L’auto procedeva in pratica a passo d’uomo da oltre un quarto d’ora e, da quanto poteva vedere, Remo Rizzato non aveva motivo di pensare che la situazione sarebbe cambiata di lì a poco.

Prese il cellulare per chiamare il suo amico Andrea che si trovava già al convegno dove era diretto per chiedergli di spiegare agli organizzatori che il ritardo con cui sarebbe arrivato era da attribuirsi al traffico milanese in cui si era ritrovato imbottigliato.

Attivò vocalmente la chiamata al numero di Andrea ma quando non sentì nulla alla sua cuffia, lanciò un’occhiata veloce al display, confidando che a quella velocità anche distrarsi un attimo, non avrebbe comportato alcun pericolo. Corrugò il sopraciglio quando vide che il segnale era praticamente assente. Strano, giacché poco prima aveva chiamato a Roma per chiedere alla sua vicina di casa se gli avesse usato la cortesia di prendergli la posta in arrivo.

“Maledetto telefono!” L’esclamazione che gli arrivò dal marciapiede attirò la sua attenzione. Un indaffarato signore stava imprecando contro il proprio telefonino e, osservando meglio, si accorse che almeno altre due persone stavano invano tentando di chiamare dal cellulare.

Che si fosse trattato di un black out della cella di trasmissione? Possibile.

Premette la nuca contro il poggia testa della sua Alfa e si chiese come avesse potuto essere così stupido da infilarsi per le vie d’una città che alla fine non conosceva così bene.

Il navigatore satellitare gli aveva comunicato che non si registrava traffico per la zona scelta per il transito.

“Bell’affare averti comprato!” Sbottò contro l’apparecchio che continuava a segnalare il percorso come sgombro. Forse c’era un problema a livello satellitare, si disse. Magari questo giustificava sia il comportamento del navigatore che dei cellulari.

Ripensò a quello che gli diceva sempre suo padre: “Siamo troppo dipendenti dalle nostre belle macchine. Ci rendono si la vita comoda ma cosa accade se la spina viene staccata e noi non possiamo riattaccarla? Andiamo nel panico, ecco cosa succede.”

Forse le posizioni di suo padre erano troppe estreme ma avevano più che un fondo di verità. L’uomo moderno, si disse, s’era affidato troppo al frutto del proprio ingegno e aveva dimenticato di possedere anche altre risorse.

Il semaforo era rosso e si disse che lo era da un po’ troppo tempo.

C’era qualcosa che non andava. Se fosse stato un problema del satellite, allora il cellulare ne avrebbe risentito subito, nello stesso momento in cui il navigatore sembrava aver avuto problemi. Un guasto alla cella di comunicazione e al satellite contemporaneamente? Non improbabile ma comunque strano. Ora il semaforo.

Il suo istinto gli diceva che c’era qualcosa che non andava ma si schernì dicendosi che forse era troppo ansioso, che la sua forma mentis, portata ad analizzare con ossessiva maniacalità le cose, gli stava giocando un brutto scherzo.

Il semaforo scattò e le macchine si mossero. Sperò che il ritardo non fosse eccessivo, anche se l’orologio sembrava volergli strappare quell’illusione.

La Megane colpì con forza il suo sportello tanto da farlo sobbalzare.

“MERDA!” Esclamò.

L’autista dell’altra auto uscì, una mano alla testa, apparentemente intontito.

Remo si slacciò la cintura di sicurezza e scese a sua volta, i passanti che si fermavano per curiosare, qualcuno che chiedeva ai due uomini come stessero.

“Io tutto bene, li rassicurò Remo, piuttosto lei come sta?” Volle sincerarsi della salute dell’altro, sebbene lo avesse tamponato.

“Mi gira un po’ la testa ma sto bene. Mi dispiace! È stata tutta colpa mia! Senta, non voglio crearle altri problemi. Sono disposto a darle subito tutti i dati dell’assicurazione e a prendermi tutta la responsabilità dell’accaduto.”

Remo rimase stupito. Non era da tutti dimostrare tale civiltà nel comportamento e questo rasserenò un po’ il suo umore rabbuiato dall’incidente e dal ritardo che ormai era certo avrebbe fatto. Si sarebbe scusato con i partecipanti e con gli organizzatori. Poteva dimostrare che non era stata colpa sua e questo giocava a suo favore.

L’auto della manucipale si fece largo tra quelle incolonnate accendendo la sirena. Arrivò in prossimità dei due che stavano scambiandosi i dati delle rispettive assicurazioni. Uno degli agenti s’avvicinò per chiedere se andasse tutto bene e che cosa fosse successo. Remo iniziò il racconto quando, d’improvviso sentì qualcosa pungerlo alla schiena. Quando si voltò, stupito per l’improvvisa sensazione, incontrò il volto dell’altro poliziotto. L’espressione era di fredda cortesia, volutamente neutrale. Notò, cosa strana si disse gli fosse sfuggita, che entrambi gli uomini sembravano essere in perfetta forma fisica. Alti, piuttosto prestanti, più di quanto ci si sarebbe aspettato dai vigili. Le scarpe d’entrambi, inoltre, erano perfettamente tirate a lucido, come se le avessero messe il giorno stesso.

Un formicolio gli si diffuse improvvisamente dalla schiena su, fino al collo e poi ancora più su, al volto, alla bocca, agli occhi che non riusciva più a tenere aperti. Si sentì le gambe cedere sotto il proprio peso.

“M’avete drogato …” biascicò e cadde all’indietro tra le braccia di uno dei finti vigili urbani.

 

 

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Presenta:

 

 

Da un’idea di Yuri Lucia

 

 

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Di Yuri Lucia

 

 

OPERAZIONE TEMPESTA

 

N1

 

S’ode un Tuono

 

 

1

 

4 Febbraio 2015, Base Aerea Nato Ramstein – Germania

 

“Il nuovo Aereo-Fighter X0 prenderà il posto dell’Euro Fighter in capo a pochi mesi, probabilmente con il nome di Euro Fighter X.” La voce del Professor Karl Mouser era piena d’orgoglio.

Il Colonnello Kristian Kopfe era chiuso nel suo usuale riserbo ma non mancò di cogliere, con la coda dell’occhio, il sorriso di soddisfazione di Jean-Jaque Le Roy, l’ufficiale francese che lo affiancava nella gestione congiunta della Base.

“È un era di grandi cambiamenti, asserì proprio quest’ultimo con il suo tedesco parlato con un pesante accento parigino,l’U.E. sta finalmente pervenendo alla nascita d’un esercito comune, non più solo una serie di iniziative di facciata, ma un vero e proprio corpo militare e una sua aviazione militare pronta a compiere missioni in tutto il mondo. Ramstein è stato uno dei simboli della guerra fredda ai tempi della divisione tra blocco est ed ovest, ed ora, tra pochi anni, diverrà il centro di comando operativo della nuova Aviazione Militare Europea. L’Euro Fighter X rappresenta la sesta generazione di caccia multi-funzione e la base, entro un anno, ne sarà dotata di altri cinque, oltre ai sei prototipi attualmente stazionati nei nostri hangar che saranno approntati al servizio attivo in due mesi.”

A Kopfe dava fastidio la pomposità del suo secondo in comando. Il suo predecessore, un bretone di poche parole ma che sapeva il fatto suo, era andato in pensione, deciso a godersi “il merdoso clima della sue parti”, come l’aveva pittorescamente definito in un paio di occasioni e i suoi splenditi nipoti. Aveva visto una foto della sua famiglia, quattro figli, due maschi e due femmine, che gli avevano dato in tutto una decina di nipoti, di cui uno l’aveva reso, ancora relativamente giovane, un bisnonno, dandogli un bel pronipote che era stato chiamato come lui: Ewan; si erano accomiatati con una virile e spartana stretta di mano, un gesto di grande confidenza per due come loro. Non c’era giorno, dall’arrivo di Le Roy dal bel volto e dai modi affettati, in cui non rimpiangesse quel paio di baffi ingrigiti dal tempo ed i modi sobri e marziali con cui l’altro svolgeva il proprio dovere.

A Kopfe quella sembrava un’operazione di marketing bella e buona che i governi congiunti di Francia e Germania s’erano apprestati a mettere in atto, riscuotendo poco successo in un Parlamento Europeo indebolito dai recenti referendum che ne avevano bocciato quasi totalmente l’operato.

Gran Bretagna ed Italia erano all’apice della loro influenza a livello internazionale e l’Europa franco-tedesca sognata dai due stati sembrava ormai solo un’utopia.

“Non cambiano mai.” Disse tra sé e sé. Era del tutto disinteressato alle manovre di palazzo e alle questioni di prestigio politico. A lui bastava avere un obbiettivo e per il resto c’erano la sua esperienza e la disciplina acquisita in una vita passata sotto le armi.

Le Roy invece era il suo opposto: amava la mondanità, in modo irritante, e non perdeva occasione per apparire in qualche programma tv come invitato o a feste a casa di questo o quel diplomatico; erano state date precise direttive a Kopfe di non occuparsi di quel lato del lato del lavoro di Le Roy che rappresentava il volto ideale della nascente A.M.E., ammesso  e non concesso sarebbe mai nata.

Lo scoppio fu improvviso e fece sobbalzare tutti. Da diverse console venivano scintille azzurrine, fumo e lo sfrigolio tipico dell’elettricità.

“Che cosa è successo?Chiese secco Kopfe. Nessun ferito?” Arrivarono cinque risposte affermative ma per fortuna non sembravano essere gravi. L’improvvisa esplosione aveva coinvolto gli operatori solo marginalmente e, a parte alcune ustioni alle mani, gli occhi ed il volto sembrano essere illesi.

“Forse uno sbalzo di corrente …” azzardò Le Roy.

“Otto postazioni contemporaneamente?!Chiese caustico Kopfe. Inoltre guardi fuori, la palazzina B. Indicò con il dito il basso edificio non molto distante dal centro controllo dove si trovavano. Niente luci! Questo non è un caso.”

“Ma allora?! …” Non riuscì a trattenere la propria incredulità un giovane tecnico che aveva sentito lo scambio di battute tra i due ufficiali.

“Un attacco M.P.” Kopfe non lo riprese ma si limitò solo a confermarne i sospetti.

“Ma le nostre Misure Protettive Elettroniche …” Protestò Le Roy.

“Non sono state sufficienti. L’attacco proveniva o da un dispositivo molto potente o molto vicino.Kopfe sentenziò con sicurezza. Contattate le autorità, comunicandogli che passiamo a stato d’allerta 4.”

“4?” Le Roy non riuscì ad aggiungere altro.

“4.” Confermò con fermezza Kopfe.

“Signore, le linee …” L’ufficiale addetto alle comunicazioni era impallidito.

Kopfe se lo era aspettato.

“Fate uscire i blindati e disponete gli uomini a difesa del perimetro e dell’edificio C. Voglio gli elicotteri in volo, entro 15 minuti fa. Che sorveglino la base dall’alto e si tengano pronti all’azione. La priorità e la difesa dell’edificio C. Stabilite un ponte radio con la più vicina base militare e trasmettete l’allarme. Richiedete copertura aerea immediata. Livello 5, ripeto, livello 5 d’allerta. Tutto il personale predisposto, mi segua al Centro Operativo Tattico.”

Mauser e Le Roy erano annichiliti. Kopfe aveva deciso tutto in pochissimi istanti. Non poterono far altro che seguirlo mentre si dirigeva al così detto C.O.T. I nuovi standard europei avevano previsto la creazione di un secondo centro di comando che era sito in un cavou sotterraneo raggiungibile con un ascensore accessibile solo al personale autorizzato. Il C.O.T. poteva resistere ad un assalto pesante diretto e da lì sarebbe stato possibile continuare le operazioni anche in caso gran parte della base fosse andata distrutta. Le tensioni con alcuni stati dell’ex Unione Sovietica, avevano dettato la necessità di adottare tale accorgimento ed  il C.O.T. di Ramstein, essendo destinata a divenire il centro nevralgico dell’Aviazione Militare Europea, era stato reso a prova di attacco nucleare. Chiunque li stesse attaccando, avrebbe trovato pane per i suoi denti.

L’ascensore blindato al termine del corridoio che percorsero, li condusse 30 metri sotto terra, nel cuore di cemento, piombo e titanio di Ramstein. Il centro nevralgico della base era costituito da 6 postazioni primarie, composte da console e tre grandi schermi da 25’, 15 postazioni secondarie, ed ovviamente la grande “plancia” di comando a cui andò subito Kopfe, fissando gli occhi sul tavolo interattivo che costituiva tre quarti della sua postazione. Sulle pareti laterali e su quella frontale 3 schermi piatti, grandi come schermi da cinema suoi quali erano proiettate le immagini delle telecamere perimetrali, dei singoli edifici, quelle trasmesse dai mezzi, 8 carri Leopard-2e 12 Lince di frabricazione italiana, che avevano preso posizione, e diverse rappresentazioni 3d della base.

Tutti si sistemarono al proprio posto, così come prevedevano le procedure. Kopfe schiacciò un pulsante e parlò al microfono davanti a sé: “A tutti gli uomini della base, sono il Colonnello Kopfe. Codice Jerico, 2, 4, 6. Ripeto: Jerico 2, 4, 6.”

Ci fu un lampo improvviso che rischiarò uno dei quadranti dello schermo 8.

“L’elicottero numero 4!” Esclamò l’addetto a quella postazione.

“È stato abbattuto?” Stavolta Kopfe era incredulo. I radar avrebbero dovuto rilevare un missile in avvicinamento. Che fossero davvero così vicini? Si chiese.

Un'altra esplosione, come un tuono, diffusa dalle casse appese alle pareti.

“Signore! L’elicottero 2! Abbattuto!”

“Assurdo …” Le Roy balbettò appena quel commento. Non era preparato allo scontro. Non lo era mai stato e di sicuro non lo sarebbe stato in quel momento.

“Cosa dicono i radar?” Chiese il Colonnello.

“Silenzio assoluto, Signore!”

“Le telecamere?”

“Non … aspetti! Eccolo!”

Fu allora che lo videro tutti, quando l’operatore che l’aveva visto trasferì l’immagine sul gigantesco schermo centrale. Le luci d’emergenza furono tutte puntate sulla sagoma che stava discendendo dal cielo, puntando su una delle quattro torrette di guardia poste agli angoli della cinta muraria interna.

Si muoveva veloce, senza oscillazioni visibili. La livrea nera lo confondeva con il cielo notturno.

“Bassa visibilità, non è rilevato dai radar … uno stealth?” Kopfe non aveva mai visto nulla del genere.

“Cosa sta facendo?” Chiese allarmato Mouser.

Kopfe non perse tempo a rispondergli: “ Cosa aspettate! Fuoco!”

Le mitragliatrici dei blindati si scatenarono contro il bersaglio. Un volume di fuoco tale che, a rigor di logica, avrebbe dovuto spazzarlo via.

Era incredulo. Il vecchio ufficiale tedesco non poteva credere avesse retto a quella pioggia di proiettili perforanti. “Che razza di corazza ha?!” Le parole di Mauser sembravano esser scaturite da un suo pensiero.

“Usare i missili! Abbattetelo ad ogni costo!”

Il veicolo sfiorò la torre, salvo poi rialzarsi velocemente, apparentemente illeso.

Fu tutto troppo veloce perché al C.O.T. se ne potessero rendere conto. I blindati furono fatti a pezzi, uno dopo l’altro, come se fossero stati fatti di carta pesta.

“Signore! Ho ricevuto un ok per la richiesta di supporto aereo …”

“Tenente, si rivolse all’ufficiale che gli aveva dato la comunicazione, informi sulla natura del bersaglio. L’ordine è: abbatterlo.”

“Signorsì, Signore!” Subito comunicò via radio l’ordine ricevendo dai uno dei due piloti degli Eurofighter in arrivo risposta affermativa.

L’hangar dove stavano gli Aereo-Fighter X seguirono pochi istanti dopo la stessa sorte dei blindati.

“NO!” Urlò disperato Mouser, quasi avessero ucciso i suoi stessi figli. Ci furono due esplosioni, in rapidissima successione.

“Signore! Gli uomini sono stati colpiti.”

“Colpiti?”

“Riferiscono che un cecchino sta sparando dalla torre dove il veicolo non identificato si è avvicinato.”

“HA FATTO SBARCARE QUALCUNO!Kopfe per qualche istante lasciò trapelare il suo scorno solo per riprendere immediatamente il controllo. Comunichi a tutte le unità che lo spazio interno è stato violato. Uomini infiltrati, in numero imprecisato, stanno conducendo azione ostile con possibile obbiettivo la palazzina C. Devono essere fermati, ad ogni costo! Gli arei richiesti dove sono?”

“Dieci minuti e avranno il bersaglio a portata di tiro!”

“I nostri pod anti-aereo?”

“Sono stati fatti emergere dalle postazioni ma hanno problemi ad acquisire il bersaglio a causa della velocità con cui si sposta e della scarsa visibilità che offre. Sembra in oltre in atto una sorta di jamming che interferisce con i sistemi di puntamento.”

“Passatemi i piloti degli Eurofighter! Subito!”

“Signorsì! Piloti in linea, glieli passo sull’auricolare.”

Kopfe prese l’apparecchio wirles che stava sul tavolo e la infilò subito. Grugnì il malcontento nel verificare che non gliene avevano procurata uno a misura del suo orecchio.

“Qui base Ramstein, Sigfrido 11.11. Passo.”

“Sigrido 11.11, qui Rosica ossa 2, sono il Colonnello Stromm. Passo”

“Colonnello Stromm, Kopfe avrebbe riso per quel ridicolo nome in codice, Rosica ossa, se la situazione glielo avesse permesso ma per come s’erano messe le cose, da ridere c’era ben poco, Colonnello, abbiamo a che fare con un bersaglio pericoloso, ripeto, pericoloso. Sta facendo a pezzi le nostre difese ed è riuscito a sbarcare un numero imprecisato di uomini. Passo.”

“Ha fatto sbarcare? Vuol dire che si sono paracadutati? Passo.”

“No, li ha fatti sbarcare, Rosica ossa. È un elicottero. Passo.”

“Generale, credo di non aver capito bene. Può ripetere? È sicuro di quello che ha…”

“Tenente! Kopfe si rivolse all’addetto alle comunicazioni Il segnale è scomparso!”

“Non capisco Signore! Non è possibile! Non può trattarsi di un altro E.P.!”

“Non lo è! Stanno sabotando dall’interno! Maledizione! Comunicate agli uomini che devono trovare gli invasori e fermarli! Da dove possono aver manomesso le comunicazioni?”

“Solo da una delle console del Centro…” Il Tenente si bloccò quando realizzò cosa aveva appena detto.

“Contatti gli addetti che sono rimasti su. SUBITO!”

“Nessuna risposta!”

“Sono qui!”

“QUI?!” Urlò terrorizzato Le Roy. Kopfe lo fulminò con uno sguardo truce. Se avesse potuto, avrebbe estratto la sua pistola d’ordinanza e l’avrebbe freddato all’istante per quella mancanza d’autocontrollo.

“L’unico modo per arrivare qui e l’ascensore e loro non hanno la chiave per accedervi. Inoltre non potrebbero mai prenderci di sorpresa, anche nel caso dovessero trovare un modo di bypassare la chiave. Siamo in vantaggio tattico. Non è qui che vogliono arrivare, comunque, ma stanno sicuramente puntando alla Palazina C. Vogliono solo interrompere le comunicazioni. Qualche idea di come hanno fatto?” Tornò a rivolgeresi al giovane addetto alle comunicazioni.

“Devono aver usato una specie di virus che è stato diffuso tramite una delle postazioni sovrastanti!”

“Avremmo dovuto spegnere le postazioni!”

“Signore, le procedure erano state avviate ma servono almeno 20 minuti da quando il codice viene trasmesso.”

“Che idea balorda!” Kopfe si trattenne a stento dal dare un pugno al tavolo sulla cui superfice scorrevano le immagini degli uomini che s’affannavano a presidiare l’edificio C.

“Signore, il radar…”

“Cosa?”

“Non ho più gli Eurofighter.”

Il silenzio calò pesante nella sala.

“Impossibile …” Le Roy era annichilito.

“Un elicottero non può fare questo.” Si lasciò sfuggire un addetto ad una delle postazioni tattiche sussidiarie.

“Ma lo ha fatto. Puntalizzò Kopfe.Lo stato dei nostri mezzi terrestri?”

“Signore, l’equipaggio del Leopard-2 N4 ha appena dato segnale d’essere ancora attivo.”

“Gli dica di utilizzare tutti i mezzi che hanno per abbatterlo!”

“Signore, dicono di aver acquisito il bersaglio …”

“Fuoco con il cannone! ORA!”

Ci furono attimi di puro sconcerto.

“Un cannone da 120 mm … ed è ancora lì …” Mauser era terrorizzato.

Pochi attimi dopo aver fatto fuoco, il Leopard-2 venne distrutto.

Kopfe riuscì solo a mormorare: “  Impossibile.”

 

 

 

2

 

8 Maggio 2015, Milano - Italia

 

 

L’ambulanza era arrivata con tale rapidità che, nonostante l’anestetico con cui l’avevano drogato e che annebbiava i suoi pensieri, Remo si rese subito conto dovesse trovarsi già nei paraggi.

Chi poteva volerlo rapire? Era uno dei più giovani e più promettenti ingegneri aereo-spaziali e, nonostante la sua età, aveva già pubblicato diversi lavori e partecipato a numerosi progetti importanti, sia per il suo Paese che per conto dell’U.E.

Non s’oppose, non tentò nemmeno di farlo. Non poteva urlare e chiedere aiuto ma solo lasciarsi trasportare da quegli uomini.

Escluse mentalmente una qualche azienda come committente di quel lavoro. Troppo rischioso e troppo ben organizzato.

Una potenza rivale? Chi? Tutte quelle che elencò mentalmente non avevano i mezzi ed il supporto logistico per fare qualcosa del genere.

Alleati? Mancava il movente. Se avessero voluto la sua collaborazione per qualcosa sarebbe bastato chiederlo.

Dove mi state portando, si chiese silenziosamente. Scivolò diverse volte nel sonno, mentre l’ambulanza a sirene spiegate lo stava conducendo chissà dove.

“Si tranquillizzi. Il tono di voce di chi aveva parlato, un uomo che si trovava a bordo del veicolo e che ora stazionava vicino alla barella su cui l’avevano caricato, sembrava essere privo di accenti minacciosi o intimidatori. Capisco il suo stato d’animo e mi scuso per la messa in scena ma per avvicinarla in modo che nessuno sapesse nulla del nostro tentativo, era l’unico modo.”

“Servizio segreto italiano?” Era stupito. Erano i suoi ad averlo rapito, o meglio, i servizi segreti italiani.

“Per servirla.” Ammise l’altro senza troppi problemi.

“Quale?”

“Siamo l’Agenzia C.I.M.”

“Centro d’igiene mentale?” La battua gli era uscita spontanea e s’accorse non senza una certa soddisfazione di star riacquisendo il controllo del proprio corpo. L’altro non parve offeso dalla battuta, anzi, sorrise sinceramente divertito.

“A suo tempo suggerì che si trattava d’un nome che ci avrebbe provocato non pochi problemi nell’ambiente, visto l’acronimo che ne veniva fuori. No, sta per Centro Informazioni Militare.”

“Siete dell’Esercito allora.”

“Lavoriamo con e per l’Esercito e tra i nostri ranghi ci sono solo militari ma effettivamente non si può dire che siamo propriamente l’Esercito.”

“Fantastico. Un servizio segreto fuori controllo.”

“No, per carità. Siamo solo dotati di una forte indipendenza, cosa che in certi frangenti può far comondo.”

“Avete buttato giù le comunicazioni usando un impulso e.m.?”

“Si.”

“Roba sofisticata. Per il mio navigatore invece vi siete inseriti sul segnale e mi avete fatto passare dove volevate voi.”

“Di nuovo esatto.”

“Se volevate parlami avreste semplicemente potuto contattarmi ma prima ha detto che era l’unico modo per non far sapere che volevate parlare con me e dunque, ne deduco, che qualcuno mi sta seguendo?”

“Sospettiamo sia possibile.”

“Chi lo farebbe?”

“A tempo debito saprà tutto.”

“Bene, anzi, benissimo! Dovevo partecipare ad un convegno di cui avrei dovuto essere l’ospite d’onore ed invece mi ritrovo in balia di una qualche super spia che fa il misterioso.”

“La prego, il termine super spia mi sembra un po’ esagerato! Minimizzò l’altro sempre con il sorriso sulle labbra. Non è che voglia fare il misterioso ma è meglio che a parlarle e a spiegarle la situazione sia il mio superiore.”

“Deve trattarsi d’una cosa grossa.”

“Lo è.”

“La mia vita è in pericolo?”

“Potrebbe.”

“Posso sapere il suo nome?”

“Samuele.”

“È il suo vero nome o solo un nome in codice?”

“Mi crederebbe se le dicessi che è il mio vero nome?”

“Mi rimarrebbero molti dubbi perciò farò finta di fidarmi.”

“Grazie. Ne sono onorato.”

“Samuele, lei sa davvero come tranquillizzare una persona.”

“Lo so ed è per questo che ho scelto di fare l’agente segreto anziché darmi alla diplomazia.”

“Manca ancora molto?”

“Le conviene fare un riposino. Smaltirà prima gli effetti dell’anestesia.”

“Quando sarà tutto finito, mi procuri un po’ di quella roba, è davvero buona! Ah, solo una cosa.”

“Cosa?”

“Diamoci del tu. Arrivati a questo punto, niente formalità.”

“Come desideri.”

“Benissimo.” Chiuse gli occhi, arrendendosi all’impossibilità di fare alcun ché.

Se quello che gli era stato detto era vero, non poteva opporsi in alcun modo ed inoltre era curioso di capire che ne avesse ordinato il prelievo dalla sua quotidianità in quel modo così macchiavellico.

 

 

3

 

12 Aprile 2015 – Convoglio Militare diretto a Karachi, Pakistan.

 

 

“Ci sono dieci blindati Lince e sei Centauro a scortarci, più quattro Humvee pieni di ex S.A.S. che ora lavorano con la White List a farci da scorta, puntualizzò Roman Etimesku sorridendo al nervosissimo Mattia Sermoneta, tre Mangusta volano sulle nostre teste per sorvegliarci e c’è un

F-35 prestatoci per l’occasione, pronto ad intervenire in caso di necessità. Insomma, allargò le braccia a sottolineare l’assurdità di quella possibilità chi potrebbe attaccarci? Un suicida!”

“In un paese di kamikaze non la vedrei come una possibilità tanto remota.” Osservò infastidito il progettista italiano.

“Un kamikaze, anche se si mettesse in testa di farci esplodere tutti, dovrebbe arrivarci sufficientemente vicino e le mitragliette da 7.62 mm dei nostri Centauro li farebbero a pezzi prima di riuscirci.”

“Le mine? Un veicolo imbottito di esplosivo?” Mattia deglutì nervosamente.

“C’è una squadra che ci precede, composta dai migliori artificieri del tuo paese, che sta controllando centimetro dopo centimetro la strada che stiamo percorrendo.”

“Un missile?”

“Il satellite “ Borgia è sopra le nostre teste e ci da un certo margine di vantaggio se dovessero tentare di colpirci ad una certa distanza. I Lince ed i Mangusta sono stati equipaggiati con i nuovi pod M-300 anti-missile. Dovresti sapere come funzionano, visto che sei tu il genio che ha contribuito a crearli!”

“Già …” Ammise un poco rinfrancato.

“Perché non fai una cosa? Roman aprì il frigobar con cui aveva preteso venisse arredato lo spartano interno del Humvee che li trasportava e ne trasse una bottiglia di liquore. Questo lo fanno al paese di mia madre, un po’ fortino all’inizio ma quando comincia a fare effetto, non c’è paura al mondo che potrebbe mangiarti la spina dorsale.”

“Prego?”

“È solo un modo di dire dei paesani di mia madre.” Sorrise il faccendiere romeno.

Mattia tentennò un poco ma alla fine cedette, accettando il bicchiere che l’altro aveva già riempito.

“Ti comunico che non reggo bene l’alcol.” Si giustificò preventivamente.

“Non fa niente. Manca ancora un po’ all’arrivo in città e avrai tutto il tempo per smaltire. E poi, meglio una piccola sbronza che continuare a sentire le tue lamentele per tutto il tragitto che rimane. Non c’era cattiveria in quelle parole. Semplicemente aveva puntualizzato quello che pensavano tutti nel veicolo, compresi i soldati addetti alla loro scorta e i due autisti. Si rivolse a loro con gentilezza e confidenza. Mi dispiace non potervene offrire ragazzi ma siete in servizio e, senza contare gli anni di carcere che vi costerebbe, mi servite sobri e pronti. Giuro che quando sarà tutto finito, prima di ripartire per casa, mi assicurerò che il vostro superiore vi dia una licenza premio e vi farò avere due casse della miglior bumba che si possa rimediare da queste parti. E ci aggiungo sopra due, no, quattro belle scatole di sigari. Cubani o toscani?”

“Facciamo cubani, che ha casa ne abbiamo tanti di toscani che c’escono dal culo!” Tutti risero alla battuta del sottotenente grossetano che aveva appena parlato.

“Signor Roman, perché non ci procura qualche bella pollastra!” Azzardò sorridente un napoletano di 28 anni circa.

“Tu non eri sposato?” Chiese Roman.

“Beh, mia moglie mica è qui!” E seguirono altre risate.

“Credevo che l’aver aperto i ranghi alle donne avesse sopperito a certe necessità.”

“Se la tirano tutte o sono tutte lesbiche e le uniche disponibili, o sono cessi, o hanno l’agenda piena da qui al prossimo Natale!”

Mattia ingollò il liquore e meccanicamente allungo il braccio muovendo il bicchiere, per chiederne altro. Roman aveva ragione: sulle prime era come bere petrolio misto a calce ma poi un piacevole stordimento allentava la tensione e scacciava via i timori; Roman gli riempì nuovamente il bicchiere, senza prestargli troppa attenzione, impegnato a scherzare con i soldati.

Ci sapeva fare, quell’avanzo di galere, si disse tra sé e sé l’italiano. Roman era stato, ai tempi del regime di Ceausescu, uno dei più spietati membri dei servizi segreti ed era stato “merito” suo se tanti nemici dello stato, accusati di crimini obbrobriosi per l’allora governo romeno, come ad esempio l’aborto clandestino, erano stati consegnati alla giustizia e puniti.

Si diceva che il dittatore lo avesse tanto in stima che, in privato, si davano dal tu e che Roman fosse spesso invitato alle grandi feste di palazzo, dove si mangiava caviale e si beveva vodka di prima qualità, tutto proveniente da Mosca e che venisse, puntualmente, invitato anche ai festini privati di cui si favoleggiava, quelli a base di cocaina, compiacenti ballerine ed atlete, bei giovinetti e, qualcuno mormorava, persino bambini. Mattia sentì la nausea salirgli e dovette trattenersi dal vomitare in faccia a Roman, ormai del tutto dimentico di lui e del suo malessere, preso dallo show che stava tenendo a beneficio dei soldati.

Quando Ceausescu era stato deposto, Roman dovette fuggire, con la complicità dei suoi amici del KGB, dalla Romania ma gli ingenti capitali che aveva accumulato sfruttando la propria posizione e le influenti amicizie di cui godeva, gli avevano permesso pochi anni dopo di far ritorno in un paese straziato quasi da faraone. Si legò subito agli imprenditori stranieri che venivano attratti dai bassi costi della manodopera e da uno stato che aveva la necessità di creare un’economia che potesse dar da vivere ai suoi cittadini. Roman poi aveva un indubbio carisma personale e aveva saputo agire bene ai tempi della dittatura, facendo sapere il meno possibile sul suo lavoro al punto che non si potevano prendere per vere tutte le voci che circolavano. Non era passato troppo tempo che si mise in affari per conto proprio ed era stato a lui che s’era rivolto Mattia per sviluppare il suo M-300 quando in casa sua gli avevano tagliato i fondi per ricerche più appetibili.

Era stato come vendersi l’anima al diavolo. “Porco romeno”, avrebbe voluto gridargli mentre scolava il terzo bicchiere che si era riempito da solo, dopo che il suo mecenate gli aveva consegnato la bottiglia.

Fu come se i veicoli fossero “morti” tutti contemporaneamente. La colonna si era ritrovata improvvisamente immobile.

Lo schianto del Mangusta gli fece rimbombare le orecchie e la bottiglia cadde, seminando il suo contenuto mentre rotolava sotto il sedile dell’autista.

“GIÙ!” Il napoletano che poco prima aveva scherzato sulla possibilità di avere come “mancia” una prostituta li fece mettere con la testa tra le gambe. Il fischio dei proiettili fu improvviso e assordante e Mattia si chiese se non fosse arrivato il giorno del giudizio universale.

CHE CAZZO!...” Roman esclamò nella sua lingua.

Una violenta esplosione, un mezzo blindato distrutto.

Tutto si fece nebuloso per Mattia che sentì solo una serie di colpi abbattersi sul loro veicolo.

I soldati scesero ed aprirono il fuoco con i loro fucili mitragliatori.

“QUANTI SONO?!” Chiese il toscano che aveva parlato prima.

“CONTATTE LA BASE! SVELTI!”

“NON C’È SEGNALE! NON C’È SEGNALE!”

Ancora il fuoco, quello amico e quello nemico, che si confondevano in un tutt’uno, senza soluzione di continuità, assordante, estraniante.

Vide cadere uno dopo l’altro gli uomini che avrebbero dovuto provvedere alla sua sicurezza.

“Mattia Sermoneta?” L’uomo comparso al portello indossava la divisa dei White List, l’elite di vigilanza privata che Roman aveva voluto li affiancasse in quel trasferimento. Per un attimo Mattia credette di essere al sicuro. “Sono io.”

Roman aveva cercato di dire qualcosa ma era stato freddato immediatamente.

“Era un maiale, e lei lo sa bene.” Non era una giustificazione. Un uomo con una pistola fumante in pugno non ne aveva bisogno. Era solo il comunicargli che la spazzatura era stata buttata.

Mattia venne tirato fuori dal veicolo, sporco del suo stesso vomito. Si chiese quand’è che aveva dato di stomaco non essendosi accorto praticamente di nulla. Vide i rottami di tre elicotteri e vide le corazze dei blindati con fori di grandezza considerevole, ancora roventi.

“Che cosa avete usato?” La curiosità aveva dettato quella domanda, nonostante tutte le morti che c’erano appena state.

“Lo scoprirà presto.” Disse il falso agente che s’era infiltrato nei White List.

 

 

4

 

8 Maggio 2015, Una località a 68 km da Milano – Italia

 

Samuele superava Remo in altezza di diverse spanne. Era almeno un metro e ottanta, capelli brizzolati tagliati in una foggia molto moderna, non doveva avere più di una quarantina d’anni portati molto bene, carnagione olivastra, lineamenti gradevoli, occhi verdi ed una voce profonda ed accattivante. Evidentemente, si disse tra sé e sé, ai Servizi Segreti avevano deciso di badare molto all’immagine. Il suo anfitrione era in borghese così come molto del persone che aveva visto in quell’installazione. L’edificio, esternamente, era una vecchia fabbrica dell’Alfa Romeo risalente agli anni ’60.

“L’abbandonarono perché non a norma di legge ed era troppo costoso rimodernarla. Sa, c’era la crisi a quel tempo.”

“Anche qualche anno fa, c’era una crisi se non ricordo male.” Ribatté Remo a Samuele. Quest’ultimo sorrise divertito e riprese il discorso: “L’abbiamo comprata all’Alfa per pochi spiccioli si può dire ma ci siamo decisi ad utilizzarla solo di recente. Inizialmente ci volevano fare una polveriera.”

“Poi avete deciso di farne il vostro quartier generale super-segreto.”

“Una specie ma usi dei toni troppo melodrammatici, se posso permettermi.”

“Puoi ma ammetterai che ci si sente portati ad usarli quando si è vittime d’una messa in scena come la vostra. L’impulso elettromagnetico, il mio navigatore che mi da il falso itinerario, il finto incidente, l’ambulanza e via dicendo. Insomma, roba da romanzo di spie!”

“Si, forse siamo un po’ teatrali ma molto efficienti.”

“Non lo metto in dubbio.”

Gli si fece incontro un massiccio ufficiale dell’aviazione, dal grado vide trattarsi niente meno che d’un Colonnello. Non riconobbe il distintivo di categoria. L’uomo lo salutò in modo piuttosto spartano, senza nemmeno tendergli la mano: “Signor Rizzato, benvenuto al Covo. Visti i suoi precedenti incarichi per conto dello Stato Italiano non serve che le spieghi i motivi per cui non parlerà mai a nessuno di questo luogo.”

“Non credo nemmeno io ce ne sia bisogno anche perché, dato il nome, potrebbero pensare trattarsi d’una sorta di club per scambisti.” Sorrise, provocando una risatina anche in Samuele che venne subito fulminato da un’occhiataccia dell’Ufficiale Superiore. “Capitano Mazzati.” Lo redarguì con tono severo il Colonnello.

“Mi scusi, Signore.” Si affrettò immediatamente a rispondere, ricomponendosi e riassumendo l’aria seria e pacata che lo contraddistingueva.

“Come fate a tenere nascosto il tutto?” Chiese Remo, venendo in soccorso dell’altro ufficiale che, a pelle, gli risultava piuttosto simpatico nonostante il rapimento.

“Come potrà notare, qui sono l’unico in uniforme. Il luogo, ufficialmente, è ora una fabbrica di componenti elettroniche acquistata da una piccola azienda. Non credo le serva sapere altro.” Il commento finale era il modo dell’uomo per far capire a Remo che non sarebbero state tollerate altre domande.

“Capito. Allora, come posso essere d’aiuto alla Patria questa volta?”

“Mi segua.”

Il terzetto imboccò un corridoio lungo il quale incontrarono diversi “impiegati” della così detta fabbrica e giunsero ad un’aria ad accesso ristretto. Il Colonnello digitò un codice su di una tastiera numerica e un portello ed un portone blindato si aprì. Dall’altro lato l’aspettavano due guardie, sempre in borghese, che chiesero gentilmente ma con fermezza, di consegnare tutte le armi ed eventuali dispositivi audio-video. Il Colonnello non sembrò a disagio o contrariato per quella richiesta anzi, a Remo non sfuggì un piccolo cenno di compiaciuto assenso. A quell’uomo piacevano l’efficienza e le persone che sapevano rispettare le regole.

“Prego.” Lo invitò Samuele Mazzati dopo che tutti e tre furono passati attraverso un body scanner.

“Signor Rizzato, chiese il Colonnello mentre erano diretti verso un ascensore, lei ha mai sentito parlare di Thor?”

“Si, e non credo lei si riferisca al dio norreno delle tempeste e del tuono ma al Tactical Helicopter Offensive Response, il progetto U.S.A. risalente al 1982 per la creazione d’un elicottero dotato di armamento superiore da utilizzare in forza ai reparti speciali della polizia su territorio nazionale.”

“Proprio quello. Vedo che è informato.”

“L’elicottero avrebbe dovuto avere il suo battesimo del fuoco durante le olimpiadi losangeline dell’84 e tutta la vicenda è ancora secretata ma avendo lavorato a dei progetti Governativi con partnership internazionale ne sono venuto a conoscenza, come altri venti tra ingegneri e progettisti.”

“Cosa ne pensa?”

“A parte la stupidaggine nell’usare un elicottero armato in operazioni di polizia? L’idea base di usare un Aereospaziale Gazelle era buona, vista la manovrabilità e le prestazioni del mezzo in questione. Venne fornito d’un’armatura da un pollice in lega Nardoc ed armato con un cannone Gatling Vulcan M61A  a 6 canne da 20 mm. Un mostro capace di prodursi in una pioggia di fuoco da 4000 colpi al minuto! Un vero record di cui erano capaci solo i caccia visto che, per ovvi problemi di stabilità e brandeggio, un’arma del genere non era mai stata montata su di un elicottero. Gli ingegneri ed i tecnici che ci lavorarono sopra idearono un sistema di compensazione incredibile per garantire una buona stabilità di tiro. Tra l’altro utilizzava un sistema di acquisizione del bersaglio davvero all’avanguardia per il tempo così come avveniristiche erano molte altre modifiche apportate e molti dispositivi di cui era equipaggiato. Era identificato semplicemente con il nominativo “Lo Speciale” ma so che aveva anche un altro nomignolo: Tuono Blu; ci furono dei problemi nel suo inserimento nel servizio attivo, un incidente su cui non ci sono molti particolari e che sa tanto di insabbiamento. Lo Speciale, o Tuono Blu se preferisce, andò perduto in suddetto incidente e so che fu prodotto un secondo esemplare però mai entrato in servizio. Costava troppo e presentava ancora troppi problemi. I russi tra l’altro erano riusciti a trafugare informazioni inerenti a progettazione e realizzazione e costruirono due esemplari di Speciale che chiamarono “Stelle Rosse”. Non ebbero nemmeno loro troppa fortuna nel loro impiego e Lo Speciale era divenuto già obsoleto nell’arco di pochi anni. Comunque sia Tuono Blu è stato il banco di bravo di molte delle soluzioni che poi sarebbero state applicate sull’AH-64 Apache .”

“Un riassunto della davvero lodevole ed efficace.” Entrarono in quella che aveva l’aria di essere una sala tattica dall’aspetto moderno e sobrio.

Venne condotto ad una grande tavolo circolare la cui superficie era in realtà uno schermo su cui scorrevano numerosi dati. Intorno a loro conto altre sei postazioni a cui stava il relativo personale, intento nelle proprie operazioni. Il Colonnello invitò tutti i presenti ad uscire e quelli, dopo aver salutato marzialmente, s’apprestarono a farlo. Erano rimasti solo loro tre. L’uomo prese posto su d’una poltrona che aveva l’aria d’essere piuttosto comoda e fece cenno di imitarlo. Sfiorò un’icona sulla superficie del tavolo ed esso si suddivise in 12 spicchi, tanti quanti erano le poltrone e dopo aver armeggiato un po’ con i comandi cominciarono, su tre di essi, quelli che erano in corrispondenza degli unici tre presenti, a passare delle immagini.

“Belli. Sono prototipi del Mangusta, vero?” Chiese Remo.

“Si. Ammise il Colonnello. Risalgono ai giorni in cui era ancora in fase di progettazione.”

“Mi scusi, prima di andare avanti, posso sapere il suo nome? O devo riferirmi a lei solo con il suo grado?”

“Sono il Colonnello Germano Stabile.”

“Ovviamente non devo far parola con nessuno del suo ruolo qui.” Tentò di scherzare Remo.

“Ovviamente. Replicò serio ma non severo l’altro. Thor fu un fallimento, per molti versi ma non tutti reputavano l’idea di un elicottero armato da utilizzare per un certo tipo di operazioni una stupidaggine.”

“Mi faccia indovinare. Esiste un programma analogo anche qui da noi? Davvero?” Era sorpreso ma non più di tanto.

“La Nato inizialmente varò un secondo programma Thor che però fu un fallimento come il primo. Cambiò nome e commissionò la realizzazione del nuovo elicottero ad una ditta privata. Anche lì ci furono dei problemi e tutto finì nel dimenticatoio. Quando la minaccia di attacchi terroristici su territorio nazionale si è fatta ancora più concreta con l’11 Settembre, diverse nazioni hanno rispolverato il concetto alla base di Thor.”

“Italia compresa.”

“All’inizio era un progetto comunitario. L’idea era quella di un elicottero E.U. per operazioni anti-terroristiche ma noi abbiamo ampliato il concetto.”

“In che senso?”

“L’idea di utilizzare un elicottero del genere per operazioni di polizia interna, beh, francamente la trovo un po’ forzata anche io ma un veicolo tecnologicamente superiore da usare per operazioni preventive all’estero?”

“Per preventive intende attacchi ai covi dei terroristi?”

“Come sa ci sono dei paesi il cui territorio offre notevole riparo ai campi d’addestramento dei kamikaze e ai capi delle più letali sigle del terrore.”

“E voi volevate un elicottero capace di arrivare quatto, quatto sul bersaglio, per quanto ben nascosto fosse, in modo da non allarmarli e permettergli così una fuga, che poi facesse fuori tutti i cattivi.”

“L’idea era questa, più o meno. Così nacque Ercole.”

“Ovvero?”

“Elicottero da Ricognizione e Combattimento per Operazioni a Lungo-raggio Estere.”

“Non ci credo, fece dopo essere rimasto per un po’ in silenzio, pur di poter chiamare anche il vostro progetto con il nome d’un dio, anzi, in questo caso un semi-dio, avete tirato fuori questo acronimo assurdo.”

“Il suo sarcasmo è fuori luogo.”

“Forse ma ci ho preso. Gli americani avevano Thor e voi dovevate avere   Ercole. Gesù, ed io credevo che gli yankees avessero un ego grosso come una cosa. Ed Ercole ha dato i suoi frutti. Come avete chiamato il vostro gioiello?”

“Inizialmente E.S. Elicottero Speciale.”

“Ma poi anche voi avete sentito la necessità di dargli un nomignolo d’effetto.”

“Folgore Celeste.”

Remo mandò un fischio d’approvazione. “Certo che ad esser figo è veramente figo! La Folgore Celeste scagliata da Giove, padre di Ercole. Niente male il riferimento. Fa sembrare Tuono Blu una cosa da fiera di paese. Tuttavia non sono qui per essere messo a parte di informazioni classificate solo per sentire il mio autorevole parere sui nomi utilizzati.”

“Folgore Celeste è stato rubato.”

“Cosa?”

“Ha capito bene. Folgore Celeste è stato rubato ed è stato utilizzato in operazioni di carattere terroristico e sovversivo.”

“Aspetti! Mi faccia capire bene. Voi avete costruito un elicottero super-tecnologico per combattere i terroristi ma poi i terroristi ve lo fregano e lo usano contro di voi?”

“La faccenda è un po’ più complicata di come la descrive lei.”

“Però sostanzialmente è successo questo. Ma io cosa centro?”

“Lei è stato un esperto d’elicotteri tra i più quotati e all’inizio della sua carriera si è occupato di alcuni importanti progetti legati agli eli-veicoli.”

“Si è vero ma credo ci siano pareri ben più autorevoli dei miei da ascoltare per una faccenda del genere. Volete trovare il modo di abbatterlo? Cavoli, state dicendo che con elicotteri come il Mangusta nelle vostre fila non riuscite a tirarlo giù? Che razza di bestia avete creato?”

“Non è per questo che l’abbiamo chiamata. Anche se in un certo senso qualcuno potrebbe rivolgerle questa domanda.”

“Di cosa parla? Il discorso che mi sta facendo è un po’ nebuloso.”

“Guardi.”  Disse Stabile dopo aver premuto un comando.

Le immagini che seguirono Remo le seguì con un attenzione che poche volte aveva avuto in vita sua.

Samuele sembrava essere preoccupato mentre studiava il profilo completamente assorto dell’uomo che poco prima aveva rapito e lanciò un’occhiata interrogativa al Colonnello che con un cenno della mano gli fece capire di esser paziente.

Quando il filmato finì Remo rimase impassibile a fissare il tavolo che si era spento.

I pugni colpirono con violenza improvvisa lo schermo e, a denti stretti, così tanto che uscì un rivolo di sangue dalla bocca: “BRUTTI FIGLI DI PUTTANA!!!!!”

 

5

 

8 Maggio 2015, Una località a 68 km da Milano – Italia

 

 

Sembrava una bestia feroce costretta in una gabbia mentre camminava nervosamente avanti ed indietro per la grande Sala Tattica. I suoi passi calcavano con forza esagerata il pavimento ed ogni tanto scoccava un’occhiata assassina ai due ufficiali del C.I.M. Il Colonnello Stabile sembrava indifferente a quel livore ma a Mazzati faceva effetto vedere il volto di Remo Rizzato trasfigurato dall’odio e dal disprezzo.

“Non ci credo! Sbottò quest’ultimo bloccando il suo andirivieni. Con quale faccia venite a chiedermi aiuto dopo avermi mostrato questo filmato?! Sapete che cosa avete fatto?!”

“Professor Rizzato, la prego, tentò di Mazzati di mitigarne la rabbia, il suo disappunto è comprensibile ma prima di tutto, non siamo stati noi i responsabili della decisione ma abbiamo solo avuto in carico di occuparci della faccenda, nel modo più discreto e rapido possibile.”

“Certo che non siete stati voi! NON DEVE MICA DIRMELO LEI! Ci arrivavo anch’io a questo!”

“Professor Rizzato, intervenne con energica autorità il Colonnello, disappunto o meno le consiglio di contenersi e assumere un contegno adeguato alla situazione e alle divise che io ed il Tenente indossiamo.”

Il brusco cambio di comportamento di Remo, stavolta, lasciò spiazzato anche Germano Stabile.

“Che cosa crede? Fece con tono misurato e pacato. Che non sappia comportarmi? Non tiri in ballo la storia delle divise, la prego. Se ha letto il mio fascicolo, e sicuramente l’ha fatto, sa benissimo che vengono da una famiglia di ufficiali. Mio padre è stato Capitano nell’aereonautica, mio nonno morì come Aviere Scelto, il mio bisnonno ha fatto parte della Regia Aviazione. Voi non potete capire il mio disappunto. Non avete nemmeno idea di come mi senta. Forse non avete nemmeno ben chiaro del fatto che qui ci troviamo di fronte ad un reato bello e buono, che sia stato o meno lo Stato Italiano ad avallarlo. Quell’elicottero, il vostro E.S., l’ho disegnato il 6 anni fa! Solo che al tempo non era previsto venisse usato come arma ma nella Protezione Civile.”

“Per questo, intervenne nuovamente Samuele Mazzati, cercando di appellarsi alla sua ragionevolezza, è stato scelto per il Progetto Ercole. Lei ha concepito un mezzo, un elicottero, dalle prestazioni formidabili! Capace di operare nelle condizioni più estreme come niente dotato d’un elica prima d’ora.”

“Lo so bene. Ci ho passato notti insonni sopra, così tante che mi è costato il mio matrimonio. Ricordo che l’esemplare realizzato dalla Vettori Aerei S.P.A. però non fu scelto dalla Protezione Civile per via di un difetto nella realizzazione che ne pregiudicò le prestazioni durante la dimostrazione. La Vettori mi dette il ben servito, per fallire un anno più tardi ed io per poco non persi ogni possibilità di tornare a lavorare nel settore a causa di questo.”

“La Vettori Aerei, o meglio, il suo presidente, Clelio Agostinelli ci vendette i progetti che possedeva ancora, compresi tutti quanti i dati in loro possesso. Disse il Colonnello. Con il danaro riuscì a liberarsi dai creditori e a trasferirsi in Brasile, dove vive ancora in una lussuosa villa a due piani circondata da una grande fattoria.”

“Quindi, con un sorriso smorto Remo, mi sta dicendo che mentre io rischiavo l’esaurimento nervoso, il bastardo se ne stava sorseggiando cocco in Brasile?”

“Ha passato la sua parte di guai anche lui. L’acquisizione è avvenuta solo qualche anno dopo. Due per l’esattezza.”

“Ovvero quando è nato Ercole.”

“Avevano bisogno di un elicottero diverso dagli altri e scoprirono che il suo faceva al caso loro.”

“Perché non fu chiesto direttamente a me?”

“Lei rifiutò un contratto con l’Esercito in quegli anni, ricorda?”

“Non era certo perché avessi qualcosa contro le Forze Armate.”

“Però la cosa non piacque ai capi di Ercole e preferirono non rischiare.”

“Un mio rifiuto?”

“Un suo rifiuto.”

“Così hanno preso il mio elicottero e ne hanno fatto un’arma di distruzione.”

“Da come lo dice sembrerebbe che il problema ce l’avrebbe avuto.”

“Avrei voluto saperlo, esserne consapevole, avere la possibilità di dire si o no e nel caso avessi detto di si, assumermene la responsabilità ma così, indicò il tavolo dove poco prima aveva visto le immagini relative ai voli sperimentali della Folgore Celeste, è tutto diverso.”

“C’è stato chi, nonostante i problemi che il suo elicottero aveva manifestato, reputava si trattasse di un veicolo straordinario.”

“Che bello! Ho degli estimatori.”

“La prego, per la prima volta da quando era giunto nella base C.I.M., Remo sentì il Colonnello usare un tono comprensivo nei suoi confronti, torni ad accomodarsi.”

Remo assentì rassegnato e tornò al posto dove era stato poco prima e, stanco, chiese: “Cosa gli avete fatto? In quale modo l’avete modificato?”

“Per ora, fu Mazzati a rispondere, queste informazioni è bene che lei non le abbia. Non si preoccupi, se accetterà di collaborare, avrà modo di sapere tutto quanto.”

Rizzato alzò un sopraciglio esprimendo tutta la sua perplessità con quel gesto eloquente.

“La prego, Professor Rizzato, guardi ancora una volta lo schermo.” Remo seguì l’invito del Colonnello e tornò a fissare la sua porzione di tavolo e quasi subito: “Questo è il Professore Ravenna.”

“Si, confermò Stabile, il Professor Costante Elio Ravenna, considerato nel campo della chimica e della metallurgia un vero pioniere.”

“A dir poco! Precisò subito Remo. Lo scudo termico che monterà la prossima generazione di Shuttle Pod in realizzazione lo ha progettato lui. Quasi completamente da solo!”

“Lei ebbe contatti con lui. Vero?”

“Certo! Ero ancora uno studente quando lo conobbi ad un seminario che stava tenendo presso la mia Università: materiali a basso attrito e peso per le applicazioni nel campo aereonautico; era una persona molto umile e alla mano, nonostante nel suo campo fosse un vero gigante, avanti di dieci passi a quasi tutti i suoi colleghi. Cosa centra lui con questo?”

“Lavorava per noi.”

“Faceva parte di Ercole?”

“Praticamente dall’inizio del Progetto. Il Professore la ricordava molto bene.”

“Davvero?”

“Quando gli fu detto che avrebbe dovuto lavorare su di un elicottero progettato da lei ne fu entusiasta ma cambiò quasi subito umore quando gli spiegarono il perché lei non era stato coinvolto direttamente. Si sentiva responsabile perché, a dirla tutta, fu lui a segnarla al progetto ed è per questo che venimmo a conoscenza del suo elicottero. Era costernato per quanto era stato fatto.”

“Già, affermò rincuorato da quella rivelazione, per un uomo del genere non deve essere stato facile fare qualcosa di tanto scorretto. Tuttavia aveva un impegno con voi ed immagiono che il suo senso del dovere l’abbia spinto ad ingoiare il boccone.”

“E così è stato.”

“Ancora non capisco perché mi stiate parlando di lui.”

“Folgore Celeste è attualmente in mano sua.”

Remo tentò più volte di rispondere. Ogni volta le parole gli morivano in bocca, soffocate dall’incredulità e dall’impressione che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe stata inadeguata ad esprimere lo stupore che sentiva di provare. “Aspetti, mi faccia capire, chiese prudentemente, mi sta dicendo che un uomo di quasi 80 anni, insignito delle più prestigiose onorificenze scientifiche e civili, che tra l’altro a suo tempo presto anche servizio militare proprio in Aereonautica dove si guadagnò una medaglia al valore per aver salvato cinque suoi commilitoni a rischio della propria vita, un uomo che ha stretto la mano a quattro Presidenti della Repubblica, che ha insegnato ad Harvard e a Mosca, lei mi sta dicendo che questa persona avrebbe sottratto un arma segreta del Governo?”

“Si”.

“E mi sta anche dicendo, in pratica, che è lui che ha usato la vostra arma contro di voi?”

“Sì.”

“Ora si che le ho sentite tutte.”

“Il Professor Ravenna, ovviamente, non ha fatto tutto da solo. Sembra che da alcuni anni a questa parte fosse a capo d’un gruppo eversivo noto come Minerva, anzi, il Professore ne era l’ideologo ed il fondatore.”

“Minerva?”

“Come vede non siamo gli unici ad avere la passione per i riferimenti mitologici. È stato tra l’altro lui a suggerire il nome per il Progetto e per l’elicottero.”

“Lei capisce che per me è difficile credere quello che mi sta dicendo”?

“ Non ci ho creduto nemmeno io quando è successo ma tanto è: Ravenna ha rubato la Folgore Celeste e la sta usando per una serie di operazioni terroristiche su larga scala; la prego, guardi nuovamente il suo monitor. Vede?Sotto gli occhi di Remo scorsero diverse immagini. Quella che vede è la base aerea di Ramstein, uno degli ultimi lavori di Ravenna.”

Il filmato e le foto che s’alternarono sullo schermo mostrarono all’ingegnere quello che sembrava più un campo di battaglia che non una base moderna e all’avanguardia come Ramstein.

“Perché avrebbe fatto questo?” Non riusciva ancora a credere a quello che vedeva.

“Lo scoprirà lei.”

Remo studiò il volto del Colonnello per poi passare a quello di Samuele Mazzati. Nessuno dei due lasciò trapelare niente. Nemmeno la più piccola espressione.

“Che state dicendo?”

“Lei è stato seguito in questi giorni e sappiamo trattarsi di un uomo di Ravenna. La vuole, vuole coinvolgerla nel suo progetto e per questo l’abbiamo portata qui. Ravenna è pericoloso, completamente fuori controllo ma ha gli uomini ed ora i mezzi per divenire la più seria minaccia terroristica che il mondo abbia mai conosciuto, anzi, si può dire che già lo sia. L’unico modo che abbiamo per fermarlo è che un nostro uomo dall’interno guadagni la sua fiducia e gli faccia abbassare la guardia.”

“Perché io?”

“Perché di lei si fiderà.”

“Avete già un vostro uomo dentro.” Remo sfidò il Colonnello fissandolo dritto negli occhi.

“Si ma non può comunicare liberamente con noi. Se lo scoprono è morto. Sappiamo solo che Ravenna cambia il luogo in cui sta Folgore Celeste così spesso da rendere impossibile rintracciarlo. Non sappiamo nemmeno come avvenga il trasporto del mezzo.”

“E così non mi lasciate scelta. Non mi prenda in giro dicendomi che potrei farlo perché conosco bene i vostri metodi.”

“Rovineremmo la sua vita in modo tale che lei non possa mai più riprendersi.” Confermò Stabile.

Remo rivolse loro un sorriso carico d’amara rassegnazione prima di accettare.

 

6

 

8 Maggio 2015 - Ata Hotel Quark, Centro Convegni, Milano.

 

Tre ore di ritardo non erano poche e nemmeno la giustificazione dell’incidente automobilistico pareva aver raddolcito gli organizzatori del convegno sulle nuove tecnologie aerospaziali intitolato: “Verso la Sesta Generazione di Caccia Militari”; Remo Rizzato parlò a un pubblico decimato e mal di sposto dall’attesa. Gli sguardi erano annoiati ed ostili e la sua performance non migliorò poi di molto la situazione. Tentò la strada dell’umorismo, aprendo il suo intervento con una barzelletta senza però ottenere il risultato sperato ma esasperando semplicemente più di quanto già non lo fossero gli animi. Persino il presentatore lo guardò con un misto di disprezzo e risentimento.

Il suo amico Andrea Gaggioli si morse nervosamente le pellicine della dita, segno che l’imbarazzo per la situazione era divenuto semplicemente troppo forte per i suoi nervi.

“Come è andata?” Chiese Remo mentre lasciava il palco quasi nel silenzio generale.

“Il tuo peggiore convegno di sempre.”

“Pensavo peggio.”

“Peggio di così c’è solo l’impalamento o la castrazione e, a giudicare dalle facce che vedo, li hai evitati entrambi solo per un soffio! Ma che diavolo ti è preso?! Lo rimproverò a bassa voce, dispensando a destra e manca un falsissimo sorriso di circostanza. Prima il ritardo che, d’accordo, non è dipeso dalla tua volontà e poi un discorso che più noioso di così non si sarebbe potuto.”

“Veramente è una conferenza sull’ingegneria aerospaziale in campo militare, non un piece teatrale.”

“Il discorso che mi avevi letto ieri non era così! Eri riuscito a renderlo movimentato ed interessante ed invece hai cambiato senza preavviso diverse parti e le hai lette come se fossero state la lista della spesa. E cos’erano quelle barzellette che hai raccontato?! Quelle dovevi proprio risparmiartele!”

“Erano così brutte?”

“Erano fantastiche! Fantastiche se sei uno studente di terza elementare!”

“Insomma, non credi che questo mio intervento sarà ricordato dai posteri come uno dei miei migliori.”

“Spero che questo intervento non sia ricordato da nessuno! Ringrazia Dio che sei comunque riconosciuto come uno dei migliori nel settore grazie ai risultati ottenuti altrimenti, a quest’ora, la tua carriera sarebbe bella e che finita.”

“Grazie per i complimenti. Sai sempre come farmi sentire il numero uno.” Salutò affettuosamente l’amico e guadagnò l’uscita, senza nemmeno fermarsi al buffet. Aveva bisogno di stare un po’ solo e prendere una boccata d’aria per schiarirsi le idee. Tutto era successo troppo rapidamente perché avesse avuto il tempo di rifletterci serenamente e l’essere sotto ricatto da parte di un Servizio Segreto come il C.I.M., non trattenne una risate al pensiero di quanto l’acronimo fosse imbarazzante, di certo non gli aveva chiarito molto le idee.

Conosceva Ravenna soprattutto per i suoi lavori ma gli era bastato quell’incontro avvenuto anni prima per essersene fatto una precisa immagine: un uomo dedito al lavoro, al progresso, alla scienza, integro, onesto, lontano da giochi di potere d’ogni tipo; era davvero un pericoloso terrorista che attaccava basi militari e rapiva ricercatori?

“Ha da accendere?”

La domanda spinse Remo a girarsi ed incontrare così chi l’aveva formulata. L’aveva vista nella sala conferenze dell’Hotel. Non era appariscente ma di sicuro d’aspetto desiderabile. Era slanciata e le sue forme, sebbene non particolarmente pronunciate apparivano morbide sebbene nascoste da un leggero maglioncino primaverile.

“Mi dispiace, non fumo.” Si giustificò mentre tentava di non fissare con troppa insistenza gli occhi verde scuro di lei. Aveva capelli neri, tagliati corti, un taglio giovanile, in voga tra le studentesse universitarie.

“Peccato, avevo voglia di una sigaretta.Fece spallucce. Complimenti per l’intervento.”

“Era ironico?” Chiese con un sorriso Remo.

“Ho sentito di peggio. Rispetto a quelli che l’hanno preceduta è stato sicuramente il più interessante.”

“C’è chi non la pensa così.”

“C’è anche libertà d’opinione.” 

“Posso chiederle il nome?”

“Diamoci del tuo. Io sono Melissa Toffàn. Di te so già parecchio.”

“Lo immaginavo.  Io di te non so nulla, a parte che  fumi.”

“Sono una dottoranda al Politecnico di Milano. Ingegneria Aerospaziale.”

“Sospettavo fossi del ramo.”

“Altrimenti sarei stata una malata a venire ad un convegno incentrato sull’argomento, vero?”

“Effettivamente.”

“Ti va un caffè?”

“Mi ci vorrebbe proprio. Accetto volentieri.”

“Però non prendiamolo al bar dell’Hotel! L’ho provato prima ed è disgustoso. Conosco un bar, non troppo lontano da qui dove ne fanno uno spettacolare.”

“Allora andiamo!”

“Hai la macchina?”

“Si. Offri tu però?” Fece lui simpaticamente.

Andarono all’Alfa di Remo e dopo averle aperto la portiera si sistemò al posto di guida. Lei aprì la sua borsetta frugandoci dentro.

“Hai dimenticato qualcosa?”  Chiese Remo.

“No, tutto a posto.” Fece lei mentre il suo complice prese Remo alle spalle.

 

 

7

 

9 Maggio 2015 – Una località sconosciuta.

 

 

“Buongirono.” Fece gentile la donna che gli si era presentata con il nome di Melissa Toffàn.

“ ’ngiorno a te.” Replicò con sarcasmo Remo. Si sincerò immediatamente di non essere ammanettato in modo alcuno.

“Non ti trovi in carcere.”

“Di solito non ti narcotizzano per portatrici.”

“Dipende dal tipo di reato che commetti.”

“Infatti ho detto di solito. Appurato che non siamo in una prigione, non nel senso di istituzione pubblica, dove mi trovo?”

“Al momento tra amici.”

“Concetto un po’ vago. Sicuramente dal punto di vista geografico alquanto carente, non credi?”

“Mi piacciono le persone che mantengono il senso dell’umorismo anche nelle situazioni più insolite.”

“Almeno riconosci che si tratta di una situazione insolita.” Si massaggiò le cosce, ancora intorpidite per effetto del narcotico che gli avevano propinato. Non c’erano finestre dove si trovava e dunque non poteva cercare punti di riferimento per capire se fosse stato in città o in campagna, se fosse giorno o notte. Nulla. La stanza sembrava appartenere ad una struttura prefabbricata e, si disse, a giudicare dai materiali e dalla curvatura del soffitto forse era una sorta di vecchio shelter militare.

Lo avevano sistemato su di una brandina, preparata alla meno peggio ed il che indicava non trattarsi di un luogo deputato abitualmente ad ospitare qualcuno.

“Remo, c’è una persona che vorrebbe vederti. Ti va di seguirmi per parlarci? Devo chiederti di non provare a fare brutti scherzi però.”

“Io? Veramente tutte le volte che ho fatto a pugni con qualcuno ho sempre avuto la peggio dunque non sono minimamente intenzionato a fare scenate.” Si tirò in piedi a fatica, la testa gli girò.

“Forse è meglio che aspetti qualche altro minuto.”

“Solo un giramento di testa. Non preoccuparti. Voglio vedere chi ha ordinato il mio rapimento.”

Lei gli offrì aiuto per camminare e lui declinò gentilmente.

Fuori dalla stanza li attendevano due uomini. Uno dei due era molto alto e ben piazzato. Il volto aveva un’espressione severa e minacciosa, sottolineata da due folte sopraciglia a da numerose rughe d’espressione sulla fronte. L’altro, di statura più bassa, longilineo, sorrideva affabile e lo guardava come si sarebbe potuto fare con un conoscente che non si incontrava da un po’ di tempo, i lineamenti del viso estremamente comuni e normali.

Lo lasciarono passare, scansandosi leggermente al suo passaggio e fu allora che lo vide: il Professor Ragusa; era esattamente come lo ricordava. La stessa espressione gentile sul viso ma al contempo un’aria vigorosa che lo avvolgeva.

“Dottor Rizzato, gli si fece incontro tendendo amichevolmente la mano che l’altro strinse subito, le chiedo scusa per il modo melodrammatico e poco gentile in cui è stato portato qui ma desideravo conferire con lei in privato e potevo essere sicuro di farlo solo così.”

“È un piacere ed un onore per me incontrarla di nuovo, Dottore, anche se avrei preferito che accadesse in circostanze ben diverse. Sono ancora sotto effetto dei sedativi che mi avete propinato per portarmi qui e dunque voglia perdonarmi se biascico le parole e sono un po’ lento nei movimenti.”

“Vuole riposarsi un altro po’?” S’informò con verace interessamento.

“Non credo ce ne sia il tempo perché se avete fatto tutto questo per parlarmi, deduco che non vi sentiate propriamente al sicuro.”

“Ragazzo perspicace.”

“Grazie.”

“Mi segua, la prego.” Remo non oppose alcuna resistenza anche se notò che i due uomini che l’avevano accolto fuori dalla piccola stanza dove aveva ripreso i sensi continuavano a seguirli, sebbene a debita distanza ed in modo discreto. Era convinto che fossero benissimo in grado di intervenire da dove si trovavano qualora avesse tentato qualche colpo di testa, cosa che tra l’altro non era intenzionato a fare. Anche Melissa li seguiva, alcuni passi dietro rispetto ai due.

Come aveva sospettato doveva trattarsi d’una vecchia installazione militare e, quasi Ragusa avesse intuito cosa pensava: Questo luogo non lo conosce nessuno, o meglio, è stato praticamente dimenticato da tutti. Lo costruirono gli U.S.A. nell’immediato dopo guerra, temendo un tentativo dei comunisti di prendere il potere in Italia, magari coadiuvati dai Russi. Si chiamava semplicemente Installazione 5 e negli anni ’70, quando era divenuta obsoleta, si pensò di farla saltare in aria, facendo credere fosse stato fatto brillare un vecchio ordigno bellico. Invece le cose non andarono come previsto perché qualcuno pensò bene di passare false informazione agli Americani ed rivendere dopo qualche anno questo posto al miglior offerente. Era una base strategica in cui conservare armamenti e munizioni, che poteva ospitare circa 1000 tra soldati e piloti. Da qui sarebbe dovuta partire un’eventuale controffensiva in caso di golpe. Ovviamente non è mai successo. So che non è l’unico posto del genere sul nostro territorio Nazionale e se gli altri siano ancora operativi o meno questo non posso dirlo con certezza. Della sua esistenza sono venuto a sapere grazie ad alcuni miei contatti ma le risparmio la storia.”

“Mi sta dicendo molte cose.”

“Lei sembra a suo agio qui.Chiese Ragusa con un sorriso sornione. Volevo mostrarle una cosa, Dottore, e chiederle cosa ne pensava.” Dopo aver attraversato alcuni corridoi giunsero in quello che sembrava un hangar e, ad un cenno dell’anziano uomo, Melissa tirò giù un interruttore, dando corrente ad alcuni fari.

Era lì, in un cerchio di luce, persino più bello di quanto Remo non ricordasse, ancora più aggressivo nella sua livrea scura, leggermente modificata, senza però snaturarne il progetto originale, rispetto a quella del prototipo che costruì anni prima.

“Credevo le suscitasse un altro effetto, rilevò Ragusa, credevo sarebbe rimasto sorpreso ma invece, la vedo ammirato.”

“Non potevo esserne sorpreso.”

“E perché?”

“Sono stato informato di cosa sta facendo e di cosa hanno fatto con il mio elicottero.”

Cosa pensassero gli uomini di Ragusa era difficile dirlo. Erano silenziosi e composti.

Il Professore reclinò leggermente il capo da un lato e: “Informato?”

“Sa bene chi è stato. Sapevano che probabilmente avrebbe tentato di avvicinarmi e quindi sono stato prelevato da loro ed istruito su quanto avrei dovuto fare per infiltrarmi nella sua organizzazione  e consegnarla alle autorità.”

“Curioso che me lo dica.”

“Ho accettato solo perché hanno detto che avrebbero rovinato la mia vita e la mia carriera ma sono sicuro che l’essere rimasto invischiato in questa storia mi abbia già danneggiato più che a sufficienza.”

“Quindi ora cosa vorrebbe fare?”

“L’unica cosa possibile al momento: ascoltare cosa ha da dirmi e poi decidere.I due uomini rimasero a fissarsi per un po’ ma prima che Ragusa potesse rispondere, Remo aggiunse:tra l’altro uno dei suoi uomini fa il doppio gioco. È così che hanno saputo del suo tentativo di rapimento.”

Ragusa rise divertito dando una paterna pacca sulla spalla del giovane ingegnere.

 

 

Continua