli neri portati corti in un taglio quasi maschile,
sguardo fiero e glaciale, occhi scuri come la pece, lineamenti che parevano
scolpiti, sempre vestita con impeccabili completi giacca e pantalone, scarpe
con un tacco talmente basso da essere praticamente inesistente. Della sua vita
privata non si sapeva nulla. La Weller era una donna
riservata, dura e che mal tollerava l’inefficienza.
I
vertici della CIA l’avevano mandata a dirigere quel centro perché reputavano
importante un più attento controllo delle informazioni in entrata.
“Questa
non è la prima volta che lei mi scavalca. Come le ho già detto, non sono una
stupida ma di certo sarà l’ultima,”
ammonì severa, senza mai alzare il tono della voce né tanto meno dare segno
d’essere stizzita,” ogni altra
disubbidienza dopo questo avvertimento le costerà caro e lei sa benissimo cosa
intendo,” Steve sapeva con certezza
che non era una semplice minaccia quella che stava ascoltando, non c’era nessun
tentativo di intimorirlo,” da questo
momento tutto quello che lei sa lo verrà a riferire direttamente a me.
Continuerà a parlare ai suoi colleghi delle sue teorie strampalate. Si, so
anche quello e se dovesse smettere potrebbe diventare sospetto ai loro occhi.
Continui a comportarsi normalmente solo che da questo momento lei ha un
incarico, un incarico riservato e per cui deve rendere conto a me e a me sola.
Ha dimostrato di possedere un buon intuito e ottime capacità di osservazione.
Lei è un analista di primordine ed è per questo che le sto dando questa
opportunità invece di punirla. Non tenti di tirare la corda con me. Prosegua
nelle sue ricerche ma stavolta potrà accedere ai dati dei Pinkerton
senza bisogno di sotterfugi. Le procurerò io stessa un accesso sicuro ed
anonimo entro domani mattina. Ora vada a casa e pensi bene a quello che le ho
detto. Prima però mi dica una cosa. Quale sarebbe secondo lei, strategicamente
parlando, l’importanza di queste Leggende?”
“Non
credo si tratti di nemici, Signora. Se operano nel modo che penso, ci troviamo
di fronte a persone che stanno a loro modo cercando di aiutare la legge”,
“davvero?”
“Forse
dal loro punto di vista o quanto meno cercando di aiutare la giustizia, o il
popolo o non so, faccia lei ma di certo non sono dei criminali o terroristi,
anche se agiscono in questo modo. Potrebbero essere delle risorse e visto i
tempi che ci aspettano, Signora, abbiamo bisogno di quelle risorse. Dobbiamo
entrare in contatto con loro e capire cosa vogliono esattamente.”
“E
se si sbagliasse? Oppure se non volessero collaborare con noi?”
“Prenderemo
in considerazione queste opzioni quando e se sarà il momento.”
La
Weller parve soddisfatta e congedò Steve Trevor che,
uscito dall’ufficio del Direttore, si diresse verso casa.
Steve
Trevor stava giocando una partita molto pericolosa. Non aveva mai pensato che
la Weller fosse ingenuo o tanto meno stupida.
Conosceva molto bene la natura ed il reale valore di quella donna così come era
certo fosse consapevole che ancora gli nascondeva qualcosa.
Quello
che la Weller gli aveva detto non erano semplici
lusinghe ma la verità, lui era uno dei migliori analisti del Centro e lei aveva
bisogno di lui e fin quando non avesse capito esattamente cosa fossero le
Leggende ed i loro scopi avrebbe finto di non nutrire sospetto alcuno su di lui.
Steve
aveva tenuto per sé un’altra scoperta, fatta alcuni giorni prima, una scoperta
che giudicava interessante.
L’uomo
volante sembrava sulle tracce dell’Intergang, visto
che ogni sua presunta apparizione era in relazione alle attività del misterioso
gruppo criminale. Dopo mesi e mesi di ricerche era venuto fuori un altro nome
in relazione a quello dell’Intergang, quello di un
giornalista che attualmente lavorava come collaboratore per il Daily Star: Clark Kent;
Steve
Travor s’incamminò nella notte, pensando che presto o
tardi avrebbe dovuto comunque fare una chiacchierata con il Signor Kent.
Continua