Yuri Lucia

 

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“NON M’IMPORTA UN CAZZO SE HO DATO FERIE E PERMESSI! SONO TUTTI REVOCATI! Voglio sapere tutto, tutto è chiaro? Voglio sapere chi è, da dove viene, come riesce a volare, se c’è no un trucco dietro ai suoi numeri e voglio sapere che roba è quella specie di tuta che indossa! Perciò voglio che ogni reporter, ogni fotografo, a contratto o freelance che sia, voglio che persino gli addetti alle macchine si mettano a lavorare sul pezzo! Tutto passa in secondo piano. Chiaro? L’intervista alla moglie del presidente. L’intervista al marito della sfidante al posto di inquilino della Casa Bianca. L’intervista al terrorista pentito. L’intervista a Lex Luthor ed tutto il resto. Fin quando non avrò su questo tavolo un pezzo degno di questo nome sull’uomo volante in blu non voglio niente altro. Usciremo con un’edizione straordinaria questa sera. Chiaro? Il che significa che avete, lanciò un’occhiata ad un inesistente orologio al polso solo per digrignare i denti ricordando che era dall’orefice per una riparazione, che ore sono?! Tuonò indispettito e quando ricevette risposta,bene, sono le 11, il che significa che avete tutto il tempo del mondo prima delle 18, ovvero l’ora in cui voglio andare in stampa con l’edizione straordinaria!”

Se avessero annunciato che il Paese fosse stato invaso o che un ordigno nucleare fosse detonato nella capitale, non ci sarebbe stato la stessa reazione che si scatenò nell’angusto ufficio di Perry White, l’uomo che vantava di aver intervistato quattro presidenti, di aver vinto quattro Pulitzer e di aver vissuto con due missioni scientifiche per sei mesi al Polo Nord e per altri sei a quello Sud.

Signor White era il modo, rispettoso, con cui tutti gli si rivolgevano in sua presenza.

Vecchio stronzo era quello, meno rispettoso, con cui lo apostrofavano quando i suoi dipendenti non erano a portato del suo orecchio.

“Perry, questa è un’enorme stronzata”, era il pensiero collettivo che nessuno osava esprimere, nessuno tranne l’unica persona nella stanza che aveva il coraggio di chiamarlo per nome, omettendo il signore, la sua protegé, Lois Lane, nota anche come ‘la iena’.

“Prego?” Diversi presenti deglutirono. Conoscevano quell’espressione glaciale e quella calma improvvisa che calava come la quiete prima della tempesta. Significavano che Perry White era sul punto di esplodere e prendere a pugni qualcuno. Dubitavano che le denunce ricevute in passato per quegli episodi di violenza lo avrebbero scoraggiato dal prodursi in uno dei suoi leggendari numeri, anche se l’oggetto della rabbia sarebbe stato la sua giornalista numero uno.

“Perry, ripeto a tuo beneficio, è una stronzata colossale. Primo, sai bene qual è la situazione finanziaria in cui versa il giornale, visto che ti è costata una seconda gastrite ed un paio di ricoveri per tachicardia severa. Un’edizione speciale costa, i tagli dell’attuale amministrazione ti hanno privato dei fondi per la stampa con cui avresti potuto ammortare un eventuale, probabile flop visto che in sette ore l’unica cosa che possiamo fare è scrivere un cumulo di cazzate sull’uomo che vola.

Secondo, non puoi pretendere di mollare tutto il resto per inseguire una notizia come questa. Ci serve tempo per parlare con i testimoni che al momento sono interrogati dalle forze dell’ordine e, detta tutta, devo presentarmi anch’io perché ero presente. Il giornale uscirà domani, con tutte le notizie previste e le interviste programmate. Non possiamo permetterci di fare la figura dei buffoni con la moglie del Presidente, con il marito del probabile primo Presidente donna della storia, con i nostri contatti che ci hanno garantito un’intervista con un terrorista di cui teoricamente nemmeno dovremmo conoscere l’esistenza e tanto meno con uno degli uomini più ricchi ed influenti d’America. Uomo che, tra le altre cose, è uno dei tuoi creditori ed è famoso per essere un divoratore di aziende.”

Perry si alzò dalla sedia, mani sulla scrivania, la cravatta mal annodata che pendeva dando la grottesca impressione che al collo avesse un cappio, gli occhi ridotti a due fessure ed il sigaro che, in una manciata di istanti, si era praticamente consumato.

“CAZZO! Quando hai ragione hai ragione, Lois!”

Ci furono una serie di mormori stupiti. Quasi tutti avrebbero puntato sulla morte di Lois Lane, talento del giornalismo investigativo ed invece lei era ancora lì, con il suo sorriso soddisfatto e strafottente, l’aria di chi è sicura di cavarsela in ogni momento.

“Perry, vuoi il tuo pezzo e l’avrai. Però faremo le cose nel modo giusto. Io ero lì, sono una testimone oculare e possono scrivere l’articolo che vuoi. Di Lex Luthor però se ne dovrà occupare qualcun altro. Tra l’interrogatorio alla polizia ed il lavoro che mi aspetta, avrò pochissimo tempo. Avrò modo, in centrale, di estorcere qualcosa, con il mio irresistibile charme, a qualche altro testimone e ai poliziotti. Però dobbiamo muoverci con cautela. Non possiamo rischiare che questa storia si riveli essere un fiasco come l’Operazione Batman.”

“Stavolta ci sono dei testimoni!” Obbiettò Perry a cui quella storia bruciava ancora e molto più del suo reflusso.

“Stavolta ci sono dei testimoni e delle riprese video ma se è per questo dal Sud-America arrivano ogni giorno filmati di oggetti volanti non identificati su Buenos Aires, su Rio e su un’altra dozzina di città. Questo non significa che la gente le prenda sul serio. Le testimonianze devono essere controllare, comparate, valiate dagli inquirenti così come i filmati devono essere analizzati dagli esperti che dovranno escludere trattarsi di contraffazioni ma originali in cui non compare un pupazzo vestito con una tuta blu ma un uomo che vola.”

“Allora manterremo una posizione neutrale. Non crediamo all’uomo volante ma nemmeno neghiamo la sua esistenza. Una nostra giornalista …”

“La giornalista …” sottolineò l’articolo con veemenza ed un pizzico di arroganza.

“La nostra migliore giornalista, concesse lui senza curarsi dell’ego degli altri presenti, era lì e mette a disposizione dei lettori la sua esperienza, con lo stile obbiettivo e conciso che la fa amare dal pubblico, e cercherà di chiarire cosa sia accaduto e cosa abbia visto.”

“Ora parliamo la stessa lingua”,  fece sorridente lei.

 

Fuori dall’ufficio di Perry White, che era diventato come il bunker di Churchill tanto era il via vai e la concitazione che lo pervadevano, Lois Lane si concesse un momento di relax prima di andare in centrale. Percorse l’ampio corridoio che fiancheggiava la redazione del giornale e salì le scale al suo termine, accedendo così alla terrazza del grattacielo da dove minacciavano, ormai un giorno si e l’altro quasi, di essere sfrattati in massa. S’accese una sigaretta e tirò una profonda boccata buttando fuori il fumo che tentò inutilmente di inanellare.

Non ho ancora imparato come si fa, dopo tutti questi anni”, si schernì mentalmente.

“Bel lavoro con il capo”.

La voce del giovane Jimmy Olsen la richiamò dai suoi pensieri. Lo squadrò con una rapida occhiata e decise di essere gentile con il ragazzo. Gli offrì da fumare ma lui rifiutò cortesemente.

“Non mi dirai che stai cercando di smettere?” Chiese lei un po’ incredula e un po’ divertita.

“Le attuali politiche contro il fumo sono piuttosto virulente e chi vuole costruirsi un’immagine solida e credibile per il grande pubblico deve venir a patto con esse”, sorrise lui.

“Credi davvero che arriverai mai al grande pubblico?”

“Perché no? Sono un bel tipo, so parlare e le mie foto non sono niente male.”

“Modesto”, lo sfotté lei.

“Realista. Corresse lui. Comunque sei stata eccezionale la sotto. Hai ammansito il leone con classe, senza fargli pesare il fatto che gli hai praticamente dato del cretino davanti a tutti.”

“Il leone? Tu non sei uno di quelli che lo chiama il vecchio stronzo?”

“Scherzi?! Sono io che ho coniato quel nomignolo, insieme ad almeno venti altri decisamente più infamanti.”

“Non dovresti dirmi queste cose.”

“O gli farai la spia?” Jimmy pareva divertito.

“Sono pur sempre la sua pupilla.”

“Lo eri e lui era un grande, anzi, grandissimo giornalista ma, purtroppo per lui, è anche un grandissimo coglione o quanto meno incapace di gestire da Direttore un giornale come questo, giornale che sta praticamente affondando da anni. Prima però, leccando il culo a destra e manca, riusciva tra raccolte di fondi e fondi pubblici a tenersi a galla e nascondere la situazione. Ora siamo arrivati alla fine, specie dopo quella cantonata mostruosa di Batman. A proposito, sei stata crudele nell’infierire prima. Crudele ma hai colto nel segno. Gli azionisti stanno abbandonando la nave, come i proverbiali topi perché hanno capito come stanno le cose. La storia dell’uomo volante potrebbe essere l’ultima possibilità che questo giornale possa sopravvivere al suo Direttore, a condizione che lui non rovini tutto.”

“Ed il tuo discorso dove vorrebbe andare a parare?” Sorrise sorniona e per nulla incantata dalla sviolinata.

“Tu devi dedicarti all’uomo volante. Tu e solo tu. Sai perché?”

“Perché sono la migliore. Vedi? Il tuo discorso è talmente melenso e pieno di luoghi comuni che riesco ad anticipare quello che dirai. Vuoi l’intervista a Lex.”

Il sorriso che si allargò sul volto di Jimmy era quello di un giovane barracuda.

“Sono un fotografo.”

“Ma con ambizioni giornalistiche. Senti, la tua lingua tra le chiappe non mi diverte per nulla anzi, mi sta irritando però ho letto qualcosa che hai scritto in passato e sei innegabilmente bravo. Parlerò io con Perry, perciò vedi di non sputtanarti l’occasione che ti do.”

“Assolutamente, scattò sull’attenti imitando un saluto militare ed aggiunse, ti devo un favore.”

“Tutti qui me ne devono uno.”

Lo guardò allontanarsi. Gli era simpatico. Sfrontato, arrivista al punto giusto e con la giusta dose di talento a controbilanciare il suo ego.

Non avrebbe mai avuto l’interista a Lex Luthor. Se all’uomo più potente in città si fosse presentato un novellino sarebbero girati gli attributi, si disse. Con una sua telefonata, spiegando la situazione, avrebbe accettato di parlare con un’altra grande firma del giornale ma con Jimmy Olsen, mai.

Avrebbe parlato con Perry ma non era il nome di Jimmy che avrebbe fatto. Al ragazzo avrebbe rifilato una balla e avrebbe scaricato la colpa sul Direttore.

“Non ha voluto sentire ragioni”, mormorò quasi esercitandosi a dire l’ennesima bugia della sua vita. Sghignazzò divertita.

Guardò il cellulare e vide un’altra chiamata persa di Lex.

“Non conviene farlo arrabbiare, devo decidermi a richiamarlo”.

Era sola, completamente sola.

Le gambe cedettero e si dovette reggere con forza alla ringhiera.

Lois Lane aveva intervistato guerriglieri marcoisti, narcotrafficanti, ex mafiosi ed ex spie russe.

Lois Lane, la iena, non aveva paura di niente e nessuno ma quella mattina il mondo in cui credeva e da cui gli piaceva prendere tutto quello che voleva era finito.

Non poteva credere che la sotto tutti stessero correndo come formiche impazzite per cercare di vendere una storia. Erano tutti ciechi? Si chiese.

Un uomo che volava. Un uomo che non cadeva sotto i colpi dei proiettili. Un uomo che sollevava un elicottero impedendone la caduta.

Come si poteva mettere per iscritto la fine di ogni certezza?

Come si poteva raccontare l’impossibile?

S’accese un’altra sigaretta, dopo essersi sistemata alla meno peggio con la schiena contro il freddo ferro battuto mentre il vento, lì, in cima al Daily Planet l’avvolgeva come un gelido manto.

 

YURI LUCIA

 

Presenta :

 

 

SUPERMAN

 

YEAR ONE

THE CHILD OF TOMORROW

 

N 1

 

From tomorrow ….

 

I KANSAS -30 ANNI PRIMA DEGLI EVENTI NARRATI

 

 

 

Martha Clark guardò torva Jonathan Kent che, fingendosi intento alla guida, la ignorava sperando di evitarne la rabbia, ormai trattenuta a stento.

“Piante esotiche ?!  Questo hai detto a tuo padre? Quanto credi che ci metterà a capire di cosa si tratta? È amico dello sheriffo e, tenendo conto della sua morale di ferro, ci farà finire al fresco tutte e due!” Pronunciò quelle parole con esasperato timore.

“Martha, stiamo parlando di mio padre,tentò di calmarla Jonhantan, un uomo che, per quanto lo ammetto, è un po’ bigotto, non farebbe mai del male ai suoi famigliari.”

“Tua madre però non la pensava così!” Insistette lei.

“Quella è un’altra faccenda. Papà aveva un problema e tu lo sai. È stato un alcolista per alcuni anni ed è capito che perdesse il controllo.”

“Picchiava tua madre di santa ragione, Jon! Cristo, è un miracolo che sia sopravvissuta! Da quello che racconta lei, tuo padre era una furia!”

“Poi però è divenuto un uomo di fede.”

“Appunto. Come tutti quelli che hanno una dipendenza, ha sostituito la sua con un’altra! Ci denuncerà. Ci darà in pasto agli sbirri! Gesù, mio padre non me lo perdonerà mai!”

“Intendi che la prenderà peggio del nostro matrimonio a Las Vegas?” Jonhatan tentò di rabbonirla con uno dei suoi sorrisi ma stavolta lei sembrava insensibile al suo fascino.

Jon, ti prego. Se mio padre scopre che siamo trafficanti di droga …”

“Non esagerare, Martha! Si tratta solo di qualche piantina …”

Jon hai allestito una serra piena di maledetta marjuana!”

“All’inizio eri favorevole anche tu!” Protestò piccato. Evitò per un soffio un porcospino che aveva deciso di attraversare la strada proprio mentre stavano sopraggiungendo loro. Aveva buoni riflessi Jon Kent e questo fece la salvezza della bestiola. La strada, da poco riasfaltata, tagliava in due una grande distesa adibita alla coltivazione del granturco e del mais.

Le piante non erano spuntate, visto che non era la loro stagione e quell’assenza conferiva al panorama un aspetto desolato e vagamente sconfortante.

Jon, avevo acconsentito perché pensavo avremmo avuto qualche pianticella per fumare gratis e magari darne un po’ agli amici. Pensavo volessi farci giusto qualche dollaro, quanto bastava per rientrare con le spese di coltivazione!”

“Martha, senti, Simon Marsh ai suoi tempi ha fatto fortuna con questo tipo di affari. Aveva un’auto sportiva rossa fiammante, un bolide europeo che faceva l’invidia di tutti e poté trasferirsi a vivere a New York, come aveva sempre desiderato.”

“Salvo poi morire ammazzato proprio per questioni di droga.”

“Vero ma si trattava di coca, era entrato nel giro dei pesci grossi e l’hanno mangiato ma non fu mai beccato per la storia della marjuana. Martha, so che sei preoccupata ma cerca di capirmi. La fattoria sta andando a puttane. Le leggi sull’allevamento e le tasse ci stanno ammazzando. Il grano che coltiviamo non è sufficiente a pagarci tutte le spese e abbiamo bruciato quasi tutti i risparmi per non farci portare via la casa dalla banca. Queste piantine, Martha, possono darci una mano ad uscire da tutto questo. Voglio solo evitare di perdere tutto quanto quello che abbiamo. Voglio solo tirare un po’ il fiato, tutto qui.”

“Tuo padre le ha viste. Ha visto la serra. Anche ammettendo che non capisca di cosa si tratti, potrebbe parlarne con i suoi amici e qualcun altro potrebbe capire. Potrebbe parlare con tuo fratello Jerry e lo sai che Jerry capirebbe al volo.”

“Non succederà. Jerry terrebbe la bocca chiusa.”

“Jerry è un ex sbirro! Non terrà mai la bocca chiusa! Sarà lui stesso a portarti dentro.”

“Sai che faremo? Trasferirò la serra altrove e dirò al vecchio che l’ho smantellata.”

“Sei incorreggibile.”

I due rimasero in silenzio per un po’, lasciando che le note di Sweet Home Alabama riempissero l’abitacolo.

Scoppiarono a ridere quasi all’unisono. Una risata fragorosa, spensierata, un po’ incosciente forse.

“Allora per te va bene?” Chiese Jonathan.

“Per me va bene ma bada bene a non farci carcerare. Sai, non possiamo proprio permetterci di finire al fresco ora,” sorrise divertita nel pronunciare quelle parole.

“E perché mai?” Chiese Jon.

Fu allora che si scatenò l’inferno.

 

 

II KANSAS – 48 ore dopo

 

“Devi rimanere a letto, Jon.” A pronunciare quelle parole con preoccupata premura era stata Sarah Kent, madre di Jonathan.

Il figlio pareva intenzionato ad ignorare le richieste dell’angustiata genitrice e tentò, ancora una volta, di rimettersi in piedi ma, poggiati che furono i piedi sul freddo pavimento, scivolò malamente in terra.

“Infermieri!” Chiamò allarmata Sarah.

Giunsero un paio di ragazzi, entrambi volti noti alla donna. Uno era un cugino di secondo o terzo grado di una sua cara amica, l’altro invece era stato compagno di giochi proprio di Jon.

“Joseph? Chiese incerta Martha. Joseph Ross?”

“Proprio io, signora. È un piacere rivederla, anche se non credevo sarebbe successo in circostanze tanto disgraziate. Dammi una mano, Sully. Tiriamo su questo mio vecchio amico.”

Jon farfugliò qualcosa. L’aspetto che aveva non piacque molto a Joseph Ross ma questi preferì non pronunciarsi davanti alla signora Kent. Voleva evitare di farla agitare più di quanto già non fosse.

Jonathan Kent fece appello a tutte le sue forze e, riconosciuto il vecchio amico: “Jo’? Jo’ sei tu?”

“Certo. Chi vorresti che fossi?” Scherzò lui per tentare di distrarlo. Aiutato dal collega lo rimise sulla barella. I letti del piccolo ospedale della contea erano tutti occupati ed i feriti meno gravi erano stati messi in barella o, addirittura, in tende allestite  dall’esercito e dalla Guardia Nazionale.

“Erano grandi come palle da baseball…” cercò di spiegare Jonathan, come rispondendo alla domanda di un invisibile interlocutore.

“Lo so, lo hanno visto tutti. Fece comprensivo Ross. Vide subito che il braccio era sporco di sangue che, a gocce, colava sulle lenzuola, macchiandole. L’ago è fuori vena. Ormai è andata, rivolgendosi al suo collega che assentì,prendine un altro, dobbiamo riattaccarlo alla flebo.”

“Ti prego, stavolta Jon si stava rivolgendo nuovamente a Joseph, lasciami vedere Martha.”

Jon, ascoltami, tua moglie è ancora in sala operatoria. Non puoi farci nulla. Devi aver fiducia e attendere pazientemente.”

Jonathan Kent, per un istante, assentì e poi scoppiò in lacrime.

 

“Dormirà?” Chiese Sarah Kent senza nascondere il suo strazio.

“Gli abbiamo dato un leggero sedativo. Purtroppo non possiamo fare molto per i dolori. Gran parte delle nostre scorte di antidolorifici si sono esaurite per aiutare i pazienti più gravi. Jonathan è forte, una roccia e non è in condizioni critiche. Ha un paio di costole rotte e una spalla fratturata. A parte qualche taglio e livido sta bene,” tentò di rassicurarla Joseph.

Jo’, ti conosco da quando eri un ragazzino. Tu e Jon siete cresciuti praticamente insieme. Siete come due fratelli. Dimmi la verità. Martha? Martha se la caverà?”

Joseph Ross si era aspettato quella domanda e, teoricamente, non avrebbe potuto rispondere perché quel compito non spettava a lui.

“Hanno dovuto rimuovere un versamento di sangue in zona cranica. Le è stata asportata la milza per sicurezza e hanno dovuto chiuderle un paio di vasi. Probabilmente avrà dei problemi a chiudere le dita della mano sinistra e potrebbe aver subito un abbassamento dell’udito dalla stessa parte. Forse le servirà anche un bastone per camminare i primi tempi ma sopravvivrà.”

Martha si sentì sollevata.

“Signora Kent, il Signor Kent è qui?”

Eben sta pregando. Si è inginocchiato di fuori la cappella dell’ospedale. Dentro non c’era posto visto che ci hanno messo un paio di disgraziati rimasti feriti.”

“Capisco, fece lui a disagio,però c’è una cosa di cui avrei voluto parlare a tutti e due. Lei è qui, ora e forse e meglio che intanto inizi con lei. Deve promettermi però che non si lascerà scappare con i medici che l’ho messa al corrente di questa notizia. Avrebbero dovuto già venire da voi ad informarvi ma sono oberati di lavoro. Signora Kent, Martha era incinta.”

Per diversi istanti la minuta Sarah Kent rimase in silenzio.

“Di quanto?”

“Un paio di mesi. Ha perso il piccolo.”

Jon è meglio che non lo sappia, almeno fin quando non sarà in condizioni di sopportare questa notizia.”

“La penso anch’io così.”

Joseph Ross prese congedo da quella piccola donna che però aveva dimostrato di possedere un carattere d’acciaio.

Del resto era da lei che Jonathan aveva ereditato la sua tempra e quel nomignolo con cui lo chiamavano tutti alle superiori: l’uomo d’acciaio.

 

“Due mesi?” Eben si segnò velocemente.

“Jonathan ancora non sa niente. Sono convinta che per il momento sia meglio così.”

“Sicura che non sapesse che la moglie fosse incinta?”

“Non ha fatto domande sul piccolo. Solo su Martha. Credo non lo sapesse. I Clark hanno chiamato più volte, me l’ha detto Patricia Sullivan.”

“Patricia Sullivan?”

“Le ho chiesto di dare un’occhiata alla nostra casa, per via degli sciacalli.”

“Quali sciacalli?”

Eben aveva l’aria stralunata. Sarah ricordava bene, invece, quando quell’uomo dall’apparenza mite e un po’ ingenua, era preda della febbre del bere. Ricordava bene i suoi insulti, gli improperi, le bestemmie e più di tutto i ceffoni, i pugni sulle reni, le mani alla gola.

Avrebbe voluto prendergli la testa e sbattergliela più e più volte contro il muro, fino a ridurla una poltiglia. Era rimasta con lui per amor della famiglia, non certo suo ed ora doveva ancora una volta ingollare l’odio ed il risentimento.

“La città brulica di disgraziati e delinquenti accorsi dalle contee vicine per arraffare tutto quello che possono. Il caos, i negozi e gli appartamenti abbandonati sono una vera manna per queste persone. Ho chiesto a Patricia e a suo marito di dare un’occhiata a casa nostra, nel caso qualcuno pensasse di farcisi un giretto. Ora il vero problema è Martha. Jon è fuori pericolo, me l’ha detto Joseph Ross.”

“Joseph è qui?”

“Ha trovato un lavoro come infermieri qui ed è tornato a casa sua.”

Eben si fece meditabondo. “Forse è un segno di Dio. Forse non è accaduto tutto per caso. Il bambino che ha perso Martha, questo flagello abbattutosi sulle nostre teste. Forse fa parte del piano dell’Onnipotente,” non esternò nessuno di quei pensieri. Sarah non avrebbe capito. Non lo faceva mai. Lo odiava e lo sapeva. Lei pensava fosse stupido ma non lo era. Lo odiava per il peccato in cui era vissuto in passato. Lo odiava perché il bicchiere era stato il suo miglior amico, perché l’aveva tradita con donne di malaffare e perché, alcune volte, l’aveva percossa.

Sarah non conosceva il perdono e lui provava pietà per lei, per il peccato dell’ira, di cui si macchiava quotidianamente. Pregò silenziosamente per lei e poi, in pochi istanti, prese una decisione.

 

III Kansas – 42 giorni dopo

 

Il lago Perry pareva avvampare sotto le luci del sole che, alto e fiero, brillava con vigore quel giorno. Da dove si trovavano, sia Jon che Martha potevano ammirare le boscose rive che facevano part del parco Longview, un magnifico spettacolo di verde che si stagliava sopra acque cristalline.

Per un po’ non dissero niente.

“Tuo padre insiste perché lo facciamo.”

“Tu? Lo vuoi?”

“Siamo sopravvissuti all’apocalisse.”

Jonathan meditò su quelle parole. “ Già, sembrava davvero che il mondo stesse per finire.”

“Chicchi di grandine come non se ne erano mai visti. Venti che soffiavano così forte da scoperchiare i tetti delle fattorie, quasi si fosse levato un uragano senza preavviso. Fulmini che si abbattevano tre, quattro volte nello stesso punto. Eppure siamo entrambi vivi,” e nel dirlo Martha continuava a fissare gli alberi in lontananza.

“Forse ha ragione mio padre. Forse i miracoli esistono.”

“Dovrei essere morta. È come se lo fossi, per certi versi. Mi sento incompleta, Jon. Mi sento defraudata di qualcosa.”

“Allora vuoi farlo?”

“Se non sono sopravvissuta per questo, per cosa sarei sopravvissuta? Il destino gioca strani tiri, non credi? Io ho perso … esitò diverse volte e alla fine rinunciò a pronunciare quelle parole, limitandosi a portare entrambe le mani al grembo, e lui invece ha perso i suoi genitori.”

“Da quello che ci hanno detto è meglio così.”

“Non dirlo Jon. Non dirlo mai. Erano la sua famiglia, la famiglia con cui avrebbe avuto tutto il diritto di crescere, buona o meno che fosse. Loro avevano diritto ad avere una possibilità con lui ed invece hanno avuto solo morte. Possiamo essere noi quella famiglia per lui. Possiamo essere i suoi genitori.”

Jon non sapeva se dire o no quello che covava dentro da quando gli era stata prospettata quella possibilità. Decise di tacere. Si dette del codardo ma non riuscì a farlo, non voleva arrecare dolore a Martha alimentando dei dubbi. In fondo, si diceva, avevano ragione suo padre e sua moglie: loro potevano essere felici tutti e tre insieme.

 

Henry Clark e sua moglie Willa erano visibilmente a disagio lì, nella fattoria dei Kent.

L’anomala tempesta che aveva investito quella regione del Kansas l’aveva risparmiata. Altre fattorie si trovavano in stato disastroso o completamente rase al suolo, anche se l’aspetto della vecchia fattoria, ormai malandata e piegata dal tempo, non era certo dei migliori. L’ambiente era rustico e spoglio e rifletteva le condizioni economiche della famiglia Kent.

 La conta dei morti, a più di un mese di distanza, non si era interrotta perché rimanevano ancora diversi ‘dispersi’.

I militari setacciavano la zona, insieme agli uomini della Guardia Nazionale e ai pompieri delle varie contee. Il lago Perry era una riserva idrica delle Forze Armate ed essendovi nei dintorni diverse basi, l’esercito era potuto intervenire prontamente anche se questo non aveva cambiato di molto la situazione, vista la subitaneità con cui la sciagura s’era abbattuta in quell’angolo di Kansas. Le contee di Jefferson, Jackson e Osage erano state pesantemente martoriate da quella che era stata definita un’improvvisa apocalisse climatica.

 “Mi sembra una pazzia”, disse infine Henry, incapace di tenersi per sé quel pensiero solo un minuto di più. Il suo sguardo incontrò quello ostinato e fanatico di Eben Kent, un uomo che non gli era mai piaciuto.

“Perché mai? Perché i nostri figli hanno l’occasione di essere felici dopo il lutto che hanno vissuto?” fu la vibrante e risentita risposta del fattore.

“Vi prego, non ricominciamo da capo”, a intervenire nel tentativo di stemperare quell’ostilità era stato Jerry Kent, il figlio minore di Eben.

Henry fece una smorfia di insofferenza ma accettò suo malgrado quella tregua imposta.

Jerry aveva un certo ascendente su di lui. L’unico membro di casa Kent, a parte Sarah, ad essergli mai piaciuto.

“Come contate di sistemare tutte le pratiche legali? Sapete che le adozioni non sono semplici. C’è tanta di quella burocrazia da aver scoraggiato più di una coppia,” Willa Clark aveva soppesato bene le parole e soprattutto il tono con cui erano state pronunciate. Non voleva litigare con i Kent ma aveva più di un dubbio che le rodeva dentro.

“Lo sceriffo Parker è un mio buon amico, sostenne con forza Eben, siamo stati compagni d’armi. È un uomo retto, d’onore ed un buon cristiano. Si è proposto di darmi una mano. Il Sindaco Potter è maritato alla sorellastra di mio padre. In questo posto i legami famigliari contano ancora,affermò soddisfatto, ed anche il Dottor Whitney è dalla nostra parte.”

Henry corrucciò un sopracciglio e subito Jerry si affrettò a sussurrargli, “ è un membro della chiesa di mio padre”.

“L’ultima parola spetta ai ragazzi”, era stata Sarah Kent a pronunciare quelle parole.

La donna fissò a lungo il marito, mettendolo a disagio. Su quel punto era stata perentoria. Una volta che Martha avesse deciso, Eben avrebbe dovuto astenersi dal parlare nuovamente di quella vicenda.

Proprio in quel momento la porta di aprì. Jonathan e Martha erano tornati dal lago doveva erano andati per meditare sulla faccenda dell’adozione.

Martha aveva gli occhi umidi e le tremavano le mani per l’emozione.

 

 

IV Kansas – 12 giorni dopo

 

Jonathan Kent stava cercando di rimettere in ordine la sua vecchia collezione di dischi.

Creedence Clearwater Revival?” Chiese Henry Clark entrando nella sua stanza.

“Non sono di tuo gradimento?” Rispose ironico Jon, senza voltarsi a guardarlo.

“Al contrario, mi piacciono molto.”

“Non l’avrei mai detto.”

“Ci sono molte cose che non sai di me.”

Jonathan sospirò, si voltò verso di lui con l’intenzione di affrontarlo e disse infine:

“So per certo che non ti sono mai piaciuto.”

“Questo è vero”, fu la placida ammissione di Henry, pronunciata con tale calma e franchezza da provocare in Jon un moto di antipatia nei suoi confronti.

“Non cerchi nemmeno di nasconderlo”, fu quasi un risentito rimprovero nei confronti del suocero.

“Stai pensando di vendere i tuoi vinili?” L’improvviso cambio d’argomento spiazzò Jon che impiegò qualche istante a rispondere. “ Non ho tutto lo spazio che vorrei ed è solo un peccato che stiano qui a prendere polvere. Terrò solo i pezzi a cui sono più legato e venderò gli altri. Dovrei ricavarci qualche dollaro.”

“Sarei disposto a prendermi i Creedence, i The Band, i Grand Funk Railroad e gli Allman Brothers Band”, affermò serio dopo essersi fatto d’appresso a Jon e aver dato un’occhiata ad alcuni pezzi.

“I Creedence non sono in vendita e nemmeno gli Allman Bothers, per gli altri parliamone.”

La vecchia camera di Jon e Martha era piuttosto piccola, disordinata,  il vecchio e rovinato mobilio ricoperto da polvere. Su uno scaffale costruito e montato alla meno peggio stavano i libri di Martha.

Henry provò una stretta al cuore nel vederli. I testi per la facoltà di legge che lui le aveva comprato alcuni anni prima.

“Ti sei mai chiesto perché non mi piaci?”

“Perché sono un agricoltore, figlio di un povero agricoltore e non il grande avvocato che speravi tua figlia sposasse un giorno”, fu la dura replica di Jon.

“Sei un totale cretino”, fece Henry continuando ad osservare quei libri.

“Prego?” Jon si sentì punto sul vivo e per più di qualche secondo pensò di colpire l’altro in pieno volto con un pugno.

“Il fatto che tu sia un contadino non è mai stato un problema. Nemmeno il fatto che tu venga da una famiglia di contadini mi ha mai disturbato. Questa è una tua convinzione.

Avrei preferito che Martha sposasse Jerry, se proprio lo vuoi sapere.”

Quella rivelazione lasciò Jon senza parole. “Che vuoi dire?” trovò alla fine la forza di chiedere.

“Per fortuna almeno mia figlia Naomi ha scelto bene sposando tuo fratello minore. Sai qual è la differenza tra te e Jerry?”

“Jerry è dei due quello con la testa sulle spalle. È sempre stato così.”

“Jerry si assume le sue responsabilità, Jonathan. Ricordo la prima che, vinte le paure, Martha ti portò in casa. Ricordo che decisi di darti una possibilità e stetti ad ascoltarti tutto il tempo, con grande attenzione. Quello che mi stupì di te non era tanto il fatto che avessi continuamente da lamentarti per qualcosa ma che la colpa dei mali che dicevi ti affliggevano fosse sempre di qualcun altro. Tuo padre, la tua famiglia, il Governo locale e quello Federale, i complotti dei massoni-capitalisti, passando per una sfilza di nomi lunga da qui alla capitale. Non ti ho mai, dico mai, sentito dire anche solo una volta che tu stesso eri causa, almeno in parte, dei tuoi guai.”

Jon sentì un misto di rabbia e vergogna agitarglisi dentro e tentò di difendersi: “ non ho mai voluto scaricare sugli altri le mie responsabilità! Non ho mai chiesto niente a nessuno!

“E no! Scattò indignato Henry, con tale foga da lasciare l’altro senza parole. Forse è vero che non hai mai chiesto nulla agli altri ma non hai neanche chiesto che non facessero nulla! Martha mi chiese di finanziare quel tuo garage ed io, per amor suo, acconsentii. Come andò a finire? Il garage chiuse dopo nemmeno sei mesi perché non eri stato capace a gestire gli affari! Martha lasciò il college per quella storia … la voce tremò, venata da risentimento e dolore, non riuscì a terminare la frase perché ancora quel ricordo per lui era doloroso, rinunciò a laurearsi in legge e dopo che le avevi rovinato la vita, anziché lasciarla in pace, ti mettesti in testa di portarla a Las Vegas per sposarla! Lo facesti contro il parere di tutti, persino dei tuoi genitori. Non ti interessò il parere di nessuno, peggio ancora non ti interessò nemmeno se stavi o no facendo la cosa migliore per la donna che amavi! Tornasti a vivere qui, nel Kansas, portandoti dietro Martha che ti ha seguito solo per amore, infilandola a vivere in una piccola contea dimenticata da Dio, dove per lei non c’erano possibilità lavorative, per farne la tua moglie dei sogni! Solo e nuovamente per lei vi ho aperto un negozio di ferramenta ma tu, ad un certo punto, hai deciso che un lavoro del genere non faceva per te. Avevi i tuoi sogni, eh? Così hai pensato di subentrare ai tuoi genitori al controllo della fattoria. Vedi? A Jonathan Kent basta fare ciò che crede giusto. Il resto non conta assolutamente. Gli altri, non contano. Nemmeno tua moglie. Ti sei svegliato una mattina e hai deciso di aver riscoperto le tue origini contadine, quando per anni non avevi fatto altro che disprezzarle e prenderne le distanze. Le hai mai chiesto quali fossero i suoi sogni? Ti sei mai interessato di cosa Martha volesse veramente?”

“Lei mi disse che era d’accordo con me!” tentò di difendersi Jon.

“E tu le hai creduto? Non hai mai pensato che potesse averlo detto solo per te? Solo per non abbandonarti e lasciarti da solo?”

Jon si sentiva stordito. Portò una mano alla fronte e con voce tremante: “Mi dispiace, Henry. Non ho mai voluto far del male a tua figlia. La amo. La amo davvero. Morirei per lei e se lei mi volesse abbandonare, se lei pensasse davvero che per lei sono un peso o che le ho rovinato la vita, lo accetterei, senza batter ciglio”;

“Sono convinto che tua sia sincero, ammise Henry, sono convinto che tu creda davvero in tutto quello che hai detto è che l’amore che nutri per Martha sia vero. Però non crogiolarti in esso, non essere sicuro che un domani mia figlia non rimpianga qualcosa, qualcosa che ha sacrificato per te. L’hai portata qui, Jon. Ora sarete genitori. Non sono d’accordo con questa faccenda. Mi sembra una follia campata in aria e, con tutto il rispetto, tuo padre Eben non è la persona più razionale di questo mondo. Probabilmente sono ammattito  anch’io perché se fossi ancora sano di mente dovrei denunciarvi tutti. Invece non sto muovendo un dito mentre tuo padre va avanti in questa storia pazzesca. Non dubito che stia pensando di agire per il bene ma tu e mia figlia state decidendo spinti dal dolore che state vivendo. Lo capisco. Non credermi disinteressato a quello che vi è capitato. So che anche tu stai soffrendo, Jon. Tuttavia continuo a credere che stiate facendo un passo falso. Però quello che credo io non conta. Conta che ora, Jon, tu impari ad assumerti le tue responsabilità.

Sarai un padre ed è questo che fanno i padri.”

Henry fece qualcosa che Jonathan non si sarebbe mai atteso. Poggiò con delicatezza una mano sulla sua spalla.

“Henry, farò di tutto per essere un buon padre. Farò di tutto per essere un marito migliore.”

Il suocero non aggiunse altro, limitandosi ad assentire e poi imboccò l’uscita.

 

 

V Kansas – 6 mesi dopo.

 

Il piccolo Clark pianse e allora il cuginetto, Harry, gli porse il suo giocattolo. Le lacrime di Clark si fermarono quasi immediatamente e, ridendo, preso il balocco dalle mani dell’altro.

Martha e Naomi sorrisero entrambe nel vedere i loro figli giocare insieme così bene.

“A Clark fa bene ricevere le vostre visite e passare del tempo con Harry.”

“Dovreste pensare seriamente a trasferirvi,” disse con franchezza Naomi.

“Vorrei ma Jon non se la sente. Non vuole abbandonare la fattoria della sua famiglia. Dice che è costata troppo sudore e lacrime ai Kent. Da una parte lo capisco ma ormai questa contea è morta. Sono rimasti in pochi dopo il disastro.”

“Il Presidente aveva detto che sarebbero stati destinati diversi fondi per la ricostruzione.”

A quell’affermazione Martha sorrise amareggiata: “l’hanno detto per mesi e l’hanno detto anche a noi ma al momento la Nazione è impegnata a sostenere diverse piccole guerre e a fare i conti con altre calamità naturali che si sono abbattute, anche se meno intense, sul Paese dopo quanto capitato a noi.”

“L’era glaciale istantanea! Il disastro del Kansas!” Disse con triste enfasi Naomi.

“Non posso ancora crederci. Sembra che tutto sia successo in brutto sogno”, Martha sentì un tremore diffondersi lungo le braccia, sino alle mani.

“Tu come stai?” Chiese Naomi preoccupata per la sorella.

“Ho ancora gli incubi. Di tanto in tanto mi risveglio madida di sudore e Jon dice che nel sonno, delle volte, piango. Per fortuna ora nelle nostre vite c’è Clark. Non so dove sarei finita senza di lui.”

“Clark! Fece sorridendo divertita Naomi. Che idea usare come nome di battesimo il cognome della nostra famiglia d’origine. Non fraintendermi, non che sia un brutto nome! Magari se non lo avessimo chiamato Harry e non ci aveste già pensato noi avrei chiamato nostro figlio Clark.”

“Si, è un’idea bizzarra per alcuni ma a me piaceva. È nostro figlio e a lui trasmetteremo tutto ciò che siamo, insieme alle nostre esperienze e ai nostri sogni. In un certo senso simboleggia l’unione delle nostre famiglie, quella di Jon e la mia. Le famiglie hanno avuto un ruolo importante per entrambi.”

“Jerry non è così legato alla sua famiglia. Ammise Naomi. Va meno d’accordo con Eben persino di quanto non ci vada Jon.”

“A proposito? Come sta andando l’azienda?”

“Bene! Jerry è un mago dei computer, lo sai. Ha sviluppato un nuovo software per la contabilità ed ha ottenuto dei contratti importanti con un paio di aziende importanti. So che gli manca fare il poliziotto. Amava quel lavoro ma lo stava distruggendo. Metà dei suoi colleghi era corrotta e quando la mattina tardava a tornare dal turno di notte mi sentivo morire. Non riuscivo a chiudere occhio e pregavo in continuazione. A lui mancherà pure fare il poliziotto ma, resti tra noi, sono felice che sia finita. A me non mancherà per niente, anche se era terribilmente sexy in quella sua divisa blu!” fece un occhiolino d’intesa alla sorella ed entrambe risero.

“Sono felice per voi.”

“Sono felice anch’io.”

Le due sorelle si scambiarono un sorriso affettuoso mentre i rispettivi figli giocavano nel box ma un’ombra passò sul viso di Martha.

“Cosa ti preoccupa?” Chiese sua sorella Naomi.

“La storia dell’adozione. Eben è stato evasivo con tutta la faccenda. Se non fosse che di mezzo c’è il Dottor Whitney avrei il timore che il bimbo è …”

“Stato rapito?” Naomi aveva dato voce al dubbio che da tempo assillava Martha ma che questa non riusciva ad esprimere ad alta voce.

“Si”, ammise con riluttanza, dando un’occhiata al suo bambino quasi a sincerarsi che non la stesse ascoltando. Il piccolo Clark continuava a giocare spensierato con il cuginette Harry.

“Sei stata all’istituto dove Clark si trovava, osservò Naomi che in realtà più che fugare i dubbi di sua sorella cercava di esorcizzare i suoi, hai parlato con loro ed il Dottor Whitney ti ha dato la sua personale assicurazione che tutto è legale. Credi che il sindaco Potter si sarebbe interessato della vicenda se ci fosse qualcosa di losco dietro?”

“Potter non è di per sé una garanzia di legalità. Tutti sanno che del fatto che anni dietro usò la sua influenza per coprire il cugino che gestiva un giro di prostituzione. So che è stato un rispettabile professore universitario un tempo ed ora è un devoto servo di Dio, pronunciò quelle ultime parole con malcelata ironia,frequenta la stessa chiesa di Eben e del Dottor Whitney ed è sposato con una sorellastra del nonno di Jon. Eppure non è proprio il tipo di persona che ispiri fiducia, sarà per quella sua aria strampalata.”

“Un giro di bambini rapiti però è una cosa ben diversa”, osservò Naomi senza però riuscire a domare l’inquietudine che provava dentro di sé. La famiglia Kent era da generazioni segnata da luci ed ombre, solo Jerry sembrava distinguersi da loro. Aveva ripreso da sua madre, Sarah e alla prima occasione si era distaccato da quel clan che per sua natura aveva sempre cercato l’isolamento rispetto al mondo circostante. “Eben sarebbe capace di qualsiasi cosa,” le aveva risposto suo marito quando Naomi, in privato, aveva manifestato le sue riserve su quella storia.

Tuttavia persino a Naomi sembrava ridicolo ed eccessivo il sospetto che Clark fosse un bambino rapito o magari comprato in qualche paese sud-americano. Eppure non riusciva a togliersi quel capace di qualsiasi cosa dalla mente. Jerry rispettava i suoi genitori ma se ne teneva distanza, specialmente da Eben. Non aveva coltivato nemmeno un gran rapporto con Jon, con cui era quasi sempre in disaccordo, sebbene non nascondesse di provare affetto per il fratello seppur definito da lui come inguaribile irresponsabile egoista. Naomi avrebbe voluto far qualcosa per calmare l’inquietudine della sorella e si pentì di averla assecondata nell’argomento. La perdita di un figlio era qualcosa di straziante per una madre, anche se Martha era solo alle prime settimane di gravidanza. Le lesioni riportate a seguito dell’incidente avevano spinto i medici a raccomandarsi di non avere figli, per la sua stessa incolumità.

La notizia aveva devastato lei e Jon. L’adozione sembrava averla risollevata dalla depressione in cui inizialmente era caduta.

Eben non poteva essersi macchiato di un crimine rivoltante come quello di immischiarsi con il traffico dei bambini, per quanto potesse essere forte il desiderio di aiutare il figlio e la nuora.

Se lo ripeté più volte mentalmente mentre osservava il bimbo dai capelli neri e dagli occhi blu giocare con suo figlio.

 

VI Kansas, fattoria Kent – Cinque giorni dopo

 

Il Dottor Whitney rassicurò i coniugi Kent con il suo grande sorriso ed i modi pacati che lo contraddistinguevano da sempre. Il Dottor Whitney aveva rassicurato un’intera comunità agricola e di allevatori nello stesso modo, per almeno due generazioni.

“Può succedere, aveva detto, il colore degli occhi dei bambini cambia. Nascono con gli occhi azzurri, ad esempio, salvo poi vederli virare verso un colore più scuro come il marrone o il nero. Lo stesso vale per i capelli. Sapeste quante teste bionde ho visto divenire del colore della pece!” Lo disse con una certa dose di noncuranza e condiscendenza, quasi stesse rassicurando una coppia di genitori che un po’ di influenza fosse del tutto normale per un bambino, qualcosa di inevitabile e persino naturale.

“Ma il bambino ha 6 mesi, osservò Jon preoccupato, e se posso accettare che gli occhi si siano scuriti, non ho mai sentito di capelli neri che diventino biondi!”

“D’accordo, è insolito che sia accaduto ora, ammise il dottore, e può essere curioso che sia accaduto che i capelli da neri siano divenuti biondi ma il bambino sta bene. Guardatelo, è in perfetta salute! Mi ha fatto un sorriso da divo il marmocchietto e per quanto mi riguarda credo sia inutile sottoporlo ad analisi e visite specialistiche che, detto tra noi, costano parecchio e che non evidenzierebbero nulla. Jon, Martha, siete una coppia giovane e questo figlio per voi, lo so bene, rappresenta tanto. Però non fissatevi su qualcosa che alla fine non è fondamentale per il benessere della vostra creatura”, Whitney era stato persuasivo, come sempre ed i due si convinsero che forse aveva ragione e non c’era nessuna ragione di sottoporre Clark ad una serie di visite che non potevano permettersi.

Eppure Jon e Martha conservarono una sorta di inquietudine nascosta nel cuore, qualcosa che si sarebbero sempre portati dietro. I bambini, dal giorno della loro nascita, cambiavano velocemente. Clark aveva circa due mesi da quando lo avevano adottato eppure, qualcosa era cambiato anche nel suo aspetto, in modo forse appena percettibile ma, se qualcuno glielo avesse chiesto, i coniugi Kent avrebbero detto che non era lo stesso che avevano adottato, pur sapendo che questo era del tutto impossibile.

 

Jonathan osservò con attenzione Clark e dovette dar ragione a Whitney. Aveva un sorriso che conquistava. Il piccolo allungò la mano verso il pollice che lui gli protendeva per afferrarlo.

Era bello. Capelli neri o biondi, occhi blu o neri che fossero, rimaneva un bambino bellissimo. Anche la pelle, notò, aveva cambiato leggermente gradazione nella colorazione. Rifuggì da quelle considerazioni. Clark rideva, mangiava e dormiva come ogni altro bambino sulla faccia della terra, eccezion fatta che era suo. Suo e di sua moglie.

Martha nutriva dei sospetti sulla provenienza di Clark. Non glielo aveva detto chiaramente ma conosceva sua moglie e sapeva cosa le si agitava nella testa. Preferiva che fosse lei a prendere l’argomento, quando si sarebbe sentita pronta, per questo lui non le aveva detto niente.

Possibile che Eben si fosse rivolto a qualche strano giro per ottenere quel bambino?

Forse era una cattiva persona a non dare troppa importanza alla cosa, si disse, ma quel figlio gli aveva rivoluzionato la vita e, per la prima volta, da anni, si sentiva in pace con sé stesso.

Clark era quello che aveva sempre voluto dalla vita.

“Benvenuto tra i Kent, stella mia, sussurrò quelle parole per non svegliare Martha, ora sei qui e questa sarà sempre casa tua e noi, saremo sempre ma’ e pa’ per te. Ora sei un frugoletto delizioso ma crescerai e diverrai un bel giovanotto. Io e la mamma ti daremo una mano a crescere e farò in modo che tu diventi una brava persona, onesto e leale, non come tuo padre. Voglio passarti solo il meglio di me, non i miei difetti. Per Whitney era normale che il bambino avesse cambiato il colore di occhi e capelli ma per Jon era un segno, perché aveva preso il colore dei capelli suo e gli occhi scuri di Martha. Qualcuno ha voluto che ti sentissi a completo agio tra di noi, piccolo mio, magari il tuo angelo custode, si sorprese nel dire quelle parole, lui che prima di quel momento non era mai stato un credente e che aveva rifuggito in ogni modo le messe a cui il padre, con fastidiosa insistenza, lo invitava a partecipare, e noi faremo sempre in modo che sia così”, dette un delicato bacio al suo bimbo che tornò a concentrarsi sul suo succhiotto e si discostò un po’ da lui guardandosi il dito.

Era tutto arrossato e un po’ dolorante. Il bambino aveva una stretta formidabile. Sollevò un sopracciglio sorpreso ma per nulla spaventato dalla cosa. Sorrise pieno di orgoglio, pensando che magari con quella presa sarebbe divenuto un ottimo giocatore di football. Un vero campione.

 

Continua