Presenta

 

 

 

Creato da Alex Toth

 

Gєиєѕι

 

UROBORY LAB

 

Di Yuri N. A. Lucia

 

N.2

 

Demone

 

 

 

 

Li chiamavano i gemelli cacciatori ma in realtà era Korg il vero cacciatore. Broge era stato un lottatore per indole oltre che per stazza, e addifettava nella pazienza che invece aveva fatto del fratello un implacabile inseguitore d’animali e uomini, al punto che il Re l’aveva nominato grande cacciatore degli Uomini Tigre, lui che non era nemmeno appartenente alla loro tribù.

Lui e Broge erano due degli scampati alla lunga guerra che il feroce popolo aveva dichiarato a tutto e tutti. Poiché erano in buone condizioni di salute e non erano ancora in grado di impugnare un’arma, furono risparmiati ed adoperati come schiavi nei campi, raccogliendo il cibo per il loro nuovo signore ed i suoi uomini.

Korg però aveva un talento naturale per scovare lepri, uccelli di macchia ed altri animali al punto che venne notato da uno dei sovraintendenti al lavoro degli schiavi che, intuite le sue potenzialità, lo presentò al Re in persona.

Il monarca era divertito dall’abilità dimostrata da Korg e gli propose di seguire i suoi cacciatori nelle loro battute per vedere quanto bravo fosse.

Korg imparò tutto da quei silenziosi e spietati uomini, soprattutto l’attendere ed il seguire senza lamentarsi mai le tracce.

In due anni, Korg divenne il capo-cacciatore e, mentre il fratello si faceva largo nella nuova società d’appartenenza uccidendo altri schiavi nell’arena, aderì alla religione dei conquistatori, venendone iniziato ai misteri.

Korg e Broge servirono come soldati nelle successive campagne di conquista ed erano stati parte dell’orda che aveva conquistato un popolo dopo l’altro, aumentando il potere del Re.

Broge era tutto ciò che gli rimaneva della sua vecchia famiglia, quella che era fuggita lasciandoli dietro di sé, e Broge, nonostante la crudeltà di cui era capace, era stato il più leale e amorevole dei fratelli, proteggendolo sempre dalle angherie a cui gli altri giovani schiavi li sottoponevano, privandosi del cibo per darlo al fratello quando era malato.

Broge era stato tutto il suo mondo e Tor glielo aveva portato via.

Korg seguiva le tracce dal giovane, intenzionato ad avere la sua vendetta. Korg non avrebbe mollato quella preda, fin quando il suo sangue non sarebbe sprizzato sotto la lama del suo coltello.

V

 

Per certo, pensò Tor, Korg doveva essere sulle sue tracce, tracce che per mancanza d’esperienza non sapeva coprire e che, comunque, sarebbe stato difficile nascondere ad un cacciatore abile ed implacabile come quello, per di più motivato dal desiderio di vendetta.

Avanzò nella macchia, stringendo in una mano la clava, la Sacra Reliquia per cui Gar aveva sacrificato due volte la sua vita, il giorno in cui si era esiliato dalla sua gente e poche ore prima, quando la lancia di Broge lo aveva condannato a morte, e nell’altra il dente di Artiglio Veloce, che gli ricordò quanto grande sarebbe stata l’ira del Re degli uomini tigre.

L’avvoltoio, avatar del tetro dio degli uomini tigre era lì, sopra le loro teste ed era stata la sua ombra a fargli intuire che qualcosa non andava, mettendolo in allarme. Il dio doveva essere furioso ed adirato e il Re sicuramente avrebbe fatto di tutto per consolarlo, scongiurandone l’infausta rabbia.

Tor doveva arrivare presso le caverne scure, il più rapidamente possibile.

Evitò solo per un soffio l’attacco della tigre dai denti a sciabola che era acquattata tra alcuni cespugli poco distanti. L’artigliata l’avrebbe sventrato ma era riuscito a schivarla, rotolando a terra e portandosi con quella manovra a circa una quindicina di bracci di distanza dall’animale che già gli ruggiva contro. Si era ricoperto di escoriazioni ma era ancora vivo e questo era già un risultato.

Fuggire, a quel punto, era inutile. Troppo poco il vantaggio e troppo veloce il felino. Doveva tentare il tutto per tutto, come aveva fatto con Artiglio Veloce, sorprenderlo con un colpo improvviso, vibrato all’ultimo istante, forte del suo autocontrollo e della propria determinazione.

Scivolò lentamente di lato, iniziando lentamente a girare intorno alla bestia che lo scrutava, pronta ad ogni istante a spiccare il balzo fatale. Tor studiò ogni suo muscolo, in cerca di un segnale che lo avvertisse per tempo del pericolo ma non ne trovò: la tigre stava prendendo tempo?

Sentì un grande fragore alle sue spalle: scalpitio di zoccoli che pestavano furiosamente il terreno, due versi di sofferenza e rabbia a seguito di un forte impatto.

L’arena gli aveva insegnato a mantenersi imperturbabile, anche in mezzo al caos, perché era la capacità di rimanere saldi e lucidi a fare la differenza tra la vita e la morte.

La tigre balzò, tentando di coglierlo di sorpresa, Tor si mosse di lato ancora una volta, ritrovandosi l’animale a pochi centimetri di distanza, grosso capo pericolosamente vicino al fianco, e le infilò lesto il dente di Artiglio veloce nell’occhio, per quasi tutta la sua lunghezza e poi la tempestò con una grugnola di colpi al capo e al collo, picchiando con la clava, rompendo ossa con tutto il fiato di cui disponeva.

Tor vacillava, la fiera abbattuta a terra, lo stordimento per la fatica che tentava prepotentemente di prendere possesso delle sue membra. Recuperò il dente, il suo trofeo di vittoria, e andò la dove era provenuto il clamore.

Un corna aguzze giaceva morto, dilaniato, a pochi passi da una tigre che si leccava penosamente il fianco aperto.

Uno degli alleati di Gar, sopravvissuto all’attacco contro Korg e Broge, lo aveva seguito e lo aveva protetto dal compagno della tigre femmina che poco più avanti aveva abbattuto.

S’avvicinò alla bestia e la finì con quattro violenti colpi e poi si fece d’appresso al corna aguzze:

“Grazie.” Gli mormorò grato. Usò il coltello d’osso che aveva sottratto ai suoi defunti carcerieri per divellergli entrambe le corna, così come gli era stato insegnato da bambino dal padre, quando lo istruiva sugli antichi riti sacri del suo popolo e poi, infilate le corna nella cintura, proseguì nel suo viaggio, fin quando la foresta delle scimmie urlanti divenne solo un ricordo e si ritrovò a correre verso una alta parete rocciosa dalla cui sommità una cascata finiva dopo una rapida corsa a terra, originando uno spumoso laghetto da cui si dipanava un tortuoso rio.

Alzò in alto la clava e chiamò a gran voce: “BISIRK!!!”.

 

 

 

 

VI

 

I sogni s’agitarono dentro la testa di Tor come guerrieri inquieti, innervositi dall’imminenza di una battaglia ed impauriti dalla vicinanza della morte.

Più e più volte rivisse il giorno in cui il padre, insieme agli altri uomini sacri della tribù venne decapitato sulla pubblica piazza e, ad esso sovrapposto, il giorno in cui suo fratello venne trafitto dalla lancia impietosa di uno degli uomini del Re, colpevole solo d’aver ascoltato le canzoni di un vecchio cantastorie. Ad assistere allo scempio, insieme a lui tornato giovinetto, i muti fantasmi di tutti quelli che aveva sacrificato nell’arena nel nome d’una vendetta che forse non avrebbe mai consumato. NO! Trovò la forza di dirsi in quel mondo onirico. Non vendetta ma la speranza di salvare il suo popolo.

Tor aveva compiuto i diciassette anni e, come gli uomini del suo popolo, non era particolarmente alto: un metro e sessanta, ben dieci centimetri in meno degli alti uomini tigre; il suo volto non era bello, proprio come quello di suo padre, da cui aveva ereditato l’asprezza dei lineamenti e l’austerità delle espressioni. “Uno sciamano non deve essere bello. Uno sciamano dei suscitare rispetto in chi lo guarda.” Così soleva sempre dire l’amato padre a lui e al defunto fratello. Era scritto che il giorno in cui avessero preso moglie, sarebbero divenuti entrambi sciamani: Tor avrebbe preso il posto del padre, divenendo uno degli aiutanti del Grande Sciamano e Gor, il fratello maggiore, sarebbe invece andato presso la vicina tribù degli uomini del fiume, da dove sarebbe dovuta venire la sua promessa sposa, per divenire il loro Sciamano Capo;

ma il destino aveva avuto progetti ben diversi per Tor che aveva conosciuto orrore e tristezza, strappato alla sua vita e gettato a lavorare prima nei campi, conoscendo sulla schiena il morso dello scudiscio e alle gambe la stretta dei legacci destinati agli schiavi, e poi, per un sadico desiderio del monarca dei suoi nemici, nell’arena, dove affrontava per il diletto dei suoi oppressori altri schiavi, spesso provenienti da villaggi distanti e, alcune volte, ragazzi con il suo stesso sangue.

Battaglia dopo battaglia, spinto dal giuramento fatto sul corpo martoriato di Gor, Tor aveva vinto, una battaglia dopo l’altra, apprendendo tutto ciò che poteva sul combattimento e sull’arte dell’uccidere.

Non i paramenti propri degli sciamani ma le vesti e le armi del combattente aveva indossato in quegli anni.

Le sue spalle s’erano allargate, così come il collo, per sopportare meglio i colpi.

La pelle bruna degli uomini della valle s’era ulteriormente scurita, per i duri allenamenti con gli altri combattenti sotto il sole bruciante.

Il naso, ampio e piatto, era cresciuto leggermente storto dopo essere stato rotto ed il corpo, forte di muscoli duri come la pietra, era ricoperto da cicatrici.

Indossava il gonnellino di pelle a copertura dei genitali, tinto di verde, così come era uso fare con quelli degli schiavi degli uomini tigre che si battevano per il loro sollazzo.

Sbarrò d’improvviso gli occhi gettando di lato la tazza che gli veniva offerta e la mano corse istintivamente al pugnale che teneva alla cintura ma non lo trovò e, dopo l’iniziale confusione, di trovò a contemplare il volto di una giovinetta che, più che turbata dalla sua reazione, sembrava esserne divertita.

“Sei tra amici, ora.” Gli parlò con voce allegra.

“Dov’è la clava?...” Chiese tra diffidenza e preoccupazione avvedendosi che non era solo l’arma sottratta ai suoi carcerieri ad essere scomparsa

“Dice il vero. Sei tra amici.” A parlare era stata una figura che pareva essersi materializzata dalle grigie pietre che costituivano le pareti della caverna in cui si trovano.

Bisirk?” Chiese Tor, che era tornato ad essere pienamente padrone di sé.

“Sono io. E tu devi essere l’ultima speranza di Gar, visto che sei stato mandato qui con la Reliquia. Dunque Gar ha abbandonato il mondo di chi respira?”

La voce del vecchio era ancora energica, nonostante l’età, al punto che si faticava a credere potesse provenire da quel corpo minuto ed ormai consumato.

“I nostri nemici hanno reclamato la sua vita ed è stata tutta colpa mia, confessò senza reticenze, incapace di perdonare la sua avventatezza, mia e della stupidità che ha guidato le mie azioni.”

“Ragazzo, lo redarguì benevolo il vegliardo, non essere troppo ansioso di addossarti colpe che non sono le tue. Da tempo Gar sapeva la sua vita sospesa ad un filo e, presto o tardi, l’inganno non avrebbe più tenuto le mani del dio degli uomini tigre e del re al suo servizio lontane da lui.

La Reliquia era la cosa più importante e tu l’hai salvata, rendendo giusto tributo all’anima di un uomo saggio e virtuoso come lo è stato Gar.”

“Le tue parole sono generose e rasserenanti, oh uomo delle Caverne Buie. Tuttavia non riescono a lenire ancora pienamente il mio dolore.”

“Ne pretendo che lo facciano, giovane uomo della valle. Il tempo e il coraggio che saprai dimostrare lo faranno.”

“Perdona la rudezza con cui te lo chiedo: ma come fai a sapere della Reliquia? È chiaro che conoscevi Gar, e lo conoscevi bene ma che tipo di rapporto c’era tra voi se addirittura è arrivato a confidarti il più importante segreto della nostra tribù? Inoltre, prima di morire, Gar mi ha detto che voi siete l’unica tribù non sottomessa a quella degli uomini tigre perché nessuno sa della vostra esistenza. Com’è possibile? Chi siete veramente?”

Bisirk guardò con benevolenza il giovane Tor: ne aveva passate molte e lo si capiva dal suo sguardo, dunque decise che avrebbe saputo.

“Io sono Bisirk, figlio di Parak che fu mio predecessore alla guida della Tirbù degli Uomini delle Scure Caverne.

C’è stato un tempo in cui eravamo conosciuti al mondo con il nome di Uomini degli Alberi Alti.

Si, la tua espressione mi fa capire che hai udito delle storie sui nostri avi.

Prima di tutto, devi sapere, la nostra storia, come la vostra, è legata a doppio filo a quella della Sacra Reliquia.

Noi e gli uomini della valle, la tua gente, discendiamo dalla stessa Tribù madre, ed entrambi siamo votati al preservare il Ramo Santo.

Devi sapere che, come tutti gli uomini, noi veniamo dal Giardino, la Prima Casa dell’umanità, ove per generazioni dimorò la Prima Tribù, quando l’unica lingua parlata era la loro, all’ombra di Yllrog, l’Albero della Vita, il primo ad essere comparso sulla terra e la fonte di tutti i nostri spiriti.

Il ramo che tu hai utilizzato come se fosse una clava, in realtà, è un ramo di Yllrog, e questo ramo rappresenta la chiave per poter rientrare nel Giardino da cui l’umanità migrò quando si rese conto che il suo novero stava crescendo troppo velocemente.

Poiché l’Albero era il garante dell’equilibrio tra terra e cielo e tra viventi e spiriti, i nostri progenitori decisero di lasciare quelle terre beate al fine di non consumarle, compromettendo l’esistenza del legno primigenio e Grandi Sciamani di allora protessero il luogo con degli incantamenti potentissimi.

Il Ramo era parte di questi incantamenti e doveva essere conservato al fine di far si che il Giardino rimanesse inaccessibile e dunque al sicuro da eventuali malintenzionati.

La tua gente e la mia, Tor, erano stati investiti dell’onere e dell’onore di badare che la Reliquia non finisse mai in mani sbagliate.

Il popolo della Valle avrebbe conservato materialmente la Reliquia e noi saremmo intervenuti in caso di necessità.”

“E poi? Cosa accadde?” Chiese Tor incuriosito dal racconto di Bisirk.

Il terzetto si muoveva lungo un corridoio naturale, illuminato dalla luce di piccoli focolari accesi ai margini del percorso. Il fumo si alzava in delle spire che giungevano sino al soffitto. Che vi fossero dei fori che contribuivano a dissiparli? Si chiese Tor.

“Ai tempi in cui eravamo ancora gli uomini degli Alberi Alti già la minaccia degli uomini tigre era nota. Essi si stavano espandendo dalle terre che stanno oltre il deserto, sconfiggendo, una dopo l’altra, le tribù della nostra terra.

I nostri saggi decisero che non avremmo mai avuto la forza di opporci a loro direttamente e perciò decretarono che il nostro intero popolo si sarebbe dovuto nascondere nell’ombra, da dove avrebbe atteso, ideando nel frattempo un piano per sconfiggerli quando sarebbe stato il momento migliore.”

“E quale sarebbe stato per voi il momento migliore?” Tor non nascose il risentito sarcasmo che provò per un istante, pensando al fatto che la sua gente aveva combattuto, venendo tragicamente sconfitta mentre i discendenti degli uomini degli Alberi Alti vivevano al sicuro.

“Quando la grande bestia avrebbe avuto la certezza d’aver vinto ogni battaglia. Quando il suo ventre sarebbe stato gonfio del cibo rubato e la mente ottenebrata dalle libagioni mesciute dai propri schiavi. Allora, Tor, avremmo colpito.” Nessuno sdegno per i sentimenti poco prima ostentati ma solo comprensione che acuì il senso di colpa di Tor per la sua scortesia.

“Perdonatemi, oh venerabile Bisirk.” Fece mortificato.

“Non ho nulla da perdonare a chi come te ha tanto patito, Tor. Pensa però a quanto ha patito il mio popolo. Lasciammo volontariamente le nostre terre, rinunciando all’abbondanza della valle per questo sterile terreno, al calore del sole per la perenne penombra prodotta dalla lotta tra i nostri fuochi e le tenebre. Viviamo di caccia, condotta di nascosto, quasi fossimo dei ladri, attenti al numero delle nostre nascite perché questo luogo non può ospitare e sostenere troppi di noi.

Ogni sforzo degli uomini delle Caverne Buie è stato rivolto al prepararsi alla guerra finale e, credimi, quando gli uomini tigre giunsero qui come predetto, ci costò assai rimanere in disparte.

Rimanemmo in queste fredde caverne, note solo al nostro popolo e ai saggi della tua tribù, con cui rimanemmo in segreto contatto. Gar, come Grande Sciamano, conosceva la verità ed io e lui, per tanti anni, ci siamo incontrati di nascosto per cercare una comune soluzione al pericolo che ci minacciava tutti.

Ti giuro, oh Tor, su tutto ciò che ho di più sacro, che presto ci riscatteremo.”

Tor annuì. “Rivelami come questo avverrà.”

“Forse proprio grazie a te.” Rispose criptico Bisirk.

Tor non approfondì ma lo seguì docile.

L’occhio cadde più volte sui generosi fianchi della fanciulla che li precedeva nel cammino, facendogli da guida.

Era slanciata e molto giovane, forse aveva compiuto i tredici anni, l’età del matrimonio per le fanciulle della valle. I capelli erano corti, alla foggia degli uomini e delle donne che abitavano quelle terre, la carnagione era schiarita da una vita condotta per la maggior parte del tempo al buio, i suoi seni erano appuntiti ed erano coperti da un leggero tessuto vegetale, un pezzo unico stretto alla vita da una cintura costituita da una semplice corda che copriva anche il pube, scendendo fino alle ginocchia. Le natiche erano ben in vista ed invitanti, rese ancora più desiderabili dal passo fiero di una donna forgiata da un secolo di paziente attesa e rinunce.

Tor, per la seconda volta, provò una forte vergogna: non era di certo il momento per pensare a giacere con una donna; lui questo piacere l’aveva già provato, visto che gli era stato ingiunto di accompagnarsi a diverse schiave, spesso per il sollazzo degli uomini del Re o per quello del Re in persona.

“Quella, è mia figlia Basime.” Era stato Bisirk a richiamarlo dalle sue riflessioni.

“Davvero?” Tor cercò di camuffare il suo imbarazzo.

“Somiglia molto a sua madre. La mia terza moglie. Mi ha dato solo due femmine di cui lei è l’unica sopravvissuta. È molto bella ed è normale per un giovane come te pensare di concupirla. Affermò sereno e senza biasimo. Hai una promessa sposa?”

“Io, l’avevo.Disse, chiedendosi se fosse stato vero quello che il Re degli uomini tigre aveva affermato, che la famiglia del vecchio amico di suo padre fosse stata completamente sterminata. Non sono certo sia ancora viva.”

“Se dovesse esserlo, capisco che vorresti ottemperare al tuo dovere e farla tua ma, una volta che t’avesse dato almeno un figlio, sarei lieto se volessi prendere anche mia figlia come tua moglie.”

“Davvero?”

“Sei pur sempre il figlio di uno sciamano della tribù degli uomini della valle, un buon lignaggio, inoltre hai dimostrato di essere uomo forte e coraggioso. Sarei lieto di rinsaldare i rapporti di parentela tra le nostre genti con siffatto matrimonio. Mi daresti per certo dei buoni nipoti, magari anche un erede degno della mia carica. L’erede designato che generai dai miei lombi è morto due anni fa, durante una battuta di caccia e l’altro non è all’altezza e fin’ora, mi pare, che anche i figli che ha generato non siano all’altezza.”

“Se vinceremo la tirannia del Re e dei suoi sudditi, allora Bisirk, sarò lieto di poterti accontentare. Se Hamani è ancora viva, la sposerò e dopo aver generato il primo figlio con lei, prenderò anche tua figlia come moglie, così come vogliono le nostre leggi. Altrimenti, oh saggio amico, sarà lei la mia prima moglie e sarà il suo ventre a partorire il mio primo figlio.”

A Bisirk piacque quel discorso. Era degno del figlio di uno sciamano e si disse che, se mai la lunga schiavitù fosse finita, sicuramente Tor avrebbe potuto completare il suo percorso iniziatico e divenire lui stesso uno sciamano, magari il nuovo Grande Sciamano al posto di Gar. Gar ne sarebbe stato senza dubbio contento.

Tor, guarda davanti a te, lascia che ti presenti l’uomo che potrebbe salvarci tutti.”

Tor venne introdotto in un angusto ambiente, una cella ricavata da un rientranza naturale delle grotte dove si trovavano, simile a quella dove lui aveva riposato per diverse ore e dove vivevano i suoi ospiti.

Era scarsamente ammogliata: solo una stuoia a terra, su cui stavano un po’ di foglie e fibre vegetali; un uomo stava seduto a gambe incrociate su di esse.

Sollevò verso di loro uno sguardo che a Tor parve strano, così come gli parve strano che non vi fosse nemmeno un piccolo fuoco acceso lì.

Quando la luce della torcia che Bisirk aveva acceso da uno dei focolai del corridoio illuminò quel volto rugoso s’avvide che era cieco.

 

 

VII

 

“Sono Jomi, figlio di Javi e similmente a mio padre, per anni, sono stato un raccoglitore. L’uomo raccontava i fatti della sua vita in modo calmo ed ordinato, senza tradire emozione alcuna. Aveva offerto dell’acqua ai suoi visitatori, prendendola da un’anfora che Tor, in un primo momento, non aveva visto, e servendola in dei piatti di terra cotta che si trovavano lì vicino. Tor accettò con piacere e ascoltò con grande attenzione la sua storia. Ero esperto di piante ed erbe, soprattutto e quando assistetti al prodigio, credimi, non avevo idea di come la mia vita potesse cambiare. Ero intento a trovare dei medicamenti per un mal di denti che affliggeva il figlio di un mio amico e che correva il rischio di divenire causa della sua morte. Pioveva ed il cielo era coperto, come non lo si vedeva da tempo ma io sfidai gli elementi e decisi comunque di uscire e dedicarmi alla mia cerca. Fu fruttuosa ma mentre raccoglievo la radice di cui avevo bisogno, una folgore s’abbatté su delle rocce poco distanti da me. Il fuoco sceso dal cielo mi risparmiò ma le scintille che il suo bacio alla Madre Terra aveva generato colpirono i miei occhi, rendendoli inutilizzabili. Ero stato testimone del convegno amoroso tra cielo e terra. Suppongo fosse il prezzo da pagare. Mentre arrancavo nelle tenebre le mie dita toccarono qualcosa, qualcosa di rovente al punto tale da ustionarle ma che non ricordavo d’aver mai toccato prima. Riuscì a tornare abbastanza vicino alle caverne da essere soccorso e con me avevo portato quella strana, nuova sostanza mai vista prima.

Purtroppo non avevo più con me le radici e il figlio del mio amico, dopo pochi giorni, morì. Suppongo fosse anche quello un prezzo da pagare.

La sostanza che avevo tra le mani era dura e, come seppi poi, grigia alla vista.

Scoprimmo che gli spiriti sembravano temerla, fuggendola e che i colpi di una pesante pietra vibrati da un uomo vigoroso non riuscivano a romperla.

Quello che non ti ho detto subito è che quando divenni cieco, ebbi delle visioni. Non sono un uomo sacro e dunque non avrei dovuto averne ma così accadde e ho visto un mondo, un nuovo mondo, dove gli uomini vivevano raccolti in alte torri, non di legno e fango ma di quello strano, resistente materiale. Ho visto gli spiriti fuggire senza più una casa da quei villaggi enormi, in cui l’umanità si era trasfigurata, somigliando alle formiche che scavano laboriose nelle loro tane.

Scoprimmo poi che tale materiale poteva essere modellato, se scaldato a sufficienza ed ecco cosa ottenemmo dopo diverse prove: il vecchio cieco estrasse da una nicchia nel muro un grande anello, non fatto di legno o di osso ma grigio, d’un grigio come Tor non aveva mai visto, e rilucente alla luce della torcia. Il Ferro. Così lo chiamammo. Primo Ferro, perché è il primo che sia mai stato trovato dall’umanità. Nato dal fuoco e dal cuore della pietra e forgiato dagli esseri umani. Un giorno essi impareranno ad ottenerlo in abbondanza e costruiranno case e un gran numero di strani oggetti con il ferro. Così ho visto e ho visto anche che il ferro che verrà prodotto un giorno dai nostri figli, non sarà mai come questo, pur condividendone gran parte delle proprietà.”

“Perché un anello?” Tor voleva una risposta mentre scrutava come ipnotizzato il ferro.

“Questo grande anello, riproduce l’ultima cosa che ho visto prima di finire accecato: un grande cerchio di luce nel cielo; ne avevo sentito parlare: il segno che un fulmine sta per cadere e che da te prenderà qualcosa. A me, invece della vita, ha preso la vista ma è poco male, rispetto a quello che ne è venuto.

Questo Primo Ferro aveva delle proprietà uniche, proprietà conservate anche quando è stato modellato in queste caverne. Sono stato io stesso, nonostante la cecità, a lavorarlo, finendo l’opera iniziata dal ferro quando lo toccai la prima volta. Mostrò con orgoglio le ustioni sulle sue mani, riportate nonostante avesse usato l’accortezza di non toccare direttamente il ferro rovente. Quando Bisirk è venuto a consultarmi, chiedendomi se al giovane della tribù della valle che era giunto qui dopo aver affrontato dure prove, il Primo Ferro avrebbe potuto essere d’aiuto, ho subito capito che era giunto il momento di compiere il mio destino. Guarda, giovane uomo.

Batté le mani e due robusti guerrieri entrarono nella cella, recando seco la Sacra Reliquia. La portavano con grande rispetto e Tor fu grato che fosse ancora integra e al sicuro. Jomi protese l’anello, grande come il pugno di un uomo adulto verso la clava e ai presenti sfuggì un’esclamazione di sorpresa quando videro che entrambi gli oggetti ebbero come un sussulto. Il vecchio cieco sorrise soddisfatto. La Clava viene dall’Albero Originale, progenitore di tutti gli altri e fonte dello spirito, mentre il Vero Ferro è il prodotto della passione tra il Cielo e la Terra. Essi rappresentano l’inizio della vita come la conosciamo e ciò che tra generazioni essa sarà: siano benedetti gli avi perché ora, ne ho la certezza, so perché diedi tale forma al Primo Ferro!” Nonostante la sua cecità pareva che, in quel momento, Jomi fosse in grado di vedere i due più importanti oggetti della storia umana e le sue parole parevano ispirate da una fonte superiore.

Bisirk! Bisirk! Il giovane guerriero irruppe rapido negli appartamenti di Jomi, ridestando tutti dallo stato di contemplazione in cui parevano sprofondati.Venerabile Bisirk! Vi prego, prestatemi orecchio!”

“Cosa accade Talim figlio di Turrod?! Cosa può spingere un giovane rispettoso e come te a interrompere un momento così sacro in siffatto modo?” Bisirk era preoccupato, sapeva che l’ambasciata di Talim non avrebbe portato nulla di buono.

“Grande e saggio Bisirk! Il perimetro delle Caverne Oscure è stato violato e nei suoi pressi sta un gigante di grande forza e, purtroppo, uno dei vostri nipoti, Baras è morto cercando di tendergli un agguato! Baras s’è mosso con grande perizia, mentre l’invasore stava presso i corpi inermi di due guardiani che a sua volta aveva aggredito dalle ombre ma i suoi sensi erano quelli d’una bestia cacciatrice e così la sua rapidità. Baras, se pur abile col coltello, non è riuscito nella sua impresa ed egli ora ha raggiunto i nostri antenati.

Bisirk sgranò gli occhi ma riprese subito il controllo. Baras era il suo secondo nipote e sebbene non fosse adatto a succedergli, il nonno ne aveva sempre ammirato la forza e la prodezza come guerriero e lo teneva caro al cuore.

Bisirk, Tor pose consolatrice un mano sulla spalla del vecchio su cui, d’improvviso, il peso degli anni parve gravare ancora più impietoso, il tuo lutto è il mio lutto.”

“Giovane Tor, grazie per le tue parole, degno senza dubbio dei tuoi ancestori ma ora non è il tempo per piangere i morti. Tre dei miei guerrieri giacciono senza vita e un invasore, forse, minaccia il segreto che ci ha tenuti tutti in vita per generazioni.”

“Conosco quell’invasore, mio generoso Signore, perché è colui il quale mi ha dato la caccia fin qui. Non mi sbaglio, perché se fosse stato un soldato del Re degli uomini tigre, sarebbe già corso dal suo sovrano per avvertirlo della presenza di uomini armati appartenenti ad una tribù sconosciuta trovati in questa zona. No, costui è Korg, fratello di Broge la cui vita ho strappato dal corpo con queste mie stesse mani. Il mio dolore per la tua perdita è raddoppiato, perché sono io la causa della sua presenza qui e dunque mia è la colpa della morte del tuo sangue.”

Tor, la morte della mia discendenza è colpa di questo Korg, non tua. Sarà un piacere per me, ordinare ai miei uomini di prendere la sua testa e infilzarla su di un palo.”

“Vi prego di trattenervi dal dare tale ordine, generoso Signore. Ti assicuro che se bene lo superiate in numero, Korg prima di rendere l’ultimo respiro, si porterebbe dietro più d’uno dei vostri uomini. Lo so, lo conosco bene. Inoltre, anche se mi sollevate per vostra bontà da ogni responsabilità nella morte di tuo nipote, non posso pensare che senza la mai venuta sarebbe ancora vivo ed ancora, è Korg che scagliò la lancia contro Gar, condannandolo a morte. Dunque, mi appello alla tua magnanimità e ti chiedo di lasciare ch’io sia il braccio che compirà la tua giusta vendetta.”

Bisirk annuì soddisfatto: “Ben detto, Tor. Sento ardere in te il giusto sdegno del guerriero. Vai, dunque. Hai la mia benedizione ma bada bene di tornare qui da me. La tua missione è ben lungi dall’essere finita.”

Tor non aggiunse altro ma si limitò a ringraziare silenziosamente. La giovane figlia di Bisirk gli lanciò un’occhiata che se non fosse stata per il desiderio di vendetta per la morte dello zio sarebbe stata piena di desiderio per quello straniero dal corpo vigoroso e pieno di cicatrici. Jomi era soddisfatto: era certo che colui che ora stava andando incontro al duello mortale fosse degno di portare l’arma formidabile che si apprestava a costruire.

 

VIII

 

Korg s’ergeva sul corpo senza vita del nipote di Bisirk come un predatore avrebbe fatto trionfante e gonfio della propria forza sull’inerme preda.

Il suo capo era adorno del cappuccio del Migh, il titolo proprio di chi era il “Primo Cacciatore” del Re. Lo aveva portato con sé all’inizio di quella missione perché lo considerava il suo porta fortuna ma aveva preferito non indossarlo perché l’eliminazione di Gar non era come l’abbattere una pericolosa fiera. Ora era diverso: era lì per uno scopo personale e quello che si apprestava a fare era di molto più importante che non una battuta di caccia.

Un abbondante e lungo rivolo di sangue partiva dal capo del ragazzo e s’andava perdendo tra la bassa vegetazione che segnava il confine tra foresta e le aspre rocce in cui s’aprivano le Scure Caverne.

La radura, circa duecento passi d’uomo dalla fine degli alberi alle pareti di scura pietra, non era luogo adatto per un’imboscata ma non era questo il sentimento di Korg: era lo scontro aperto quello che bramava; anziché tornare indietro dal Re avvertendolo di quanto accaduto, aveva cercato vendetta per Broge, condannandosi così a morte: il Signore degli uomini tigre non era pietoso con qualcuno che lo deludeva, né tanto meno con chi non s’atteneva ai suoi ordini; la morte era un piccolo prezzo, si disse, per poter uccidere Tor.

Proprio l’uomo che aveva ostinatamente cercato comparve all’orizzonte. Anche se apparentemente solo, Korg sapeva dovesse esserci un’invisibile scorta a sincerarsi che il duello si svolgesse solo tra loro due.

“Sta bene.” Mormorò il gigante.

“KORG! Tor avanzava con passo misurato, senza alcuna fretta, lo sguardo fiero e il tono della sua voce che lasciava intendere fossero giunti alla resa dei conti. Ti sei macchiato di numerosi delitti nel corso della tua vita, Korg! Uccidere il giovane che sta ai tuoi piedi è l’ultimo in ordine di tempo. Sappi che oggi pagherai per ogni tua colpa.”

Korg sorrise sprezzante: “Il giovane che giace qui ai miei piedi, cercò di prendersi la mia vita ma non fu abbastanza abile, anche se gli riconosco il merito del coraggio. Strano che a parlarmi di delitti sia proprio tu, Tor! Non sei tu che scendevi nell’Arena per il divertimento del Re? Non sei tu che hai ucciso con le tue stesse mani diversi tuoi consanguinei?”

Tor ebbe un fremito di sdegno: “Tra me è te c’è grande differenza, Korg! Tu hai abbracciato con gioia la servitù al Re, io l’ho fatto solo nella speranza, un giorno, di poterlo rovesciare.”

“Belle parole! Korg pestò in terra un piede scimmiottando il segno d’assenso nelle pubbliche riunioni di molte delle tribù che abitavano quelle terre. E sicuramente molto comode! Non dimenticare, Tor, ch’io ti conosco e conosco bene il significato di vivere sotto la schiavitù! Non sono sempre stato Mighkorg, il Primo Cacciatore del Re. Sono stato costretto alle più infime umiliazioni ma, credimi, non ho mai pensato di dare alla vendetta il prezzo di chi aveva il mio stesso sangue. Ed ora, Tor, non indugiamo oltre: mio fratello attende la pace che gli darà la tua morte.”

Korg estrasse dalla cintura un coltello d’osso, simile a quello di cui era armato Tor, solo leggermente più lungo e ricurvo, il manico scanalato per garantire una presa migliora.

Tor cominciò a muoversi di lato, agile e veloce, girandogli in tondo, tentando di confonderlo e fargli abbassare la guardia, il coltello proteso innanzi a sé. A separarli pochi passi ormai che andavano diminuendo man, mano che Tor, seguendo un’invisibile spirale, gli si faceva sempre più d’appresso.

Il gesto di Korg fu rapido: Tor non s’era avveduto del sasso che teneva nascosto stretto nell’altro pugno e la dura pietra lo colpì in volto facendolo barcollare all’indietro; Korg urlò di selvaggia e soddisfatta gioia ma il suo coltello ghermì solo l’aria perché Tor era stato veloce e con un abile gioco di bacino s’era scansato, facendo ‘si che l’arma portatrice di morte sfiorasse solo la sommità del suo capo. Tentò a sua volta, confidando nella sua abilità, di attaccare portando un affondo diretto al ventre di Korg che per tutta risposta, invece, ruotò sul tallone svuotandosi di lato.

Il secondo colpo che il cacciatore vibrò andò a segno e gli Uomini delle Caverne Buie, insieme al loro Signore, Bisirk, trattennero il fiato lì dal clivo dove stavano seguendo lo scontro, temendo il peggio.

Il sangue colò dalla guancia lacera di Tor che per poco non aveva perso l’occhio destro. Il suo braccio era stato veloce nel piegarsi, il pugno all’altezza  del naso, impedendo alla punta del coltello di continuare la sua corsa verso l’alto. Il dolore alla spalla fece agire immediatamente Tor, consapevole che non avrebbe bloccato per più di una frazione di secondo il possente braccio dell’altro e colpì, facendo scattare l’arto con tanta foga ‘si che il pugno s’abbatté sul naso di Korg.

Il colpo provocò l’arretrare del Might e, per aumentare la distanza, Tor rincarò la dose con un calcio sferrato ai genitali che stavolta Korg riuscì a prevenire, perdendo comunque un po’ di terreno.

“Fa male?” Chiese schernendo il giovane.

“Non quanto quello che tra poco ti farò.” Risoluta fu la risposta di Tor che s’avventò con l’ardore di chi combatte non solo per la propria vita ma per il destino del mondo intero. Fintò, simulando un attacco mirato alla tempia ed invece, portò lo scontrò corpo a corpo chiudendo rapido le distanze.

Ne seguì un rapido scambio di ginocchiate mirate a fegato e milzia.

Tanto Tor, quanto Korg, sputarono grandi quantità di succhi gastrici frammisti a sangue cercando, al tempo stesso, di utilizzarli per accecare l’avversario.

Korg era fisicamente più forte di Tor che, da esperto lottatore quale era, sapeva che specie in questi casi, un combattimento doveva essere concluso subito altrimenti avrebbe inesorabilmente perso.

Il coltello di Tor, più corto, era molto più facile da manovrare a quella distanza ridotta e lo frappose tra sé ed il proprio avversario che non capì per tempo le intenzioni dell’altro.

L’uomo della valle si gettò di peso contro Korg e gli infilò la punta al di sotto del diaframma, spingendola sin quasi alla colonna vertebrale.

Ci fu sorpresa quando, anziché biasimo e rancore, negli occhi di Korg vide la pace:

“Mi riunisco al mio amato fratello, sconfitto da un degno avversario. Vendica non solo la schiavitù della tua gente ma anche di tutte le altre che hanno patito sotto l’ingeneroso tallone degli uomini tigre. Ora… la sua voce era sussurro smorzato dal liquido rosso che s’accumulava nella gola, sei tu il nuovo Migh. Mightor, uccisore di Mighkorg.” Pronunciò quelle ultime parole quasi fossero state uno scherzo di quelli che i ragazzi, in giovane età, fanno tra di loro e “Broge” fu l’ultimo nome che chiamò in vita.

Il Popolo delle Caverne Buie esultò, ululando di gioia alla vista del campione che aveva trionfato sull’invasore ma Tor era insensibile ai loro festeggiamenti. Più che le ferite erano le parole di Korg a bruciargli: quanto aveva davvero sacrificato per la sua causa? Korg e Broge erano davvero tanto più malvagi di quanto lui stesso fosse stato? Aveva mai risparmiato qualcuno nell’arena, o lesinato inganni e slealtà pur di poter trionfare, conservando la propria vita? La giustificazione che in tutti quegli anni si era dato gli parve, improvvisamente, più egoistica e cinica di quanto non avesse creduto.

 

 

Fine episodio.