Yuri Lucia

 

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Da una vecchia idea di Yuri Lucia.

 

 

 

 

 

 

 

C’era una volta, tanto tempo fa, in un terra lontana, lontana …

un Regno che lentamente si andava riprendendo da una sanguinosa invasione che lo aveva quasi completamente distrutto.

Tuttavia i sudditi del buon sovrano che ivi regnava, felici d’esser ancora vivi, ricostruirono con fatica e determinazione quanto era andato perduto e sebbene le ferite dell’animo ancora dolessero, tutti guardavano alla Casa Celeste, il loco ove risiedevano i miliziani, con fiducia, confidando nella loro benevola protezione.

Ove esattamente essa si trovasse non era dato da sapere a tutti ma era noto che la direzione giusta coincideva con il ventre da cui ogni giorno il Sole rinasceva.

Purtroppo la guerra venne ancora e ancora ma stavolta i miliziani non agirono e questo perché era stato loro raccomandato di intervenire solo in quelle vicende per cui il loro potere era indispensabile. Questo era stato il patto con il saggio e vecchio magio che ne aveva contribuito, con le proprie arti arcane, a crearne le dorate ed indistruttibili vesti.

Il cuore dei giovani pianse, nel saper di non poter partecipare alle lotte del proprio amato sovrano e del proprio popolo e quest’ultimo, non conoscendo la natura del voto che li vincolava all’astenersi dalla pugna, prese a non levare più verso di essi preghiere o tanto meno a riporvi speranza.

Il nome dei miliziani fu dimenticato, sepolto dal risentimento e dalla delusione, e la via per la loro casa divenne poco più che un vago ricordo nella mente di chi si diceva sapiente.

Solo coloro i quali erano stati legati da un profondo vincolo ai miliziani stessi, conservarono memoria del percorso che portava al luogo sacro…

 

 

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Un Nuovo Militiano – Pt III

 

 

1

 

Un violento colpo di tosse lacerò i sogni d’Enrico, strappandolo bruscamente all’abbraccio del sonno. Si guardò intorno, cercando di capire ove fosse, lo sguardo velato dall’affanno e dalla febbre. Distingueva solo la sensazione di bruciore che lo pervadeva ma per il resto, il mondo intorno a sé era solo un vago e folle riflesso di qualche strano pensiero che rifiutava d’esser messo a fuoco.

Cercò di ricordare, le lacrime che scivolavano al lato degli occhi e rivide lo scontro tra i suoi compagni e le soverchianti forze nemiche.

“L’Orda!” Avrebbe voluto gridarlo ma rimase solo un pensiero per la mancanza di forze che lo costringevano giù.

Ne aveva sentito parlare, come tutti quanti, attraverso i racconti degli eruditi, dei cantori e nelle favole dove erano usati come spauracchio per dissuadere i bambini nel compiere cattivi azioni. Solo che quelli che lui aveva incontrato non erano certo personaggi d’un racconto ma guerrieri sanguinari in carne ed ossa, degni della sinistra fama che li accompagnava da secoli.

Strinse i denti, ripensando ai volti dei coraggiosi classiari con cui aveva diviso sorte ma non la fine sul campo di battaglia.

Il tentativo di mettersi in piedi gli procurò un dolore lancinante lì dove c’era la ferita.

“State giù, per carità, altrimenti così, un altro spirito se ne scenderà alla casa dei propri avi.” Questa voce senza volto risuonò per un po’ nelle orecchie d’Enrico che si ritrovò ancora una volta in buio spezzato da feroci sogni in cui venivano combattute battaglie senza speranza contro un nemico invincibile.

Vide i suoi famigliari urlare mentre le fiamme li ardevano.

Vide i corpi dei classiari, tra i quali riconobbe il giovane Marcus e quello del coraggioso Tancredi.

Vide anche Clelia, la giovine le cui sorti erano state affidate a lui e ai suoi compagni, venire trascinata via, spaventata e sanguinante.

Vide Matilde e Laura, inghiottite da quella che sembrava un’onda di sangue ch’ogni cosa travolgeva e portava via con sé.

“Chi siete?” Trovò la forza di chiedere in un momento di lucidità, vinte le febbri che sembravano volergli togliere la parola oltre che le forze. Gli parve passata un’eternità.

“Mi chiamo Ermengarda e siete in casa mia, la voce era gentile, anche se venata dalla paura e dal dolore, siete stato portato qui, da un soldato di ventura sei giorni addietro.”

“Sei?” Era incredulo. Non dubitava delle parole che udiva perché non v’era motivo che fossero mendaci ma di come non si fosse accorto dello scorrere dei giorni.

“Eravate più morto che vivo, freddo come la ghiaccia l’inverno e non parlavate più. ‘si che persino il guaritore disperava dal dissuadere il vostro spirito lo scendere i 108 otto gradini che portano alla stia dei propri avi. Non vi nascondo che stavamo preparando una sepoltura di fortuna destinata al vostro corpo, quando avete dato segno di voler rimanere qui, tra i vivi.”

“Vi siete fatti carico di me e delle mie miserevoli condizioni di salute. Non posso che esservene grato.”

“Troppi, mio giovane Signore, sono periti in questi giorni e non volevamo che il novero venisse accresciuto ulteriormente.”

“Questa dunque è casa vostra?”

“Questa è la casa dove vivo io e doveva viveva la mia famiglia.”

“Viveva?”

“Il mio sposo ed i miei tre maschi sono partiti per difendere i confini di questa contrada. Siamo rimaste solo io, le mie due femmine e mia sorella minore, privata dal suo promesso da questa tragedia. Non abbiamo più notizie di nessuno di loro e disperiamo di averne. Trattenne a stento un singulto ed Enrico riuscì a distinguere un velo di lacrime che le andava coprendo gli occhi scuri. È lo stesso per tutti in questo villaggio. Ormai siamo rimasti solo in pochi, per la maggior parte donne e bambini. Gli unici uomini sono i nostri anziani ed il guaritore ma hanno deciso di unirsi alla battaglia nonostante l’età venerabile.”

“Andranno a combattere?”

“Non vogliono morire senza avere la possibilità di dimostrare un ultima volta di essere uomini liberi e vogliono onorare i figli ed i nipoti che hanno bagnato con il loro sangue i nostri campi.”

“Io li capisco.” Ammise Enrico, chiedendosi se forse non sarebbe stato meglio trattenere per sé quel pensiero e trovare invece parole di conforto per la donna che lo aveva curato. La padrona di casa invece sorrise, sebbene in modo flebile e malinconico: “Provo un dolore indescrivibile per quanto è accaduto ma anche io capisco la loro decisione e, se potessi, se non ci fossero i bambini da portare in salvo, probabilmente impugnerei anch’io un’arma e li seguirei. Sono stati categorici su questo: le nuove generazioni devono essere portate in salvo ad ogni costo; ci dirigeremo lontani, all’ovest, sperando di essere in tempo per evitare la fine.”

“Da come parlate, la situazione sembra disperata.”

“Lo è. Le truppe reali mandate in aiuto dei difensori di queste terre sono state sconfitte, nonostante il sacrificio e l’abnegazione con cui hanno combattuto. Non c’è stato nulla da fare e sebbene al nemico abbia patito considerevoli perdite, le nostre sono state di più. Per ogni morto che c’era dall’altra parte, pareva che due nuovi spietati guerrieri prendessero il suo posto. Hanno preso il controllo di gran parte del territorio, in pochissimi giorni. Tutto è iniziato all’improvviso, in modo del tutto inatteso. Un villaggio a pochi chilometri da qui è stato spazzato via dalla loro furia. Il giorno dopo l’accaduto, mia sorella avrebbe dovuto sposarsi ed invece, senza che nessuno potesse prevederlo, è iniziata la fine del mondo.”

“La fine del mondo?”

“L’Ultimo Giorno è alle porte. Non crediate sia un’esagerazione dettata dalla disperazione che rode il cuore d’una povera vedova, asserì con grandi serietà e dignità, ma alcuni soldati del Re inviati a rinforzare il perimetro difensivo in queste zone hanno parlato chiaramente di situazioni simili in tutta la parte meridionale del Regno mentre pare che anche su, a settentrione, stia succedendo qualcosa di grave e terribile.”

“Com’è possibile?” Enrico provò una fitta di dolore lancinante che si spanse dal fianco sin al viso, paralizzandone una parte temporaneamente in una contratta smorfia di dolore. La donna, amorevolmente, lo aiutò ad assumere una postura che lenisse in parte la sofferenza e con una pezza inumidita, gli bagnò le labbra. Controllo la febbre posandogli la mano sulla fronte.

“Sta scendendo ma è ancora alta. Non fate sforzi, ve ne prego, altrimenti vanificherete tutto ciò che è stato fatto.”

“Perdonatemi.” Enrico non voleva aggiungere altre preoccupazione ad un animo già martoriato dall’orrore che ne aveva sconvolto l’esistenza.

“Non scusatevi. Capisco quello che provate. Si, il soldato ha detto esattamente questo ma quale sia la natura di quello che accade a nord di qui, non so dirvelo. La guerra è scoppiata ovunque ed avanza distruggendo tutto ciò che incontra sul suo cammino, diretta verso il cuore pulsante del nostro Regno.”

“La Capitale … Mormorò Enrico. Se addirittura Invicta era minacciata dall’Orda, si disse, la situazione doveva essere disperata. Si figurò il Regio Esercito tentare di resistere alla violenta pressione che avrebbero esercitato i violenti combattenti sul muro umano predisposto all’estrema difesa. Le razzie che aumentavano, gli episodi di rivolta tra i feudatari delle zone periferiche, nulla era frutto del caso ma pareva esservi un unico disegno, un diabolico ordito che come fine aveva avuto quello di fiaccare le resistenze del Regno e spianare la via all’attacco del nemico che aveva fino a quel momento tramato nell’ombra. Tradimento …” Riuscì a dire in un sospiro prima di venir nuovamente meno.

 

2

 

“Chi può dire quanto resteranno sicuri questi luoghi? Fece Attanasio, guaritore del villaggio, mentre aiutava le donne ed i bambini a caricare i carri con tutto quello che potevano: viveri, coperte, scorte d’acqua. Il VI° Cavalleggeri ed i Reparti Reali VIII° e IX° del Regio Esercito mandati in aiuto delle locali forze difensive sono stati annientati. Si guardò un istante da sopra le spalle, assicurandosi che nessuno fosse nelle immediate vicinanze e, sotto voce: i nostri uomini hanno senza dubbio seguito la stessa sorte e se non siamo stati attaccati ancora è perché siamo fuori dal percorso che porta rapido verso il cuore del Regno ma, se dovesse accadere il peggio, avranno tutto il tempo per massacrarci alla fine del conflitto. L’Orda non sta agendo come narrano le vecchie cronache. Hanno imparato ed anziché portare un’offensiva indiscriminata e priva di una strategia di base, ora stanno comportandosi con metodo ed astuzia. Li consideravamo praticamente estinti e abbiamo commesso un grave errore. Le braci ardevano ancora sotto le ceneri della loro disfatta ed in 120 anni hanno tratto insegnamento dai loro stessi errori.”

Tristo, Enrico si trovò a convenire con Attanasio sulla giustezza di quelle parole: “Tuttavia non dobbiamo disperare, fece con genuina convinzione, forti o meno sono stati già battuti, anche quando i nostri avi erano arrivati a pensare, pressati dalla disperazione che quei mostri avevano portato, che il nemico contro cui si confrontavano era invincibile. Alla fine le migliori energie del Regno riuscirono ad organizzare le proprie forze e, anche grazie alle strategie del Re Santo e dei suoi generali riuscimmo a vincere.”

“Invero, ammise Attanasio,tuttavia non possiamo non prendere atto del cambiamento nel loro modo di gire e di quanto accaduto nelle recenti stagioni. Sei giovane ma tutt’altro che sprovveduto io credo, e tu stesso avrai notato la catena di eventi nefasti che di recente ci ha colpito. Rivolte, razzie e tradimenti.”

“Quando Ermengarda mi ha narrato della miserevole condizione in cui vessa il Regno, confesso, ho collegato improvvisamente tutti questi accadimenti.”

“Sai dunque cosa significa?”

“Che c’è stato qualcuno, qualcuno tra gli alti ranghi del Regno che ha lavorato per il nemico. Ma chi è quel pazzo che accetterebbe siffatta alleanza?! Anche se trattasi della peggiore feccia, come potrebbe mai fidarsi dei figli del Diavolo?”

“La cosa più grave, figlio mio, è che questo indegno tarlo probabilmente ancora rode dall’interno la corteccia e potrebbe rendere vana qualsiasi strategia difensiva venisse messa in atto. Tuttavia hai ragione: non dobbiamo disperare; tu conosci le storie dei cantori riguardo la Guerra contro l’Orda?”

“Ne ho apprese diverse.”

“Conosci la storia della Militia?”

Enrico non rispose subito, richiamando alla memoria quei canti di epiche gesta e straordinarie virtù in cui si narrava dei Campioni del Regno e delle loro armature sacre.

“Si.”

“Conosci il canto di Boerio?”

Riposan tutti nella Casa Celeste, sotto l’amorevole sguardo dei lumi notturni e baciati dal sorriso ardente dell’Aurora.

“E come prosegue il verso?”

Dormon, in attesa di esser chiamati ad una nuova missione, in attesa che il Regno ed Re, abbisognino della loro fortitudine, del loro coraggio, del loro valore.

“Forse una speranza c’è.”

“Ma è una legenda.”

“Una legenda che s’è tramandata di padre in figlio, conservando la memoria di quegli eventi portentosi e di come un manipolo di soldati senza paura riuscì a cambiare le sorti d’una guerra che sembrava essere persa. Forse alcuni dei fatti narrati son stati esagerati, anche se la voce del popolo è la voce di Dio, ma credo che l’Aurea Militia sia esistita veramente.”

“E pensate possa tornare? Che risorga dal passato per combattere ancora una volta?”

“Così narrano le storie.”

Enrico parve perso nei suoi pensieri.

“Vorrei crederlo possibile.”

“Ricordate il soldato di ventura di cui vi ha parlato Ermengarda?”

“L’uomo a cui devo la mia vita? I miei sensi erano persi e credevomi ormai morto. Quello sconosciuto ha rischiato la sua vita per me, portandomi sin al vostro villaggio.”

“Ti ha affidato a noi e si è raccomandato di badare alla tua vita, come se tu fossi il Re in persona.”

Enrico aggrottò le sopraciglia.

“Davvero disse questo? Non ho memoria alcuna di costui. Solo immagini sfocate, ombre ed echi di parole che avrei giurato esser frutto del delirio febbrile.”

“Invece era il vero e quel soldato ti ha salvato. Ci ha consegnato una cosa. Tieni.”

Estrasse da una tasca della sua casacca un picciol rotolo di pergamena ingiallita, tenuta chiusa da un nastro. Enrico la prese e ne saggiò per diversi istanti la consistenza, quasi a sincerarsi fosse reale.

“Ve la diede il misterioso benefattore?”

“Datela al giovane, quando sarà in sentimenti e forze. Questa è stata la sua richiesta. Parlava con convinzione ed energie tipiche di chi ha conosciuto molti patimenti ma è animato da grande coraggio.”

“Potreste descrivermelo, o venerabile padre?”

“Portava un cappuccio che nascondeva gran parte del suo volto, non però una profonda cicatrice che solcava il mento.”

Enrico si toccò l’occhio, come se solo in quell’istante si fosse reso conto dello sfregio regalatogli dal nemico a ricordo della battaglia combattuta. Bruciava, pulsando, quasi volesse rompere il filo che la teneva chiusa, gonfiata dall’odio e dalla rabbia che urlavano la loro fame di vendetta.

“Solo questo?”

“I suoi erano abiti comuni, e solo la cintura di cuoio cotto da cui pendeva pesante un’ascia da battaglia lasciava intuire si trattasse d’un soldato di professione. Il mantello nascondeva le sue forme ma non la sua stazza. Uomo di grande vigore e forza, invero, deve essere. Ora, dimmi, figliolo, cosa farai?”

Enrico strinse la pergamena tra le mani e, il volto segnato da eloquente espressione: “Andrò a fare il mio dovere, padre. M’è stata data una seconda occasione e ho intenzione di non sprecarla. Tornerò a calcare il campo di battaglia e tenterò di vendicare i compagni caduti e l’oltraggio perpetrato al Re ed al Regno.”

L’anziano assentì con il capo.

 

 

3

 

Era prossima la mezza quando Enrico si voltò, per lanciare uno sguardo all’orizzonte dove il Sole avrebbe trovato il suo letto a fine giornata, la dove s’erano diretti speranzosi i sopravvissuti del villaggio di Pagliagialla. S’era separato da loro in mattinata, dopo aver percorso un breve tragitto insieme. Si sentì colpevole perché li aveva privati della sua scorta. Strinse con forza l’asta e chiese perdono a Dio ma sentiva che il suo dovere doveva essere compiuto altrove. Ma dove? Bellavista era in mano al nemico. Invicta e Victoria probabilmente erano ormai cinte d’assedio o prossime all’esserlo e dunque il sentiero che ad esse portava impraticabile, in quanto si sarebbe trovato in mezzo agli odiati nemici. Marina era troppo lontana e anche se avesse seguito in confini del Regno per raggiungerla, non era detto vi avrebbe trovato nulla ad aspettarlo. I Classiari erano sicuramente stati tutti mobilitati. Proseguì nel suo cammino e si chiese dove sarebbe andato.

Vide un faggio che solitario stava al ciglio della via intrapresa e decise di fermarsi pochi minuti alla sua ombra per riordinare le idee. Fu allora che prese la pergamena e, dopo alcuni attimi di esitazione, si lasciò cadere seduto sull’erba, schiena contro la corteccia, occhi fissi sul nastro che la teneva ancora chiusa.

Cosa avrebbe trovato al suo interno? Questo l’aveva frenato dall’aprirla sino a quel momento: e se dentro non vi fosse stato nulla? Poggiò la fronte aggrottata contro il rotolo e chiuse gli occhi con forza, come se stesse cercando disperatamente una risposta al suo quesito.

Perché quel soldato l’aveva salvato? Chi era? E perché aveva rivolto quelle criptiche parole al guaritore e ad Ermengarda? Cosa rendeva la sua vita così speciale a tal punto da chiedere a qualcuno, ad uno sconosciuto, di rischiare per essa? E cosa l’attendeva una volta srotolata la pergamena.

Il cielo fu solcato dal volo di uno stormo di corvi. Erano grossi e chiassosi, le piume nere come la pece, i lunghi becchi affilati parevano scintillare lucidi sotto la luce diurna.

“Siete i messaggeri di quella morte che m’ha rifiutato?” Chiese loro con amaro sorriso sulle labbra. La punta di ferro della sua fidata asta baciava il legno dell’albero sotto i cui rami aveva trovato momentaneo riparo. Ne studiò le forme cercando in esse la saggezza di cui Aloisio gli aveva parlato durante le sessione d’addestramento: “Il cuore degli uomini può essere confuso dal dolore, la loro mente dalla pazzia, ma non lo scintillante metallo della tua arma; esso non guarda mai alle apparenze, non è mai preda delle emozioni ed è in esso che potrai trovare la forza di cui abbisogni per fare ciò che è giusto.” La filosofia d’Aloisio era semplice ed efficace, visto che nonostante le pugne a cui aveva partecipato, era divenuto canuto e curvo.

“T’invidio, oh mia cara amica! Rivolse quella parole all’arma che muta testimone del suo sconforto stava lì, stretta nel suo pugno. Nessuna incertezza, nessuna paura. Per te c’è solo lo scontro e la nemica difesa d’abbattere. La tua esistenza è ‘si priva di complicanze che noi grandi uomini fa come bimbi piagnucolosi. Ed eccomi qui, aggiunse con risentimento verso sé stesso, a commiserarmi, incapace di decidere anche solo dove andare e tremante all’idea di aprire questa pergamena! Sono dunque io ancora un classiare? Sono dunque io ancora un miles? Sono dunque io ancora Enrico da Fosso Verde? O sono diventato non già un devoto seguace di Dio ma solo un codardo e vigliacco?!”

Trasse un profondo respiro e, lasciata l’asta in equilibrio contro l’albero, srotolò infine la pergamena dopo averne rotto il nastro.

 

C’è un loco dove il Sole sorge bruciando le aguzze superfici con i suoi raggi ed in cui il brillare dei celesti lumi è più intenso che altrove.

C’è un loco che si trova oltre la via che sta al di là dello sguardo ed in cui ci si arriva affidandosi non ai sensi ma alla fede.

C’è un loco che non può essere visto, se non si sa dove guardare, se non si conosce i Segni che solo

chi serve Dio conosce.

Cerca codesto loco e non perderti d’animo, perché solo ivi troverai non la vendetta ma la salvezza.

 

Enrico bruciò il rotolo poco dopo averlo letto. Non doveva accadere per nessun motivo che, per disgrazia, esso finisse in mano all’Orda o a qualche traditore loro servo.

Non poteva essere certo che dicesse il vero e che alla fine del cammino che aveva deciso d’intraprendere avrebbe trovato la salvezza ma di certo qualcosa, qualcosa d’importante era lì conservato.

 

4

 

Il vento si levò freddo dall’est. Per due volte negli ultimi tre giorni gli aveva portato all’orecchio il fragore della battaglia e al naso il lezzo di carne e sangue.

Gli si strinse il cuore al pensiero che stava allontanandosi da chi stava dando la vita per l’Onore del Re e per la Pace del Regno ma doveva aver fede nella cerca iniziata.

Non erano parole scritte a caso quelle lette poco dopo la sua partenza dal villaggio dove era stato curato.

Il capoverso “C’è un loco” ripetuto tre volte era utilizzato dagli appartenenti a corpi scelti per comunicare tra loro messaggi in codice. Le prime due volte segnalava trattarsi proprio d’un messaggio in codice, la terza, seguita da una specifica parola, indicava la natura del messaggio: non può essere visto equivaleva alla richiesta di convergere su di uno specifico punto;

si strinse nel manto per scacciare il freddo ed ignorò i dubbi, forte della sua missione.

Dove il Sole sorge avrebbe fatto pensare all’est ma in realtà quelle aguzze superfici era un codice che indicava la base della Zanna gigante, un forte militare costruito a sud di Victoria pochi decenni dopo la sconfitta dell’Orda, ai tempi di quella che ormai era la Prima Guerra contro di essa, ed il cui scopo era fornire un punto strategico di raccolta per le truppe in caso di necessità. Ne esistevano altri cinque nel Regno ma a lui interessava quello in particolare. La Zanna si trovava a due giorni di cavallo da Victoria e da dove si trovava lui, a piedi, avrebbe impiegato altri venti giorni con il suo passo per raggiungerla.

Bruciando significava che al momento in cui era stato scritto il messaggio, il forte era ancora sicuro e del resto non c’era motivo di pensare diversamente visto che la sua esistenza non era stata resa nota se non agli appartenenti ad alcuni corpi speciali e solo a chi possedeva un certo grado, come appunto Enrico.

Il resto del messaggio tuttavia non era stato in grado di decifrarlo. Avrebbe potuto trattarsi di versi scritti solo per confondere gli occhi non destinati a leggerli ma Enrico aveva l’impressione che ci fosse altro.

Venti giorni erano molti e non poteva essere sicuro che non se ne sarebbero aggiunti altri perché doveva tener conto delle condizioni eccezionali in cui vessava il Regno e di eventuali contrattempi.

Staccò con un morso una fetta di lepre cacciata ed arrostita il giorno precedente. Masticò per trarre forze dalle carni che aveva cucinato in fretta e alla meno peggio. Il fumo d’un fuoco avrebbe potuto attirare sguardi indesiderati e di certo ora non aveva il tempo di dover lottare per la propria vita, sebbene proprio lo scontro con i diavoli era quanto più anelasse il suo cuore.

Tuttavia ora c’era una missione, perché una missione sembrava quella affidatagli, l’ordine che gli imponeva di recarsi colà e a cui la sua disciplina militare gli imponeva d’attenersi scrupolosamente.

Cosa avrebbe trovato alla fine del cammino era difficile dirlo ma di certo una ragione c’era se gli era stato dato tale ordine.

“Dio, dammi la forza.” Invocò dentro di sé e proseguì imperterrito, tenendosi ben lontano dai sentieri principali, percorrendo solo anguste e disagevoli vie, attento ad ogni scricchiolio di foglia e ad ogni ecco che gli giungeva da lontano.

 

 

5

 

Il suo occhio studiò bene la situazione e provò una fitta di dolore perché nulla pareva cambiarle o tanto meno disvelarglisi. Cinque dell’orda, armati con i loro lunghi pugnali ricurvi, i capi ornati dai turbanti di cui da bambino gli era stato raccontato. Erano intenti nella loro caccia che aveva osservato al sicuro dal suo nascondiglio, una caccia che però non aveva per preda una lepre come quelle che di cui si era nutrito nei giorni trascorsi.

La distanza che li separava dalla famiglia che stavano inseguendo era ormai ridotta di molto. L’uomo, un robusto agricoltore, avrebbe probabilmente, forte della sicurezza con cui si muoveva tra gli alberi e dei muscoli delle sue gambe, messo sufficiente distanza tra sé ed i suoi inseguitori ‘si da mettersi in salvo ma con lui c’erano la sua donna e tre bambini che non riuscivano a tenere il suo passo.  Egli rallentava per poterli vegliare con lo sguardo, armato solo d’una roncola ed un nodoso legno. Non poteva vedere i demoni ma sentiva che gli erano vicini, a giudicare dagli sguardi preoccupati e non s’ingannava.

“Coraggio! Corri! Correte!” Incitò silenziosamente Enrico. Serrò spasmodicamente le mani intorno all’asta e quando vide che ormai erano perduti quasi ringhiò per la rabbia.

Contro cinque non poteva farcela ed impegnarsi in quel combattimento significava solo morte certa.

Aveva il dovere di sopravvivere per raggiungere il luogo dell’incontro ma ora era diverso: stava per assistere ad un massacro; un massacro inutile ed insensato. L’orda non aveva ragione alcune di macchiarsi anche di quel delitto ma sapeva che quei cani non si sarebbero tirati indietro, che non avrebbero mai risparmiato né l’uomo, né tanto meno la sua famiglia.

“Bastardi!” Sussurrò pieno di livore, le vene delle tempie che pulsavano violentemente, le orecchie che fischiavano tanto veloce era lo spostarsi del sangue nel suo corpo.

Uno dei bambini cadde in terra e la madre terrorizzata si voltò subito, per correre a recuperarlo.

Erano morti, tutti e cinque. Non una gruppo di soldati contro altri soldati ma solo una famiglia contro degli assassini spietati.

“Mitra, oh Mitra misericordioso! Dimmi cosa devo fare?!” Pianse nel pronunciare a denti stretti quella preghiera.

“Un Classiare è diverso da ogni altro miles perché riesce a fare l’impossibile.” Sentì nella sua mente la voce di Tancredi ricordarglielo.

“L’esitazione uccide in battaglia. Agire o non agire ma non una via di mezzo! Mai! Se decidi di agire, anche quando la situazione è disperata, fallo senza ripensamento alcuno e lascia che la lucidità e l’addestramento siano le tue armi più potenti insieme alla tua lancia.” Era stato Aloisio stavolta a parlargli attraverso il mare del tempo.

La taglia ridotta di Enrico lo rendeva agile nei movimenti e difficilmente lo avrebbero potuto scorgere scivolare lungo il fianco boscoso della collinetta dove si trovava, mentre lui aveva una visuale ormai perfetta dei suoi cinque bersagli.

Avvertiva intorno a sé i rami e gli sterpi, evitandoli per ridurre a nulla il suo rumore.

La sorpresa era tutto quello che aveva e si sarebbe esaurita presto. Dunque doveva agire con velocità superiore a quella con cui essa si sarebbe esaurita. Poteva farlo, poteva riuscirci: era suo dovere riuscirci; “PER MITRA!” Urlò dentro di sé ormai ebro del furore guerriero.

Si portò alle spalle degli odiati nemici ed iniziò la sua letale opera.

La punta della lancia aprì il banchetto di sangue sfondando una nuca e subito chiuse la distanza colpendo la schiena di quello con un violento calcio, prima che potesse accasciarsi, mandandolo contro il capo fila. Alla punta di ferro fece descrivere un arco togliendo entrambi gli occhi al compagno di quello che aveva appena ucciso. Non aveva tempo di riportare l’asta in posizione e semplicemente la lasciò andare: estrasse il suo pugnale e si scansò di lato, lasciando che la lama ricurva del nemico gli sfiorasse la spalla; ruotò in modo da non rimanere ferito e prese con il palmo aperto della mano la testa del demone e la spinse di forza contro il pugnale. Il ferro si fece largo attraverso un occhio, sin nel cervello. Due ne rimanevano e due dovevano morire. Il contadino lanciò un urlo animalesco e con sorpresa del capofila dei mezzi diavoli che s’era appena liberato del corpo della prima vittima d’Enrico se lo vide arrivare addosso e riversargli contro una grugnola di colpi. Nel girarsi s’era sbilanciato ed incespicò ulteriormente sul cadavere del compagno caduto ‘si che non poté far altro che finire macellato dall’agricoltore che per salvare la sua famiglia era disposto a tutto. Enrico ne approfittò e si scagliò contro l’ultimo rimasto a rappresentare un pericolo. Parò con il pugnale il colpo dell’altro e con un calcio preventivo neutralizzò il calcio che quello gli aveva indirizzato ai testicolo e a sua volta lo colpì nella virilità strappandogli un grido soffocato. Subito lo pugnalò senza pietà alcuna, mirando in tutti i punti che gli erano stati insegnati essere vitali. Il suo lavoro non era finito ed in un attimo costrinse a terra quello che aveva reso cieco. S’avvide essere una donna ma questo non lo rese più tenero mentre con il peso del corpo premeva il ginocchio contro il braccio di quella.

“Dove e quanti sono i tuoi compagni?”

“Crepa!” Sibilò lei.

Aveva sentito parlare per tanto tempo della crudeltà e della mancanza di paura dell’Orda e sapeva di non aver tempo per interrogarla. L’unica cosa che poteva ricavarne era che segnalasse la loro posizione ad eventuali altri diavoli si trovassero nei dintorni e così con un colpo secco le squarciò la gola.

Quando si voltò vide l’uomo stringere tra le sue braccia i famigliari.

“Andate, disse loro secco sebbene felice che fossero vivi, non c’è tempo loro … le parole gli morirono in gola quando capì di non essere arrivato in tempo per salvarli tutti. NO! Dio mio, no …” La madre stringeva tra le braccia il corpo ormai senza vita del piccolo che era caduto e su cui la furia della lama del capo squadra dell’orda si era abbattuta.

 

6

 

Siringò dalla bisaccia un po’ d’acqua nella sua bocca e riprese subito il cammino. Erano passati quattro giorni dall’incontro con i cinque soldati dell’orda e non riusciva a dimenticare i lineamenti del bimbo che era caduto vittima della loro spietata ferocia. Quanti altri avevano seguito la sua sorte? Il padre, nonostante il dolore, non l’aveva biasimato ma anzi, l’aveva ringraziato per aver salvato gli altri suoi congiunti. Non c’era stato tempo per allestire una pira per quel bimbo, o tanto meno per scavargli una fossa. Erano tempi orribili quelli in cui vivevano se si doveva, per necessità, lasciare il corpo di un innocente a fare da pasto alle bestie del bosco. Enrico aveva avuto solo tempo per chiedere a Mitra di far in modo che il viaggio verso l’Oltretomba di quella piccola anima fosse veloce e privo d’affanni. La madre, se pur straziata per la perdita e per l’impossibilità a dare sistemazione decente al corpo del figlioletto morto lo baciò sulla guancia: “Avete salvato gli altri due …” Disse tra lacrime e singhiozzi e quando rapidi ripresero la via, anche Enrico pianse.

Non c’erano stati altri scontri. Il suo viaggio era proseguito solitario. Chi fuggiva, sembrava intenzionato a farlo verso ovest o nord-ovest dove probabilmente gli scontri erano meno violenti. Al confine sud doveva essere l’inferno e si chiese se anche all’est fosse la stessa cosa, dicendosi ch’era molto probabile.

Si fece forza, sebbene fosse ancora stanco e riprese la via, verso la Zanna Gigante, sperando ivi avrebbe trovato delle risposte.

Perché gli era stato indicato quel luogo? Più andava avanti e meno le sue certezze parevano essere salde. Un uomo, sicuramente un appartenente ai corpi speciali che possedeva un grado di comando lo aveva salvato, dandogli un messaggio cifrato in cui gli si chiedeva di convergere lì.

“Cosa mi attende?” Disse in un sussurro.

Si tolse dal sentiero non appena il vento gli portò il rumore di zoccoli e fu allora che vide un gruppo di cavalieri in fuga. Dalle uniformi sembravano appartenenti a qualche guardia civica locale mentre il sangue che li imbrattava testimoniava dovessero essere dei sopravvissuti ad uno degli assalti dell’Orda. Non li fermò. Non segnalò la propria posizione. Troppe domande. Avrebbero potuto anche decidere di seguirlo e sarebbe stato un problema visto che la posizione della base doveva essere mantenuta segreta fino a nuovo ordine.

Il suo senso di colpa s’accrebbe ulteriormente ma erano tempi in cui gli uomini, nonostante tutti gli scrupoli, dovevano venire a patti con sé stessi.

“Perdonatemi.” Le sue scuse le raccolse il vento.

 

7

 

All’inizio aveva creduto che le fattorie incendiate fossero state  un segno del passaggio dell’Orda ma poi aveva capito: erano stati gli stessi abitanti del luogo a distruggere le proprie case, avvelenare i raccolti nei campi, uccidere il bestiame; nessuno avrebbe mai creduto di arrivare a tanto. Anche lui, in quanto figlio di contadini, era stato educato a quell’evenienza che tutti credevano essere remota, persino folle, per cui se il Regno fosse stato invaso nuovamente da un nemico crudele come l’Orda, si sarebbe dovuto privarli di qualsiasi rifornimento o punto d’appoggio.

Sulla via del nemico non doveva rimanere nulla per rendere la permanenza e la pugna sul territorio il quanto più ardua possibile.

Socchiuse un istante gli occhi e cercò di figurarsi la tremante mano paterna mentre con la torcia dava fuoco alle pelli e ai mobili intrisi d’olio, alla paglia secca, allo sterco degli animali ammucchiato a ridosso del pollaio e della stalla. Quanto avevano sofferto gli abitanti delle Terre Centrali mentre con le proprie mani sacrificavano il frutto del sacrificio e del duro lavoro di generazioni.

Le donne dovevano aver pianto e gli uomini pure. I bambini s’erano stretti alle vesti avite e carovane di disperati s’erano diretti verso Victoria perché questo stava accadendo in tutti i borghi ed i piccoli centri abitati scampati alle furia sanguinaria del nemico: chi non aveva tentato la fuga a Ponente la tentava verso le due grandi città, le Sorelle, Invicta e Victoria; l’odore del fumo gli riempì le nari strappandogli alcuni colpi di tosse e costringendolo a cambiare via prima che la sensaazione di bruciore ai polmoni si facesse intollerabile.

Quanti sarebbero stati accolti entro il perimetro delle mura? Le due città erano grandi ma non così tanto da poter dar rifugio a tutti. Gli uomini si sarebbero sacrificati, per garantire un posto alla progenie e alle spose, armandosi alla meglio e recandosi la dove si combatteva, per dar man forte alle truppe regolari.

Sarebbero morti a migliaia e tanti sarebbero stati gli orfani e tante le vedove.

Si stropicciò gli occhi, tentando di rimettero a fuoco la vista, il volto annerito dal fumo, la pelle arrossata per il calore.

Si bloccò quando vide i cadaveri. I clivi e le conche che si stendevano alla sua sinistra ne erano ricoperti. Civili, alcuni milites. L’ultima sacca di resistenza che aveva dato la vita per dare il tempo agli altri di fare il proprio doloroso dovere e poter fuggire.

“Mitra Santissimo, nel tuo Nome Glorioso invoco la Grazia su chi è morto con l’onore delle armi.” Segnò il petto e la fronte con la forma del Feroaro e riprese il cammino.

Occhi ormai ciechi parevano fissarlo con la distratta curiosità che si dicesse fosse propria dei fantasmi, arti mozzati parevano ancora protesi nell’atto di afferrare una mazza, un’ascia, un falcetto, un’asta improvvisata. Il sangue sulle loro vesti era raffermo e secco ma nell’aria, ora, pareva possibile poterne avvertire l’odore, persino più intenso di quello del fumo.

 

8

 

PER MITRA! Esclamò dentro di sé mentre con brutale freddezza aprì la gola al mezzo-demone. La lama del pugnale saettò veloce facendosi largo tra le carni come una navicella che fendeva il calmo mare durante la dolce stagione. Premette con forza la mano contro la sua bocca, per evitare potesse dare l’allarme ai compagni e lo strinse a sé aspettando che la vita di quello si spegnesse definitivamente. Accompagnò il corpo verso il basso per evitare rumori e si diresse tosto sul limitare dell’accampamento nemico.

Doveva essere un gruppo di cercatori mandati in avanscoperta, non più di cinque uomini. Quattro tenendo conto che aveva appena ucciso uno di loro. S’erano fermati in una radura che si trovava al centro del bosco che stava attraversando. Un punto strategicamente buono a patto di stare in guardia, cosa che loro sembravano non essere. Non in modo particolare almeno. Probabile che non si aspettassero che qualcuno attraversasse quei luoghi. Un brutto segno, si disse. Forse tanta sicurezza non era dovuta solo alla tracotante superbia dei demoni ma alla consapevolezza di aver chiuso nel loro spietato assedio la maggior parte degli abitanti del Regno.

Si sentì tremare per la rabbia. Forse poteva farcela e ripetere il miracolo dei giorni passati: ucciderne cinque da solo; tuttavia i miracoli non si ripetevano tutti i giorni e sebbene ne avesse eliminato già uno, era consapevole trattarsi di una condizione particolarmente propizia quella che gli si era presentata. Il demone probabilmente pattugliava la zona più in cerca di cibo che non di eventuali nemici.

Gli altri quattro erano tutti troppo vicini l’uno all’altro e l’effetto sorpresa gli avrebbe potuto garantire di farne fuori uno ma gli altri tre, per certo, lo avrebbero sopraffatto.

Si allontanò a malincuore, silenzioso ma con piè veloce, perché presto si sarebbero accorti dell’assenza del loro compagno e questo li avrebbe allarmati.

“Cani schifosi!” Sputò in terra, ormai fuori dalla loro portato, di nuovo in viaggio verso la Zanna Gigante. Almeno aveva strappato per sempre il respiro ad uno di loro.

Pulì la lama della pugnale con un ciuffo d’erba raccolto dal ciglio del sentiero, temendo che il sangue della sua vittima potesse maledire il metallo indebolendolo.

Si segnò tre volte per scongiurare tale rischio e continuò imperterrito sulla sua via.

 

 

9

 

La Zanna Gigante era un nome ingannevole. La base era tutt’altro che visibile come si sarebbe potuto pensare anzi, era stata concepita per mimetizzarsi con l’ambiente circostante.

Gran parte di essa era interrata, costituita da camere dal soffitto a volta  collegate tra di esse da cunicoli scavati a dieci metri di profondità.

La parte estrusiva era costituita da locali ricavati dai grandi massi granitici che si trovavano nella zona o costruiti per sembrare capanni di pastori.

Non c’erano torri d’avvistamento, o almeno non che apparissero come tali. Su alcuni alberi erano state installate pedane per le sentinelle, piccole piazzole d’armi dove potevano riunirsi fino a tre arcieri se necessario.

“Ci siamo.” Si disse. Lanciò il richiamo convenuto. Una, due, tre volte ma non giunse risposta.

Se avessero pensato potesse trattarsi d’un trucco nemico, avrebbero mandato qualcuno a controllare.

Non accadde nulla. Come era possibile? Se il messaggio non fosse stato decodificato in modo corretto? Che la base fosse in mani nemiche? Non vide segno d’attività alcuna e solo dopo un paio d’ore si persuase di trovarsi di fronte ad una base deserta.

Avanzò con cautela, mantenendo un profilo basso, ‘si da rendere difficile scorgerlo, fin a raggiungere un ingresso ricavato nella forra d’un  grande masso ricoperto di muschi ed edera.

Fece il suo ingresso in quello che era un posto di guardia.

Come tutto, era collegato con l’ampio sistema della Zanna e doveva esserci un passaggio che portava ai cunicoli.

Lo trovò dopo aver cercato un po’ e scoperta la botola, la aprì scendendo lungo il pendio che portava sottoterra. Non c’era nemmeno la guarnigione d’istanza alla base. Cosa era successo? Solo per un ordine del Gran Maresciallo del Regno o di uno del Generale responsabile della base potevano abbandonare il proprio posto.

Forse era troppo tardi per riunire forze e tentare un attacco alle spalle del nemico e si era preferito impiegare diversamente i soldati.

Percorse l’estensione sotterranea passando sotto le architravi di pietra che sostenevano il soffitto quasi fosse uno spettro. Aveva preso da un anello a muro una torcia e servendosi della propria pietra focoia e d’un po’ di grasso animale che serbava in un fazzoletto s’era procurato l’illuminazione necessaria a proseguire nel viaggio.

Si morse il labbro inferiore e gli parve che la cicatrice sul suo volto fosse tornata a bruciare.

Cosa faceva lì? Se non v’era nessuno quale poteva essere lo scopo d’essersi recato ivi?

Anche se il nemico non aveva trovato la base e ne ignorava l’esistenza, non gli poteva essere di nessuna utilità privata d’un gruppo di milites a cui aggregarsi.

Chiese aiuto a Dio, sentendo la frustrazione e la disperazione montare in lui e, poi, fermò il passo, catturato da un pensiero improvviso: “la via che sta al di là dello sguardo ed in cui ci si arriva affidandosi non ai sensi ma alla fede.”; i criptici versi del messaggio che gli era stato recapitato assunsero improvvisamente un senso. La cerca non fu facile e dovette cambiare la sua torcia con una che aveva trovato in una piccola rimessa nascosta in una feritoia della parete.

Ogni fortezza, ogni castello, ogni campo, grande o piccolo che fosse, aveva un luogo dove si potessero officiare rituali sacri. Non sempre un vero Mitreo ma comunque un punto in cui si pregava, si leggevano le sacre scritture e, delle volte, spazio e possibilità permettendo, si consumavano olocausti in onore di Dio.

S’affrettò, muovendosi per i corridoi, in cerca della “Spelonca” ed alfine la trovò. Non si trattenne dall’esultare, anche se forse, si rimproverò, era troppo presto fare.

Il messaggio era stato preciso nell’indicargli quella base e se gli veniva indicato quel punto specifico della base un motivo doveva esserci.

C’è un loco che non può essere visto, se non si sa dove guardare, se non si conosce i Segni che solochi serve Dio conosce.” Recitò a bassa voce.

Gli uomini d’arme come lui erano soldati al servizio del Dio Mitra e dunque possedeva per certo gli elementi per capire. Pensò ai fondamenti della dottrina e poi il suo sguardo si posò sul tabernacolo in cui normalmente erano custoditi il cultro ed il nappo sacri utilizzati per uccidere il toro e raccoglierne il sangue.

Il bere il sangue rappresentava l’atto di rigenerarsi, mondandosi dai peccati e così come aveva fatto Dio al termine della Sacra Tauromachia.

Passò più volte le mani tra i capelli e poi si voltò. Il passaggio che dava alla sala dove veniva consumato l’agape, il banchetto rituale che in alcuni casi precedeva i rituali, in altri li seguiva.

Lo Spirito dell’Altissimo scenda su di noi, benedicendoci con il dono del Coraggio e della Sapienza.” Erano i versi che venivano declamati prima di spezzare il pane rituale e mangiarlo.

Aprì la porta di legno ed entrò nel piccolo locale. I suoi occhi guizzarono da una parte all’altra, cercando i segni. Non trovò nulla e allora, dopo alcuni istanti d’incertezza, deciso a non darsi per vinto, si disse che avrebbe cercato ciò che non c’era e il suo ingegno venne quasi subito premiato quando notò che mancava il posto destinato al Celebrante. Si diresse la dove avrebbe dovuto trovarsi lo scranno e notò che di recente la terra era stata smossa. Con quella scarsa illuminazione non se ne sarebbe mai accorto. I versi l’avevano aiutato e così scavò con le mani, scoprendo un’altra botola, molto vecchia a dire il vero. L’aprì e subito prese le scale che parevano addentrarsi ancora di più nell’oscurità.

 

 

Continua