Yuri Lucia

 

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Di Yuri Lucia

 

CAPITOLO PRIMO

 

L’Inizio del Viaggio.

 

IV

 

Alessandria d’Egitto – 19 Dicembre 1941

 

 

1

 

“In culo agli inglesi!” Sibilò soddisfatto nell’ombra Augusto Bonpiani. I suoi occhi si mossero da una parte all’altra dell’orizzonte per cogliere movimenti sospetti e rise selvaggiamente nel vedere la colonna di fumo alzarsi dalla  Queen Elizabeth, orgoglio della marina di Sua Maestà Britannica, per merito dell’azione di un manipolo di eroi suoi compatrioti. La missione era stata un successo, sebbene non completo.

Una serie di sfortunati eventi aveva portato alla cattura di alcuni suoi compagni, mentre già lo sapeva, altri sarebbero stati fatti prigionieri il giorno successivo.

Purtroppo c’era un prezzo da pagare per ogni cosa e l’unico modo per compiere l’altra missione, quella  di cui nemmeno i coraggiosi guerrieri della X Mas sapevano nulla, era stato affidare l’organizzazione della fuga dall’Egitto a degli autentici incompetenti.

Si chiese tristemente se sarebbero stati torturati. Sputò in terra e si disse che quelli erano veri soldati, fedeli alla Patria e alla Causa. Non avrebbero detto nulla.

Si allontanò, anche se a malincuore ma si concedette un’ultima occhiata in direzione della nave da cui stavano ancora scappando alcuni marinai.

“Riparatela ora, teste di cazzo.” Alzo indice e medio indirizzandoli idealmente al nemico e s’allontanò, mantenendo un profilo basso.

S’era liberato rapidamente di gran parte dell’equipaggiamento, dirigendosi verso il mercato della città, tutto in subbuglio per quanto era accaduto. La Guerra aveva colto alla sprovvista quelle genti non perché non vi fossero abituati ma perché era una guerra di stranieri in casa loro.

Volti arsi da generazioni di sole cocente e dall’ingeneroso vento del deserto, barbe lunghe ed ispide, un pungente odore di sudore umano misto agli escrementi di cammello, abiti colorati come le tende d’un circo e turbanti sporchi. Una marea che si trascinava, correva in modo disordinato per andare ad assistere a quell’inatteso spettacolo, i bambini che sgattaiolanvano tra le gambe degli adulti per guadagnare un posto in prima fila, per assistere all’umiliazione dell’orgoglio britannico.

“Buono spettacolo.”  Gli augurò con un pensiero Augusto.

Tutti i sensi erano acuiti dall’urgenza del momento. Tra poco i soldati delle truppe Alleate avrebbero invaso quella parte di città in cerca dei sabotatori o di qualcuno da interrogare e lui, così com’era, non passava sufficientemente inosservato.

L’avevano preso in giro, i suoi commilitoni, per quella barba riccioluta che si era fatto crescere contrariamente ad ogni regolamento ma la scommessa vinta con uno dei suoi superiori, gli aveva garantito quel bizzarro privilegio. Non poteva dirgli che faceva parte del piano. “Perdonatemi”, si scusò mentalmente con loro, rivedendone i volti sorridenti e risentendo le acute e genuine risate durante l’ultimo festeggiamento prima di imbarcarsi per quella missione.

Quella barba l’avrebbe aiutato a sembrare più simile ad un mussulmano così come la pelle arrossata dal sole ma doveva indossare il vestiario giusto.

Riconobbe il cenno convenuto del contatto che gli era stato detto avrebbe trovato in loco.

Il mercante gli fece segno di seguirlo dentro la sua tenda dove, senza esitazioni s’infilò.

Non si dissero nulla. Nemmeno una parola.

Lui si liberò degli scarponi, dei pantaloni, anche della canotta e delle mutande.

Non poteva tenere con sé né la pistola d’ordinanza, né il coltello che di solito usava.

“Lo conserverò io per te.” Furono le uniche parole che sentì pronunciare all’uomo. Rispose solo con un cenno della testa ed indossò lesto gli abiti che gli venivano dati.

Uscendo dalla tenda lesse il biglietto consegnatogli con su le istruzioni, in arabo, sul dove reperire le informazioni e l’attrezzatura necessaria a proseguire nell’impresa.

Così conciato, si sentì meno fuori luogo in quel mondo fatto di schiamazzi, suoni aspirati ed alieni, mani che s’agitavano nervose e merci disposte alla rinfusa in banchi sormontati da tende o su sudice stuoie a terra.

C’era una casa in cui avrebbe incontrato il suo contatto, poco fuori dal centro abitato e doveva raggiungerla prima che le strade venissero bloccate.

Memorizzare la mappa della città era stata un’ottima idea anche se gli era costato il tempo libero, poco, concesso dalle dure sessioni d’addestramento con la X Mas.

In mezz’ora raggiunse l’obbiettivo e, dopo aver bussato quattro volte, la porta gli venne aperta.

“Hassan Ibrahim” disse all’uomo che gli aveva aperto, producendosi in una buona imitazione dell’accento locale, imitazione che non avrebbe tratto troppo a lungo in inganno un egiziano ma che avrebbe persuaso un anglo-americano di aver a che fare con indigeno.

“Prego, seguimi.” Invitò l’altro, conducendolo al piano superiore passando per delle strette e ripide scale di pietra.

In quello che appariva come una mansarda ricavata costruendo un controsoffitto, seduto su alcuni cuscini stava il suo contatto.

Purtroppo il suo aspetto lo identificava troppo rapidamente come proveniente da altri luoghi.

L’italiano ringraziò brevemente il fiancheggiatore egiziano che ricambiò con un lieve inchino del capo e lasciò soli i due.

Augusto studiò l’altro che lo ricambiò con un’occhiata preoccupata.

“Sergente Bonpiani?” Chiese quello e subito Augusto capì che non avrebbe avuto vita facile.

“Non usi mai più quel cognome o tanto meno il mio grado.” Rispose in tedesco.

“Mi scusi …” Balbettò il ragazzo, che inforcò un paio di occhiali dalle lenti tonde per guardarlo meglio.

Aveva 23 anni, anche se ne dimostrava di meno, ed era uno degli uomini preferiti della Società Segreta di Thule. Era stato addestrato in seno alle S.S. per essere un perfetto cavaliere della causa tedesca dopo aver conseguito una laurea in storia antica presso l’università di Jena e la specializzazione nel periodo Alto-Medievale presso quella di Berlino. Solo un anno prima aveva pubblicato il suo primo libro. Gli occhi azzurri del ragazzo lo guardavano preoccupati.

“A Wellwelbourg vi prendono appena usciti dalla scuola ora?”

“Come?” Il giovane non aveva colto l’ironia di Augusto, ironia dettata dal senso di fastidio che provava. Gli era stato detto che il Professor Heinrich Petersen era un agente preparato ed esperto. Augusto sollevò il sopraciglio ad esprimere il suo scetticismo riguardo quell’informazione la cui attendibilità stava vagliando in quel momento.

“Nulla. Dovremo muoverci presto, domattina all’alba. Non un minuto dopo.”

“Sono pronto!” Dichiarò con orgoglio quello, gonfiando il petto quasi a voler sembrare convincente nella sua affermazione.

“Speriamo sia davvero così.” Replicò semplicemente Augusto.

 

2

 

La temperatura s’era bruscamente abbassata all’esterno e nonostante le finestre chiuse faceva un certo freddo. Scesero al piano di sotto dove accesero il focolare ed Augusto preparò per entrambi una pentola di verdure stufate e alcune fette di agnello che fece cuocere poggiandole sulla pietra. Il grasso sfrigolò, alimentando piccole vampate che il ragazzo osservò affascinato.

C’era voluto tempo per identificare il luogo di cui si parlava nelle Cronache e capire che la reliquia potesse essere stata nascosta lì. Il problema era che Alessandria era caduta in mano alle forze degli alleati e che l’unico modo per entrarci eludendo la sorveglianza che era stata posta agli scavi del Professor Morara era quello di utilizzare come copertura una qualche missione ufficiale e quando erano venuti a conoscenza dell’intenzione della X Mas di portare a segno quel colpo alla Marina Inglese, ad Augusto non era rimasto che farsi ammettere nei loro ranghi.

Aveva combattuto nei reparti speciali e gli era piaciuto e poterlo fare nuovamente con uomini di quel calibro, era stato un vero onore per lui. Gli doleva l’aver dovuto mantenere tanti segreti con siffatti camerati, soprattutto l’esser a conoscenza che era stato fatto in modo che il rischio d’essere catturati rimanesse alto. Gli alleati sarebbero stati occupati con loro e lui, insieme al giovane Petersen, avrebbe potuto raggiungere il luogo di cui Morara aveva parlato.

Gli sembrava quasi di averli traditi tutti, e forse era così, sporcando in qualche modo un’impresa degna d’essere ricordata nei decenni a venire. Sperò vivamente che nessuno venisse mai a conoscenza di quel fatto. La X Mas non meritava nessun ombra sulla propria storia.

Servì da mangiare a sé stesso e al Professore che dopo un paio di cucchiaiate di stufato di verdure chiese: “Lei cosa crede che troveremo? Intendo nella Tomba del Monaco Rosso.”

Augusto sospirò: “Non ne ho la minima idea ma Morara era convinto potesse essere qualcosa che avrebbe cambiato il corso della Guerra e della Storia stessa.”

“Lei è si interessa di storia?”

“Perché? Non ne ho l’aria?” Augusto si divertì a simulare risentimento per quell’affermazione e l’altro s’affrettò a riparare a quella che aveva interpretato essere una gaffe imperdonabile.

“No! Mi perdoni! Non intendevo di certo questo! Volevo solo conoscerla meglio.”

“Mmpf, borbottò dopo aver preso un po’ di stufato, dovremmo conoscerci il meno possibile invece perché se uno di noi venisse catturato, non potrebbe rivelare nulla. Nemmeno sotto tortura.” Gettò quell’ultima frase lì, come se fosse una cosa scontata. Con una rapida occhiata data con la coda dell’occhio vide il giovane deglutire, come s’era aspettato.

“Non mi dirà che crede a quelle storie per cui gli americani e gli inglesi …”

“Ci creda. Sono tutte vere. Siamo in guerra e, se servono informazioni, soprattutto informazioni che potrebbero essere vitali, nemmeno la mia gente o la sua si fanno troppi scrupoli nell’utilizzare certi mezzi.”

“Non siamo barbari!” Protestò.

“Nemmeno noi. Nemmeno gli inglesi. Sugli americani avrei qualche dubbio ma comunque sia, barbari o meno, un’informazione che può salvare la vita dei tuoi rimane preziosa. C’è chi è disposto a pagare il prezzo necessario per averla.”

“Lei ha?...” Non era certo se terminare la domanda.

“Si. Ho torturato. Non ne vado fiero ma l’ho fatto.”

“Se non ne va fiero? …” Era incredulo ed indeciso cosa pensare di quell’uomo.

“Perché l’ho fatto? Perché, gliel’ho detto, c’è chi è disposto a pagare il prezzo per sapere cose che potrebbero salvare la vita di migliaia di commilitoni e compatrioti. Io sono uno di loro.”

Prese un’altra cucchiaio di stufato e morsicò con vorace appetito la carne. Gli piaceva l’agnello. Gli ricordava sempre la prima volta che ne assaggiò uno. Un ricordo intenso e dai colori vivaci nella sua memoria.

Heinrich Petersen si sentiva a disagio in compagnia di quell’uomo. C’era qualcosa nella sua figura che lo turbava, anche se non avrebbe saputo dire esattamente cosa.

“Lei di dov’è?” Chiese per esorcizzare le sue paure e vincere il silenzio caduto nella stanza.

“Trieste ma sono cresciuto ad Udine.” Rispose distrattamente Augusto.

“Davvero? Conosco bene la città di Trieste! Da piccolo i miei genitori mi portarono in vacanza in Italia e nel nostro tour del vostro Bel Paese visitammo anche Trieste. Una città distinta ed elegante. Piacque molto a mia madre. Io mi innamorai di Firenze! Bellissima! Era estate quando la visitai e la luce che vidi là, non l’ho più vista in nessun altro luogo! Sono tornato in Italia altre due volte da adulto.”

“Quindi non molto tempo fa.”

“Si.” Confermò Heinrich senza cogliere l’ironia nelle parole di Augusto che ridacchiò sotto i baffi per l’ingenuità del compagno, anche se si rendeva perfettamente conto che avrebbe potuto compromettere l’esito della missione e costargli la vita.

“Lei ha capito dove si trova?” Chiese a bruciapelo.

“Come, prego?” Petersen era interdetto e non seppe cosa rispondere.

“Le ho chiesto: ha capito dove si trova?”

“Ad Alessandria d’Egitto …” Fu la timida ed incerta replica.

“In territorio nemico, Herr Petersen. Dove io e lei corriamo il serio rischio di essere catturati e sottoposti a tortura o, alla meglio, essere impiccati per spionaggio. La prego, mi risparmi l’espressione stupita e non mi dica che le convenzioni internazionali lo proibirebbero perché ormai, qui, è da diverso tempo che nessuno rispetta più quegli accordi. Se dovessero prenderci e pensare che siamo troppo pericolosi per tenerci in vita, troverebbero il primo albero libero e ci farebbero penzolare da esso come un salame appeso in soffitta. Mi sono spiegato?”

“Si.” Petersen era risentito dal tono di sufficienza di Augusto che nemmeno lo degnava più d’uno sguardo ma non voleva cedere, alzando la voce e dimostrandosi quel ragazzino inesperto che l’altro evidentemente credeva fosse.

“Non me ne voglia. Non desidero essere frainteso, Herr Petersen, rispetto lei ed il suo ruolo ma sulla sua preparazione a sopravvivere ad una missione del genere, i suoi modi fin troppo disinvolti mi lasciano dubitare.”

“Che vuol dire?”

“Avrei dovuto trovarla già travestito, mimetizzato con i locali ed invece mi ritrovo un tedesco che sembra uscito fuori, eccezion fatta per il rossore da sole, da una cartolina di propaganda della Gioventù Hitleriana. Parla con troppo entusiasmo, quasi fossimo ad una gita scolastica, sebbene capisca che per uno come lei ritrovarsi in questa terra e con la prospettiva di poter osservare manufatti antichi mai visti prima debba essere estremamente eccitante.”

Heinrich si guardò le mani, come se per la prima volta avesse realizzato che di sicuro non passava inosservato.

“I documenti che mi hanno fornito i miei …”

“La identificano come di origini olandesi, Van Deer, nato in Sud-Africa ma questa copertura non funzionerà, anche se lei parla molto bene olandese. Sappiamo entrambi che se ci fermeranno, saremo già in pericolo mentre due egiziani potrebbero passare inosservati in casa propria avendo maggiori possibilità di mescolarsi alle carovane che attraversano il deserto. Due occidentali darebbero comunque nell’occhio. Non c’è copertura che tenga in quel caso.”

“Come farò allora?” Chiese agitato Petersen.

“Prima di tutto, mantenendo la calma ed evitando facili isterismi. Essere consapevoli del pericolo è un bene. Farsi prendere dal panico, no. C’è un motivo per cui sono bravo nel lavoro che faccio, Herr Petersen. Curo ogni dettaglio. Quando avremo finito con il nostro pasto, le farò vedere cosa intendo.”

Heinrich guardò con un misto di risentimento ed ammirazione quell’italiano che, con poche parole, aveva fatto chiaramente capire chi aveva il comando tra di loro.

 

 

3

 

Heinrich non fiatò. Desiderava riscattarsi agli occhi di Bonpiani che rapido, tagliò cortissimi i capelli del ragazzo. L’uomo era soddisfatto di come non avesse battuto ciglio quando gli disse si sarebbe servito del coltello e di un rasoio da barbiere per farlo.

“Purtroppo, a differenza dei miei, i tuoi sono lisci, troppo lisci per un egiziano, gli spiegò, se li raso non se ne accorgeranno e se mai te lo chiedesse qualcuno, hai preso i pidocchi. Il giovanissimo professore tedesco assentì con grande serietà e Augusto fu quasi tentato di sorridere. Sembrava un bambino che voleva impressionare i suoi insegnanti ed i compagni il primo giorno di scuola e sebbene un po’ gli dispiacesse averlo trattato duramente, notava con grande piacere che era concentrato e aveva iniziato a parlare di meno. Come avrò finito, userò la tintura di erbe per scurirli il più possibile.”

“Dovrò farmi crescere la barba?” Chiese.

“No, anzi. Dovrai fartela tutti i giorni. C’è il problema che la tua barba ha lo stesso colore dei capelli: bionda; ti raderai due volte al giorno, per andare sul sicuro. Sembri più giovane dei tuoi 23 anni, potresti passare tranquillamente per un quindicenne o un sedicenne egiziano. Allah ti ha concesso in sorte pochi peli. Eviteremo comunque di parlare troppo con chi incontreremo ed è una cosa che specialmente tu dovrai fare visto che, da quello che ho potuto sentire, se pur masticando bene l’egiziano, il tuo accento fa davvero pena.”

“Ed i miei occhi?”

“Porterai il turbante in modo da nasconderli nella penobra. Speriamo che basti o altrimenti potremmo dire che sei nato così. Ci sono arabi ed egiziani che, ogni tanto, nascono con gli occhi chiari. Lo sapevi?”

“No.” Era sorpreso da quella notizia e si disse che forse Augusto aveva ragione circa la sua scarsa conoscenza del mondo arabo moderno.

“L’importante è che, se qualcuno dovesse chiederti qualcosa, tu dia una risposta rapida e senza esitazioni. Capisci?”

“Si.”

“Io chi sono?”

“Hassan Ibrahim.”

“E tu?”

“Karim, tuo nipote.”

“Da parte?...”

“Di tua sorella.”

“Cosa facciamo?”

“Siamo mercanti.”

“Perché siamo diretti alla zona degli scavi?”

“Perché nei pressi si produce una tintura per le stoffe che stiamo andando ad acquistare dagli abitanti del deserto.”

“Bene, hai fatto diligentemente i compiti ma ricorda che sarà diverso la fuori. Forse ci troveremo delle armi puntate contro e quando senti la canna di un fucile premuta contro le costole, diventa difficile essere convincenti. Non mostrarti troppo impaurito, o sospetteranno. Non mostrarti troppo sicuro di te o sospetteranno ugualmente.”

“Si.” Petersen si disse che sarebbe stato in grado di farcela. Se i suoi superiori l’avevano scelto, un motivo c’era. Faceva parte di un’elite che da alcuni anni dava la caccia a preziosi e rari reperti che, stando a quello che una volta Himmler aveva detto durante un discorso rivolto alla speciale divisione SS di cui Heinrich era parte, “avrebbero avuto un peso significativo sul compiersi del Destino della grande nazione tedesca”. Heinrich lo voleva, fortemente: voleva fare la sua parte nel realizzare il disegno della grandezza tedesca. Ricordava i racconti carichi di tristezza di suo nonno. L’umiliazione dopo la grande guerra. L’illusoria pace della Repubblica di Weimar che guardava il popolo tedesco ridotto alla fame per via delle aribitrarie decisione che gli stranieri avevano preso riguardo le loro vite. Lo sguardo del vecchio Otto era quello del soldato umiliato, a cui era stata tolta la dignità. Mai più, diceva sempre suo nonno. “Mai più il popolo tedesco dovrà patire siffatta umiliazione”.

“Cosa ti aspetti di trovare lì, tra gli scavi.” Heinrich, strappato ai suoi pensieri, era sorpreso di sentirsi girare la domanda che lui stesso, prima, aveva posto ad Augusto.

“Forse la conferma della storia del ‘Vicario dal Manto Porpora’.” Si era voluto mantenere prudente, temendo trattarsi d’una domanda a trabochetto, magari solo per farsi nuovamente beffe di lui.

“Tu credi a quella versione?”

“Ci credono entrambi i nostri superiori. È evidente, dal momento che siamo qui.”

Touché” Quell’ammissione strappò ad Heinrich un sorriso di vittoria che represse subito. Ad Augusto la cosa non sfuggì e pensò che tutto sommato il ragazzo si fosse guadagnato il diritto di godersi quel momento.

“Il Vaticano, riprese il giovane tedesco, è stato sempre geloso nel custodire i suoi documenti riservati. Gli accordi segreti firmati con il Dipartimento per cui lei lavora ci hanno garantito di poter pervenire ad essi. Morara era certo della loro autenticità ed era certo che la tomba che ha scoperto durante gli scavi effettuati nelle zone indicate dai documenti stessi, fosse appartenente ad uno dei quattro monaci che seguirono il Vescovo mandato a perfezionare la dottrina del leggendario Prete Gianni. Di quel vescovo si sa che inizialmente doveva essere Filippo da Venezia ma poi gli fu preferito un prelato di maggior peso, un uomo che al tempo doveva aver rivestito un ruolo di spicco nelle alte gerarchie ecclesiastiche ma di cui si è volutamente attenuato il ricordo, anche se non è ben chiaro il perché. Prima di avere quei documenti, non sapevamo di questo risvolto della storia. Se non fosse stato per il ritrovamento casuale in Sicilia della tomba di uno dei monaci rossi, non l’avremmo mai nemmeno sospettato.”

Augusto sorrise comprensivo. “Non è stato casuale il ritrovamento ma non è necessario che né tu, né i tuoi capi lo sappiate” si disse.

“Sai cosa significherebbe se fosse davvero la tomba del Vescovo?”

“Che potremmo saperne di più sull’esistenza del Regno di Prete Gianni. Forse non era una leggenda come tutti credevano…”

“Forse.”

Augusto finì di sistemare il ragazzo e poi, soddisfatto del risultato, lo invitò a riposarsi un po’ prima di prendere la via per gli scavi.

Vide il tedesco sistemarsi alla meno peggio su di una stuia, utilizzando alcuni stracci per cuscino e pensò che stava rischiando molto. Non avrebbe voluto coinvolgerlo in quella storia così come non avrebbe voluto coinvolgere le SS in quella storia ma non dipendeva da lui.

Socchiuse gli occhi e si concesse un po’ di sonno anche lui prima di andare in contro alla propria missione.

 

4

 

Alle loro spalle, Alessandria era tutta un fermento per via dell’accaduto. Fortunatamente, le strade indicategli dai loro contatti locali erano veramente sicure come gli era stato promesso sebbene questo implicasse doverle  percorrere a piedi, con un cammello che trasportava sulla groppa il peso del loro baglio: in gran parte merci per un fittizio scambio che non sarebbe mai avvenuto; l’attrezzatura per la missione si riduceva all’essenziale ed era stato nascosto in mezzo a stoffe e tappeti, in modo da ingannare un’eventuale ispezione degli anglo-americani.

Se fossero riusciti a prendere Alessandria sarebbe stato tutto più semplice ma non potevano aspettare che si verificasse un simile caso. C’era il serio rischio che altri arrivassero a capire cosa si celava dietro quegli scavi. Per il giovane Heinrich erano gli alleati il pericolo ma per Augusto erano ben più pericolosi gli avversari le cui mosse voleva prevenire.

Il sole non si era del tutto levato dal cielo quando intrapresero il cammino e durante la via si fermarono solo un paio di volte, per brevissimo tempo, in modo da far riposare la bestia e poter bere qualche sorso dalla loro scorta d’acqua. Purtroppo, la fortuna, non assistette fino all’ultimo Augusto, come questi avrebbe voluto. La polverosa strada affrontata, ad un certo punto, si riuniva a quella principale e si doveva percorrere un tratto che passava per i resti di un villaggio morto da alcune decine di anni. Era quello il momento in cui entrambi sarebbero stati più esposti al pericolo e questi si presentò a loro sotto forma di soldati britannici. Un uomo, dai gradi un sergente, intimò loro l’alt. Con lui altri tre soldati, contò Augusto, cercando con la coda dell’occhio movimenti sospetti intorno.

Signore, mio buon signore!” Cercò di essere il più naturale possibile nel parlare egiziano e sperò che Heinrich non si facesse prendere dal panico e se ne rimanesse in silenzio. Come può quest’umile mercante favorivi?” Doveva apparire ossequioso ma non troppo, altrimenti l’avrebbero potuto prendere per un segno di eccessivo nervosismo. Non era un posto di blocco. L’aveva capito subito e silenziosamente aveva maledetto quei quattro. Si trattava di pattuglie che approfittavano del loro ruolo per alleggerire i mercanti ed i viandanti del luogo. Per paura di eventuali ritorsioni, gli egiziani puntualmente pagavano con quello che avevano. Il tutto stava nel capire cosa avrebbero chiesto loro quella banda di lestofanti.

Siamo qui per il tributo alla Corona di Inghilterra!” A pronunciare quelle parole era stato un soldato, biondo quanto lo era Heinrich e con occhi altrettanto chiari. Anche il rossore delle pelle, messa a dura prova dal sole, era lo stesso. Tuttavia sembrava, pur non essendo di molto più vecchio del giovane professore, molto più sicuro di sé. Svolgeva quell’attività secondaria con i propri commilitoni da molto tempo. La missione del giorno doveva essere cercare individui sospetti, possibili sabotatori della X Mas in fuga. La copertura ideale per le rapine da cui non avevano saputo astenersi nemmeno dopo l’attacco subito dalla loro flotta.” Facci vedere cosa trasportate!” L’ordine era stato pronunciato in modo perentorio, senza possibilità di discussione alcuna ed Augusto si era limitato a fare un mezzo inchino ed invitare i soldati a sincerarsi della natura delle merci trasportate. Notò che avevano spezzato l’iniziale cerchio in cui li avevano stretti per poter controllare il cammello e ciò che trasportava. Non li volevano uccidere. Erano ladri ma non assassini anche perché morti troppo numerose avrebbero generato notevole malcontento nella popolazione locale e questo non li avrebbe favoriti. Alleggerivano i mercanti e qualche povero malcapitato viandante ma lo cosa si chiudeva lì. Sperò che anche quella volta sarebbe andata così.

“Hey! Cazzo! Guardate gli occhi di questo qui!” Uno dei soldati, un corpulento e tarchiato ragazzo sui vent’anni, aveva afferrato Heinrich per il copricapo e lo aveva costretto a piegare la testa all’indietro, esponendo ai compagni il suo volto.

“Ho sentito che alcuni di questi cani, delle volte, nascono con gli occhi chiari!” Fece un tipo che, a dispetto della giovane età, aveva la bocca piena di denti finti e gli occhi ingialliti come chi beve alcolici da troppo tempo.

Heinrich era spaventato, stava per cedere al panico.

“Io dico che sua madre se l’è scopata qualche bel soldato di ventura. Magari un crucco di merda. Hey! Se è così allora è un nemico…” Disse il biondino che prima aveva parlato in egiziano.

I tre soldati risero sguaiatamente.

“O forse è davvero una spia.” Replicò invece il sergente, senza ridere.

Per un istante, solo un istante, si erano dimenticati di Augusto che, invece, sembrava davvero uno dei locali. Fece scivolare fuori dalla manica il pugnale curvo che aveva trovato nell’abitazione e che costituiva parte del suo, scarno, armamento.

Il sergente non poté impartire nessuna disposizione ai suoi perché la lama gli entrò in gola strappandogli un gorgoglio di sorpresa. Crollò in terra, la mano dove stava il foro d’entrata.

Augusto lanciò il pugnale contro il biondo ma con scarsi risultati non essendo quella arma da lancio. Gli dette però il tempo di scattare verso Heinrich ed il soldato che lo teneva per il copricapo. Dall’altra manica fece scivolare la piccola automatica che puntò all’occhio giallastro del britannico. Un solo colpo ed Heinrich si ritrovò sporco di sangue. Con una gomitata mandò il giovane professore in terra e si fece appena in tempo scudo del corpo del soldato ucciso. I restanti compagni gli scaricarono contro tutti i proiettili delle loro armi d’ordinanza.  Augusto manenne la calma e prese l’arma del defunto, aprendo il fuoco da sopra la spalla di quello in direzione del soldato che avrebbe dovuto ispezionare il cammello. Un colpo in gola ed uno alla fronte. Il biondo, ormai in preda ad una crisi, tentò la fuga ma per poco non venne travolto dal cammello che stava a sua volta scappando.

Augusto gli fu addosso, costringendolo con una ginocchiata a terra e gli circondò la gola con il braccio: “Dio Salvi il Re!”, gli sussurrò con rabbia un attimo prima di spezzargli il collo.

Heinrich Petersen era in terra, il volto coperto da ambo le mani.

Augusto recuperò il pugnale e pulì la lama sulla giacca di uno dei soldati, dopo di ché sputò su questi. “Avreste dovuto evitare di esagerare.” Li rimproverò con disprezzo.

S’avvicinò alla giovane SS. “Oddio… oddio…” pugnucolava in tedesco.

Professor Petersen. Herr Profesorr, si alzi. Ora.” Fece ruvido Augusto. Poi, quasi fosse un padre che parlava ad un bambino piccolo. Petersen, lei deve alzarsi da terra. Per quanto ne sappiamo, qualcun altro potrebbe capitare qui. Abbiamo una missione da compiere per le nostre rispettive Patrie e non possiamo permetterci di venire catturati. Sia uomo e si ricomponga.

Quelle parole parvero far presa sul ragazzo che alzò lo sguardo verso l’italiano.

Augusto gli porse la mano e l’altro la afferrò. Petersen era nuovamente in piedi.

I due trascinarono i corpi in una casupola abbandonata il cui tetto era crollato da tempo e li rovesciarono, uno dopo l’altro tra macerie, sabbia e sporcizia. Alcuni insetti vennero fuori dalle loro oscure tane e, dopo aver atteso che gli intrusi si fossero allontanati, dettero l’assalto al ricco pasto inaspettatamente a loro servito.

 

5

 

Per tutto il tragitto Petersen non disse nulla. Guardava fisso davanti a sé e Augusto si chiese se sarebbe più stato di qualche utilità. Maledisse i tedeschi e la loro tanto vantata efficienza.

Mi hanno mandato un ragazzino che non ha mai ucciso!” Pensò con rabbia. Non ce l’aveva con Heinrich ma con gli ufficiali SS che lo avevano scelto per la missione. Forse sottovalutavano l’importanza delle scoperte di Morara e si chiese ancora una volta quanto si potessero fidare, lui e la sua gente, di loro.

Arrivarono nei pressi degli scavi che il tramonto stava iniziando. Augusto sentì una violenta contrazione, come ogni volta che il Tempo si avvicinava ma cercò di trattenersi davanti al ragazzo.

“Ci accamperemo qui. Di notte non mi azzardo ad entrare dentro quelle rovine.” Disse ma da Heinrich non ottenne risposta alcuna.

Preparano un rudimentale accampamento in un luogo defilato, in modo da essere poco visibili. Nessuna sentinella agli scavi. Erano tutti stati richiamati o in città o a pattugliare le vie intorno la città.

A quell’ora, ormai, si dovevano essere accorti dei soldati scomparis e l’indomani li avrebbero cercati, trovando i cadaveri. Non era improbabile che, seguendo la strada, arrivassero fin lì e magari pensassero di dare un’occhiata per sincerarsi che qualche spia o membro della X MAS avesse tentato di trovare ripare. Un giorno era tutto quello che avevano. Non osava sperare in qualcosa di più.

Si rifugiarono nella tenda, avvolti in pesanti coperte di lana e pelli d’animale. Augusto teneva a portata di mano il pugnale e la pistola sottratta ad uno degli inglesi. La sua rivoltella aveva ancora quattro colpi, non molti. In uno scontro a fuoco con una squadra di ricerca anlo-americana avrebbero avuto la peggio.

L’inquietudine montò, gonfiandogli il petto, facendogli battere velocemente le carotidi che si dilatarono visibilmente. La bocca si riempiva di saliva, più velocemente di quanta non ne riuscisse ad ingoiare e sentì la temperatura del corpo alzarsi. Heinrich dormiva, sprofondato in un inquieto sonno in cui probabilmente stava rivivendo la morte della pattuglia nemica. I movimenti che Augusto scorse erano indice delle contrazioni da cui il ragazzo era scosso. Era un bene che non fosse consapevole di cosa stesse accadendo. Mancavano due notti al momento e quelli erano i segnali che lo avvertivano. Strinse i denti per via dei crampi che colpirono gambe e braccia. I polpacci s’irrigidirono e non potè far altro che puntare i piedi contro il terreno e spingere, come faceva sempre.

“Lo fai spesso?” La domanda di Heinrich, levatasi dal silenzio della tenda lo lasciò Augusto spiazzato. Era troppo preso dai suoi dolori per rendersi conto che quello si era risvegliato e si chiese se non avesse notato cosa stesse succedendo. Mantenne la calma e rispose:

“Si. Quando è necessario.”

“Non ho mai visto nessuno uccidere come hai fatto tu. In realtà non ho mai visto uccidere in vita mia.”

“I tuoi camerati delle SS sono addestrati a farlo. Tu? Mi chiedo come mai non abbiano provveduto a prepararti adeguatamente.”

“Sono uno studioso. La divisione di cui faccio parte è composta da intellettuali, topi di biblioteca, ricercatori. Facciamo esercitazioni con le truppe. Corsa, nuoto, ginnastica, pugilato, lotta greco-romana, tiro al bersaglio con la pistola ed il fucile. Non è richiesta l’eccellenza in queste discipline. Non si aspettano da noi nulla di più. Non è per il combattimento che siamo destinati.”

“Grosso sbaglio. Se sai che dovrai mandare qualcuno in zona di guerra, farlo senza fornirlo di un addestramento appropriato equivale quasi a condannarlo a morte.”

“Immagino che tu abbia ragione.”

“Heinrich, quello che è successo oggi lo vedrai accadere molte altre volte. Sei un soldato, studioso o meno, e non puoi permetterti di perdere il controllo. Ti sei comportato in modo tale da compromettere l’esito di questa missione oltre che la nostra stessa incolumità. Ti avevo avvertito che sarebbe potuto accadere, che avremmo potuto trovarci in una situazione pericolosa ma probabilmente hai sottovalutato i miei avvertimenti. Non farlo mai più.”

“No, Signore.”

Augusto rimase qualche istante senza dire una parole e poi: “Ti riporterò a casa. Tu stammi vicino e fai quello che ti dico, va bene? Ubbidisci e concentrati solo sui miei ordini e tornerai a casa tua, sano e salvo.”

“Sissignore.” Fu l’unica risposta che Augusto ricevette e poi, nuovamente, calò il silenzio nella tenda.

 

 

 

 

6

 

“Il lavoro di Morara è impressionante.” Commentò Heinrich Petersen, lo sguardo fisso all’ingresso del mausoleo che gli scavi del Professor Morara avevano riportato, in parte, alla luce.

“Indubbiamente.” Convenne Augusto, sinceramente impressionato ma anche ansioso di entrare per poter verificare se dentro si trovasse quello che sperava.

Secondo gli appunti dello scomparso archeologo italiano, la tomba era costituita da un ingresso estrusivo ed un corridoio che, scendendo fino a 30 metri sotto terra, portava ad un complesso costituito da un’anticamera, due grandi ambienti adibiti a celle per i monaci che, per un certo periodo risiedettero lì, una cappella dove venivano celebrati i riti e la cripta in cui sarebbero state conservate le spoglie del Vicario Rosso.

Il grande ingresso ricordava nella forma le antiche mastabe egizie anche se, ovviamente, molto più giovane. Non era una costruzione alta, quindici metri in tutto, ed era stata seppellita, durante lo scorrere del tempo da sabbia e detriti di vario tipo, anche se Augusto condivideva un parere che Morara aveva fatto pervenire con una delle sue missive. Probabilmente era stato deliberatamente nascosto. La facciata su cui c’era l’ingresso, che guardava ad Occidente, invece aveva la foggia di un pròstilo. Il portale era di pesante e spesso legno, stando agli appunti di Morara trattato con delle particolari resine, rinforzato con grandi placche bronzee. Colonne d’aspetto sobrio e slanciato, poggianti su stilobati  e dotati di capitalli entrambi ornati da viticci, erano incise nella pietra così come il timpano che sovrastava la trabeazione sull’ingresso in cui troneggiava un grande occhio. La croce, formata dalle incisioni sui sei pannelli di bronzo, ricordava l’ank egizio.

“Non sono più entrati.” Osservò Petersen quando videro che le porte erano chiuse.

“Non ne avevano ragione. Gli inglesi erano troppo impegnati con altro. Sicuramente avrebbero atteso un momento adatto per depredare la tomba. Pensavano avrebbero tenuto Alessandria per sempre.”

“Nulla è per sempre.” Il fosco commento di Heinrich stupì Augusto. Il ragazzo stava reagendo al trauma delle uccisioni a cui aveva assistito. Per Augusto era stato relativamente semplice, non perché si reputasse un assassino o perché la vita umana, anche quella di un nemico, per lui non avesse valore. Era un soldato, così come lo erano stati i suoi avi e come gli era stato insegnato, un buon soldato compiva il suo dovere, semrpe e ad ogni costo.

S’avvicinarono con prudenza ed ispezionarono, insieme, il perimetro del gradone che costituiva la mastaba. 20 metri di blocchi di pietra per lato. Alla fine, soddisfatti dell’ispezione, cominciarono a spingere una delle due grandi porte. Flettettero i muscoli più e più volte, spingendo all’unisono. Non essendo sbarrata, alla fine la porta ruotò sull’antico cardine lasciando loro libero il passaggio.

L’ingresso era costituito da un grande ambiente di forma rettangolare le cui pareti erano state un tempo decorate con mattoni e legno. I primi avevano resistito allo scorrere del tempo ma del legno non v’era rimasta praticamente più traccia. Anche il sottotetto, costituito dallo stesso materiale, era andato perduto ed il soffitto era spoglio, privo di pitture ornamentali. Morara e la sua squadra avevano sgombrato la sala, un lavoro lungo ed impegnativo. Per assicurarsi luce, Augusto ed Heinrich accesero un paio di lanterne a petrolio ed avanzarono verso la botola centrale, incorniciata da un corrimano di pietra scura sostenuto da colonne simili a quelle scolpite all’ingresso.

Scesi sette scalini ritrovarono il corridoio, stretto e dal basso soffitto, descritto da Morara ed iniziarono ad addentrarsi verso il cuore della tomba vero e prorpio.

“L’aria, fece il giovane professore, era assicurata da piccoli pozzi i cui sfiati devono essere stati occlusi da secoli di tempeste di sabbia. Possiamo respirare ma non è aria fresca e potremmo avere giramenti di testa protraendo la nostra presenza qui.”

“Allora dovremo essere veloci.” Contrabatté Augusto.

L’anticamera a cui pervennero era una copia dell’ingresso eccezion fatta per la presenza di quattro grandi vasi ornamentali che si trovavano ai tre lati della stanza e al suo centro.

“Vasi canopi. O almeno credo che siano ispirati ai vasi canopi egizzi. Guarda la sommità dei coperchi, indicò Petersen, vedi? Sono il leone, l’acquila, il toro ed il figlio dell’uomo. Simboli cristiani.”

“Chi costruì questo posto doveva aver subito l’influenza della cultura locale.”

“La cultura locale presentava, al tempo, elementi sincretici, eredità di un passato glorioso ed è probabile che chi accompagnò il Vicario Rosso scelse manodopera locale per realizzare questo luogo. Persino i suoi architetti dovevano essere di qui.” I grandi vasi, alti quasi quanto un uomo di media statura, poggiavano su piedistalli costituiti da blocchi di pietra di 60 centimetri per lato.

Dietro i due laterali stavano gli ingressi costituiti da archi ad ogiva che davano alle celle dei monaci, ingressi privi di porte da molto tempo. L’arco centrale invece, era almeno tre volte più grande e le sue porte, identiche a quelle sovrastanti, resistevano ancora.

“Pronto?” Chiese Augusto.

“Pronto.” Fu la replica pacata di Petersen.

I due spinsero nuovamente e si trovarono nella cappella della tomba.

I lumi disvelarono un mondo rimasto identico al giorno in cui la costruzione era stata terminata.

La volta era stata affrescata con una sequenza di scene che rappresentavano, probabilmente, il viaggio del Vicario, dal principio alla fine. Trentasei lunette che contenevano diversi momenti di quell’impresa a 13 metri sopra le teste dei due uomini.

La pianta era circolare ed il soffitto pareva sostenuto da colonne scolpite nella pietra il cui scopo era tuttavia puramente ornamentale. Un pulpito decorato con scene della genesi faceva mostra di sé, di fianco a quello che appariva come un pozzo chiuso da una pesante grata di metallo. Al centro, l’altare, poco più di una lastra di pietra poggiata su due blocchi squadrati. Dall’altra parte della cappella, l’accesso alle cripte.

“Curioso.”

“Cosa?” Chiese Bompiani.

“Nessun riferimento all’apocalisse o ad altri temi bibblici ma solo alla genesi. Inoltre alcune di queste scene, come dire, mi sembrano dare un’interpretazione divergente da quella della versione ufficiale.”

“Ovvero?”

Petersen per un attimo parve incerto, quasi stesse soppesando con cura le parole. In quel momento si chiese Augusto se il ragazzo stesso o meno valutando l’idea di nascondergli qualcosa. Petersen per quanto gli facesse simpatia per via della giovane età e di un certo disarmante candore che possedeva, era pur sempre un SS, anche se la sua preparazione all’azione sul campo avrebbe potuto rendere arduo il crederlo.

“Guarda qui. Questi sono Caino ed Abele. Vedi?” Indicò un punto del bassorilievo che decorava il pulpito.

“Lo vedo.” Confermò lui.

“Qui Caino regge il fratello tra le braccia. Sta piangendo. Non avevo mai visto una rappresentazione del genere.”

“Come fai a dire che sono Caino ed Abele?”

“Temporalmente la sequenza è successiva alla cacciata dal Paradiso, anche se pure questa sequenza mi lascia notevoli dubbi. Io direi…”

Bompiani zittì Petesen con un gesto. Tese l’orecchio e fiutò istintivamente l’aria. Il ragazzo lo guardò tra il preoccupato e lo stupito, quasi chiedendogli se cosa fosse ad averlo turbato così improvvisamente.

“Non siamo soli…” sussurrò in un soffio appena percettibile Augusto.

 

 

Continua.