“Esteban!
Ti prego! Cosa siamo venuti a fare qui? Torniamocene a casa prima di finire in
guai seri.”
Esteban
lanciò un’occhiata di feroce disapprovazione nei confronti del fratello che con
le sue chiacchiere stava compromettendo seriamente il morale dei suoi uomini.
Non
era stato facile convincerli a seguirlo in quella parte della città, nel
territorio che una volta era appartenuto alla gang dei giamaicani. Da quando
avevano lasciato la loro base, c’era stata una disputa per chi dovesse gestire
le attività illecite nella zona e lui credeva fosse il momento per i
portoricani di reclamare la propria fetta di business. Un accordo con i
messicani era la via migliore: lo spaccio di droghe leggere e pesanti sarebbe
stata loro mentre Esteban avrebbe preteso per sé ed i suoi uomini la gestione
di prostituzione e scommesse; formare un sindacato latino-americano per opporsi
ad eventuali pretendenti quali italiani, russi e cinesi era, a suo avviso, il
modo migliore di scalare i vertici della malavita.
“Jesus!
Se non fossi mio fratello di avrei già piantato un proiettile in quella zucca
vuota! Come te lo devo dire? Abbiamo un appuntamento a cui non voglio mancare e
se temi che Zap ed i suoi uomini tentino qualche stronzata, ho preso le mie
precauzioni!” Scostò il trench di
pelle per mostrare il mini uzi che faceva bella mostra di sé, oscillando sotto
l’ascella.” Perché credi che ci siamo
portati l’artiglieria? Per sparare agli scoiattoli al parco? Jesus! Te l’ho
ripetuto più di una volta! Devi smetterla di fumarti la roba che ti passa Vic e
se lo ribecco a rifornirti di merda, giuro su Dio che faccio secco lui e quella
merda di cane che si porta sempre dietro!”
Gli
uomini si lasciarono scappare un risata subito soffocata da un’altra
occhiataccia di Esteban, tuttavia soddisfatto di quella reazione: non voleva
che avessero paura perché la paura li avrebbe rallentati e sottratto lucidità
in caso di bisogno; la paura era una brutta bestia e lo sapeva bene.
Per
un paio di secondi si disse che Jesus aveva capito l’antifona ed invece,
imperterrito, tornò alla carica: “Matilde, la ragazza di Gustavo, ha avuto una
visione! L’altra notte ha visto che el Caballero Oscuro arrivava a prendersi
la mia anima!”
“E
tu stai facendo tutto ‘sto casino solo per le farneticazioni di una puttana
drogata?” Chiese incredulo Esteban.
Gli
occhi di Jesus riflettevano la follia di cui da tempo il fratello maggiore era
a conoscenza.
Forse
farlo fuori sarebbe davvero stata la cosa migliore ma, nonostante tutto, era
pur sempre il fratello e fastidio o non fastidio era l’unica persona al mondo
verso cui provava qualcosa di autentico e a cui sentiva di dover qualcosa.
“Lei
è una veggente, fratello! Non sbaglia mai.”
“Jesus,” tentò in tutti i modi di dominare la
rabbia,” non esiste un Caballero Oscuro. Lo capisci?”
“No,
no Esteban. Lui esiste. Esiste ti dico. È un santero, come quelli che la nonna ci ha insegnato a rispettare da
piccoli. Te lo ricordi? Lui, dice Matilda che conosce bene queste cose, è
figlio di Oggùn e di Obba.”
“Jesus,
senti, facciamo così:” non voleva
mettere in scena un teatrino di fronte ai suoi scagnozzi, minando così la sua
autorità e tentò un’ultima mediazione prima
di assestare un calcio al culo del fratello minore.” Non eri obbligato a venire qui ma mi hai voluto accompagnare lo
stesso e, credimi, questo lo apprezzo molto ma non sei di certo obbligato a rimanere.”
“Capo…”
fece con voce preoccupata e tremante Julio.
“Zitto!
Non ti ci metterai anche tu?” Lo scatto di Esteban fu tanto improvviso che i
suoi sobbalzarono temendo che estraesse l’arma e gli sparasse contro.
“Capo,” insistette così angosciato da far
bloccare Esteban,” Paolo è
scomparso.”
Rotterdam
Street era stata, un tempo, l’arteria principale di quello che era conosciuto
come l’Orange District di New York City, cresciuto fino a divenire una vera
città, nella città.
Aveva
retto, per decenni, il confronto con zone come la 5° Avenue e Broodway,
affermandosi come centro finanziario e culturale della città o almeno fino
all’inizio del suo declino, iniziato alla fine degli anni ’50 e mai
arrestatosi.
Il
Cine-Teatro Majestic era stato l’orgoglio di quella zona ma ora era solo un
cadavere di mattoni in disfacimento che occupava mestamente quell’angolo di
mondo, simbolo malinconico di un tempo che non sarebbe mai più tornato.
Le
mura erano imbrattate da graffiti osceni che ricoprivano persino il pesante
portale di legno. Le teste delle mensole che sorreggevano le balconate esterne
erano state decapitate e sulla scalinata era riversato un tappeto di sudiciume
formato da spazzatura di tutti i tipi.
Intorno
a loro si dipanava quanto rimaneva d’un quartiere sfiorito e vinto dal passare
degli anni, in condizioni non certo migliori dell’imponente costruzione davanti
i loro occhi.
“Cosa
vuol dire sparito?” Chiese Esteban severo.
“Sparito…” Juan tentò di trovare le parole più
adatte per non aumentare l’evidente stato di irritazione del suo capo.” Era qui, fino a pochi minuti fa e,
mentre stavate discutendo, è scomparso. Mi sono accorto di non averlo più
dietro di me.”
“Paolo
è un armadio di 1.80 per 90 chili di muscoli. Come cazzo fa ad essere sparito
così? Hai le pigne nel cervello!? Sarà andato a pisciare in uno dei vicoli qui
intorno!” Fissò negli occhi, passando
in rassegna, tutti i suoi uomini, fratello compreso, a chiarire che il comando
era ancora saldamente nelle sue mani e che nessuno poteva prenderlo in giro.” Sentite! Sono stanco! Ho le palle
piene di tutte queste cazzate sul Caballero
Oscuro o come cazzo si chiama! I giamaicani sono sgommati dalla zona perché
la concorrenza si era fatta troppo forte e quei fattoni di merda erano troppo
impegnati con le loro cazzate rasta per tenere il passo! Non c’è nessuno
spirito, nessun demone che giri da
queste parti! È tutta una cazzo di puttanata tirata fuori da qualche gang per
tenere sgombro il territorio! Ora andremo a cercare Paolo e quando lo trovo lo
riempirò di calci nel culo per essersi allontanato così senza preavviso!”
Sorrise
soddisfatto mentre osservava tutta la sua gang assentire rassicurata, tutti
tranne il fratello che, improvvisamente, cacciò un urlo da far temere fosse
definitivamente uscito di senno.
I
90 chili di muscoli di Paolo volarono battendo violentemente la spalla ed il
braccio a pochi centimetri da Esteban che trasecolò. La bocca era bloccata da
nastro adesivo, le mani legate dietro la schiena. Pesto e livido rotolò in
terra. Subito i ragazzi estrassero i rispettivi ferri aprendo il fuoco in
direzione del buio vicolo da cui il corpo del compagno era stato lanciato.
“CAZZO!
CAZZO!!! METTETE VIA LE ARMI! FIGLI DI PUTTANA! MERDAIOLI DEL CAZZO!!!!”
Esteban sbraitò come un cane inferocito. La zona era off limits per la polizia
ed i pochi residenti nell’immediato circondario, tutti immigrati o quasi, si
facevano i fatti loro ma una sparatoria avrebbe inevitabilmente attirato
l’attenzione e una pattuglia, presto o tardi sarebbe arrivata quando tutto ciò
che voleva era concludere, con discrezione, un affare. Inoltre, se non fosse
saltato di lato in tempo, sarebbe stato falciato dal fuoco dei suoi.
Jesus
era scappato, senza nemmeno assicurarsi che il fratello fosse ancora vivo, cosa
che fece infuriare Esteban che estrasse l’uzi puntandolo in direzione della sua
schiena ma si dominò e prese di mira gli appartenenti alla sua gang: “FINITELA
CON QUESTA STRONZATA O VI STENDO TUTTI!”
Il
concerto di pistole terminò ma non tanto per l’ordine tanto quanto per la
necessità di ricaricare.
Ora,
ne era certo, aveva perso il controllo e doveva rimettere in riga quei pazzi
prima che lo facessero finire tra le braccia della polizia.
Juan
urlò, portandosi una mano al volto: quelle che sembravano due lame da lancio
gli erano penetrate nella guancia destra e nel sopraciglio destro; “SANGRE DE
CRISTO!” Urlò in preda al dolore e sparando un colpo, senza volerlo, al piede
del vicino, Marcos.
L’ombra
sembrò materializzarsi dal l’aria stessa, piombando tra i cinque, una figura
che si stemperava tra le tenebre e che si produceva in una velocissima sequenza
di colpi che non mancarono mai il segno
e che ruppero clavicole, tibie, anche, peroni, ulne, costole e mascelle;
Esteban,
gli occhi sgranati, madido di sudore, il cuore martellante aprì il fuoco senza
curarsi della vita dei suoi. Doveva uccidere quella cosa. Doveva eliminare lo
spirito vomitato dall’inferno, a qualunque costo. L’uzi urlò la sua spietata
rappresaglia, abbattendo uno dopo l’altro quelli che erano stati amici e
compagni di Esteban. Usò entrambe le braccia per tenere quanto più possibile
ferma l’arma senza riuscire però nello scopo. Semi sdraiato, la schiena premuta
contro l’asfalto sporco. Quando il nastro fu esaurito, si alzò lentamente. Non
riusciva a scorgere traccia del mostro sotto i corpi dei suoi. Possibile? Era
troppo vicino e aveva aperto il fuoco troppo rapidamente perché quello gli
fosse sfuggito.
Non
ebbra il tempo di gridare per l’orrore di esserselo ritrovato alle spalle
girandosi.
Jesus
correva come un ossesso. Più veloce che poteva, verso casa, verso la salvezza o
comunque il più lontano possibile da quel posto maledetto. Aveva cercato di
avvertire il fratello ma quello era troppo ingordo e pieno di sé per capire che
non si doveva mai e poi mai scherzare con gli spiriti.
Voltò
il capo solo una volta, guardando da sopra la spalla per assicurarsi che non
fosse inseguito e, nel mentre che tornava a fissare la strada davanti a sé,
inciampò finendo con la faccia a terra.
Sputò
sangue e denti, tenendosi la bocca con entrambe le mani mentre lo spirito
avanzava verso di lui dopo avergli fatto lo sgambetto.
“Sei veloce,” gli fece in ispanico, con una voce che sembrava provenire da un
luogo buio e lontano, fredda come una notte d’inverno, ostile come una nera e
fitta foresta,” ma i morti lo sono di più. Tuo fratello è voluto venire qui, nonostante
avessi lasciato molti avvertimenti che tu, invece, sei stato abbastanza saggio
da tenere in considerazione ed è in virtù di questo che stanotte tornerai a
casa, nonostante per stoltezza tu abbia seguito comunque il sangue del tuo
sangue. Vai, scappa, non tornare mai più qui, non rimanere neppure in questa
città. Non m’importa dove ma entro due albe, voglio che tu parta e vada via.
Prima di farlo, ricorda, di a tutti quelli che conosci che questa non è terra
di nessuno. Questa è casa mia. Questo è il mio regno e nessuno lo rivendica. Se
ci proveranno, sappiano cosa e chi li aspetta.”
Jesus
non riusciva a parlare, la bocca martoriata e si limitò ad assentire,
completamente sottomesso. Quando riaprì gli occhi, riuscì a vedere tra le
lagrime che l’essere era sparito.
A
fatica si rimise in piedi e per poco non morì dal terrore quando sentì la voce
sussurrare dalle tenebre: “Ti osservo, ti
controllo, ti seguo sempre. Dillo a tutti. Dillo che questa è casa mia e che io
sono Batman…”
Yuri
Lucia
Presenta :
YEAR
ONE
BATMAN
(
Creato da Bob Kane e Bill Finger)
In the Begin
Di
Yuri Lucia
N.1
From the Dark…
I Villa Wayne, Line Count, Gotham City, New York City
– 21 anni prima degli eventi narrati. novembre.
Bruce Wayne, nove anni, salì le scale, attento a non
inciampare nel tappeto che le copriva. Voltò subito alla sua destra,
percorrendo il ballatoio sino ad entrare nel corridoio che dava sull’ala ovest
di Villa Wayne.
Gli sguardi dei suoi ancestori parvero fissarsi su
di lui al suo passaggio, carichi di vacua disapprovazione che lo spinse a
moderare la sua andatura. Non importava il tempo passato o tanto meno che da
tutta una vita li osservava: non si sarebbe mai abituato a loro; i lineamenti
di quei volti non avevano nulla della gentilezza paterna. Assomigliavano di più
al vecchio patriarca degli Wayne, che lui aveva visto solo in foto. Non avevano
l’aria di appartenere all’aristocrazia ed effettivamente, dai racconti di suoi
padre, aveva scoperto che le origini della sua famiglia erano quanto mai
lontane dal mondo dorato dei benestanti e dal chiassoso jet set gotamita che,
per questioni d’affari, i suoi genitori erano delle volte costretti a
frequentare.
Pirati, loschi trafficanti, mercenari e persino
severi inquisitori erano stati tra i suoi antenati.
Era certo che, per quanto il padre fosse stato
onesto con lui, gli aveva sottaciuto diversi particolari, magari i meno adatti
ad un bambino, riguardo il modo in cui il patrimonio degli Wayne era stato
accumulato.
“Al, credimi, le tue preoccupazioni sono eccessive!”
“Eccessive? Tom, scusami ma ora mi sembra che tu
stia prendendo troppo sottogamba tutta la vicenda. Lo sai cosa stanno facendo?
Cercano di farti le scarpe per arrivare a prendere il controllo. Ti stanno
estromettendo ma non capisco perché, sembra che a te non interessi niente al
riguardo. Non so cosa tu voglia fare ma a questo punto, o molli e lasci che
finalmente possano ottenere quello che vogliono oppure, se vuoi ostinarti nel
giocare alla parte del rampollo di casa Wayne, è ora che tu tiri fuori le
palle!”
Bruce si irrigidì. Le voci di suo padre, Tom, e di
Al, il suo vecchio amico, sembravano alterata dalla rabbia e ben lontane da
quei toni confidenziali e bonari che di solito le caratterizzavano quando
parlavano tra di loro.
Decise che entrare in quel momento nello studio del
padre per chiedergli il permesso di andare a giocare nel grande giardino fosse
fuori luogo.
Bruce era stato educato a chiedere sempre il
permesso di uscire di casa: ai suoi genitori o a chi, in quel momento, era
responsabile per lui; tuttavia il fine settimana a Line Count volgeva ormai al
termine e lui voleva approfittarne il più possibile perché se c’era un luogo
che amasse al mondo, che sapeva portargli la serenità, era proprio quel
giardino.
Per quanto ben educato, un bambino era pur sempre un
bambino e, delle volte, la tentazione di fare qualcosa, anche quando gli fosse
stato espressamente proibito, si faceva troppo forte.
Sarebbe stato il suo segreto. Il suo piccolo
segreto. Sorrise, mentre percorreva il tragitto all’inverso, cercando di dimenticare
lo stralcio di conversazione che lo aveva turbat poco prima.
Villa Wayne si ergeva maestosa, sovrastando il grande
Giardino che la circondava cingendola d’un verde e rigoglioso abbraccio. Vi
erano piante d’ogni tipo, cespugli ben curati, fiori di vari colori, file
ordinate di alberi, eppure, nonostante tutto, il terrapieno che costituiva gran
parte del giardino, riusciva a conservare un aria perennemente selvaggia, quasi
le regole del mondo ordinario non avessero valore lì. Ogni volta che Bruce ci andava,
aveva la sensazione che nulla potesse raggiungerlo o fargli del male. Si
sentiva al sicuro. Si sentiva a casa.
Molti trovavano quel luogo irrimediabilmente tetro e
sconfortante, così come la vecchia Villa, un incubo in cui all’originale stile
colonico tipico di quella parte del paese, s’erano sovrapposte visioni
neo-gotiche e liberty che ne avevano fatto un monumento all’eccentricità,
simbolo del potere che la sua famiglia aveva ad un certo punto, detenuto su
quei luoghi, il loro personale feudo in una terra da dove monarchie e regni avrebbero dovuto,
teoricamente, essere bandite.
La Villa invece era un’eccezione, il segno che una
stirpe di spregiudicati commercianti e affaristi aveva lasciato attraverso il
tempo, una nera cicatrice che atterriva tutti. Tutti tranne lui.
Bruce Wayne, nove anni, decise che il posto migliore
dove giocare sarebbe stato accanto al roseto che piaceva tanto alla madre,
unico luogo in quella proprietà che sembrasse non detestare. Il vecchio capanno
della servitù era stato restaurato qualche settimana prima e, durante i lavori,
era venuto alla luce quello che sembrava essere un vecchio pozzo. La bocca del
pozzo era stata chiusa con delle tavole. Un lavoro alla buona, in attesa che il
proprietario si decidesse a farlo riempire di terra. Tom però non si era
deciso, distratto dai suoi molti pensieri. Tutte cose che Bruce ignorava, così
come ignorava l’esistenza del pozzo ed il fatto che le travi usate fossero
molto meno solide di quanto gli adulti avessero pensato. Solidità che una
recente pioggia aveva ulteriormente minato. Corse, mentre immaginava di essere
uno dei cavalieri delle storie che gli raccontava la mamma. I Kane, gli aveva
raccontato, discendevano invece da nobili uomini d’arme che difendevano i buoni
ed i deboli.
Onore, Coraggio, Pietà e Lealtà erano le quattro
parole che costituivano il motto di quella famiglia.
Ora Bruce era uno di loro e stava calcando, nel suo
solitario gioco, verso un’eroica impresa, ignaro invece che ad attenderlo c’era
il suo destino.
Le tavole non scricchiolarono neppure, cedendo quasi
immediatamente, così che chi avesse assistito alla scena, avrebbe pensato di
vedere il bambino inghiottito senza preavviso da un’invisibile bocca.
II
Commissariato del Distretto di Gotham, Independence Plaza n2, G.C. – Novembre,
il presente.
Bullock entrò nell’ufficio senza bussare, la
sigaretta ancora in bocca, del tutto indifferente allo sguardo di
disapprovazione che l’agente dell’F.B.I. Montoya gli stava lanciando.
Il Detective James Gordon avrebbe riso in un’altra
circostanza, consapevole del fatto che quel comportamento non era solo delle
maniere spicce del vecchio amico ma del suo piacere nel creare fastidio ad un
federale. Montoya, poi, era persino meno amata del precedente agente di
collegamento. Del resto i suoi modi da prima della classe erano al limite
dell’arroganza e Gordon stesso, solitamente pacato e misurato in ogni sua
azione, trovava difficile tollerarla.
“’sera Jim!” Salutò con allegria e senza alcuna
formalità il maturo Sergente, ignorando di proposito Montoya che lo squadrò con
un’occhiataccia, del tutto incurante di nascondere il suo risentimento.
“Bene, ora che il Sergente Bullock è qui,” fece Reneé Montoya in tono gelido,” direi che si può fare il punto della
situazione sul caso Dark Knight.”
Jim Gordon la osservava dal momento del suo arrivo e
si era sempre detto che quell’agente sarebbe stato una fonte di guai per il
Dipartimento di Gotham.
Erano successe molte cose negli ultimi anni: la
tradizionale indipendenza nell’amministrazione del Distretto, che gli era
sempre valso l’appellativo di “City”, era stata praticamente ufficializzata in
seguito all’appello che l’amministrazione locale aveva presentato alla Corte
Suprema, ricordando come effettivamente Gotham, più che di un Distretto di New
York, nella cui aria urbana rientrava, avesse avuto carattere di città
indipendente, abituata a gestire i propri affari da sé; negli anni ’70 la forte
ondata criminale che aveva investito tutta la Grande Mela pareva aver prodotto
i suoi danni più imponenti proprio a Gotham, dove s’erano installate delle vere
e proprie centrali del crimine organizzato. I sindaci del tempo, erano stati
colpevoli di non aver fatto abbastanza, anzi, d’essersi disinteressati a tal
punto del Distretto da farlo apparire veramente come qualcosa di avulso dal
resto della città. I vari Procuratori Distrettuali e Commissari, che parevano
esercitare da sempre una sorta di funzione di “sindaco de facto”, ne avevano
approfittato per accrescere i propri poteri personali, fin quando, cinque anni
prima, c’era stata la causa per far riconoscere l’autonomia amministrativa a
Gotham.
La causa aveva portato ad un risultato parziale,
tuttavia ben al di sopra delle reali aspettative di chi l’aveva iniziata: a
Gotham era riconosciuto uno statuto speciale come Distretto e pur facendo parte
di New York City, e rientrando dunque nella sua giurisdizione, era stato
istituito un Ufficio per gli Affari Distrettuali al cui vertice c’era
l’Amministratore Speciale, titolo provvisorio per quello che era l’autorità che
deteneva il vero potere politico ed amministrativo.
Jim non era mai stato d’accordo con quella mossa che
secondo il suo parere avrebbe solo isolato ulteriormente Gotham, rendendola
persino più appetibile di quanto non fosse alle forze della criminalità
organizzata.
L’11 Settembre aveva influenzato molto l’opinione
pubblica americana che, catalizzata l’attenzione sulla tragedia vissuta e
preoccupata per il proprio futuro, s’era disinteressata di quella piccola
“guerra di secessione” che riguardava N.Y.
La “Piccola Secessione”, era così che la chiamavano
tutti e quando Gordon esprimeva chiaramente i suoi dubbi in proposito, gli
veniva risposto: “Certo! Tu hai votato Giuliani. Però dimentichi che tutti gli
altri ci hanno lasciato nella merda.”
Quasi si lasciò scappare un sospiro. La comparsa di
un violento vigilante che stava decimando le bande criminali era vissuto
piuttosto male dal Vice Commissario Loeb, prossimo a ricoprire la carica di
Amministratore Speciale. Secondo la sua opinione, minava l’autorità delle
istituzioni locali agli occhi dei cittadini e, visto che quelle autorità
avevano da poco guadagnato la tanto agognata autonomia, non era pensabile
permettere di lasciare un simile individuo operare impunemente. Gordon aveva
sempre temuto, per via della sua esperienza, il vigilantismo, potenzialmente il
primo passo verso l’anarchia ma più che adoperarsi nel tentativo di
neutralizzare il fantomatico Cavaliere Oscuro dispiegando tutti i mezzi a
disposizione ed impiegando i soldi dei contribuenti, l’aspirante Amministratore
avrebbe dovuto lavorare sulle cause che ne avevano portato alla nascita e
all’ascesa: la dilagante corruzione, la delinquenza, l’alto tasso di crimini; la
Crisi che aveva colpito gli U.S.A., non aveva risparmiato di certo Gotham e
sembrava aver rinvigorito il mondo del malaffare.
“Il punto della situazione,” ammise Gordon senza troppi preamboli o fronzoli,” è che stiamo dando la caccia ad una
legenda metropolitana, per quanto ne sappiamo. Del Cavaliere Oscuro, non c’è
praticamente traccia se non nei racconti incoerenti di criminali sulla cui
affidabilità c’è più di un dubbio. Sappiamo tutti che molti di loro cercano di
evitare il carcere fingendo di essere incapaci di intendere e volere e altri,
sono talmente bruciati da esserlo veramente. Non abbiamo una foto, una ripresa
video, nemmeno una ripresa satellitare che ce ne confermi l’esistenza.
L’abbiamo accusato di non ricordo nemmeno più io di quanti crimini e non
sappiamo neppure se sia reale o meno. È come se fossimo dietro allo Yeti o a
quell’Uomo d’Acciaio che si dice s’aggiri nel Kansas. Agente Speciale Montoya,
con tutto il rispetto, il Bureau e l’Ufficio dell’Amministratore stanno
concentrandosi troppo su uno spauracchio, senza occuparsi delle questioni
importanti.”
Reneé Montoya fissò lo sguardo in quello di Gordon
che lo sostenne senza alcun problema, cosa che aumentò ulteriormente il suo
malcontento e la sua mal disposizione nei suoi riguardi. A Bullock non sfuggì e
rise sotto i baffi.
“Detective Gordon. Le ricordo che lei, per via della
sua passata esperienza a Chicago, è stato messo a capo di questa divisione
speciale per la Questione Vigilantes. Le è stato chiesto di mettere la sua
professionalità al servizio del Distretto di Gotham e se non ricordo male lei
ha accettato.”
“Non senza aver espresso i miei dubbi al riguardo,
Signora.” Ricordò il poliziotto senza timore di inimicarsi ancora di più
Montoya.
“Tuttavia,”
puntualizzò con fastidio,” lei ha
accettato e, perché credo sia giusto lo sappia, in quanto Agente di Collegamento
con l’FBI per il Distretto di Gotham, ho espresso i miei di dubbi su tale
nomina.” Se quell’affermazione avesse sortito l’effetto sperato non poteva
dirlo. Gordon rimaneva impassibile, tranquillo come sempre. Montoya sentì
aumentare il risentimento e la frustrazione.
“Ne prendo atto,”
replicò come se non fosse stato un tentativo di offenderlo quello sentito poco
prima,” Agente,” non fu casuale l’omissione dello speciale, né del nome” eppure lei ha accettato i suoi ordini,
lavorando con me. Io ho fatto lo stesso. Senso del dovere, Signora, è questa la
motivazione e sa bene che mi sono impegnato per scoprire se questo Cavaliere
Oscuro esista oppure no ma né io, né gli uomini dell’F.B.I. sotto il suo
comando abbiamo fino ad ora ottenuto risultati.”
“Gordon, lei può giocare quanto vuole ma sa bene che
i ranghi delle gang che infestavano le strade di questa città sono stati
fortemente ridimensionati. Crede forse nei miracoli?”
“Credo che ci siano state delle faide, Signora, tra
gang e magari anche interne. Credo che le grandi famiglie del crimine, la
vecchia Mafia gotamita possa aver deciso di dare una sfoltita in un panorama
forse divenuto ingestibile anche per loro. O forse ci sono stati dei tentativi
di infiltrazione da parte di nuovi gruppi emergenti. Le alternative ad un
vigilante che sembra essere onnipresente e onnipotente, se me lo permette, ci
sono e anche in abbondanza. Se poi vogliamo a tutti i costi fingere di essere
miopi per non riconoscere i nostri stessi limiti ed i nostri errori, è tutta un’altra
storia. Vogliamo indagare sul Cavaliere Oscuro? Va bene ma perché escludere
ogni altra pista?”
“Gordon,”
la pazienza di Montoya sembrava veramente prossima ad esaurirsi,” lei parla bene, davvero ed è uno dei
motivi per cui si è fatto degli amici ma non creda siano così tanti o così
potenti da pararle sempre il culo. Non so a che gioco stia giocando ma non le
lascerò sabotare ancora l’operato di questa unità.”
Per un attimo Renée Montoya ebbe un sussulto. Lo
sguardo di Gordon, da dietro gli occhiali dalla montatura antiquata, s’era
indurito in un modo in cui lei non avrebbe mai creduto possibile.
Bullock conosceva Gordon dai tempi di Chicago ed era
invece consapevole di che pasta fosse veramente fatto quel poliziotto
dall’aspetto scarno e un po’ smunto. “La ragazza ha fatto un passo falso.” Si
disse divertito tra sé e sé.
“Agente Speciale Renée Montoya.” Ora era il suo tono ad essere freddo e distaccatamente formale.” Questa è un’accusa? Perché se è
un’accusa speri di avere prove più che ottime a suo sostegno, altrimenti,
Signora, con rispetto parlando, Bureau o no, le farò passare un brutto quarto
d’ora di fronte al tribunale a cui la trascinerò.
Non permetto a nessuno, tanto meno ad una novellina
che puzza ancora di latte, convinta di essere il pezzo grosso della situazione
solo perché a Quantico qualcuno le ha detto di essere in gamba, di mettere in
dubbio la mia integrità, la mia professionalità o quella degli uomini che
lavorano nella mia squadra. Non osi mai più lanciare accuse campate in aria, tanto
meno così gravi ed infamanti. La prossima volta che si prenderà una simile
confidenza e libertà, non sarò più tanto gentile e comprensivo nel
risponderle.”
Montoya era rimasta spiazzata. Non s’aspettava una
reazione così vigorosa.
“Gordon, senta, non lo sto accusando di …”
“Di essere un sabotatore? Buffo, perché poco fa ha
affermato che non mi avrebbe più lasciato sabotare quest’unità. Se non sbaglio
è il sabotaggio l’attività principale di un sabotatore, no?” Il gelido sarcasmo di cui si rivelò capace lasciò l’agente
dell’F.B.I. incapace di controbattere, ponendo ancora di più Gordon in
posizione di forza.” Io non le
piaccio, Agente Montoya, e questo l’avevo già capito. Pensa che io sia un
ostacolo alla sua carriera, un inetto incapace di allacciarsi da solo le
scarpe. Non m’importa nulla della sua opinione, Montoya. Non m’importa dell’FBI
e dei pezzi grossi che le stanno dietro e sa perché? Perché mi hanno affidato
il comando di quest’Unità, e perché se non vi piace come la gestisco, potete
anche accomodarvi e prendere il mio posto ma prima dovrete sollevare una
formale accusa, e sappia che non lascerò che la cosa si concluda in modo
indolore per voi, visti i numerosi errori compiuto dal suo team in questi
giorni. Vuole comandare? Allora si prepari ragazzina: nessuno toglie la sedia
da sotto il culo di James Gordon; sono stato sufficientemente chiaro, signora?”
“Si, Tenente Gordon.” Il silenzio che avvolgeva la
stanza era carico di tensione ma, sconfitta, Montoya uscì senza aggiungere
altro.
“Bel lavoro, boss.” Era quello che Bullock avrebbe
detto se Gordon non lo avesse fulminato con uno sguardo ammonendolo: “ E tu non
aggiungere altro”.
“Vado a fumarmi una paglia.” Aveva detto Gordon a
Bullock al termine della loro consultazione privata sullo stato del “Caso
Cavaliere Oscuro”. “Merda” era stato il colorito termine usato da Bullock per
descrivere il punto in cui le indagini si trovavano e Gordon s’era trovato a
dover concordare con lui. Salutò i colleghi nel corridoio, arrivò all’ascensore
salendo fino all’ultimo piano. Montoya era una piccola arrampicatrice sociale,
non meno avida di notorietà e consensi di Loeb, si disse, un uomo che non
avrebbe mai dovuto divenire Vice Commissario di Gotham e che meno che mai
avrebbe dovuto divenire Amministratore. Era pericolosa. Tutto quel gioco era
pericoloso. Avrebbero dovuto occuparsi del problema reale: a breve, ne era
certo, ci sarebbe stata una guerra tra famiglie per spartirsi nuovamente il
potere; si diresse verso le scale di servizio ed uscì sul tetto, dirigendosi
verso una bassa cabina. Sedette sulla superficie di cemento ed ardesia e
s’accese la tanto agognata sigaretta. James Gordon non aveva l’aspetto del
grande eroe che qualcuno diceva fosse in seguito alle vicende di Chicago. Era
alto 1.77, estremamente magro, ragion per cui da giovane lo chiamavano
“stecco”, il volto scavato, due baffi fuori moda a nascondergli il labbro
superiore, un naso lungo e leggermente storto a causa di un pugno preso anni
prima, i capelli castano scuro pettinati all’indietro, leggermente ingrigiti ai
lati e diradati alle tempie. Tirò una profonda boccata pensando a quanto fosse
ridicola e rischiosa quella storia. Osservò la city che brillava delle luci
notturne, come una prostituta ingioiellata, tutti sorrisi e mosse vezzose,
pronta a rubare il portafogli al cliente in qualsiasi momento mentre lo faceva
ubriacare.
“Montoya ti
continua a creare problemi ma tu le hai tenuto bene testa.”
“Ancora per poco, almeno finché non capirà che
bluffo o avrà l’assoluta certezza che le sue accuse sono fondate.” Rispose alla
voce profonda che proveniva alle sue spalle. Dietro c’era la cabina
dell’ascensore e lui doveva essere appollaiato li sopra. Odiava quelle sue
apparizioni improvvise e teatrali.
“Dovresti smetterla di cercare di impressionarmi
tutte le volte, altrimenti comincerò a pensare che non stiamo collaborando ma
che vuoi mettermi in soggezione.” Ciccò a terrà, lo sguardo fisso davanti a sé.
“Noto che ora
usi quasi senza problemi il termine collaborare.”
Non gli sfuggì l’ironia delle parole ma preferì non
replicare a quella e si limitò: “ Continui a spiare le mie conversazioni. Non
usi cimici perché le avrei trovate ma probabilmente hai un qualche microfono
direzionale d’ultima generazione. Roba sofisticata, come quella che usi per
manomettere i filmati delle telecamere di sicurezza o che ti permette di capire
quando un cavolo di satellite ha il suo obbiettivo puntato su di te. Non hai
bisogno di fare quella voce da oltretomba per essere spaventoso.”
“ Anche per
questo mi piaci, Gordon. Non solo sei uno dei pochi poliziotti non corrotti,
forse l’unico, che io conosca. Hai un bel cervello.”
“Non temi che lo usi per arrivare a te? A chi sei
veramente?” Non aveva resistito alla tentazione di provocarlo un po’.
“Ti sei
compromesso troppo, collaborando con me ed io ho fatto in modo di documentare
con dovizia di particolari questo nostro piccolo do ut des, Gordon e se Montoya
o Loeb sapessero cosa hai fatto, allora avresti altre preoccupazioni che non
vederti la sedia tolta da sotto il culo.”
“Ti sei spiegato,”
si limitò a dire per nulla
impressionato,” rimane però un
problema di fondo. Cominciano a sospettare di me e, per quanto sia una piccola
opportunista testa di cazzo, la Montoya non è stupida. Novellina o meno è un
agente addestrato dell’FBI ed io non posso tenerla a bada per sempre o sperare
di non commettere mai errori. Li sto tenendo alla larga da te, sto facendo in
modo che tu abbia il campo libero ma non ti garantistico duri a lungo.”
“Non mi serve
che duri a lungo. Mi serve che duri quanto basta per togliere dalla
circolazione chi devo.”
“Hai fatto molto rumore, ultimamente. Hai alzato il
tiro, sempre di più e da qualche teppista isolato sei passato alle gang. Vuoi
farti notare, questo l’ho capito.”
“Devo togliere
manovalanza ai pesci grossi ed inoltre, voglio che sappiano di me. Non devono
avere la certezza che io esista, ed è per questo che ho bisogno di te ma devono
sentire ugualmente il mio fiato sul collo.” Gordon era davvero brillante,
si disse, aveva capito la natura del suo piano anche se non gli aveva rivelato
nulla.
“Se vuoi provocare una reazione inconsulta da parte
della Mafia, ti consiglio di avere un buon piano per gestire il casino
colossale che ne verrà fuori. Non posso permetterti di scatenare una guerra tra
quei balordi senza l’assicurazione che tu sappia cosa stai facendo.”
La risposta non giunse e Gordon lanciò la sigaretta
oltre il bordo del tetto. Amava le entrate spettacolari e le uscite silenziose.
Doveva essere una sorta di psicopatico, nella vita di tutti i giorni.
Gordon aveva accettato quel rapporto pericoloso
perché sembrava l’unica via per rimettere ordine in città, sebbene avesse fatto
violenza contro i propri principi. “Un patto con il diavolo ha sempre i suoi
costi.” Si disse tornado
verso le scale.
III Villa Wayne, Line Count, Gotham City, New York City
– 21 anni prima.
Il respiro era sempre più veloce e cominciavano a
manifestarsi i primi segni dell’ipocapnia.
Cerco di urlare, più d’una volta, senza alcun
risultato. La voce era come morta nella sua gola. Gli occhi ruotavano rapidi da
una parte all’altra, tentando invano di strappare alle tenebre una qualsiasi
cosa: un particolare, un punto di riferimento; le dita strinsero nuovamente il
terriccio umido e le lacrime caddero su di esso.
Nessuno l’avrebbe trovato. Nessuno. Bruce Wayne era
morto. Quella doveva essere la morte, ne era certo, perché solo la morte poteva
essere così fredda, silenziosa, distante da ogni cosa.
Tentò di rimettersi in piedi ma barcollò solo pochi
centimetri, prima che una fitta improvvisa gli facesse digrignare i denti e lo
costringesse nuovamente a terra, il volto tra lo sporco.
Non c’era possibilità d’avanzare o d’indietreggiare.
Solo una grande macchia nera che avvolgeva ogni cosa come se fosse stato un
pesante sudario.
Singhiozzò, incapace d’agire, il cuore che
martellava con sempre maggior vigore.
Dalla morte non si tornava indietro: questo gli
avevano detto i suoi; non gli avevano spiegato altro, lasciando tale compito ad
altri.
Una delle cameriere, Fernanda, gli aveva detto che
per le persone buone, dopo la morte, c’era un luogo pieno di luce, una città
magnifica che stava nel cielo, chiamata Paradiso mentre per i malvagi c’erano
solo il sinistro bagliore delle fiamme dell’inferno, dove Satana regnava
sovrano.
Era piccolo quando per la prima volta affrontò
questo discorso con la domestica che, pazientemente, rispondeva sempre a tutte
le sue domande.
Eppure, in quel momento, non vedeva né luci, né
fiamme.
“Aiutatemi …” Pensò disperato, incapace di credere
tutto perso ma sua madre e suo padre glielo avevano detto: “Nessuno torna dalla
morte.” Con i palmi si strofinò gli occhi per togliersi le lacrime ma si sporcò
solo il viso con il risultato che gli occhi gli bruciarono di più. “Nessuno”.
Era come se una voce sussurrasse quella parola alla sua mente, una parola
pronunciata con disprezzo e crudele divertimento. “Nessuno…” si disse dentro.
Eppure non doveva cedere alla disperazione o alla
paura. Suo padre gli aveva insegnato a reagire, anche quando la situazione
sembrava essere completamente disperata e priva d’ogni via d’uscita. Così
facevano gli Wyane. Gli Wayne non arretravano mai, non temevano nulla, né il
fulmine, né la tempesta, né la fame, né la povertà, né io forte, né l’ingiusto.
Così gli aveva sempre detto il padre. Cercò a tentoni la parete curva,
seguendone la concavità, sostenendosi contro di essa. Avrebbe saltellato fino a
raggiungere un’uscita, se un’uscita esisteva. Se non ce ne erano, se davvero
quella era la morte, impenetrabile, definitiva, invincibile, avrebbe comunque
continuato ad avanzare. Lo avrebbe fatto fin quando avrebbe avuto le forze o
anche tutta l’eternità se ne fosse stato capace.
Fu così che Bruce Wayne, nove anni, sfidò la morte
stessa.
Fu così che Bruce Wayne scoprì che il rischio del
lanciare una sfida era che venisse accettata.
Da prima fu come un discreto murmore, che gli fece
credere, sperare, nella presenza di qualcuno, rinfrancando un poco il suo cuore
terrorizzato. Però i suoni erano troppi alti e striduli e più che un mormorio,
così come la sua mente aveva voluto fargli credere in un primo momento, era una
cacofonia di acuti e squittii che riempivano l’aria, con sempre maggior vigore
e prepotenza.
“Chi c’è?...” riuscì a sussurrare.
L’urlo delle tenebre che presero vita, lo zittì.
Era ovunque, che lo lambiva, lo colpiva,
ricacciandolo indietro, facendolo cadere tra la fanghiglia, irridendolo,
umiliandolo, schiacciandolo a terra, privandolo delle forze, riducendo le sue
budella ad acqua, spezzando le ginocchia, ormai incapaci di sostenere il suo
peso, graffiandogli il volto, tirando i suoi capelli, investendolo con un odore
nauseabondo, acre, marcio.
Allora, Bruce Wayne, urlò.
Urlò con tutto ciò che rimaneva di lui.
Urlò la sua disperata richiesta d’aiuto.
IV
Gotham, Little Venice – Novembre, il presente.
Gotham City era costituita principalmente da tre
grandi parti:
l’Orange District, che si era sviluppato
originariamente attorno a Rotterdham street e da essa divisa in Upper e Lower
side, rispettivamente sedi della vecchia cattedrale di San Michele Arcangelo e
della chiesa di Nostra Madre Caritatevole, il così detto Gotham Hills, la contea
costituita da antichi borghi extra urbani e in per la maggior parte dal Count
Line che si incuneava tra lo stato di New York e quello del New Jersey, e la
New Town che dal 1900, con il quartiere di Liberty Station avrebbe dovuto
rappresentare il nuovo volto della città. Little Venice era nata negli ’50,
quando la carenza cronica di spazzi sfruttabili, aveva convinto i costruttori
ad edificare sul piccolo sistema di isole antistanti a quella più grande di
Arkam.
Con la così detta “indipendenza” di Gotham, era
stato dato l’avvio ad un processo di sviluppo della zona che avrebbe dovuto
costituire il fulcro della rinascita cittadina. La Baia di Gotham sarebbe stata
il cuore della rinascita di una città stanca di essere la siamese di New York e
desiderosa di rendersene indipendente.
Il nuovo grattacielo “Schwartz”, proprietà della
Wayne & Wayne, ospitava diverse società, tra cui la FA.ME. enterprise,
ufficialmente una rispettabile impresa che offriva servizi finanziari di vario
titolo, quali brocheraggio, mediazioni, investimenti sui mercati
internazionali.
Ufficiosamente era una delle proprietà della Mafia
Gothamita, la famigerata “Seduta”, così chiamata per il vecchio rituale,
rispettato sin dai tempi della “mano bianca”, di vedere tutti i capo famiglia
seduti in circolo, senza nessun tavolo, in una stanza praticamente spoglia
d’ogni orpello a ricordo dei primi giorni in cui venivano mossi i primi passi
nel mondo del malaffare.
Ovviamente i tempi cambiavano e qualcosa la si
doveva pur concedere alla modernità e così alla Seduta non partecipavano più
solo i capo-famiglia ma anche i loro luogotenenti sul campo.
Era stata un’iniziativa del vecchio boss Carmine
Falcone che in questo modo aveva voluto mantenere un saldo legame tra
“dirigenza” ed “operativi”.
“I capi sono oberati dal peso delle decisioni e
corrono il rischio di perdere d’occhio la principale fonte dei propri introiti:
la strada; inoltre, le alte sfere non devono ignorare i bisogni dei propri
sottoposti perché noi non siamo un semplice insieme di uomini d’affari ed
operai, non una delle tante imprese esistenti, anche se gestiamo i nostri
traffici con rigore imprenditoriale, ma siamo e rimaniamo soprattutto una
famiglia e questo termine, famiglia, non deve mai essere privato del suo senso
più profondo.”
Carmine Falcone, morto per un attacco cardiaco
alcuni anni prima, era stato l’uomo che aveva partecipato alla leggendaria
guerra per strappare alla mala ebraica il controllo di New York, quando le
bande di italiani s’erano stufate d’essere dei semplici manovali al loro soldo.
Durante
la Seconda Guerra Mondiale aveva collaborato con l’F.B.I. ed i Servizi Segreti
nell’opera di individuazione e smantellamento della rete di sabotatori nazisti
presenti in quella zona.
Aveva stabilito una e consolidato una base d’affari
a Gotham, intuendone le potenzialità e l’importanza e mentre nella Grande Mela
si era combattuto una guerra che tra la Mafia e le nuove mafie straniere che ne
aveva visto ridimensionato il peso, a Gotham erano gli italiani che dettavano a
russi, giamaicani e messicani le condizioni a cui si doveva lavorare.
A differenza di molti mafiosi aveva una grande
cultura, soprattutto in campo economico e sociale, pur non avendo frequentato
l’università ed era stato un teorico del “cambiamento mantenendo però intatte
le proprie radici”.
Se non fosse stato un mafioso, probabilmente molti
lo avrebbero trovato un uomo da ammirare ed imitare per via dello spirito e
dell’intelligenza dimostrate.
“Dichiaro aperta la 997 esima Seduta.”
Sal Pascucci, nell’ordine 11esimo Maestro di Seduta
e successore di Falcone, si sincerò che tutti lo seguissero attentamente. I
presenti erano in tutto dieci: i cinque capi delle più importanti famiglie
dell’Organizzazione ed i loro relativi comandanti sul campo; i Pascucci
appartenevano al circolo della mano ma non ne era Sal l’attuale capofamiglia.
Per un periodo era stato il “reggente” ma rifiutò l’incarico quando gli fu
proposto di presiedere alla “Seduta”.
Era un grande onore, un posto di privilegio ma si
doveva, per forza di cose, mantenere imparzialità e neutralità, anche nei
confronti dei propri congiunti. Dunque, nessun Gran Maestro poteva occupare la
propria carica mantenendo al contempo quella di Capofamiglia.
Persino Carmine Falcone, il grande patriarca, aveva
sottostato a tale tradizione anzi, l’aveva difesa ed incoraggiata in più d’un
occasione.
Il nuovo Capofamiglia, Simon Pascucci, aveva
dimostrato di meritare il suo titolo, facendo un buon lavoro nel controllo del
suo territorio.
“Come sapete, di recente, siamo stati testimoni di
una serie di avvenimenti importantissimi per noi tutti: la Corte Suprema ha
riconosciuto a Gotham uno statuto speciale, rendendo quell’indipendenza di
fatto che possedeva da New York quasi ufficiale. Quasi. Siamo solo all’inizio
del processo che è il primo del genere nella storia americana. La nostra
personale, piccola Guerra d’Indipendenza.”
I presenti sorrisero alla battuta di Pascucci, più per cortesia che per sincero
divertimento, cortesia che Pascucci però apprezzò con una certa soddisfazione.” È l’alba di una nuova era, per noi.
Finalmente possiamo realizzare il grande progetto che Falcone sognava per noi
tutti. La recente guerra al crimine di Giuliani ha pesato non poco sulla nostra
libertà d’azione ma qui a Gotham è diverso ed ora che si sta formando
un’amministrazione locale dotata di maggiori poteri, abbiamo l’occasione per
infiltrarvi uomini a noi graditi e ben disposti a chiudere un occhio su alcune
delle nostre attività.
Purtroppo però, non sono tutte rose e fiori. Abbiamo
assistito ad un tentativo di escalation da parte di piccoli gruppi a seguito
della cessata attività di quelli che controllavamo noi. Cessazione di cui non
sappiamo nulla, tra l’altro. Ci sono domande?” Alzò rispettosamente la mano Paul Galluzzi.” Prego Don Galluzzi,”
l’uso del Don era d’obbligo in quelle cerimonie quando ci si rivolgeva ad un
Capofamiglia, anche se a farlo era il Maestro in persona e questo perché il
rispetto dei ruoli ricoperti era importante,”
prenda pure la parola.”
“Grazie a Vossignoria,” anche Paul conosceva e rispettava il protocollo di quelle
riunioni e stimava molto il Maestro sia per il ruolo ricoperto, sia da un punto
di vista umano. Pascucci e Galluzzi erano famiglia particolarmente unite tra di
loro, per via dei molti matrimoni combinati che nelle ultime tre generazioni
avevano insaldato i loro legami,”
prendo la parola e mi rivolgo a voi e ad i miei amati , comune appartenenza che
gli appartenenti alla Seduta dovevano nutrire reciprocamente e nei confronti
dell’Organizzazione,” per esprimere
tutta la preoccupazione che questa situazione, estremamente delicata, ha
arrecato a me e alla mia Famiglia così come sono sicuro sia accaduto anche a
voi. Fino a pochi mesi fa, avevamo una situazione d’equilibrio ed ordine,
ottenuta con grande fatica e sacrifici personali. Le bande operavano sotto
nostro mandato e rispettavano le regole. Qualcuno le ha eliminate, decimandole,
facendone arrestare gli esponenti di spicco, intimidendoli o addirittura
spingendoli alla fuga e, per quanto ne sappiamo, in alcuni casi magari
ammazzandoli ed occultandone i resti. Altri sono arrivati qui, sperando di
approfittare della confusione e del vuoto creatosi nel controllo di alcune
strade ma, ancora una volta, intimidazioni, botte, sparizioni. Ora,
francamente, temo che chiunque abbia fatto questo, non voglia fermarsi ai piani
bassi, anzi, mi sembra evidente che sia intenzionato a proseguire nel suo
lavoro di destrutturazione della nostra beneamata Organizzazione. Un nome
circola per i quartieri da un po’ di tempo: il Cavaliere Oscuro;” prese una significativa pausa per
verificare che la sua affermazione avesse ottenuto l’effetto voluto e quando
ebbe la sua conferma, continuò.” È un
personaggio di cui non sappiamo niente, nemmeno se esista o no veramente anche
se sono propenso a credere che qualcuno debba aver agito. Non un uomo solo,
questo no, perché per un uomo solo questa sarebbe un’impresa a dir poco
impossibile. Un gruppo, ben organizzato ed esperto, che sta agendo secondo una
precisa strategia: destabilizzare; un gruppo del genere deve lavorare per
qualcuno ed essere da quel qualcuno ben finanziato. Io credo che dovremmo
cominciare a stilare una lista dei nostri possibili nemici. Vossignoria, per
ora ho finito.”
“Grazie, Don Galluzzi. Qualcuno vuole commentare
l’intervento?” Sal Masucci alzò
subito la mano.” La parola a Don
Masucci.”
Salvatore Masucci era il più giovane tra i boss
presenti. S’era guadagnato il posto dimostrando grande vigore ed energia nella
gestione dei suoi affari. C’era stata la questione del cugino, Mark Masucci,
l’erede designato a succedere al vecchio Pasquale ma si era voluto evitare di
indagare su quell’incidente che a Mark era costato la vita e a Sal aveva
garantito il controllo della Famiglia Maucci. Era un momento delicato, di
transizione e serviva coesione tra le Famiglie e non una faida o un lotta
intestina a una di esse. E poi, lo sapevano tutti, Mark non era esattamente il
più adatto a guidare una Famiglia potente e rispettata come quella dei Masucci.
“Ringrazio Vossignoria e vorrei rispondere
all’Eccellente Don Galluzzi,”
l’eccellente era usato dai boss più giovani come segno di rispetto nei
confronti dei più anziani e Sal, al pari degli altri, era accorto
nell’utilizzare i giusti toni e le giuste parole in seno a quella riunione,” confermando che anche per i Masucci,
la Famiglia che ho l’onore di guidare e rappresentare, è un momento di grande
preoccupazione e che condivido i suoi sospetti. Una regia occulta, una regia
ben avveduta e a conoscenza di molte delle nostre usanze e regole, guida questo
misterioso commando che ha colpito i nostri caporali ed i loro sottoposti. Chi
sia? Difficile dirlo ma mi sento d’escludere F.B.I. o altre forze Governative.
Prevengo subito la domanda che il mio Eccellente cugino, Don Galluzzi, potrebbe
pormi o che qualsiasi di voi potrebbe fare: il loro modo di muoversi è troppo
spregiudicato e richiederebbe un’infiltrazione nella nostra organizzazione ad
un livello di cui non sono capaci, grazie ai nostri contatti nelle maggiori
Agenzie del Governo Federale. Presto o tardi, avremmo saputo di un simile piano
e saremmo venuti a conoscenza dell’identità dell’agente, o degli agenti
utilizzati per l’operazione. Una simile operazione richiede tempo, non può
essere stata condotta dall’oggi al domani e dunque ne saremmo stati, presto o
tardi, informati. La Polizia locale invece è da escludere quasi a priori. Non è
nelle loro possibilità fare qualcosa del genere.
Il nostro nemico, il vero nemico, si serve di uno
spauracchio chiamato il Cavaliere Oscuro, un nome pittoresco per un personaggio
che non esiste, interpretato da attori bravi nella loro parte ma nulla di più.
Io sospetto, che un simile accanimento nel portare avanti un piano tanto
machiavellico abbia origine non tanto dall’interesse e dal profitto ma dalla
sfera emotiva.” Stavolta fu lui a
prendere la sua pausa, per osservare le reazioni degli altri e fu il suo turno
d’essere soddisfatto.” Se qualcuno
volesse chiedermi chiarimenti o pormi domande, sono disposto a rispondere sin
da ora. Vossignoria, se volete per ora ho finito.”
“Grazie, Don Masucci. Qualcuno dei presenti vuole
replicargli o sottoporgli delle domande?” Dove voleva arrivare Masucci, se lo
chiese in mente Pascucci che del ragazzo, boss a soli 35 anni aveva qualche
timore. Troppo giovane, anche se forse
aveva la giusta energia per guidare con il suo esempio le Famiglie. Alzò
la mano Gennaro Arganese, dopo Pascucci il più anziano in quella stanza. Era un
mastino della vecchia scuola, amico personale di Falcone e ai tempi d’oro era
chiamato “Pugno di Ferro” per i suoi metodi di conduzione degli affari.
“Prego, Don Arganese, avete facoltà di parlare.”
“Ringrazio Vossignoria,” la voce era bassa e roca a causa di un intervento alla tiroide
effettuato alcuni anni addietro ma non faceva altro che rendere ancora più
temibile quell’uomo che a quasi settantenni, non solo non rinunciava al timone
della Famiglia Arganese saldamente stretto tra le sue mani ma era ancora una
montagna che con la sua mera mole incuteva timore in chi gli stava intorno.
Gennaro e Salvatore Pascucci si conoscevamo da anni e, al di fuori delle
Sedute, si davano del tu, confidenza che il vecchio Arganese concedeva solo a
lui e alla nipote prediletta,” e
vorrei andare dritto al cuore del problema. Il giovane Don Masucci,” giovane non aveva nessun significato
offensivo in quella circostanza ma si limitava solo ad affermare un dato di
fatto,” parla di motivazioni personali
ed io mi chiedo, chi può avere delle motivazioni personali per agire così
contro di noi? Milioni di persone probabilmente, se teniamo conto del volume e
della natura degli affari trattati in questi anni dalla Seduta e dalle Famiglie
che la compongono. Io direi che si tratta di una lista troppo lunga e il tempo
che ci vorrebbe per un’indagine potrebbe essere altrettanto lungo. Don Masucci
questo lo sa bene, e se ha fatto una simile affermazione, è perché ha qualche
sospetto.” Nel silenzio che seguì,
tutti gli occhi si puntarono su Masucci che rimase impassibile.” Don Masucci sa anche che, se non è stata un’Agenzia
Federale a fare questo, perché come giustamente notava in un arco di tempo così
lungo come quello che è intercorso dall’inizio di questa storia ad oggi saremmo
venuti a conoscenza già di molte cose,
solo qualcuno di vicino alle Famiglie può essere riuscito in tale
impresa. Dico bene?” Masucci, in
osservanza del rigido protocollo non rispose ma quel protocollo non gli vietava
di accennare un si con il capo e sottolinearlo con il suo sorriso sbarazzino,
cosa che provocò un’esclamazione soffocata ai presenti, persino a Don Pascucci.” Come tutti voi sapete, cari cugini,
tra noi vige un patto lealtà e non-belligeranza che è in vigore dai decenni ed
è questo patto che ci ha evitato la fine di tanti altri clan e associazioni
simili alla nostra. Abbiamo osservato sempre il Patto, rispettandolo,
onorandolo, facendo delle sue regole il fondamento delle nostre vite, come capi
e come uomini. Il Patto non riguarda solo il
business ma anche e soprattutto la sfera privata. La rigidità dei
controlli sui nostri soci esterni è tale che c’è un solo modo per cui qualcuno
vicino a noi abbia potuto piazzare degli uomini spiare le nostre mosse e poter
condurre così una campagna di terrore contro di noi: non si tratta di qualcuno
vicino a noi ma di uno di noi;”
stavolta le esclamazioni non furono soffocate ed Arganese continuò a fissare
negli occhi Masucci, con l’espressione di un rapace che si sforzasse di non
balzare sulla preda.” Si può giocare
sulle parole quanto si vuole, Don Masucci, ed usare tutti i salamelecchi del
mondo per tentare di addolcirle ma il significato delle sue accuse è piuttosto
chiaro. Se ha un nome in mente, chiedo che sia detto immediatamente e che siano
date come minimo prove più che concrete per supportare un’accusa che non solo
rischia di essere infamante ma potrebbe ledere l’equilibrio alla base della
Seduta stessa. Vossignoria, con il vostro permesso ho finito.”
Subito Pascucci, ringraziato velocemente Arganese,
passò la parola a Masucci che, per nulla scomposto: “Grazie per il diritto di
replica, Vossignoria e voi, caro Don Arganese,” non era sconveniente utilizzare un termine come il caro, che
esprimeva un affettuoso rispetto per un boss più anziano o particolarmente
vicino ma avrebbe potuto sembrarlo in quell’occasione, nel momento in cui si
doveva dare spiegazioni di quanto si era affermato poco prima,” avete ragione su tutto: l’insinuazione
che ho lanciato non è cosa da poco ma nemmeno quanto sta accadendo lo è e vista
la gravità del momento, devo permettermi per forza di cose d’apparire brutale
se necessario, pur di arrivare alla verità; mi chiedete di spiegarvi chi e
perché, e soprattutto come io ci sia arrivato? Vi prego, allora, lasciate che a
parlare sia il mio Picciotto.” Indicò
con la mano l’uomo seduto al suo fianco. Questa era una stranezza in termini di
cerimoniale. I Picciotti erano i luogotenenti più fidati dei capi che li
portavano con sé alle Sedute. Non era strano che parlasse ma lo era a quel
punto del discorso. Il permesso di parlare ai Picciotti doveva essere prima
dato dal Maestro che dichiarava che ad un certo punto anche essi potevano
richiedere di prendere la parola ma l’usanza voleva che fosse comunque il loro
boss a richiedere il permesso per loro.”
Chiedo a Vossignoria che possa parlare, e spiegare il perché dei miei
sospetti.”
Pascucci rifletté bene su quanto avrebbe detto di lì
a poco e nel prendere la decisione, gli fu d’aiuto l’occhiata che gli aveva
lanciato di sottecchi Arganese. “Sentiamo dove vuole arrivare”, sembrava
avergli detto e conosceva troppo bene Gennaro per equivocare.
Pascucci dette il permesso.
“Molto bene, stimati cugini, onorevoli Capi delle
Famiglie Arganese, Consalvo, Galluzzi e Pascucci, permettetemi di presentarvi
il mio generale d’armata, così come lo chiamo io, Mr. Match Malone.” Gli altri Picciotti erano preoccupati.
Conoscevano Malone ed i suoi metodi. Persino Muscianisi, il Picciotto di
Arganese lo guardava con un certo timore.”
Il Signor Malone si occupa della gestione sul territorio del bussines dai due
anni ed era stato scelto dal mio defunto e compianto Zio Pasquale in persona.
Le sue credenziali, sono a dir poco ottime: è stato nell’Intelligence per sei
anni e prima ancora nell’Esercito per quattro; è un vero esperto in materia di
infiltrazione e spionaggio. Prego, Picciotto, parla pure, ti ascoltiamo tutti.”
Masucci gli rivolse un sorriso bonario, segno che Malone poteva iniziare e che
ricambiò con un rispettoso inchino del capo.
“Signori,”
non aveva usato il titolo convenuto ma essendo un non appartenente alle
Famiglie e visto la deferenza usata, questo fu tralasciato,” da un anno, qualcuno ha formato un gruppo armato di vigilantes
che stanno agendo per destabilizzare l’equilibrio tra le famiglie,
indebolendole in modo da renderle vulnerabili ad un attacco finale che verrà
effettuato da voi stessi.” Erano
tutti increduli a quelle parole, persino Arganese. Solo Masucci sorrideva a suo
agio.” Questo perché il piano,
prevede proprio che voi siate spinti a sospettare l’uno dell’altro. Le
conclusioni di Don Arganese sono logiche ed infatti ogni cosa è stata fatta
proprio per sembrare che solo uno di voi possa aver orchestrato tutto. Anche se
non fosse sfociato in guerra aperta, il sospetto vi avrebbe eroso dall’interno,
rendendovi insicuri ed inefficaci nelle decisioni di comando.
I sospetti che il sabotaggio sia partito dall’interno
sono iniziati con la disgregazione degli Alvarez, i messicani che cinque anni
gestivano i traffici sulle strade e che facevano da cuscinetto tra voi e le
altre piccole bande. Se il gruppo di vigilantes di cui parlavo prima non avesse
avuto un appoggio interno, avrebbero dovuto iniziare il loro lavoro dalle gang
più piccole, quelle di giamaicani, coreani ed albanesi che i messicani
controllavano per conto nostro. Invece non è andata così. Ogni volta che i
vigilantes hanno colpito, lo hanno sempre fatto ottenendo un risultato.
Sapevano dove conservavano droga ed armi, conoscevano ogni spostamento per
lavoro che facevano, persino il sistema con cui scambiavano la droga con i
soldi quando rifornivano i pusher. La disgregazione dei gruppi più piccoli è stata
quasi consequenziale. Hanno tentato di farsi la pelle l’un con l’altro per
prendere il posto dei messicani e sono state sgominate facilmente dai nostri
esperti.
C’è solo una spiegazione per quanto accaduto: in
casa Galluzzi c’è un traditore.”
S’alzò un indignato coro di proteste, sia dei boss
che da parte dei picciotti, persino il Maestro saltò in piedi e se le regole
non avessero proibito di portare armi nel luogo della seduta, Malone sarebbe
stato crivellato di colpi sul momento. Arganese stringeva i pugni e serrava le
mascelle, Galluzzi aveva gli occhi di fuori ed inveiva nel dialetto
insegnatogli dai genitori.
“Vi prego, vi prego!” Masucci, un ampio gesto delle braccia a richiamare l’attenzione,
tentò di placare gli animi.” CUGINI!
Non siamo dei bambini! Siamo tutti dei capifamiglia, con tutti gli onore e gli
oneri che ne conseguono! Questo ci obbliga a prendere atto della realtà anche
quando questa non ci piace e non crediate che Malone abbia mosso questa accusa
senza aver portato delle prove, prove che per altro implicano anche un membro
della mia famiglia.”
La confusione sembrava regnare sovrana ed ormai i
protocolli e le cerimonie di quel vecchio rituale erano stati accantonati.
“Allora che parli!” Arganese zittì tutti con il suo
imperioso gesto, persino Pascucci ebbe un momento di timore. Subito Malone
proseguì, prendendo la palla al balzo:
“I messicani erano controllati da Domenico Galluzzi,
nipote di Don Paul Galluzzi. Domenico aveva il compito di fare da tramite tra
gli Alvarez e la Seduta e conosceva ogni particolare sulla loro organizzazione.
È stato lui a permettere a questo gruppo di vigilantes di sgominarli
rapidamente.”
“Ma perché l’avrebbe fatto?” Chiese Paul Galluzzi
che a stento riusciva a contenere la propria ira.
“I conti della vostra famiglia, Don Galluzzi, sono
stati alleggeriti di alcune centinaia di migliaia di dollari. Ha capito bene.
Lo so perché abbiamo controllato i vostri registri. La prego, capisco la sua
indignazione ma dovevamo portarle delle prove. Domenico ha cominciato a spendere
cifre consistenti, in gioco d’azzardo, scommesse, e ha acquistato una villa a
Malibù, senza dire nulla alla famiglia. Per lui è stato facile far sparire
quelli che, alla fine, per la vostra contabilità, sono una piccola parte dei
vostri guadagni. Domenico aveva numerosi debiti, Don Galluzzi a causa dei suoi
vizzi costosi ma è sempre riuscito a tenervene all’oscuro facendo spesso valere
il proprio cognome con i creditori che però alla fine erano divenuti troppi.
Galluzzi non ha agito da solo, perché non è stato lui ad organizzare il
commando che ha fatto fuori gli Alvarez e tutti gli altri.”
“E chi allora?” Chiese Pascucci.
“Mia cognata Anna Laura.” A parlare, con tono greve,
era stato Masucci.
“Il Sig. Masucci dice il vero,“ proseguì Malone, estraendo dalla giacca un registratore,” sua cognata ed il nipote di Don Paul
hanno una relazione, che va avanti da circa quattro anni. Don Masucci lo
sapeva, perché era stato suo cugino, il defunto Sig. Mark a dirglielo. La questione era stata mantenuta, per ovvi
motivi, tra le mura domestiche. Mark aveva bisogno di un consiglio e si fidava
solo di suo cugino. Quando abbiamo registrato questo, una conversazione
telefonica avvenuta pochi mesi prima che il clan Alvarez venisse smantellato,
abbiamo cominciato a capire molte cose.” Premette play, sollevando il
registratore per assicurarsi che tutti potessero sentire.
-Stasera
ci dobbiamo vedere,” era la voce di Domenico Galuzzi, inequivocabilmente rotta
dall’agitazione e dalla paura,” dobbiamo
parlare di quanto abbiamo fatto! Stiamo giocando ad un gioco pericoloso e se
qualcuno dovesse scoprirci…-
-
Non essere ridicolo!” In tono di fredda irritazione Anna
Laura.” Tutti i sacrifici che abbiamo fatto per prepararci a questo, non
penserai mica che li butterò al cesso perché stai avendo dei ripensamenti.-
-
Laura, il corpo di tuo marito è ancora caldo! Gli occhi della famiglia sono
puntati su di te che sei la sua vedova. Non voglio attirare troppa attenzione.-
-Tu
devi solo fare quello che ti ho chiesto al resto penseranno gli specialisti che
ho ingaggiato …-
Spense il registratore e proseguì: “ La
conversazione che sentite è stata registrata dopo che abbiamo messo il telefono
di Anna Laura sotto controllo. Don Masucci mi aveva chiesto di occuparmi della
cosa, per onorare la memoria di suo cugino voleva scoprire con chi la cognata
intratteneva una relazione. Mark sapeva che c’era un altro uomo ma ignorava
chi. Laura ha aperto, mediante una società che Mark le aveva intestato, un
conto in Belgio, a Bruxelles per la precisione, e lì ha fatto diversi depositi,
inesistenti stipendi per altrettanto inesistenti lavoratori. Avevamo già dei
sospetti sul Sig. Domenico ma non ne capivamo il movente, visto che quello dei
debiti da solo non ne costituiva uno tale da spingere un uomo a rischiare tutto
mettendosi contro la propria famiglia. Il trasferimento di contanti, la villa a
Malibù e le telefonate però ci hanno cominciato a chiarire il quadro.”
“Ma perché?” Chiese Arganese improvvisamente
interessato a quelle congetture.
“Il movente più antico del mondo: vendetta; il padre
di Anna Laura, Matteo Mastropaolo è stato uno dei boss usciti sconfitti dalla
guerra alla Seduta di quindici anni fa e sappiamo tutti che ad ucciderlo fu un
uomo dei Pascucci. Morirono anche i fratelli di Laura: Vincent e Charles; il
matrimonio con uno di casa Masucci era un modo di ricomporre la frattura con
quanto rimaneva di quella famiglia e placare eventuali tentativi di vendetta.
Purtroppo però Anna Laura non era d’accordo con la natura di tale decisione e l’ha
assecondata solo per i suoi scopi. Ha utilizzato Mark per i suoi scopi ma Mark
non era nella posizione chiave che le serviva e così agganciò il nipote di Don
Galluzzi, una preda facile per una bella ed intraprendente ragazza. Sospetto
che Mark abbia capito che dietro al tradimento ci fosse qualcosa di più ed è
probabile che il suo sfortunato incidente sia stato qualcosa di diverso. Laura
ha una piccola casa di produzione cinematografica ad Holliwood e lì ha assunto
un uomo, John Petrovic. John è il nipote di un boss della locale mafia russa.
Pubblicamente è uno degli amministratori della ditta ma sono convinto che Laura
abbia messo a disposizione dei russi i suoi studios per i loro affari e in
cambio questi gli abbiano fornito uomini e mezzi per la sua operazione. A
Domenico deve aver promesso soldi ed una vita facile dopo che la Seduta verrà
smantellata. Se non credete ancora alle mie parole, sappiate che tutto è stato
documentato. Foto, conti, intercettazioni. Se Don Masucci ha aspettato fino a
questo punto per parlarvene è stato proprio perché voleva avere l’assoluta
sicurezza.”
Malone scrutò i mafiosi uno per uno ed ebbe la
certezza di averli tutti in pugno.
Masucci dovette trattenere un sorriso di
soddisfazione per mantenere l’aria contrita e seria che richiedeva il momento.
V Villa Wayne, Line Count, Gotham City, New York City
– 21 anni prima.
Quando la luce delle torce elettriche illuminò la
galleria fu una scena da incubo quella a cui assistettero Thomas ed Alfred. L’aria
stessa pareva essersi animata tramutandosi in uno squittente turbinio di ali ed
artigli. I pipistrelli erano da per tutto ed il corpo di Bruce ne era per la
maggior parte coperto. I suoi occhi erano sbarrati, lo sguardo perso, la bocca
contratta.
Tom si calò con una corda trovata nel capanno,
mentre Al si sarebbe sincerato che reggesse.
Non c’era voluto molto ad Alfred per capire che
Bruce si era diretto verso quella parte del giardino. Thomas era stato
preoccupato quando s’era reso conto che il figlio non era in casa. Era sempre
ansioso ed iperprotettivo nei suoi confronti. Due anni prima Phelton Howards
aveva perso il suo Ricky a causa di un rapimento. Rapimento finito male per il
povero bambino. Tom vedeva ancora il corpo del piccolo, ricomposto alla bene e
meglio, lì all’obitorio dove aveva accompagnato Phelton per il riconoscimento.
Avrebbe voluto fargli forza ed invece per poco non si sentì male lui stesso. La
ferocia con cui avevano cercato di sbarazzarsi del cadavere smembrandolo
brutalmente era a dir poco disumana. Phelton si suicidò dopo sei mesi. Pensò se
che se fosse successo anche a Bruce non se lo sarebbe mai perdonato. Lo aveva
chiamato, perché salutasse Alfred ed invece non era venuto. Lo aveva mandato a
cercare dalla cameriera ma niente. Ed ora era lì, talmente sotto shock da non
rispondergli. Cacciò via i pipistrelli da lui. Li cacciò lontano urlando e
agitando le braccia. Prese l’amato figlio tra le braccia e lo strinse forte a
sé.
Bruce s’accorse a malapena di cosa accadde. Di come
lo assicurarono alla corda per tirarlo su. Di come fu ripulito velocemente e
messo a letto. Della visita del Dott.Wertham il medico di famiglia che lo
visito con grande cura. Non s’accorse dell’arrivo di sua madre, della lite con
il padre, delle loro visite in camera e di nuovo delle liti.
“Puoi uscire, ora.” Il bambino voltò lentamente il
capo, incontrando il volto severo di Alfred, la bocca incurvata in un
improbabile sorriso. I due si fissarono un po’, senza dire nulla. Alfred stava
seduto vicino il letto di Bruce, la sedia al contrario, le braccia incrociate
poggiate sullo schienale.
“Se ne sono andati?”
“Si e non serve che tu rimanga ancora lì.”
“Torneranno?”
“Sono animali, Bruce. Animali magari disgustosi ma
di certo incapaci di arrivare sin qui.”
Bruce emise un sospiro di sollievo e chiuse gli
occhi.
“Papà mi ha salvato.”
“Tuo padre è in gamba.”
“Perché la mamma gli grida contro allora?”
“Perché è spaventata e le persone quando sono
spaventare, delle volte, si comportano in modo strano.”
“Non è colpa sua.”
“Vedrai che lo capirà.”
“Alfred, puoi chiamarli? Puoi farli venire qui?”
“Certo.”
“Ti ringrazio.”
Quando gli Wayne entrarono nella stanza, Bruce
scoppiò in lacrime. Singhiozzò tra le braccia dei genitori per molto tempo.
Alfred scese al piano di sotto e presa la sua giacca dalla cameriera, uscì per
andare a prendere l’auto. Era un momento privato quello ed era bene che non ci
fossero estranei a condividerlo.
VI
Gotham City, Collora Buliding, confine tra la City e N.Y.C. – I giorni nostri.
La notte era prossima a finire e con lei i sogni e
le paure degli uomini. S’accese una sigaretta, Robert Herrera. Ormai gli
Alvarez erano fuori dai giochi e se la gang dei Chicos voleva avere una
possibilità di succedergli nel controllo dei traffici illeciti per conto della
Mafia, doveva darsi da fare. L’incasso delle scommesse clandestine era stato
portato lì, nascosto in dei container di vivande destinate al Tarascon’s Petite
Paris restourant. Dal ristorante, per tutta quanta la settimana, i soldi
sarebbero stati mandati alle imprese di pulizia delle famiglie e mediante loro
poi depositati in banca.
Quelli dell’F.B.I. tenevano d’occhio tutte le
attività italiane, ristoranti compresi e non pensavano che invece, la Mafia,
potesse servirsi di un ristorante francese. Robert ridacchiò, divertito.
“Capo, tutto a posto?” Chiese Martinez, uno dei suoi
uomini più fidati.
“Si, si. Pensavo ad una battuta che ho sentito al
Letterman Show.” Si giustificò. Trovava troppo divertente tutto quel ragionare
per luoghi comuni. La Mafia non era più quella dei tempi del padrino e anche se
nelle loro cerimonie private potevano ostentare ancora modi risalenti agli anni
’20, nella realtà di tutti i giorni erano un’organizzazione che si occupava di
investire il proprio denaro in azioni, prestiti legali, in aziende, comprando
case. I soldi per gli investimenti venivano da attività illecite ma erano le
piccole realtà criminali ad occuparsi in gran parte della gestione. Anche
Herrera non era di certo il tipico latino americano dedito al crimine che si
vedeva nei telefilm: niente pantaloni larghi, camice a quadrettini, zuccotti,
tatuaggi o musica rap; Herrera aveva una laurea in marketing e scienze della
comunicazione, un master in linguaggi multimediali, parlava correttamente tre
lingue, amava la musica pop, vestiva casual ed era, a suo modo, un buon marito:
fedele, leale, innamorato; ovviamente rimaneva il fatto che era un criminale,
che aveva ucciso e lo avrebbe rifatto se necessario, e che ora voleva fare
carriera. Antonio Alvarez scomparendo insieme alla sua gang gli aveva fatto il
regalo più grande di tutti.
“Grazie mille, Antonio.” Disse tra sé e sé.
“Hey, qualcuno ha visto Manolo?” Robert si voltò
verso Javier e gli rispose:
“Sarà andato a controllare se nel vicolo è tutto
sicuro. Intanto andiamo.”
I suoi uomini, altrettanto rassicuranti nell’aspetto
quanto il loro capo, presero i contenitori e cominciarono ad allontanarsi dai
furgoncini usati per il trasporto. Salirono utilizzando gli ascensori del
garage. Il guardiano prendeva delle mazzette dalle direzione del ristorante per
chiudere un occhio e qualche volta tutte e due.
Erano in troppi, così presero due ascensori: Robert
con tre dei suoi ragazzi e Martinez con gli altri due; un piccolo gruppo, del
tutto anonimo e dai modi garbati, rigorosamente armato con armi piccole e
facilmente occultabili. Non era inusuale che uno dei suoi uomini andasse a fare
un giro di controllo del palazzo o dei vicoli, tanto per essere sicuri che i
federali o i poliziotti non fossero nei paraggi. Certo, lo avrebbe ripreso per
essersi allontanato senza avvertire ma ci sarebbe andato leggero. Non gli
piaceva fare il mastino con i suoi ragazzi.
Al trentaduesimo piano, uscì dalla cabina
fischiettando il motivetto di Dirty Dancing. Lo aveva rivisto qualche sera
prima con sua moglie.
Si voltò e rimase bloccato qualche istante. La spia
accesa sulla pulsantiera dell’altro ascensore indicava che doveva essersi
bloccato, anche se non a quale piano.
“Chiama Javi.”
“Ora?” Chiese Hernando.
“Ora.” Ribadì Robert. Il corridoio era sgombro. Era
l’ala del piano dove si trovava il Ristorante. Dovevano solo raggiungere la
cucina e lasciare le scatole nella cella frigorifera.
“Non risponde.” Robert se lo era aspettato. Fece un
cenno e i contenitori con il danaro vennero posate a terra. Herrera estrasse la
sua semi-automatica e fu subito imitato.
“Cosa c’è che no va capo?”
“Forse niente, Hernando ma mi sembra una strana
coincidenza l’ascensore bloccato ed il nostro Javi che non risponde al
cellulare. Siamo in un corridoio di servizio che arriva direttamente nelle
cucine e non c’è nessuno. Il luogo ideale per un’imboscata.”
I suoi uomini si scambiarono delle occhiate
perplesse tra di loro.
“Forse si è bloccato davvero l’ascensore, Capo.”
Robert però non era dello stesso avviso.
L’altra cabina aveva ripreso a salire: forse per
davvero si era trattato solo di una coincidenza; però Robert Herrera non aveva
mai creduto molto nel fato.
Il fumo si riversò subito nel corridoio non appena
le porte si aprirono e solo per un soffio i suoi uomini non aprirono il fuoco.
Se lo avessero fatto, avrebbero crivellato di colpi i compagni le cui sagome
riuscivano ad intravedere dentro l’ascensore. Tutti accasciati a terra.
“Cazzo!” Urlò tra i denti Herrera.
Il calcio sferrato alle spalle colpì Hernando alle
ginocchia facendolo piegare, una mano lo prese alla fronte e completò l’opera
sbattendolo a terra e colpendolo con un pugno alla bocca dello stomaco.
Mentre Miguel si voltava, prese un colpo portato a
palmo semi aperto alla guancia e subito una ginocchiata tra le costole ed un
pugno all’arcata sopraccigliare.
S’accasciò a terra sporco di sangue in volto. Troppo
tardi Robert tentò di bloccare Carlos. Questi sparò con la sua 15 colpi. Robert
temeva che potesse colpire uno di loro. La scena sembrava partorita da un
incubo: il corridoio invaso dal fumo, gli occhi lacrimanti, i polmoni che
bruciavano, i suoi uomini che cadevano uno dopo l’altro per mano di una figura
che si muoveva con una rapidità sconcertante ed una sicurezza inumana. Ogni
gesto di quell’ombra, era latore di sofferenza. Ogni colpo, finiva a segno.
Il braccio di Carlos fu messo in leva, proprio
mentre Robert lo teneva per la giacca. Il sinistro crack che sentì, era
l’articolazione che si rompeva. Herrera rabbrividì nel vedere il suo uomo portarsi
una mano alla gola, impossibilitato ad urlare da un colpo alla laringe portato
con il taglio della mano.
“Ed ora,
Herrera, tocca a te.” Era una voce profonda, sussurrata, fredda e rabbiosa
al medesimo tempo, la voce del predatore che annuncia alla preda la fine della
sua esistenza.
Robert tentò di puntargli la pistola al volto ma
stavolta fu il suo braccio ad essere messo in leva.
Se lo trovò dietro la schiena e fu costretto in
ginocchio dal dolore e da un calcio.
“CHI SEI?! COSA VUOI?!!”
“Lo sai
benissimo chi sono. Lo sai benissimo cosa voglio.”
“ASCOLTAMI!”
Gli ringhiò contro, il petto gonfiato dalla disperazione.” CREDI CHE NON ABBIA CAPITO COSA STAI FACENDO?! NON FUNZIONERà! TI
SEI MESSO CONTRO LA SEDUTA! CAPISCI?! LORO SONO I PADRONI! LORO HANNO IL
CONTROLLO E TU TI SEI CONDANNATO A MOR …”
Il respiro gli si mozzò all’improvviso e l’urlo riempi il corridoio.” ARGHHHHH!!! OH DIOOO! OH DIO
SANTISSIMO!” Il dito indice di Robert era stato rotto in meno di un secondo.
“No, Robert.
Non hai capito nulla. Non è la seduta ad essere la padrona di Gotham. Io, sono
il padrone di Gotham! Nessuno detta legge, nessuno comanda, nessuno ordina.
Questo luogo è mio, mio soltanto e si deve obbedire a me. Avete inondato le
strade di droga. Avete portato eserciti di nuovi schiavi dall’est e dal
sud-america.
Siete
responsabili di omicidi, torture, intimidazioni. Però ora finisce tutto. Tutto.
Il perché non deve importarvi. Di alla seduta, Robert, che sono sulla mia
lista. Tutti quanti.”
Robert finì con la faccia terra, premuta contro la
moquette, la bocca piena di saliva che se ne colava fuori.
Rapida l’ombra scomparve, così come da essa era
venuta, nell’oscurità ma non prima di aver sussurrato: “ Io sono Batman…”
Continua.