YURI LUCIA

 

 

 

 

Prologo:

 

 

 

Ed essi torneranno, per far conoscere ancora una volta al mondo la loro potenza,

e saranno nuovamente i suoi protettori ed i suoi carcerieri,

e combatteranno nuovamente guerre tali da inaridire i campi,

bollire i mari,

ridurre in polvere boschi e foreste.

 

Gli uomini li temeranno, gli uomini gli adoreranno,

ergeranno idoli in loro onore e templi dove pregarli.

A migliaia ogni giorno chiederanno ad essi grazie e favori,

rendendoli sempre più forti.

 

Arriverà il momento in cui essi doneranno la luce ma poi affonderanno le città nel caos ed il mondo stesso nelle tenebre”,

 

con voce atona e sussurrante, la figura che se ne stava avvolta in un vecchio mantello lì nell’ombra, aveva recitato a memoria quella cantilena che ripeteva ogni giorno nella sua mente.

“La Profezia ancora ti ossessiona vedo”, commentò con tristezza la donna che stava sulla soglia della stanza illuminata dal tenue raggio di luce di un lampione che brillava non troppo lontano dalla finestra.

“La Profezia di Tiresia si è realizzata in più di un punto,” affermò con amara decisione.

“Questo è opinabile. La sua interpretazione è ancora oggi oggetto di discussione. Non possediamo la certezza d’aver usato sempre la corretta chiave di lettura e tu sai bene che una predizione può presentare più di un significato. È il grande limite dei vati e degli oracoli. No c’è sicurezza di aver capito il messaggio”, espresse con fermezza la sua posizione.

Dal buio della piccola stanza dove aveva trovato rifugio dalle inquietudini di quella notte sospirò e disse, “la Profezia ha guidato la nostra gente, tu lo sai bene. L’ha salvata dalla totale estinzione, ha tracciato i passi che abbiamo seguito e che ci hanno portato fin qui. Tu non hai fede in essa?”, non c’era nessun rimprovero in quell’affermazione. Solo un eco di compassione per quella donna che sembrava aver smarrito il sentiero.

Lei non si sentì offesa, sapeva che quello era il segno di un affetto profondo che i loro contrasti non avevano smorzato.

“Ho fede, lo sai bene. Tuttavia sono anche prudente. Hai una missione da compiere, una missione che può determinare finalmente il realizzarsi del Grande Disegno. Ora chiedi di deviare dal tuo cammino, il cammino che proprio dalla Profezia è stato segnato, per inseguire ombre senza sostanza, sussurri che arrivano dai margini stessi di questa società.”

“Lo chiedo perché non possiamo ignorare qualcosa di così importante. Se fosse vero, sai che sarebbe il segno che prelude al loro ritorno, un ritorno che non vogliamo e che stiamo cercando di impedire da tempo immemore ormai.”

“E fin ora abbiamo mantenuto fede ai nostri giuramenti. Mai più”, pronunciò quelle ultime due parole con orgoglio e forza.

“Mai più, ripeté la voce sussurrante, e per continuare a far in modo che sia così, devo poter agire secondo quanto ritengo essere giusto. Chiedo molto, lo so e rischio molto ma rischieremmo di più se semplicemente decidessimo di ignorare il pericolo perché non vogliamo accettare che possa accadere veramente.

Tu sei una delle favorite del Consiglio. Se parlerai davanti a loro, in un’udienza, e perorerai la mia causa, allora potrei ottenere quello che desidero.”

“E cosa desideri?”

“Desidero assicurarmi che il nostro Popolo continui il suo cammino e salvi questo mondo, come è suo sacro dovere fare,” le sue parole vibrarono di intensa e fervente devozione tanto da indurre l’altra a dubitare, a chiedersi se fosse non avesse ragione e il ritorno dei nemici dell’umanità non fosse realmente prossimo.

 

 

YURI LUCIA

 

Presenta:

 

 

 

 

 

WONDER WOMAN

 

 

 

YEAR ONE…

I, AMAZON

 

A Prophecy

 

I

 

Il respiro di Michael Harris si fece pesante, la fatica indolenziva i suoi muscoli, la sua figura massiccia indietreggiò, la sua glock protesa in avanti a minacciare l’ombra che avanzava con incedere lento verso di lui.

Doveva essere un lavoro facile quello, così almeno risultava sulla carta, un’operazione a prova di bomba che gli avrebbe garantito un notevole guadagno.

Michael era un ex stella locale del football, una promessa destinata al mondo del professionismo, una promessa rotta da un incidente d’auto che compromise uno dei suoi ginocchi e spinse l’università a ritirare la borsa di studio per meriti sportivi che gli aveva offerto e gli agenti a tenersi lontani da lui. L’esercito fu la sua seconda opzione ma nonostante la sua nuova carriera fosse iniziata bene, compì degli errori che gli costarono il suo status di servizio e gli procurarono un congedo anzi-tempo che lo restituì ad una vita apparentemente priva di prospettive per lui.

Il lavoro di guardia giurata non era il miglior impiego del mondo e lo odiava davvero. L’occasione arrivò quando, insieme ad alcuni ex commilitoni che versavano nelle sue stesse condizioni, decisero di effettuare una rapina per ripagarsi di quello che pensavano la vita dovesse loro.

Michael, dopo il colpo, venne avvicinato da uno dei suoi uomini che gli rivelò di lavorare per l’organizzazione nota come Intergang e che i suoi capi erano interessati al talento che aveva dimostrato. L'accordo era semplice. Informazioni attendibili e attrezzatura di prim’ordine in cambio del 50 per cento dei ricavati. Le cifre di cui si parlava erano comunque sempre considerevoli, quindi anche il 50 per cento, diviso 6 garantiva un guadagno notevole.

In due anni aveva messo a segno cinque rapine, tutte con il più completo successo e la polizia ancora brancolava nel buio.

La rapina alla Fargo doveva rappresentare il suo capolavoro. I suoi datori di lavoro forse gli avrebbero offerto un ruolo negli alti ranghi dell’Intergang, magari coordinatore regionale e in caso contrario comunque si sarebbe ritrovato un milione e mezzo di dollari in più sul suo conto olandese, cosa che non gli dispiaceva affatto.

Doveva essere un colpo facile, si ripeté.

Lei era apparsa dal nulla, probabilmente nascosta tra i clienti della banca si disse, perché quella era l’unica spiegazione che avesse un senso.

Bennett era un pezzo d’uomo, 1.90 per cento chili di cui la gran parte di muscoli ed un’esperienza di quattro anni nei Rangers dell’esercito. Lei lo sollevò prendendolo per la gola, il braccio veloce come un serpente a sonagli, la stretta che tolse il fiato all’altro prima arrossandogli il volto e poi impallidendolo. Lo scaraventò verso il muro e l’armadietto dei medicinali ed un estintore tremarono staccandosi dai rispettivi supporti finendo a terra, proprio come Bennett. Il rumore non aveva coperto quello sgradevole delle ossa della spalla che finivano in pezzi.

Clive tentò di centrarla con la sua pistola ma non riusciva a mettere a segno nessun colpo perché nonostante il poco spazio del cavou si muoveva con agilità e sicurezza tali da uscire dalla sua linea di tiro. I proiettili mancarono il bersaglio e rimbalzarono contro alcune cassette di sicurezza.

Michael urlò all’altro di smetterla ma non fece in tempo a terminare la frase. Il polso di Bennett venne spezzato come un fuscello e la mano, con l’arma ancora stretta nel pugno, penzolò con un angolazione grottescamente sbagliata.

Gli altri uomini che si trovavano sopra dovevano essere stati già messi fuori gioco da quell’infernale apparizione, spettrale nei suoi abiti bianchi come la neve.

Raggiungere il Direttore della banca per prenderlo in ostaggio era impossibile. Bennett avrebbe dovuto farlo ma si era lasciato prendere dal panico distraendosi e l’uomo si era rifugiato dietro una scrivania su cui stava un grande registro, proprio all’ingresso della cassaforte.

Lei continuo ad avanzare, tranquilla, come se non avesse nulla da temere e a Michael tremò la mano quando incrociò lo sguardo di quegli occhi azzurri, freddi come il ghiaccio, resi ancora più algidi dalle sopracciglia corvine che li incorniciavano, che lo scrutavano impietosi da un volto i cui lineamenti erano duri, quasi selvaggi, eppure non privi di una primordiale e feroce bellezza. Sorrise, un sorriso spietato, mettendo in mostra una chiostra di denti che sembravano avorio, le labbra carnose sensuali e atterrenti allo stesso tempo. I capelli color dell’inchiostro e tagliati corti contrastavano con il candore delle sue vesti, la pelle sembrava bronzea ed era liscia, come se fosse stata una statua.

Lo disarmò con una facilità sconcertante, quasi senza che lui se ne rendesse conto ma fu il dolore dell’indice rotto che poco prima stava sul grilletto a richiamarlo alla realtà.

Non era un sogno, stava accadendo tutto veramente.

“Voglio delle informazioni e tu me le darai. Non mi mentirai, perché se lo farai me ne accorgerò e allora dovrò smetterla di essere gentile con te e ricorrere a maniere assai meno piacevoli,lo ammonì severa quella donna giunonica, ti è tutto chiaro?”, chiese come se si fosse rivolta ad un bambino.

Michael stesso si sorprese quando si ritrovò a rispondere, “si”, senza aver tentato nemmeno di minacciarla o intimorirla.

Chiunque fosse, sentiva di essere alla sua mercé.    

 

 

II

 

Ufficialmente, il grande edificio di mattoni rossi costruito 200 anni prima che sorgeva non troppo lontano dalla vecchia fabbrica di birra, ospitava una società che si occupava di import ed export, quanto di più generico si sarebbe potuto scegliere come copertura. Al suo interno era locato uno dei centri analisi dati della CIA americana. I suoi impiegati lavoravano notte e giorno per fornire un’interpretazione di ogni tipo di notizia che giungeva ai quattro angoli del globo.

Etta Candy giocherellò un po’ con il suo orecchino, lo sguardo fisso su Matt Travor che invece si ostinava, da dietro le lenti dei suoi occhiali, a passare in rassegna ancora una volta delle mail mandate da alcuni agenti di stanza a Islamabad.

“Loro ci credono”, disse infine come incapace di trattenere oltre quel suo pensiero.

“Loro sono almeno tre o quattro secoli indietro”, precisò Etta, chiedendosi se quel commento non fosse stato un po’ troppo rude.

“Non possiamo liquidare il tutto così. Non possiamo semplicemente dire che siccome sono arretrati rispetto a noi, allora si stanno sbagliando per forza perché sai che non è così.”

“Anche se avessi ragione, cosa possiamo fare? Il Contro-spionaggio ti ha ringraziato per la segnalazione è ti ha detto che avrebbe preso in considerazione i documenti che gli hai passato”, disse lei facendo spallucce.

“Equivale a dire che si sono fatti una risata rispetto a quanto gli ho detto e di non annoiarli più con le mie strambe idee”, precisò Matt con l’aria di chi non riusciva a digerire quella storia.

“Il che allora dovrebbe bastarti. Non puoi insistere troppo, lo sai.”

“Non posso nemmeno ignorare qualcosa del genere.”

“Loro ci riescono. Perché non dovresti tu?”

“Perché quando abbiamo abbassato la guardia, abbiamo pagato caro il prezzo della nostra disattenzione. Ricordi? Pensi che allora fosse diverso? Ci furono delle segnalazioni ma i pezzi grossi decisero di ignorarle, bollandole come poco probabili.”

Etta non seppe cosa replicare a quell’affermazione. Fu l’ingresso di Diana Prince a rompere l’imbarazzante silenzio che era calato nella stanza.

“Hai cambiato pettinatura Etta?, chiese in tono amichevole, strappando un sorriso all’altra, ciao Matt, ancora a caccia di fantasmi?”, se quella battuta infastidì o meno l’uomo quest’ultimo non diede a vederlo, concentrato su di un articolo di giornale che stava studiando, frase per frase, parola per parola.

“I fantasmi non m’interessano”, fece placidamente lui.

“Interessante, non ti sei scomodato a dire che non esistono. Hai semplicemente detto che non esistono. Credi ai fantasmi allora?”

“Anche se fosse?”, Matt non sembrava realmente interessato ad una conversazione con quella donna. Quella risposta l’aveva data più per educazione che non per altro.

“Che ne pensi del caso Deadman?”

Mhhh?”, questa volta l’attenzione di Matt Travor era stata realmente catturata da Diana.

“Non posso credere che non lo abbia mai sentito menzionare nemmeno una volta.”

“Certo che si. Tutti quelli che sono passati al corso d’addestramento avanzato ne hanno sentito parlare è solo che erano anni che nessuno lo nominava in mia presenza.”

“L’X-file più intrigante che la CIA abbia mai avuto per le mani.”

“Ti piacciono i termini ad effetto? Anche X-file non lo sentivo dire da un bel po’. La parola è fuori moda e non è nemmeno vista bene dai nostri capi.”

“Ha un sapore troppo drammatico secondo loro, da serie televisiva. Comunque ricordi il caso?”

“Un agente che lavorava per l’intelligence, un killer incaricato di eliminare bersagli pericolosi per la sicurezza nazionale venne ucciso in circostanze piuttosto singolari. L’ipotesi ufficiale era che qualche agente straniero fosse stato incaricato di neutralizzarlo.”

“Però?”

“Però c’erano diversi elementi che non tornavano e l’indagine portò alla luce una strana connessione con un nome. Boston Brand.”

“Vedo che hai una buona memoria.”

Deadman, era il nome d’arte di Brand. Veniva da una famiglia di artisti circensi piuttosto famosa nel circuito dei piccoli circhi di provincia, almeno così dichiarava. Apparve anche come ospite in alcune trasmissioni televisive e divenne una stella del piccolo schermo, affrontando di volta in volta prove al limite del folle e dell’impossibile, così recitava lo spot che serviva a pubblicizzare il programma. Boston Brand era un nome fittizio. Nessuno sapeva con certezza chi fosse stato prima dei suoi 20 anni. Comunque era sospettato di essere uno degli ingranaggi di un traffico di informazioni sensibili che finivano nelle mani del KGB. Brand venne freddato dal nostro killer che fece in modo di far apparire il suo omicidio un incidente di scena.”

“Tutto giusto però c’è anche dell’altro.”

“Però venne fuori che in realtà le prove sulla colpevolezza di Brand non fossero così solide ma erano i ruggenti anni della caccia alle streghe comuniste e al tempo non ci andavano tanto per il sottile. Inoltre il killer quella volta, per arrivare a Brand, fece fuori anche una sua collega, una trapezista con cui aveva una relazione.”

“Cosa accadde dopo?”

“Ci furono una catena di morti, tutte all’apparenza accidentali, tutte iniziate dieci anni dopo. All’inizio nessuno capì cosa stava accadendo fin quando anche il nostro uomo, il killer spietato, non morì.”

“Killer spietato? È così che lo hai ribattezzato? Anche tu hai un debole per i nomi ad effetto vedo. Qualcuno azzardò l’ipotesi che fosse stato Brand ad ucciderlo.”

“Però, fece Matt stiracchiandosi, era difficile immaginare che uno come lui potesse arrivare tanto facilmente ad un agente di livello così alto, addestrato e con una buona copertura. Inoltre c’era la non trascurabile faccenda della morte. L’autopsia era ampiamente documentata, così come l’inumazione del corpo. Vennero comunque riesumati i resti per essere sicuri che fosse veramente deceduto.”

“Sai cosa accadde all’agente che aveva battuto questa pista? L’uomo che aveva azzardato l’ipotesi che fosse stato Boston Brand ad eliminare l’agente del controspionaggio in questione?”

“Venne degradato e retrocesso, lo sbatterono in oscuro ufficio a timbrare carte e temperare matite fino la fine dei suoi giorni. Lo chiamarono Deadman anche per questo, oltre che per Boston Brand.”

“Quell’uomo era sicuro della sua teoria. Era certo che si trattasse di Brand. Aveva persino degli indizi. Non delle prove ma comunque non si poteva certo dire che avesse un pugno di mosche in mano. Sai però cosa non andava?”

“Che la teoria era impossibile. Brand non poteva essere in alcun modo il colpevole visto che era all’altro mondo.”

“Il fatto che tu abbia raccolto delle notizie interessanti su questi tizi di cui tutti parlano e che sembrano essere capaci di cose incredibili, non significa necessariamente che riuscirai a provare qualcosa. L’unico finale possibile per la tua indagine personale è un fiasco colossale, come quello che ha fatto il Planet con la storia del Cavaliere Oscuro. Mi capisci? Etta ed io siamo preoccupate per te, il tono era completamente cambiato. Diana Prince gli parlava con tenerezza e sincero affetto mentre Etta assentiva seria a quelle parole, hai la possibilità di fare una brillante carriera, perché sei un uomo capace. Davvero sai? Non diventare il prossimo Deadman inseguendo dei fantasmi.”

Matt Trevor non disse nulla, limitandosi a fissare lo schermo davanti a sé per un po’.

“Buona notte”, disse in fine, dopo aver spento il suo terminal ed essersi alzato dalla sua postazione.

 

 

III

 

“Matt! Per favore, fermati!”, a quel richiamo Matt Travor si bloccò, richiamato dai pensieri in cui si era sprofondato, voltandosi verso Diana Prince che percorreva veloce il marciapiede nonostante i tacchi. La sua figura slanciata ed atletica sovrastò quella dell’uomo che, istintivamente, si strinse nel suo soprabito, quasi in un gesto di difesa.

“Cos’è tutta questa fretta?”, fece lui sorridendo.

“Matt, non vorrei che tu fossi arrabbiato con me per quello che ho detto prima in ufficio.”

La strada era quasi completamente deserta a quell’ora. Non c’erano molte persone che transitavano di lì, solo qualche occasionale passante.

“Per aver detto la verità?”

“L’ho detto solo perché ci tengo davvero a te. Sei una brava persona ed un buon amico.”

“Non avevo idea che fossimo buoni amici”, fece sorpreso lui.

“Forse non amici intimi ma sai cosa voglio dire.”

“Più o meno. Comunque non sono arrabbiato, davvero. Quello che hai detto è sensato e credo che seriamente alla tua buona fede. Non pensarmi un completo pazzo. Ovviamente non sono intenzionato ad irritare i nostri capi fino al punto di farmi cacciare via a pedate dal centro. Il lavoro mi piace e la paga è veramente buona. Però sento anche di avere una responsabilità e nulla mi vieta di avere un opinione riguardo tutta questa vicenda dei così detti meta-umani. Tranquilla, fin tanto che non avrò le prove inoppugnabili per sostenere le mie idee non andrò oltre a quello che sto facendo.”

“Questo mi rasserena un po’”, gli confessò lei.

“Bene. Non diventerò il nuovo Deadman, tranquilla. Uno è stato più che sufficiente.”

“Allora direi che dovremmo festeggiare.”

“Come?”

“Si potrebbe iniziare con un caffè.”

“Si potrebbe iniziare con un caffè”, ripeté lui in segno che accettava quell’invito.

Diana lo portò in un locale non molto distante, una caffetteria dove gran parte del personale del Centro si recava dopo il lavoro, per rilassarsi, per riprendere il contatto con la quotidianità. C’erano dei turni di lavoro che duravano per giorni interi, con solo qualche pausa per poter dormire un paio d’ore e mangiare un boccone. Delle volte il flusso di informazioni richiedeva che gli analisti rimanessero al loro posto per periodi di tempo molto più lunghi del normale e loro lo facevano. Così tutti quelli che lavoravano per loro dovevano adattarsi a quei ritmi, da chi raccoglieva le informazioni, a chi si occupava della prima scrematura, ai tecnici dei sistemi informatici e via dicendo. Un luogo dove poter bere un caffè e assaporare un po’ di normalità prima di tornare a casa era importante per quella gente.

“Meta-umani?”, chiese Diana mentre sorseggiava la sua bevanda, un caffè nero senza zucchero che aveva l’aria di essere bollente.

Matt mandò giù un po’ del suo maccacino e rispose, “ è spuntato su internet, in un forum di appassionati. È stato un ragazzo russo ad utilizzarlo la prima volta. Scrivono persone da tutto il mondo e ognuno dice la sua. Secondo me è calzante al tipo di esseri di cui parlano.”

“Tu credi veramente che esistano?”, il locale non era molto affollato ma c’era quel tanto di persone che bastava per animarlo in modo allegro e vivace. Le cameriere giravano per i tavoli prendendo gli ordini, gli avventori ridevano, sbadigliavano, si sbracciavano per sottolineare l’importanza dei propri discorsi.

“Chi può dirlo? Quando comparve l’AIDS erano in molti a non crederci. Sono girate per anni le teorie più assurde tra cui che sarebbe stato proprio il nostro Governo a crearla per usarla come arma biologica.”

“Però un conto è una nuova malattia, un conto è un uomo che può volare.”

“Sono d’accordo, era per fare un esempio. Il punto Diana è che non possiamo sottovalutare quello che riteniamo impossibile perché potrebbero essere i nostri parametri di giudizio ad essere viziati.”

“Viziati da cosa?”

“Dalla mancanza di esperienza. Non abbiamo mai avuto a che fare con nulla del genere perciò lo bolliamo subito come impossibile. Di storie assurde, leggende metropolitane se preferisci, ne girano tante ma quando le stesse storie cominciano a diffondersi in certi ambienti e cominciano a verificarsi tutta una serie di fatti inspiegabili correlati ad esse, beh, quanto meno una domanda io me la farei. Forse non sarà un uomo volante o un cavaliere oscuro ma qualcosa potrebbe esserci dietro.”

“E cosa secondo te?”

Matt dette un morso alla sua ciambella, masticò un po’, quasi stesse prendendo tempo per pensarci e poi inghiottì, “da quando circola la storia del Cavaliere Oscuro a New York la criminalità è in subbuglio. C’è stata una guerra all’interno della mala organizzata che ne ha ridotto di molto il potere. Sembrerebbe che qualcuno abbia usato questo Cavaliere quasi fosse uno specchietto per le allodole. Gli ha messo il sale sulla coda, li ha resi paranoici e poi ha fatto in modo che si ammazzassero a vicenda. Qualcuno potrebbe trarre un vantaggio da una situazione del genere, magari un’organizzazione estera, come un forte gruppo terroristico. Ci sono varie ragioni. Potrebbero prendere il controllo dei traffici illeciti di una piazza redditizia come quella della grande mela per auto-finanziarsi, potrebbero al tempo stesso usare quanto rimane delle vecchie famiglie criminali per fiancheggiare e proteggere delle cellule qui in America. Insomma, i motivi non mancherebbero.”

“Detto così, potrebbe avere un senso.”

“O forse c’è davvero un misterioso ed invincibile vigilante che manda all’ospedale i delinquenti lì a Gotham.”

“Invece così suona folle.”

“Perché è il dubbio. Non hai la sicurezza di cosa stia accadendo veramente. Magari qui sono vere tutte e due le ipotesi.”

“Ovvero?”

“Potrebbe esserci una persona sola, non un’organizzazione, dietro tutto questo. Potrebbe aver creato la figura del Cavaliere Oscuro come mezzo per condurre una sorta di guerra psicologica, un terrorista che si è accanito contro dei vecchi mafiosi. L’idea non sarebbe malvagia, anche se richiederebbe una mente in grado di pianificare un piano a prova di bomba, consistenti mezzi e un bel po’ di pelo sullo stomaco.”

“Sembra quasi che tu ammiri questo fantomatico Cavaliere.”

“Se fosse una persona reale come potrei non farlo? Dire che è in gamba non sarebbe abbastanza.”

“E l’uomo volante?”

“Un jet pack”, fece lui.

“Un jet pack?”

“Quello, o un drone o un dispositivo di volo molto sofisticato e dalle dimensioni ridotte.”

“Un uomo con un jet pack?”, ripeté lei incredula.

“Io la prenderei seriamente come ipotesi. Del resto il nostro stesso Governo ha finanziato studi molto costosi sui jet pack. Ce ne è uno interessante risalente addirittura agli anni della Seconda Guerra Mondiale. Un tipo di nome Hall diceva di aver ottenuto dei risultati incredibili. Non era uno svitato qualunque ma un professore di Harvard.”

“E cosa è successo?”

“Il Governo aveva per le mani il Progetto Manhattan e preferì concentrarsi su quello oltre che sul perfezionamento di dispositivi bellici già in uso. Una nuova tecnologia di cui non avrebbero saputo nemmeno bene cosa fare non era molto attraente. Il progetto a cui lavorava venne chiuso dopo un paio d’anni.”

“Ha senso se ci pensi.”

“Sicuramente ma questo non vieterebbe a qualcuno di tentare di sviluppare un dispositivo del genere oggi.”

“E chi?”

“Ci sono diversi gruppi privati che potrebbero essere interessati a farlo il punto è perché? Perché potrebbero guadagnarci sopra bei milioni vendendolo alla persona o al paese giusto.”

“Hai scritto questo nel tuo rapporto.”

“L’ho fatto, non con questi esatti termini ma il risultato non sarebbe cambiato. Non sono interessati, semplicemente. Ora hanno altro per la mente e ho paura che quando tutto verrà a galla loro saranno impreparati.”

“Tutto cosa?”

“Lo scopriremo tra non molto, temo”, finì il suo moccaccino e attese che Diana finisse il suo caffè, poi la salutò, prendendo congedo e auspicando che ci sarebbe stata ancora modo di passare del tempo assieme.

 

IV

 

“Hai davvero rischiato molto. Forse anche troppo,” rimproverò la donna che stava sull’uscio, al confine tra luce e buio.

“Dovresti imparare ad annunciarti, non è educato piombare così in casa mia, lo sai?”, cercò di nascondere l’affanno e la stanchezza che la colpivano ogni volta che si svegliava. Durava solo pochi istanti, quasi avesse dovuto sopportare nuovamente lo sforzo del nascere e necessitasse di prendere una lunga boccata d’aria.

“Hai fatto parlare parecchio di te con la storia della Fargo”, osservò l’altra, del tutto indifferente alle rimostranze appena udite.

“Ero dietro da molto, troppo tempo a questo gruppetto di rapinatori. Lavorano per l’Intergang ed io voglio sapere tutto il possibile su di essa.”

“Perché?”

“Non puoi giocare una partita così importanti senza conoscere tutti i giocatori coinvolti.”

“Sono dei criminali.”

“Sono dei terroristi. Le attività criminose sono solo il mezzo con cui si finanziano. Hanno preso il controllo di gran parte dei traffici illeciti costringendo con la forza bande e piccoli boss locali ad affiliarsi alla loro società. Stanno riducendo le loro attività ultimamente, segno che si preparano per qualcosa di grosso.”

“Che intendi dire?”

“Non escludo un attento su larga scala.”

“E questo sarebbe un male?” domandò con fare provocatorio.

“Il tipo di instabilità che ne seguirebbe non giocherebbe a nostro favore.”

“Ne sei certa?”

“L’11 Settembre non l’ha fatto. Inoltre quando turbi un equilibrio non puoi predire con assoluta certezza cosa avverrà. Vuoi questo? Vuoi correre il rischio di un altro evento che possa interferire con la nostra missione?”

Aella sorrise, un sorriso triste e cinico, “sorella, ancora una volta cerchi di manipolarmi. Fai leva sul mio punto debole, la devozione alla causa e sfrutti la fiducia che nonostante tutto ripongo in te. Però non credere che io sia una sciocca. Non mi sfugge quello che stai facendo. La stampa ancora non sa della tua esistenza ma stai facendo di tutto per farti notare. Stai lavorando alacremente per creare un nuovo mito urbano, così come dici che sta facendo questo così detto Batman a New York.”

Aella è essenziale che io lo faccia. Ne abbiamo già discusso.”

“Mi sono esposta con il Consiglio, due anni fa, perché credevo in te. Credo in te. L’accordo però non era questo e tu lo sai.”

“Devo avvicinarli,” insisté caparbiamente lei.

“Non sai nemmeno se esistono veramente,” fece notare con dolcezza Aella.

“Lo sapremmo se avessi ottenuto le altre risorse che avevo richiesto ma gli indizi danno ragione alla mia tesi.”

“Gli indizi, sorella, non sono prove.”

“No ma non possiamo nemmeno ignorarli. Ho bisogno di tempo Aella.”

“Devi evitare di esporti. Se le anziane cominceranno a capire quello che vuoi fare veramente, non potrò proteggerti. Potrebbero destituirti dalla tua carica o peggio, farti imprigionare per tradimento.”

“Sono una dei loro migliori agenti operativi e sono un valido ufficiale, lo sai. Pensi davvero che si priverebbero di me con tanta facilità?”

“Liliana, disse con gran serietà Aella, non sopravvalutare il tuo valore agli occhi del Consiglio. La superbia non è da te e potrebbe esserti fatale.”

Liliana sospirò e si lasciò cadere seduta sul divano allungando le gambe sul basso tavolino di fronte, “lui darebbe di matto se mi vedesse farlo, ama questo tavolino in modo morboso” fece lei con tono ilare.

Aella la osservò e non poté far a meno di sentirsi preoccupata, “tu vuoi che menta alle anziane, vero?”

“Voglio che tu guadagni tempo per me.”

“Per far cosa? Vuoi metterle di fronte al fatto compiuto?”

“Devo”, ripeté ancora una volta con assoluta convinzione.

Aella scosse la testa chiedendosi se non stesse sbagliando ad assecondare così tanto l’amata sorella in quel pericoloso piano.

“Hai dimenticato un’altra cosa, Liliana”, fece lei.

“Cosa?”

“Anche l’Intergang ora sa di te e questo non è un bene. Li hai messi in allarme e questi criminali, o terroristi se preferisci, posseggono notevoli risorse. Come tu stessa hai detto gli equilibri potrebbero essere turbati in modo tutt’altro favorevole per la nostra causa e non vorrei che fossi stata tu ad innescare questo processo. Ora devo andare. Presto dovrò far rapporto ad un’agente di collegamento il che significa che dovrò prepararmi a mentire per te”, il suo tono era rattristato e venato da un rassegnato risentimento.

Liliana la guardò mentre guadagnava l’uscita e, con dolcezza, mormorò al suo indirizzo: “grazie”.

 

V

La gang dei Cuchilos aveva faticato a riconquistare i territori persi a Los Angeles. Ogni suo sforzo era stato finalizzato al conseguimento di due obbiettivi: riorganizzare i ranghi e riprendere il controllo degli affari; nessuno dei due era stato raggiunto facilmente e non senza sforzi.

I suoi occhi misero a fuoco l’uomo che stava cercando da quasi due settimane.

Camminava zoppicando vistosamente, aiutandosi con un bastone. Era molto alto e le grinze sulla pelle delle braccia e del volto rivelavano che doveva aver perso velocemente peso in passato.

Pequeńo era uno dei sopravvissuti alla guerra interna che aveva quasi spazzato via i Cuchilos ed era divenuto uno dei luogo tenenti più fidati di Gabriel, il nuovo capobanda.

Ogni passo rivelava una intensa sofferenza eloquentemente espressa dalle espressioni che il viso assumeva. L’uomo compariva di persona solo quando si doveva concludere un grosso affare o un’importante trattativa come quella in corso con le Salamandre, un piccolo gruppo criminale formato per lo più da ex-motociclisti ed ex-soldati che stava scalando i vertici del malaffare a Downtown. Con Pequeńo c’era la sua guardia del corpo, un individuo dall’aria piuttosto truce, nonostante la giovane età, e dalle maniere sprezzanti e bizzarre. Liliana aveva cercato delle informazioni sul suo conto ma era emerso ben poco, se non che tutte le sue fonti concordassero con il definire quell’uomo come estremamente pericoloso.

Nessuno di loro era preparato a quanto accadde di lì a poco.

 

La due granate fumogene che Liliana lanciò, fecero il loro dovere. Il senso di panico colse subito le due fazioni in campo, concentrate l’una sull’altra per cogliere qualsiasi segno rivelasse l’intenzione di tradire la tregua concordata per quell’incontro. Panico che l’esplosione di una granata esplosiva alimentò ulteriormente, facendolo divampare come un incontrollabile incendio.

I Cuchilos e le Salamandre aprirono il fuoco, sparando praticamente all’impazzata.

Gli uomini cadevano, il più delle volte colpiti dal fuoco amico in quella sparatoria alla cieca.

Per Liliana era stata una questione di pochi istanti. Premette il contatto sul suo radio comando e la botola sulla quale Pequeńo stava transitando si aprì facendolo finire nella trappola Liliana aveva diligentemente allestito due giorni prima.

Il suo lavoro di intelligence unito alle informazioni ottenute tramite i suoi contatti nell’Intelligence avevano dato i loro frutti. Sapeva che la polizia non sarebbe intervenuta in quanto alcuni ufficiali erano stati corrotti, finendo sul libro paga dei nuovi Cuchilos, mentre l’FBI al momento non aveva intenzione ad intervenire, nonostante tanto i Cuchilos che le Salamandre si fossero macchiati di reati federali. Volevano attendere che la situazione si stabilizzasse senza rischiare che il vuoto di potere presente nella malavita locale potesse portare ad una nuova e sanguinosa guerra tra bande. Per Liliana erano le condizioni ideali per agire. Nessuno l’avrebbe disturbata.

Fu solo questione di attendere pazientemente che i due gruppi finissero di massacrarsi a vicenda mentre la sua preda stava al sicuro nella buca da lei personalmente approntata.

Un piano semplice, che aveva richiesto molto lavoro ma che avrebbe evitato la presenza di scomodi testimoni. In quello specifico caso non voleva farsi troppa pubblicità a differenza delle altre volte.

Avanzò tra i sopravvissuti, attraverso il fumo che ormai si diradava. La morte era sta rapida nel cogliere quegli uomini, uno ancora vivo le afferrò la caviglia, “chi cazzo sei?.... aiutami cazzo….”, pronunciò in un roseo, spumoso gorgoglio al suo indirizzo,  “stolto”, replicò sprezzante lei prima di spaccargli il cranio sferrandogli un violento calcio.

Un altro, che si era rimesso in piedi, barcollando cercò di prendere la mira con la sua pistola. Lei attese paziente, non si mosse nemmeno di un passo, consapevole dalla sua postura che non l’avrebbe centrata. Il proiettile fischiò a diversi centimetri di distanza e, lentamente, Liliana lo raggiunse, gli afferrò il polso vincendo con estrema facilità le resistenze di quello. Prima lo costrinse a sparare su altri due sopravvissuti che stavano in terra, poi mentre quello bestemmiava e supplicava, piegò il braccio facendo si che si puntasse l’arma sotto il mento e premette sul dito che teneva il grilletto.

Il corpo s’accasciò come una marionetta a cui avessero improvvisamente tagliato i fili.

Pequeńo, seduto in terra nel pozzo scavato da Liliana, teneva il ginocchio al petto, le lacrime agli occhi i denti digrignati.

“Non ci credo!, urlò indispettito e frustrato, non di nuovo!”

“Non è la prima volta che ti ritrovi in mezzo ad una sparatoria del genere, eh?, chieste sprezzante lei, sono qui proprio per chiederti di quanto accaduto un anno e mezzo fa.”

“Per chi lavori?!”, chiese invece lui con sprezzante rabbia.

“Non credo ti sia ben chiara la situazione, Pequeńo. Se sei ancora vivo è solo perché io ho voluto che fosse così. Ho bisogno di sapere una cosa da te e tu me la dirai. Questa è la chiave per la tua sopravvivenza”, non terminò la frase. Per poco non si era accorta dell’uomo alle sue spalle.

Lui le vuotò contro quanto rimaneva del caricatore della sua pistola, lei si mosse con agilità e velocità disarmanti, evitando di essere colpita.

“CATZZO!”, urlò lui con un sorriso selvaggio sulle labbra.

Gettò via l’arma ormai inutile ed estratto un pugnale da combattimento le si avventò contro con brutale rapidità, bersagliandola con una serie di veloci affondi.

Benché apparisse invasato non stava colpendo a caso ma tentava di mettere a segno i ogni affondo in un punto ben preciso fallendo tuttavia nell’intento a causa della velocità dell’altra..

Tentò di accecarla lanciandole a bruciapelo dei calcinacci raccolti da terra e poi provò ad assestarla un calcio a frustata sul fianco.

Stavolta Liliana non si spostò, non cercò di evitare l’attacco ma incassò senza batter ciglio.

“Devo ammettere che sei bravo. Hai reagito velocemente e per questo ti sei salvato prima. Sei riuscito a scivolarmi alle spalle arrivandomi così vicino che quasi avresti potuto sorprendermi. Quasi. Sei efferato ma metodico e non te la cavi male nel corpo a corpo ma purtroppo per te, sono al di fuori della tua portata”, gli assestò un manrovescio che gli fece perdere la presa sull’arma e, dopo averlo fatto girare su sé stesso, lo costrinse a terra.

“Non muoverti da lì”, lo ammonì lei tornando dal suo prigioniero.

“Che vuoi da me?”, chiese lui spaventato, fissandola dal basso verso l’alto, il sudore che imperlava la fronte.

“Voglio che tu mi riferisca con dovizia di particolari su di un incontro avvenuto proprio in occasione del massacro della tua gang. Voglio che tu mi parli di quel giorno a Los Angeles. Ho sentito solo un racconto confuso, da parte di un tuo ex compagno ma il suo cervello era andato per via delle metanfetamine e della cocaina. Ho bisogno di sapere se quello che mi ha detto è la verità e se c’è dell’altro da sapere. Soddisfa la mia curiosità e da qui ne uscirai vivo.”

L’uomo parlò, tremando, raccontando ogni particolare di quanto avvenuto due anni prima.

Liliana ascoltò con grande attenzione.

 

La giovane guardia del corpo se ne stava a terra, ancora intontita per lo schiaffo. Alzò lentamente, famelico, lo sguardo sulla donna, sorridendo sornione, la bocca piena del suo stesso sangue. Sputò in terra per liberarsene e disse stancamente, “adesso arriva la parte in cui finisci il lavoro e mi fai secco, eh? Nulla da ridire. Sai, non me ne frega se è una fica a farmi fuori. Non se quella fica è l’avversario più tosto che abbia mai affrontato. Lasciatelo dire, il tuo piano è stato fantastico ed il modo in cui hai eliminato i superstiti? Sei una meraviglia di donna!”

“Vattene”, disse lei tranquillamente.

“Vattene?” il ragazzo era genuinamente sorpreso.

“Non sei uno di loro, vero? Sei una specie di guardia assoldata per guardare il grassone, vero?”

“Si”, ammise lui.

“Hai combattuto bene. Troppo bene. Posso fare solo due cose: eliminarti o risparmiarti.”

“Com’è che scegli la seconda opzione? Qualcosa mi dice che non è certo per il mio fascino o tanto meno per un qualche tuo senso di pietà, non a giudicare da come hai finito questi perdenti.”

“Lo faccio perché non è cosa da tutti i giorni trovare qualcuno che quasi potrebbe tenermi testa. Sei bravo e ucciderti sarebbe uno spreco secondo me. Tra quattro giorni vai al Best Market, angolo 5° e San Pedro Street a Skid Row, Los Angeles. Trovati lì alle 13 in punto. Non un minuto prima, non un minuto dopo. È chiaro?”

“Chiaro. Chiaro che sei una pupa esigente eh? fece lui divertito, sai bene che dopo questo, indicò con un gesto del braccio, se rimetto piede a Los Angeles i Cuchilos cercheranno di prendersi le mie palle. Mi sta bene. Per una pupa come te farei qualsiasi cosa”, il suo ghigno era quasi animalesco.

“Ce l’hai un nome?”

“Non uno di cui vada particolarmente fiero.”

“Come ti fai chiamare?”

“Nell’ambiente mi hanno soprannominato il Solitario, ti dico subito che non è per via delle seghe. Mi chiamano così perché lavoro da solo, di solito.”

“Come un lupo solitario. Mi piace. Allora, mio lupo, ci sentiamo tra quattro giorni.”

“E di lui?, indicò la fossa dove era stato preso in trappola l’uomo che avrebbe dovuto proteggere, cosa ne farai?”

“Pensi che mi interessi la sua sorte?”

Lui assentì divertito, “a tra quattro giorni”.

Attese che lei si fosse allontanata e poi, a fatica, si rimise in piedi.

“Un solo colpo e mi hai ridotto così male, sei davvero una meraviglia di donna, raccolse una pistola e si diresse verso la buca da dove Pequeńo ancora imprecava, ti sento, non hai bisogno di gridare così, fece lui mentre si accendeva una sigaretta, datti una calmata.”

“Brutto stronzo! BRUTTO SACCO DI MERDA! Tu dici a me di calmarmi?! Vedi di tirarmi subito fuori di qui oppure…” le parole gli morirono in bocca quando vide la canna dell’arma puntagli contro.

“Oppure niente”, spiegò placido l’altro.

“Ascolta amico, non fare cazzate. Ti ho pagato bene per venire qui. Posso pagarti anche meglio per…”

“Non è vero e lo sappiamo entrambi. Pequeńo, risparmiati le cazzate per l’altro mondo perché se non ti ci mando, mi ci spedirai comunque tu per il mio fallimento. Conosco troppo bene la gente come te. Non sono sopravvissuto in questo ambiente così a lungo per sola fortuna. Detto tra noi, poi, non mi sei nemmeno stato mai particolarmente simpatico”, premette il grilletto.

Un unico colpo, l’odore della polvere dello sparo che si mescola a quello del fumo della sigaretta, il la fronte bucata del fu Pequeńo, il suo corpo che scivolò pesantemente a terra.

Il ragazzo si voltò, senza guardarsi mai indietro e s’incammino per allontanarsi dal teatro della mattanza appena consumata.

VI

 

Steve Trevor osservò la foto scattata da satellite “Pinkerton”,  “per gentile concessione della Lex Corps,fece Steve soddisfatto, va detto che i suoi satelliti spia sono tra i migliori in circolazione. La nuova tecnologia per la ricerca di bersagli volanti sospetti è davvero efficace come aveva promesso.”

Amada Waller, Direttrice del Centro di Analisi Dati della CIA studiò con attenzione la foto che Steve le porse.

“Quanti l’hanno vista?”, chiese seccamente.

“Per ora solo io. L’ho presa dalla stampante appena l’elaboratore ha terminato di processare l’immagine. È la più nitida che abbiamo e di più non si può fare.”

La Weller sembrò trattenere il fiato ad un certo punto e così, per alcuni secondi, fece Steve.

“Questa foto va considerata come documento classificato. È chiaro?”,

“certamente Direttore”, rispose Steve.

“Dovrei farti incarcerare a vita, lo sai?”, Steve Trevor la fissò con l’aria di chi fosse appena caduto dalle nuvole, “mi scusi, credo di non capire”, azzardò timidamente lui.

“Signor Trevor, non sono nata ieri. Se sono Direttore di questo centro c’è un motivo. Le nomine non vengono fatte a casaccio o su raccomandazione, non per quel che concerne strutture di rilevanza quali questa. Da mesi lei ha cercato di spingerci ad indagare su queste così dette Leggende, l’uomo anti-proiettile e il Cavaliere Oscuro in particolare. Tutte le volte le è stato educatamente risposto che l’Agenzia al momento non aveva né il tempo, né la disponibilità economica per mettersi a cacciare le ombre. Lei era stato avvertito. Invece, nel suo tempo libero, ha portato avanti per conto suo tali ricerche e, casualmente, lei è venuto in possesso di questa foto? Scommetto che se facessimo un controllo dei nostri computer salterebbe fuori che lei ha guardato più di una volta nell’archivio tra i dati provenienti dai Pinkerton”, Amanda Weller lo fissava con uno sguardo di tale intensità che per alcuni istanti Steve non riuscì a sostenerlo e dovette abbassare gli occhi. Si dette dello stupido perché aveva appena silenziosamente ammesso che lei aveva ragione.

“Non possiamo permetterci di sottovalutare qualcosa del genere, Signora. Non dopo l’11 Settembre. Non mentre siamo in guerra con praticamente mezzo mondo e sembriamo intenzionati ad inimicarci anche l’altra metà”, pronunciò quelle parole a bassa voce ma con grande convinzione.

“Questo dunque l’autorizza a scavalcarmi?”, chiese lei freddamente.

“Questo mi spinge a fare qualsiasi cosa per il mio Paese. Qualsiasi. Se il prezzo è una punizione da parte della CIA sono disposto a pagarlo”, stavolta sostenne il suo sguardo, senza ombra d’esitazione o paura alcuna e la Weller appoggiò il capo sul poggia testa della sua sedia.

Amanda Weller aveva 35 anni, era una dei Direttori più giovani nella storia della CIA e alle sue spalle aveva un curriculum vitae impressionante sia come Agente Operativo che come esperta nell’elaborazione dei dati. Alta, mulatta, capelli neri portati corti in un taglio quasi maschile, sguardo fiero e glaciale, occhi scuri come la pece, lineamenti che parevano scolpiti, sempre vestita con impeccabili completi giacca e pantalone, scarpe con un tacco talmente basso da essere praticamente inesistente. Della sua vita privata non si sapeva nulla. La Weller era una donna riservata, dura e che mal tollerava l’inefficienza.

I vertici della CIA l’avevano mandata a dirigere quel centro perché reputavano importante un più attento controllo delle informazioni in entrata.

“Questa non è la prima volta che lei mi scavalca. Come le ho già detto, non sono una stupida ma di certo sarà l’ultima, ammonì severa, senza mai alzare il tono della voce né tanto meno dare segno d’essere stizzita, ogni altra disubbidienza dopo questo avvertimento le costerà caro e lei sa benissimo cosa intendo, Steve sapeva con certezza che non era una semplice minaccia quella che stava ascoltando, non c’era nessun tentativo di intimorirlo, da questo momento tutto quello che lei sa lo verrà a riferire direttamente a me. Continuerà a parlare ai suoi colleghi delle sue teorie strampalate. Si, so anche quello e se dovesse smettere potrebbe diventare sospetto ai loro occhi. Continui a comportarsi normalmente solo che da questo momento lei ha un incarico, un incarico riservato e per cui deve rendere conto a me e a me sola. Ha dimostrato di possedere un buon intuito e ottime capacità di osservazione. Lei è un analista di primordine ed è per questo che le sto dando questa opportunità invece di punirla. Non tenti di tirare la corda con me. Prosegua nelle sue ricerche ma stavolta potrà accedere ai dati dei Pinkerton senza bisogno di sotterfugi. Le procurerò io stessa un accesso sicuro ed anonimo entro domani mattina. Ora vada a casa e pensi bene a quello che le ho detto. Prima però mi dica una cosa. Quale sarebbe secondo lei, strategicamente parlando, l’importanza di queste Leggende?”

“Non credo si tratti di nemici, Signora. Se operano nel modo che penso, ci troviamo di fronte a persone che stanno a loro modo cercando di aiutare la legge”,

“davvero?”

“Forse dal loro punto di vista o quanto meno cercando di aiutare la giustizia, o il popolo o non so, faccia lei ma di certo non sono dei criminali o terroristi, anche se agiscono in questo modo. Potrebbero essere delle risorse e visto i tempi che ci aspettano, Signora, abbiamo bisogno di quelle risorse. Dobbiamo entrare in contatto con loro e capire cosa vogliono esattamente.”

“E se si sbagliasse? Oppure se non volessero collaborare con noi?”

“Prenderemo in considerazione queste opzioni quando e se sarà il momento.”

La Weller parve soddisfatta e congedò Steve Trevor che, uscito dall’ufficio del Direttore, si diresse verso casa.

 

Steve Trevor stava giocando una partita molto pericolosa. Non aveva mai pensato che la Weller fosse ingenuo o tanto meno stupida. Conosceva molto bene la natura ed il reale valore di quella donna così come era certo fosse consapevole che ancora gli nascondeva qualcosa.

Quello che la Weller gli aveva detto non erano semplici lusinghe ma la verità, lui era uno dei migliori analisti del Centro e lei aveva bisogno di lui e fin quando non avesse capito esattamente cosa fossero le Leggende ed i loro scopi avrebbe finto di non nutrire sospetto alcuno su di lui.

Steve aveva tenuto per sé un’altra scoperta, fatta alcuni giorni prima, una scoperta che giudicava interessante.

L’uomo volante sembrava sulle tracce dell’Intergang, visto che ogni sua presunta apparizione era in relazione alle attività del misterioso gruppo criminale. Dopo mesi e mesi di ricerche era venuto fuori un altro nome in relazione a quello dell’Intergang, quello di un giornalista che attualmente lavorava come collaboratore per il Daily Star: Clark Kent;

Steve Travor s’incamminò nella notte, pensando che presto o tardi avrebbe dovuto comunque fare una chiacchierata con il Signor Kent.

 

Continua