Yuri Lucia

 

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Presenta :

 

 

YEAR ONE

 

 

Arganese era stato chiaro con i suoi uomini: il Cavaliere Oscuro doveva morire; non gli importava trattarsi d’un commando di russi, ucraini o marziani, o se tanto meno fosse davvero un solo uomo. Gennaro Arganese aveva emesso una sentenza di morte e guai se non fosse stata eseguita. Tutti avevano saputo di Esposito. Mike Salvati, uno dei nipoti preferiti del vecchio Gennaro, era andato diverse volte a cena con Tony Esposito. Spesso erano andati con tutte le loro famiglie. Il figlio più piccolo di Tony, qualche volta, era stato a casa loro perché frequentava la stessa scuola di Rebecca, la sua primogenita. Gli piaceva quell’uomo e quando era arrivata la voce che il Cavaliere Oscuro l’aveva consegnato ai federali aveva provato una stretta allo stomaco.

“Zio, si era rivolto in tono accorato durante l’udienza privata con il patriarca degli Arganese, ho sentito che vuoi affidare il comando delle operazioni ad un certo Brown, uno che viene da fuori. Il momento non è dei migliori ma prima di arrivare a tanto, dacci una possibilità.”

Se fosse stato un altro, non solo si sarebbe sentito rispondere con un secco rifiuto ma sarebbe stato punito dal vecchio Pugno di Ferro. Forse con l’età era divenuto un po’ più arrendevole o forse a quel nipote che aveva cresciuto come fosse un figlio, voleva dare l’occasione di farsi un nome.

Il suo piano era semplice: pattugliare le strade della città, spostandosi l’ungo il sentiero delle ricevitorie clandestine e dei locali di proprietà della famiglia; erano gli obbiettivi più probabili su cui aspettarsi un attacco.

Carezzò il calcio del ferro che teneva sotto la giacca. Le foglie al Old Townhall Memorial Park s’erano colorate d’autunno e, alla tenue luce dei lampioni, vide uno spettacolare scintillio di oro e rosso. Sentì la sonnolenza tentare di impossessarsi di lui e quando si rese conto che gli rischiava di sottrargli lucidità, si stropicciò gli occhi e scosse la testa.

“Metti su un po’ di musica, Vince.” Il suo sottoposto accese la radio e sintonizzò su Gotham Station. C’era un brano dei Papas and Mamas che per un po’ catturò la sua attenzione.

Il suv su cui stavano girando da un paio d’ore, aveva un aspetto anonimo, per evitare il più possibile di dare nell’occhio. Li seguiva a distanza un’utilitaria, dove stavano altri due dei suoi.

Altri suv, quattro in tutto, controllavano le strade del quartiere.

Proprio mentre sbadigliava giunse la richiesta all’auricolare di Kevin: “Cazzo, capo! Esclamò sbigottito. Uno dei nostri depositi è stato attaccato!Come prevedendo cosa stesse per domandargli il suo capo rispose: non sono né gli sbirri, né i federali! È lui!”

Mike quasi si soffocò con la saliva che gli era andato di traverso mentre apriva la bocca in preda a stupore e rabbia: “Svelti! Andiamo lì! Sussurrò paonazzo. Dite a tutti gli altri di convergere e prepararsi allo scontro!” Digrignò i denti e dette diversi poderosi colpi di tosse, contrariato per quell’episodio. Aveva dato l’impressione d’essere impreparato, peggio: di avere paura; odiava mostrarsi debole con gli altri, specie sul lavoro ma la cosa che lo turbava era che forse provava davvero paura.

Il Banco di Bruxelles era un piccolo istituto di credito, sito quasi all’inizio di Rotterdam street, all’incrocio con Willelm of Orange street, era il loro deposito più importante.

Se Mike fosse riuscito a prendere il Cavaliere Oscuro, suo zio di certo l’avrebbe nominato alla successione come nuovo Capofamiglia, ovviamente quando fosse giunto il tempo.

Scesero veloci dalle auto, cinque entrarono dall’ingresso principale, dalla strada, gli altri da quello che davano sul retro. Gli sbirri sarebbero stati lì in breve e li avrebbero intralciati. A quel punto non importava le spiegazioni che avrebbero dovuto dare. Ci avrebbero pensati gli avvocati a tirarli fuori. L’importante era prendere la testa del Cavaliere. Mike, che stava passando dal retro come gli altri, si rese conto in quel momento che aveva automaticamente escluso la possibilità si trattasse di un commando. Perché?

“Capo, fece Vince,Charlie e gli altri non rispondono più!” Scavalcarono i corpi della vigilanza. Non poteva dire con certezza se fossero ancora vivi e non aveva il tempo d’accertarsene. Arrivò una vampa di fumo che li fece arrestare. Poi, preso coraggio, avanzarono e videro uno spettacolo che li lasciò senza fiato: il denaro presente nell’istituto stava bruciando.

Qualcuno aveva aperto la grande cassaforte ed entrato nel cavou aveva aperto tutte le cassette, dando fuoco a soldi e titoli azionari.

Al Banco di Bruxelles depositavano solo gli appartenenti alle cinque famiglie ed i loro stretti affiliati. Risparmi privati, proventi dagli affari illeciti in attesa di essere riciclati mediante investimenti, prestiti, movimenti di denaro vari.

Mike fissò le fiamme a bocca aperta.

Degno dell’Inferno.

Si voltarono quasi all’unisono, aprendo il fuoco verso l’ombra che subito tornò a nascondersi tra le altre ombre.

“L’ho beccato!!!” Urlò di gioia Vince. Un attimo dopo intorno qualcosa lo colpì al braccio facendogli perdere l’arma e strappandogli un grido di sorpreso dolore.

Ancora aprirono il fuoco, l’odore di cordite che si mischiava a quello del fumo. Ormai tossivano in modo incontrollato, gli occhi lacrimanti per il fumo. Sparare divenne pericoloso. Si sarebbero uccisi a vicenda.

“Dov’è l’altra squadra?” Chiese Mike disperato.

Aspetti qualcuno?

Mike si voltò di scatto ma il suo pugno s’abbatté sulla tempia di Kevin che crollò in terra.

Non riuscì nemmeno a vedere i colpi che gli piovvero addosso, talmente veloci che il dolore lo colpì solo una volta che s’accasciò sul pavimento, madido di sudore, prossimo allo svenimento.

Ve lo avevo detto. Vi avevo avvertito. Vi avevo dato occasione di andarvene dal mio regno. Non m’avete ascoltato. Avete riso di me, delle mie parole, considerandole meno che vuote minacce. Ora piangete. Si, piangete perché vi trascinerò tutti tra le fiamme e nessuno di voi mi sfuggirà. Nessuno.

Il Cavaliere Oscuro sferrò un calcio al volto di Mike Salvati la cui coscienza venne meno, smorzandosi nel buio.

 

 

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BATMAN

( Creato da Bob Kane e Bill Finger)

 

In the Begin

 

Di Yuri Lucia

 

N.3

 

… will…

 

 

I Gotham Mother Mary Children Institute – 20 anni prima dei fatti narrati. Novembre

 

La sera era stata un piccolo inferno per Bruce. I suoi genitori sembravano non voler più smettere di discutere e ormai non si preoccupavano più di moderare il tono per non metterlo a conoscenza di quelle liti che si svolgevano sempre più spesso tra le mura di casa Wayne.

La scusa, stavolta, era stata la decisione del padre di non vendere Villa Wayne.

“C’è quasi morto tuo figlio!” L’aveva aggredito infuriata Marta Kane.

“Vuoi che le dia fuoco?! Replicò lui esasperato. Vuoi anche, visto che ci sono, che faccia rimuovere il pezzo d’asfalto dove Bruce ha fatto la sua prima caduta con la bici?! Magari potrei assumere un killer per eliminare l’insegnante che gli ha messo quella nota perché in classe stava parlando con i suoi amici durante la lezione! Eh? Dimmi! È questo che vuoi?!”

“Voglio solo che tu ti prenda più cura di lui!”

“C’ero io, se te lo fossi scordata, quando è successo! E tu dove eri?! Che c’è?! Non rispondi?! Perché non apri quella tua boccaccia per dare una risposta sensata, e non solo per sparare cazzate su cazzate!”

Erano andati avanti, quasi instancabili, per due ore ma alla fine, per fortuna, tutto era finito.

Lo studio del dottore era ampio, arredato in modo informale, non sembrava nemmeno di trovarsi in un ospedale. Lui aveva insistito per riceverlo lì e non in casa sua perché Bruce, diceva, doveva essere consapevole di avere un problema e non nasconderselo proprio per evitare di considerarlo un tabù, un qualcosa per cui sentirsi colpevole.

“Allora, dimmi, sei arrabbiato con i tuoi?” L’uomo, seduto  su di una poltrona girevole lo guardava da dietro i piccoli ed eleganti occhiali. Aveva cambiato da poco pettinatura, cosa che gli conferiva un’aria più giovanile, anche se lievemente più severa rispetto a prima.

“Si.” Ammise Bruce a disagio.

“Sai perché lo sei?”

“Perché non mi ascoltano. Perché non fanno altro che parlare, parlare e parlare senza mai chiedermi come sto, come si sento, se ho paura o no e mi trattano come, come …”

“Come?” Lo incoraggiò a proseguire paziente.

“Come un bambino piccolo.”

“Ma tu sei ancora un bambino Bruce.”

“No. Ho dieci anni e loro mi trattano come se ne avessi otto o sette.”

“Per i genitori i figli rimangono sempre piccoli. Figurati che mia madre mi chiama ancora tesoro quando ci sentiamo.” Si scambiarono un sorriso d’intesa. A Bruce era molto simpatico il suo dottore. Non lo aveva mai giudicato. Non aveva mai detto “so cosa stai passando” come avevano fatto tutti. Gli aveva detto: “voglio capire cosa stai passando. Aiutami a farlo.” Non lo sapeva come si sentiva ma non faceva l’adulto cercando di far credere che sapesse tutto. Lo ascoltava, con interesse e rispetto e a Bruce questo piaceva.

“Lei a che età a smesso di bagnare il letto?” Chiese Bruce con un po’ di vergogna.

“All’età a cui hai smesso tu ed il fatto che, ogni tanto, ti sia capitato di farlo di nuovo, di recente, non significa che tu sia un piscia sotto.” Lo affermò con serenità e comprensione e Bruce si sentì sollevato.

“Me ne vergogno tantissimo.”

“Qualche incidente di percorso capita. Pensa a quelle persone molto più grandi di te e di me a cui, per via della vecchiaia, o di una malattia, capita spessissimo.”

“Deve essere bruttissimo.”

“Lo è.”

“Chissà … Chissà se capita anche a mio nonno...”

“Lo hai sognato di nuovo?”

“Mi fa davvero paura.”

“Sai dirmi il perché?”

“Perché riesce a far paura a mio padre.”

“I padri spesso fanno paura ai figli.”

“Si. Anche mio padre me ne fa delle volte.” Ammise Bruce.

“Cosa ti fa paura del tuo?”

“Quando alza la voce con mamma. È tranquillo e gentile di solito ma quando s’arrabbia, la sua voce cambia.”

“Come?”

“Diviene più bassa e più che urlare è come se sussurrasse le cose.”

“E questo ti spaventa?”

“Tantissimo.”

“Lui lo sai?”

“Non voglio dargli altri dolori.”

“Quali dolori?”

“Oltre al fatto che sono quasi morto? Oltre alla mamma che lo fa sempre innervosire? Non voglio che sappia che ho paura di lui. Credo ne soffrirebbe molto.”

“E tua madre?” Lo psichiatra aveva centrato il punto. Il ragazzino stava evitando di proposito di parlare della madre. Sembrò indeciso fin all’ultimo su che cosa dire ma, alla fine:

“Mamma si sta comportando male con papà. Non fa che rimproverarlo per qualsiasi cosa e gli dice che è colpa sua, tutta colpa sua per ogni cosa di brutto che c’è. Papà all’inizio non reagisce ma poi perde la pazienza. Vorrei che la smettesse. Vorrei che la smettesse di fare così. Quando sono con lei, poi, sembra quasi che le dia fastidio passare del tempo con me, specie ultimamente, da dopo l’incidente. Forse, sarebbe stata più contenta se fossi rimasto in quella buca.” Disse quell’ultima frase con grande fatica e tristezza. L’uomo provò un genuino dispiacere. Un bambino che sentiva l’ostilità d’un genitore era un bambino che soffriva molto.

“Non credo che tua madre avrebbe voluto questo. Credo che tua madre sia confusa. Succede agli adulti di essere confusi, molto più spesso di quanto non ammetterebbero mai.”

“Ma gli adulti non dovrebbero sapere sempre che cosa fare?”

“Dovrebbero sapere molte cose ma siamo solo esseri umani, Bruce e gli esseri umani, purtroppo o per fortuna, sono fallibili. Sbagliano.”

I due continuarono la loro chiacchierata e quando il dottore rimase solo, prese nota di quel colloquio.

Era un ragazzino sveglio ed intelligente, forse un po’ troppo per poi godersi adeguatamente la propria età ed in questo gli ricordava sé stesso. Era una pessima cosa: non ci si doveva mai identificare con un paziente, nemmeno con un bambino; troppo coinvolgimento personale.

 

Bruce camminò di fianco a Marsha, la segretaria di suo padre. Una bella ragazza, con riccioli biondi e grandi occhi scuri. Lei cercò di fare conversazione con lui, evidentemente per fare bella impressione al suo datore di lavoro. Bruce queste cose le capiva e la lasciò fare, rispondendo a domande e battute. La sua testa però era altrove. Non sapeva nemmeno lui dove, esattamente.

Salì sull’auto e la segretaria si sedette al suo fianco. Annuì quando lei gli chiese se, prima di riportarlo a casa, avesse gradito mangiare un gelato. Marsha era ambiziosa e cercava in tutti i modi di guadagnarsi le simpatie del capo e passare per il figlio era uno di questi modi. Bruce decise di approfittarne ed annuì con il capo sorridendo, sebbene il suo umore non fosse dei più adatti.

Rifletteva sulle parole del dottore, sui discorsi riguardo i suoi genitori e sul fatto che fosse molto arrabbiato con loro. Non poteva non sentirsi un po’ colpevole per quelle ammissioni ma ogni volta che confessava uno dei suoi segreti al dottore, inevitabilmente si sentiva meglio.

 

II Rotterdam Street, Gotham City – 6 Novembre, il presente.

 

 

 

Mr. Brown era evidentemente un uomo scrupoloso a giudicare dal modo in cui, senza perdere tempo, controllò efficientemente la scena del conflitto a fuoco tra gli uomoni di Mike Salviati e il Cavaliere Oscuro.

“ Ha fatto bene i compiti. Deve essersi procurato una planimetria completa della banca e dell’edificio. Conosceva a memoria ogni corridoio, ripostiglio, persino le condotte dell’aria lungo le quali si è probabilmente mosso.Indicò il soffitto con un cenno del capo. Ha prima disinnescato gli allarmi, utilizzando un trova codici elettronico, motivo per cui non è scattata nessuna spia e poi deve aver mandato in loop delle immagini sui monitor della sorveglianza. Lacrimogeni per la vigilanza armata e poi tutto il tempo per preparare il suo palcoscenico.”

“Palcoscenico?” Chiese Match Malone, braccia conserte, con un’alzata di sopraciglio.

“Mike ed i suoi uomini devono essersi trovati di fronte un bello spettacolo: uomini a terra, fumo e fiamme; degno d’un girone dantesco.Si accovacciò per vedere meglio alcuni segni lasciati dal fuoco. È un amante del teatro ed un fine conoscitore della psicologia. Gli uomini sono arrivati già sovraeccitati e lui ha indotto in loro paura e panico. Li colpiva dai punti meno aspettati, falciandoli uno dopo l’altro. Non hanno mai avuto possibilità con lui.”

“Bella teoria.”

Brown si alzò, superava di alcuni centimetri in altezza Malone ed aveva un fisico più massiccio. Aveva un volto dai tratti anonimi, se non fosse stato per un paio di mustacci fuori moda che portava nessuno si sarebbe mai ricordato il suo volto. Nessuna recriminazione o risentimento sul suo volto, o tanto meno nelle sue parole:

“Non è una teoria, Malone. Questa era un’operazione pianificata sin nei minimi particolari.”

“Coerente con un commando.”

“Assolutamente no. Ho lavorato con quella gente, russi, romeni, uzbeki, ceceni. Non è il loro modo di fare. Sono più i tipi da guerriglia ma questa è un’operazione quasi da servizio segreto. Non da mercenari. Forse aveva degli appoggi, magari anche un basista ma non complici. È stata una persona sola a fare questo.”

“A stendere tutte quelle persone? Uomini armati fino ai denti ed addestrati?” Chiese incredulo.

“Le armi e l’addestramento servono poco, quando dalla tua parte hai la paura. La cosa è ben più grave di quanto non sia stata stimata.”

“E cosa dirai ad Arganese? Che come nemico abbiamo una sorta di uomo nero? Che il ba-bau gli sta smontando sotto il naso il suo impero del crimine?”

“Non sembri d’accordo con le mie conclusioni.” Lo guardò attendendo la risposta.

“Sono prudente nelle mie.”

“Qualche consiglio da darmi?” Era intenzionato a vedere dove volesse arrivare.

“Gennaro Arganese si aspetta da te le stesse cose che Sal Masucci si aspetta da me: delle risposte; il problema, Brown, è che non sempre le risposte che ricevono sono quelle che si aspettano.

Questi boss mafiosi sono persone difficili da trattare,  specie se iniziano a pensare che li si sta prendendo per idioti o per incapaci. Un uomo solo è in grado di mettere in ginocchio il loro impero? Meglio avere solide prove prima di andare a dirgli una cosa del genere.”

“Prudente.” Osservò non senza una punta di sarcasmo Brown.

“Ed ancora vivo, sottolineò Malone, a dispetto dei miei anni di al servizio di queste persone. Brown, ognuno svolge il proprio lavoro come meglio crede, è una questione di rispetto dell’autonomia professionale ma poiché questo compito lo stiamo svolgendo insieme, prima di inoltrare un simile rapporto, vorrei avere qualche certezza in più.”

“Mentre il nostro uomo sta, come hai detto prima? Mentre il nostro uomo sta smontando l’impero dei nostri datori di lavoro sotto i loro nasi?”

“Voglio aspettare fin tanto che non saprò esattamente con chi ho a che fare. Le prove raccolte fino ad ora lasciano pensare ad un gruppo di uomini organizzati. Non metto in dubbio la tua esperienza ma ammetterai che, benché inusuale per gli uomini delle mafie dell’est, un simile lavoro è comunque nelle loro possibilità. Un uomo solo dovrebbe avere abilità al limite del sovrumano e risorse finanziarie da milionario per condurre una campagna del genere contro la seduta.”

“Oppure semplicemente i giusti agganci ed un buon cervello.”

“Forse, ammise Malone, o forse l’idea stessa del Cavaliere Oscuro è questo: uno specchietto per le allodole,per confonderci, per farci girare in tondo.”

“Oppure lo è l’idea del commando.” Sorrise Brown, mentre lo scrutava negli occhi.

“Devo darti ragione ma l’idea del commando è ancora quella più plausibile. Se vuoi fare al tuo capo una dichiarazione contraria, non chiedermi di prendermene la responsabilità.”

“Vuoi fare un distinguo? Un pessimo inizio per una collaborazione.” L’ostilità di Brown ora non era più mascherata. Non gli era piaciuto sin dall’inizio l’idea che qualcuno potesse mettere bocca sul suo operato, qualcuno che non fosse il suo committente quanto meno. Chi sborsava i soldi, aveva diritto di replica, almeno fin quando questo non rendeva impossibile il suo lavoro ma perché il tirapiedi di una persona che con lui non centrava niente avrebbe dovuto dirgli che cosa fare? Aveva espresso chiaramente ad Arganese i suoi dubbi su Masucci: “ho studiato il fascicolo che mi avete mandato e a me, onestamente, non ispira molta fiducia. Non aveva usato mezzi termini per esprimere i suoi dubbi. È un arrampicatore sociale arrivista ed affamato di potere e sicuramente, da questa storia, sta cercando di trarre un profitto per sé, anche a discapito di voi tutti. Se gli permetterete di mettere bocca sul mio lavoro, ho idea che avrò non poche grane.”

Gennaro Arganese aveva ascoltato pazientemente il suo parere ed in modo cortese ma irremovibile, aveva confermato la collaborazione con l’uomo di Masucci.

“Farò un distinguo, se mi costringerai a farlo. Non ti sto chiedendo di far finta di nulla o di cambiare opinione. Ti sto chiedendo almeno un paio di giorni per raccogliere prove a favore della tua tesi.” Non era una minaccia ma una semplice richiesta. Brown dovette ammettere che Malone sapeva essere diplomatico quando voleva. Per questo non gli piaceva. Aveva letto anche il suo fascicolo e, per sicurezza, aveva fatto qualche telefonata per controllare le sue credenziali che sembravano piuttosto solide. Esperienza, più addestramento, più furbizia. Una brutta combinazione.

“D’accordo. Brown capì che per scoprire il gioco di Masucci, doveva dar corda al suo galoppino. E poiché era certo che Masucci centrasse qualcosa, era intenzionato a dare a Matches Malone il contentino. 48 ore, non un minuto di più e condurremo le indagini a modo mio, da questo momento in poi.”

“Bene.” Non venne aggiunto altro ed i due si separarano.

 

Brown studiò il profilo di Malone mentre si allontanava. Il poliziotto che li aveva fatti entrare gli si fece d’appresso. “Tra poco arriveranno i ragazzi della scientifica. Dovete andar via di qui.”

Non replicò. Conosceva il suo mestiere e sapeva cosa doveva fare. Il loro aggancio nella polizia li fece uscire in modo discreto dal retro della banca.

“Voglio che un paio d’uomini tengano d’occhio Masucci ed il suo boyscout.”

“Cosa?” Vito era uno dei ragazzi che Arganese gli aveva affidato.

“Hai capito. Voglio anche un paio di cimici nell’ufficio di Masucci.”

“Senti, so che sei di fuori e quindi non hai ben presente la situazione ma…”

“… Masucci è uno della Seduta, lo so. Ho capito bene la situazione ed è proprio per questo che voglio conoscere le sue mosse.”

 

“Perfetto! Esclamò divertito Masucci. Altro tempo è quello che ci serviva! Ora Arganese penserà che il suo uomo d’oro è un inetto ed io farò, com’hai detto? La figura dell’eroe!” Sorseggiò la sua bevanda.

“Non dobbiamo però sottovalutare Brown, è pur sempre un professionista.” Lo ammonì Malone.

“Non lo faremo. L’incontro con i ragazzi a che ora è fissato?”

“Alle 9 di domani sera.”

“Hai avuto difficoltà a combinare?”

“No. I russi in questo ultimo periodo sono a corto di lavoro. Ceceni, Armeni ed Ucraini costano meno e hanno meno di loro da perdere e per questo sono più spietati nel loro lavoro.”

“Non avremmo dovuto ingaggiare qualcuno di loro?”

“A noi serve la qualità. Questi sono ex Specnatz rimasti senza lavoro che vogliono guadagnare danaro americano. Hanno le giuste motivazioni, il giusto addestramento e la giusta attrezzatura.”

“L’idea di usare un commando di russi per dare caccia al nostro commando fantasma è stata ottima!”

“Veramente, signore, è stata sua l’idea. Io ho dato solo qualche suggerimento.”

Masucci era compiaciuto. Non solo avrebbe visto la Seduta in ginocchio ma ai suoi piedi, adorar ante come di fronte all’icona di un santo.

“Sia come sia, adesso, se non ti dispiace, ho qualche faccenda privata da sbrigare.”

“Certamente, Signore.” Malone uscì dalla stanza e, quasi immediatamente, lei entrò.

La libreria si spostò di lato e rivelò il passaggio per la sua camera segreta, fatta costruire su suo ordine quando comprò quell’attico.

Lei era sempre bella, di una bellezza spigolosa ed altera.

“Ciao, tesoro.” La salutò con allegria e voglia.

“Buona sera a lei, Don Masucci.” Lo schernì con dolcezza lei che gli si buttò addosso.

“Allora, ti sei annoiata oggi?”

“No, mi sono abituata a starmene buona nella mia camera dei segreti personale e poi, fare shopping on line con le tue carte è divertente.”

“Non abusarne” Si raccomandò divertito.

“Sai, mi dispiace quasi per il povero Dom.”

“Dom? Che fai, lo chiami con il suo nomignolo?” Masucci era divertito.

“Perché no? Tutto sommato ci sono anche andata a letto.” Fece lei con un’alzata di spalle.

“Ti è piaciuto?”

“Non me lo avevi mai chiesto.”

“Davo per scontato che per te fosse stato solo lavoro.”

“Non è male, se vuoi saperlo ma non temere, tengo sempre separati gli affari dal piacere.”

“Brava la mia ragazza.” Sal le dette un bacio sul collo facendole venire i brividi mentre la stringeva a sé.

“Adesso, fece lei divincolandosi leggermente dal suo abbraccio, non ci rimane altro che aspettare. Quando i danni saranno sufficientemente gravi da rendere i ragazzi della seduta disperati, tu ti farai avanti e risolverai magicamente tutti i loro problemi. Gli consegnerai il commando di russi e Dominic e loro ti nomineranno re della città.” Dette volutamente un tono pomposo alle sue parole e poi gli dette un lungo, dolce bacio sulle labbra.

“Sei incredibile! Non provi un po’ di vergogna? Con il cugino del tuo defunto marito.” Scherzò lui. Lei non riuscì a non prodursi in una fragorosa risata.

“Ah, il povero Mark. Buon anima. Sai, mi era persino simpatico.”

“Anche lui?”

“Perché no. Era un povero diavolo. Se avesse potuto, avrebbe mollato subito la poltrona di boss della famiglia. Non lo sopportava, sai? Io so perché. Non era solo lo stress o il fatto che non fosse minimamente tagliato per farlo. A Mark sarebbe piaciuto fuggire in un’isoletta al largo di Santo Domingo e passare le sue giornate con il nostro maggiordomo.”

“Shhh … la ammonì bonario, ponendosi un eloquentemente un dito sulle labbra. Ti immagini cosa accadrebbe se si sapesse che Mark Masucci era un finocchio?”

“Credo che sia stata la paura dei sospetti che avrebbe potuto suscitare la sua abdicazione a spingerlo a rimanere al suo posto nonostante le mie gentili pressioni.”

“Peccato: a quest’ora poteva essere ancora vivo.”

“Invece è dovuto morire. Poveraccio.”

“Ora a Santo Domingo ci andrai tu.” Le strinse dolcemente una coscia.

“Pensavo, prima di fare un viaggetto nel Vecchio Continente, tanto per passare il tempo e poi, si, andrò proprio su quell’isoletta che lui sognava di comprare. Del resto non ho scelta, è il prezzo da pagare per la buona riuscita del nostro piano.”

“L’unica cosa che mi dispiace: non potrò vivere alla luce del sole la nostra storia.”

“Non avresti potuto comunque. Sposare la vedova di tuo cugino? Troppo disdicevole.”

“Purtroppo il mondo del crimine ha le sue ferree regole, convenne tristemente, ed i mafiosi sono più bigotti delle beghine che vanno in chiesa tutti i giorni. Al diavolo loro e le loro stupide convinzioni.”

“Sono quelle che però ci hanno permesso di riuscire nel nostro piano. Gli hai fatto credere che le mie motivazioni fossero riconducibili alla vendetta.”

“Non è così?”

“Non ho mai avuto un gran rapporto con mio padre o tanto meno con i miei fratelli. Sono cresciuta in un collegio in Svizzera, ricordi? Ora invece sono preoccupati di una improbabile vendetta di sheaksperiano sapore e non capiscono che, la manipolatrice, li ha manipolati molto più di quanto non possano credere.”

“Gli hai fatto credere di essere in combutta con quello squinternato di Dominic.”

“Gli abbiamo fatto credere, tesoro. È stato un colpo di genio usare quel tuo amico, Malone, per dare credibilità alla storia.”

“Non è mio amico.”

“Pensavo ti piacesse.”

“Si, lo trovo simpatico, a modo suo e molto professionale ma non è mio amico. Vedi, anch’io so distinguere il piacere dagli affari. Il piano è semplice: non devono sospettare che il commando di russi che è all’opera lo abbiamo ingaggiato quattro mesi fa; per questo devo mettere le teste dei mercenari che Malone sta reclutando per me sul ceppo del boia. Dovranno credere che sono stati i loro i responsabili di tutto e che Malone era d’accordo con te. Diremo che hai sedotto anche lui e che faceva il doppio gioco.”

“Non lo invidio per nulla il poveraccio.”

“Già!” Rise ancora una volta di gusto mentre Anna Laura scivolò ai suoi piedi, protendendosi in avanti.

 

Malone s’accese una sigaretta e salutò uno dei ragazzi di guardia. Si strinse nell’impermeabile e proseguì dritto, camminando lungo La Serenissima Street, fino al limitare di Little Venice, la dove era possibile vedere Arkam, un gigantesco e grigio animale che pareva pigramente accovacciato sul mare stesso.

“Ciao, Malone.” Lo salutò freddamente Muscianisi.

“Ciao a te, Muscianisi.” Gli offrì una sigaretta che dopo qualche esitazione l’altro accettò.

“Perché mi hai chiesto questo incontro? Un convegno tra picciotti come noi, specie se segreto, potrebbe essere visto di cattivo occhio dai nostri capi.”

“Non voglio che sia segreto. Voglio solo un po’ di tempo.”

“Un po’ di tempo per cosa? E soprattutto perché diavolo siamo qui?”

“Perché, da un po’ di tempo, ho alcuni sospetti e non posso parlarne con nessuno se non con te.”

I due si fissarono a lungo negli occhi, senza parlare.

 

 

III Gotham, Upper Side, Orange District – 20 anni prima dei fatti narrate. Novembre.

 

L’appartamento in Willelm Orange street era sempre piaciuto a Martha Kane che lo aveva di molto preferito alla tanto detestata Villa Wayne. Odiava l’aria tetra di quel vecchio maniero, una pomposa dimostrazione del potere di una famiglia in decadimento schiaffato, a suo dire, in un luogo così rustico che persino orsi e lupi si rifiutavano di andarci.

Bruce spense la tv e decise di leggere un po’. Aveva insistito perché gli regalassero quel libro che parlava dei Mistery Men. Presunti giustizieri che, durante gli anni ’30, s’affacciarono sulla variegata scena newyorkese. Pazzi e mitomani per la maggior parte. Eroi per altri.

Per Marta, nemmeno a dirlo, quella era una lettura poco adatta ad un ragazzino come Bruce ed il padre, pur di non sentirla, inizialmente si era fatto convincere ad assecondarla ma Alfred aveva pensato bene, in quell’occasione, di intromettersi e, facendo finta di ignorare l’opinione espressa da Martha, aveva regalato a Bruce il tanto sospirato libro.

“Oggi i ragazzi passano tutto il loro tempo davanti la tv o i videogames e tu, che hai la fortuna di avere un figlio che ama leggere che fai invece di incoraggiarlo? Gli rifiuti il libro che desidera.” L’aveva schernita con il suo fare sfacciato l’inglese.

“Non dovresti nemmeno intrometterti! Ti infili nelle questioni di famiglia come se fossi uno di noi ma rimani solo un galoppino di mio marito!” Aveva aggredito lei indispettita.

“Collaboratore, prego e sicuramente più interessato di te al potenziale di Bruce.”

“E come, leggere quella spazzatura, dovrebbe aiutarlo?”

“Tanto per iniziare è un libro che parla di un fenomeno sociale che interessò un periodo storico ben preciso e lo fa utilizzando documenti dell’epoca e testimonianze raccolte in passato. L’autore, tra l’altro, è un noto professore di Harvard.”

A Bruce era importato poco di quel battibecco e si era calato subito nella lettura.

Aveva divorato quel libro arrivando in breve tempo alla metà. Entro pochi giorni lo avrebbe finito. Sicuramente prima della serata a teatro.

Quando suo padre gli aveva prospettato di assistere alla prima di un importante opera era rimasto piuttosto interdetto. Aveva cercato di far ‘si che lo lasciassero a casa ma il padre, gentilmente, aveva insistito: “Ci saranno molti dei miei soci con le loro famiglie. Sarei felice se venissi con noi.”; era il Thomas Wayne gentile e tranquillo a parlare, quello che Bruce amava incondizionatamente e a cui non avrebbe mai detto di no.

“Ti piace il libro?” Chiese Alfred che si sedette vicino a lui.

“Ciao! Sei venuto a parlare con papà?”

“Abbiamo un paio d’affari da definire. Allora? L’acquisto è stato azzeccato?”

“Azzeccatissimo!” Confermò il ragazzino con un eloquente gesto del capo.

“Che ne pensi? Esistevano davvero?”

“Il libro ancora non trae conclusioni ma è comunque avvincente nel raccontare le vicende dei Mistery Men. Può darsi che fossero un mito, una leggenda come dice l’autore ma di sicuro hanno inciso molto sulla nostra società.”

Alfred non si stupiva mai troppo della maturità con cui Bruce, giovanissimo, si esprimeva. Sua madre stava realmente soffocando il suo potenziale e Thomas troppo impegnato con le Wayne & Wayne per accorgersene.

“E tu? Cosa ne pensi?”

“Che è incredibile pensare che qualcuno la cui esistenza non sia stata nemmeno completamente provata abbia potuto così tanto.”

“Verissimo ma sai cosa mi diceva una persona che conoscevo e che rispettavo molto?”

“Cosa?”

“Che delle volte è più importante quello che gli altri pensano di qualcosa che non la cosa stessa. Se ci credi abbastanza, la fai divenire vera.”

“Qualsiasi cosa?”

“La maggior parte.” Asserì serio Alfred.

“Alla fine papà mi porterà a teatro.”

“Non ne sei contento?”

“Non proprio.” Sospirò Bruce.

“E come mai?”

“Dopo il teatro la mamma è sempre di cattivo umore. Litigano già senza bisogno di darle un motivo speciale.” Abbassò gli occhi e il suo tono di voce si fece contrito.

Alfred mise le sue mani sulle spalle del piccolo e, con dolcezza:

“Tua madre è solo un po’ stressata, Bruce. Sta attraversando un periodo difficile e sono sicuro che, presto, tutto tornerà alla normalità.”

Bruce assentì debolmente, poco convinto da quelle parole. I suoi occhi si posarono su di uno schizzo, una bozza tratta dai giornali dell’epoca in cui era raffigurato un dei mistery men.

 

IV Rotterdam Street, Banco di Bruxelles, Gotham City – 6 Novembre.

 

L’unità speciale dell’F.B.I. passata sotto la guida dell’Agente Montoya era giunta con grande velocità sul luogo del crimine, pensò Gordon ma un sorriso strafottente sul volto di Bullock gli confermò quello che tutti e due non avrebbero mai detto ad alta voce: non abbastanza da impedire ai mafiosi di fare un sopraluogo; James Gordon e Harvey Bullock erano due poliziotti navigati e sapevano da tempo delle collusioni tra la così detta “Polizia di Gotham” e la mafia locale. Erano a conoscenza anche di alcuni nomi ma non avevano denunciato la cosa per due motivi: il primo erano le prove, che non possedevano e il secondo era che sapere chi erano le spie tra i propri compagni dava un grosso vantaggio; sapevano quali e quante informazioni uscivano dal commissariato e quali risorse della polizia avevano accesso. Se anche avessero ottenuto un trasferimento degli uomini ci sarebbero state nuove infiltrazioni, molto più difficili da scoprire. Delle volte, diceva sempre Gordon, è necessario concedere al nemico una mossa di vantaggio così che tu possa averne due.

Renée Montoya era impeccabile nel suo completo, dal taglio forse un po’ troppo mascolino, con le sue scarpe dal tacco basso tirate a lucido e gli occhiali scuri all’ultima moda che le coprivano gli occhi. James Gordon ne era certo: dietro quelle lenti lo stava fulminando; aveva solo finto di mangiare la foglia e sapeva benissimo che al porto, la sera precedente, aveva interrogato l’ultimo arresto tra i mafiosi di Gotham prima che lei arrivasse.

Montoya rivolse ai due uomini poco più di un cenno. Uno sgarbo che ai due provocò solo una risatina divertita.

“Fa la dura.” La apostrofò divertito Harvey.

“Rientra nel suo personaggio.”

“Non dovrebbe però essere così sicura delle proprie risorse, Jim. Fino ad ora, se non sbaglio, ha fatto solo un grosso buco nell’acqua e sono convinto che i capoccioni dell’Ufficio dell’F.B.I. di New York le stiano con il fiato sul collo. Scommetto che Ms. perfettina comincia ad avere un po’ di paura. Paura che facciano saltare le sue belle chiappette.”

Gordon accennò una risposta affermativa con il capo ed entrambi seguirono l’agente.

 

“Trovo incredibile che non abbiate saputo intervenire prontamente!”

Il rimprovero di Montoya non fece scomporre Gordon più di tanto che semplicemente scrollò le spalle: “Non sono intervenuti prontamente nemmeno loro, si riferiva ai malavitosi arrestati all’interno della banca, dunque non credo possiamo biasimarci più di tanto.”

“Incredibile! Esclamò rabbiosa l’agente federale. Una banca della mafia proprio qui! Al centro di Gotham! E voi vorreste dirmi che non ne sapevate niente?”

“L’unica cosa che trovo incredibile è quello che sta dicendo ora.”

“Che vuol dire, Gordon?”

“Anche l’F.B.I. sapeva di questa banca, agente. Lo sapeva da molto tempo, esattamente come noi. Semplicemente non avevamo né prove, né motivazioni sufficienti a farla chiudere. Lo sappiamo entrambi e non serve fingere il contrario tra di noi. Harvey Bullock ghignò cattivo a quello scambio di battute che era deciso a godersi fino alla fine. Il trio s’era discostato sia dal gruppo della polizia che da quello dell’F.B.I., trovando riparo in quello che era stato l’ufficio del direttore  della banca. Sapevamo da molto tempo che la mafia gotamita si serve di questo tipo di istituti creditizi per riciclare i propri soldi. È una pratica consolidata e ancora in uso qui a Gotham. Ora, chi sta colpendo la malavita ha capito che la strategia giusta è quella di impoverire i loro portafogli e dunque attacca i loro depositi ed i loro centri per il riciclaggio. Ormai quel che è fatto è fatto e l’unica cosa utile che possiamo fare è chiederci: quale è il prossimo bersaglio logico?”

Era stato calmo, discorsivo, pacato e misurato nelle sue affermazioni e nonostante la naturale avversione che la Montoya nutriva nei confronti di quell’uomo, un “eroe” a suo avviso molto dubbio, circondato da gente ancora più dubbia, che avrebbe dovuto essere messo in pensione forzata, doveva ammettere che il suo discorso era giusto: le recriminazioni non li avrebbe portati a nulla; i superiori di Renée erano molto scontenti e l’ex ragazza prodigio dell’F.B.I. stava divenendo una fonte d’imbarazzo per loro. In un periodo di grandi tagli ed in cui c’era una forte rivalità interna tra le varie agenzie governative, l’essere messi in scacco da un personaggio la cui esistenza non era nemmeno certa era una gran brutta pubblicità per i federali.

“Va bene, Gordon. Mi spieghi allora cosa crede dovremmo fare e quale sarà la prossima mossa di questo Cavaliere Oscuro.”

“Ammesso che esista, un Cavaliere Oscuro.” Precisò Gordon.

“Ammesso che esista.” Concesse la Montoya.

“Prima ha privato la così detta Seduta che invece sappiamo per certe, e da molto tempo, esistere, dei suoi operai lungo le strade. Ha tagliato la testa della famiglia messicana che lavorava per loro e ha innescato una guerra per riempire il vuoto creatosi, una guerra che è andata tutta a scapito della mafia e che ha avuto come conseguenza lo spingerli a tornare a sporcarsi le mani in prima persona, con i risultati che potete vedere. Abbiamo arrestati alcuni tra i loro congiunti più eminenti.”

“Alcuni li abbiamo messi in fermo e sa benissimo che i loro avvocati li tireranno fuori in poco tempo.”

“Altri invece, insistette Gordon, sono stati colti con le mani nel sacco ed i loro costosi avvocati non potranno fare niente senza contare quelli che hanno cantato spontaneamente.”

“Forse intimiditi.”

“Forse ma non ci sono segni di violenze che facciano pensare a delle torture.”

“E non ci hanno voluto spiegare il perché del loro improvviso pentimento.”

“Sappiamo bene che deve essere stato qualcuno, ammise Gordon,che è interessato a fornirci testimoni in un eventuale processo contro i pezzi grossi. Il secondo passo è stato quello di colpire i loro interessi ed ora, se ho capito bene, rimane solo una mossa da fare.”

“Decapitare l’organizzazione?” Azzardò Montoya.

“Esatto.” Gordon le sorrise eloquentemente.

 

Bullock lasciò Gordon a pochi passi da casa, come gli aveva chiesto: “Devo schiarirmi un po’ le idee”; l’altro assentì, tirando una lunga boccata dalla sua sigaretta e fissò per un istante il collega:

“Jim, quella ragazzina non mi piace per niente. È stata troppo accondiscendente stasera.”

“Ha capito che deve collaborare.”

“Ha capito che deve farti il culo, se non vuole rimediare la figura dell’idiota. Vedrai, all’ultimo ci estrometteranno dall’operazione e questo dopo averci fatto fare tutto il lavoro.”

“Vedremo.”

I due si salutarono e Gordon prese a camminare lungo il marciapiede.

S’accese una nuova paglia prima d’entrare in casa, perché sapeva cosa avrebbe detto sua moglie.

Sentì i passi farsi prossimi a lui. Avevano un ritmo regolare e posato, atipico per un rapinatore notturno.

Buonasera, Commissario. Mi complimento per prima. Hai tenuto degnamente testa a Montoya nella banca e l’ha portata ad accettare le sue proposte.

Gordon sospirò: “Stavo per spararti, lo sai? Non potresti contattarmi in modo meno drammatico la prossima volta?”

Dovremmo installare una linea diretta tra il tuo ufficio e casa mia. Magari con due bei telefoni rossi. Che ne dici?

“Sai, credo che il tuo senso dell’umorismo mi faccia più paura della tua voce alterata. Hai alzato davvero parecchio la posta ora e ho avuto la conferma: sei pazzo.”

Lui camminava poco distante da Gordon. Gli era al fianco, un berretto di lana calato sul capo, il bavero della giacca alzato a coprire buona parte del volto, la scarsa illuminazione stradale che lo aiutava a nascondere forme e lineamenti.

Sapevi che lo avrei fatto, Gordon. Ne avevamo già discusso e sai anche tu che per eliminare definitivamente la Seduta devo rischiare.

“Se stai ventilando in quelle teste l’idea che qualcuno voglia detronizzarli e che, forse, c’è una talpa tra di loro, potresti scatenare una guerra tra bande come mai s’è vista da queste parti. Sai cosa succederà?”

La tua preoccupazione è comprensibile ma credimi, ho pensato ad un modo per cui quei bastardi faranno quello che devono senza coinvolgere innocenti. Non ci sarà nessuna guerra di bande per le strade. Quei coglioni si elimineranno da soli senza neppure accorgersene.

“Lo spero. Altrimenti, ti giuro, coinvolgimento o meno farò saltare il tuo culo e ti darò la caccia io stesso. Ed ora, dimmi, qual è la nostra prossima mossa?”

Batman, sorrise non visto dal suo interlocutore, pensando che non avrebbe potuto scegliere un alleato migliore per la realizzazione del suo piano.

 

 

(Continua)