Presenta:
Da
un’idea di Yuri Lucia
Di
Yuri Lucia
OPERAZIONE
TEMPESTA
N1
S’accende
un Lampo
1
Lo
spazio aereo sopra l’Umbria -11 Maggio 2015
Remo guardava il paesaggio fuggire veloce sotto il
Folgore Celeste che stava volando a qausi 300 chilometri orari. Si trovavano al
di sotto della così detta “curva della morte” ma non riusciva a provare paura
alcuna. C’era una sorta di infantile eccitazione mista al desiderio di godersi
quel momento, la performance della sua creatura, sebbene addomesticata da
altri, era vissuta con un senso d’esaltazione.
L’orgoglio del padre nel vedere il proprio figlio
vincere le olimpiadi, si disse.
“Questo è il veicolo volante più agile e maneggevole
che io abbia mai pilotato!” Esclamò
entusiasta il pilota alle sue spalle.”
Non avevo mai provato nulla del genere! È fantastico, vero?” Era allegro, quasi
spensierato mentre poneva quella domanda ed evitava collinette o cime d’albero
troppo basse, lo sguardo che indagava la presenza di eventuali piloni o
tralicci che, comunque, sarebbero stati segnalati con largo anticipo dai
sistemi di rilevamento montati a bordo.
“Si.” Rispose con un filo di voce Remo, seduto
davanti, al posto del fuciliere. I comandi davanti a lui erano bloccati e la
plancia, tranne per un paio di spie, spenta. Il sedile pareva avvolgerlo e la
strumentazione lo circondava. Tutto a portata d’occhio e di mano. La
strumentazione di bordo era stata notevolmente modificata rispetto a quella
originariamente prevista per il prototipo realizzato alcuni anni prima.
Davanti a sé un paesaggio stupendo, una fetta
d’Italia la cui natura era rimasta apparentemente incontaminata. Quasi in
risposta a quella considerazione, sentì nell’auricolare del suo casco: “ci sono
delle zone qui, in Toscana, nella Marche e nel nord del Lazio semplicemente
stupende. Tolgono il fiato. Pare di trovarsi in altri tempi. Vuole vedere
qualcosa di eccezionale?”
“Certamente.” Era entusiasta. Un ingegnere
aereonautico rapito da un gruppo di sovversivi che avevano rubato un prototipo
militare da milioni di euro avrebbe forse dovuto mantenere un atteggiamento più
sobrio o mostrarsi riottoso ma in quell’istante in cui i suoi occhi erano pieni
d’una bellezza struggente, non gli importava nulla di cosa avrebbe imposto
l’etichetta.
L’uomo alle sue spalle effettuò una correzione di
rotta e, dopo pochi minuti, si ritrovarono a sorvolare qualcosa che poteva
benissimo essere uscito dal paese delle fiabe.
La rocca sorgeva su una bassa montagna, un
gigantesco pezzo di roccia basaltica la cui sommità era stata fortificata.
Quello che doveva essere stato un castello piuttosto imponente stava lì,
bagnato dalla luce rossastra del tramonto, ricoperto dalla vegetazione, in
mezzo al verde che lambiva come un grande mare smeraldino la pendici del monte.
Intorno case o le tracce di esse.
“Scommetto che non sa cosa dire, eh?”
“Bellissima …” Sussurrò Remo.
“L’ho scoperta per caso. Non ne parlano da nessuna
parte. Libri, siti internet, nulla. Per quanto riguarda il mondo esterno non
esiste.” Premette un contatto e
l’assetto di Folgore variò, cominciando a sorvolare quel luogo seguendo una
traiettoria circolare, il muso puntato su di essa, ad una rispettosa distanza,
come per evitare di danneggiare anche solo per errore quella meraviglia,
rompendone così per sempre l’incantesimo.”
Ho letto che, al tempo del fenomeno dell’incastellamento, pare sia capitato
che, per evitare le orde dei saccheggiatori, la gente scegliesse di edificare
in zone lontane dalle usuali vie di comunicazione dando vita a piccole comunità
autosufficienti. Alcuni di questi centri però, per vari motivi, finivano
abbandonati. Vuoi perché le esigenze cambiavano, vuoi per qualche pestilenza.
Una volta un esperto su un forum mi ha detto che probabilmente in Italia, ci
sono resti di villaggi e cittadelle fortificate di cui non si conosce più
l’esistenza. Lo prendevano per il culo. Dico gli altri utenti del sito.
Dicevano che oggi è impossibile che accada qualcosa del genere. Tutti quei
satelliti lì in cielo, tutte le informazioni digitalizzate disponibili in rete
e le strate e super-strade che attraversano il Paese. Mi sa che i pirla erano
loro. Al mattino la nebbia copre tutto come un manto e dall’alto diviene difficile
vedere qualcosa e poi, anche un satellite, non può vedere ovunque e
contemporaneamente. Dovrebbero sapere che cosa cercare. Questa zona non è mai
stata reputata idonea per la costruzione di vie di comunicazione ed in generale
per l’edificazione. Inoltre dal 2001 è stata formalmente dichiarata zona
protetta .
Quanto avrei voluto scrivere sul forum, hey, siete
una manica di imbecilli! Il tipo ha ragione!”
“Perché non l’ha fatto?” Chiese Remo, incuriosito.
“Perché sarebbe equivalso ad una condanna per questo
posto. Non crede meriti qualcosa di meglio?”
“Sono certo che la persona che ha scritto quelle
cose sul forum sarebbe d’accordo con lei.”
“Mi piace crederlo.”
Folgore s’allontanò mentre Remo gettava un’ultima
occhiata alle torri che già si rimpicciolivano all’orizzonte. Indistinguibile
dal resto del paesaggio, il paese senza nome era tornato ad essere invisibile.
“Così lo ha scoperto per caso?”
“Mentre testavo il suo bambino.”
“Non ci è mai atterrato?”
“Mi manca il coraggio.”
“Come ha fatto ad abbattere due Euro Fighter?”
Il pilota tornò alla rotta originale, quella che
aveva ideato per far divertire un po’ quell’uomo per cui Ravenna aveva
raccomandato la massima cura e attenzione.
“Vedo che la curiosità la sta divorando.”
“Al posto mio che cosa farebbe?”
“ Domanderei subito la stessa cosa perché troverei
incredibile che un aereo come quello possa essere tirato giù in quella maniera.
Figurarsi due! Lei è incredibile, lo sa? Ha creato una vera meraviglia. Quando
mi hanno detto che avrei dovuto pilotare un convertiplano…”
“EVA.” Corresse istintivamente Rizzato.
“EVA?”
“Elicottero Variabile ad Aereo.”
“Ha coniato lei il termine?”
“Si. Anche se il principio non è una mia
invenzione.”
“Cavoli, però l’ha perfezionato.”
“Ho cercato di fare del mio meglio.”
“Mi tolga una curiosità.”
“Cercherò di accontentarla.”
“Ho visto altri veicoli EVA o convertiplani come li
si voglia chiamare. Alcuni di uso civile altri militare. Ho visto anche dei
prototipi e mi è capitato di pilotarne un paio. So che questo era un prototipo
civile, esatto?”
“Esatto.”
“Però ricorda speventosamente un elicottero da
guerra per più di una soluzione adottata. Mi chiarisca questa cosa. Perché un
veicolo da usare per soccorrere qualcuno dovrebbe assomigliare ad un’arma?”
Remo Rizzato si lasciò scappare una risata. Si
sistemò sul sedile e spiegò: “Suppongo che sia per questo motivo che i militari
ci abbiano messo subito gli occhi sopra. In campo militare gli elicotteri hanno
fatto grandissimi passi in avanti dal punto di vista della manovrabilità e delle
prestazioni ed infatti in guerra il loro impiego è molto più esteso per quel
che riguarda un certo tipo di ruolo che non in passato. Inizialmente il Rapace
…”
“Rapace?”
“Era il suo nome in codice. Rapace. Bello ed
elegante.”
“La forma effettivamente richiama un uccello
predatore.” Convenne il pilota.
“Come dicevo il Rapace doveva essere un elicottero e
così mi sono ispirato al Mangusta.”
“Un grande elicottero.” Fece l’altro.
“Un grandissimo elicottero. Anche alcuni rapaci sono
nemici naturali dei serpenti, proprio come la mangusta e da lì mi venne in
mente il nome ed in un certo senso è stato una sorta di linea guida mentale per
individuare gli obbiettivi che volevo ottenere. Stabilità, manovrabilità,
agilità.
Un elicottero che potesse portare soccorso in alta
quota o in mezzo al mare in tempesta.
Di lì al concetto di EVA il passo non è stato troppo
lungo. Ho capito che due al prezzo di uno è una buona idea.”
“Dio benedica la pubblicità.”
“Sia sempre benedetta. Però non mi ha detto come
possa, il Folgore, sostenere uno scontro
con un Euro Fighter.”
“Mi è capitato di farlo in passato. Sostenere uno
scontro con un aereo da combattimento.”
“Veramente?”
“Ho una certa esperienza. Ho esordito come pilota
nell’esercito ma poi mi sono messo in proprio, dopo una sfortunata parentesi
come pilota civile nelle Hawaii.”
“Era alle Hawaii?”
“Facevo fare il giro turistico di un buon tratto di
costa e di alcuni isolotti ai turisti, come in quel famoso telefilm degli anni
’80. Lo ricorda?”
“Più o meno.”
“Una storia un po’ bislacca e troppo lunga per
raccontargliela ora. È stato piacevole, finché è durato ma poi, mettiamola
così, il destino bussa alla porta e tu devi rispondere. Credo che la mia
vocazione sia sempre stata quella di fare il pilota militare e così sono finito
a fare il freelance, combattendo per chiunque avesse abbastanza danaro per
pagarmi. Mi creda, non lo dico per falsa modestia, ma i miei stipendi me li
sono guadagnati sempre tutti. Al tempo della storialla che sto per raccontarle,
mi avevano dato un bel Cobra della Bell e dovevo usarlo per stanare alcuni
ribelli in Africa. Non le dico lo stato perché si dice sempre il peccato ma mai
il peccatore.”
“Certo.” Convenne Rizzato.
“Fatto sta che mi aspettavo batterie di contraeria,
qualche veicolo blindato ed invece i tizzi avevano dalla loro un Mig. Un Mig!
Roba da non crederci! Voglio dire, era già incredibile che avessero un certo
tipo di armamento, tenendo conto di che razza di morti di fame stiamo parlando
ed invece avevano pure un Mig! Un residuato dell’ex impero russo venduto da
qualche Ufficiale della fu armata rossa deciso ad assicurarsi una buona
pensione per il futuro, visto che al tempo volgevano le cose. Sa perché me ne
accorgo? Perché stavo andando a prendere i morti di fame di cui parlavo con
altri due colleghi. Il Mig li fa a pezzi prima ancora abbiano avuto il tempo di
realizzarlo. Io stavo parlando via radio con uno dei due e bum, la
comunicazione cade all’improvviso. Capisco subito che c’è qualcosa che non va e
mi basta dare un’occhiata per vedere la scia lasciata dall’aereo.”
“Cosa ha fatto?”
“Uno scontro faccia a faccia tra un elicottero ed un
caccia? Molto difficile dire che vincerebbe perché non si può mai essere certi
di niente ma in linea teorica sarei propenso a dare sempre per vincitore l’aereo.
Se un aereo poi ti avvista prima che possa farlo tu, sei morto. La velocità, i
radar e di solito gli armamenti sono dalla sua. Però una volta che hai avuto
modo di accorgerti della sua presenza e se hai dalla tua la conformazione del
terreno, le cose possono cambiare.”
“Scommetto che dove si trovava c’era la giungla.”
“Non l’avrei chiamata così ma, diciamo che ho avuto
la possibilità di nascondermi.”
“E cosa è successo poi?”
“Ho aspettato che passasse per cercarmi ed ho fatto
fuoco. Un missile helitow e l’amico, chiunque fosse, è andato a raggiungere i
miei colleghi.”
“Ha avuto un gran sangue freddo.”
“Devo confessare che ho avuto anche un gran culo, a
differenza degli altri. I miei datori di lavoro furono così entusiasti che mi
dettero un bel fuoribusta per quel giochetto.”
“Avere fortuna con due Eurofighter però mi sembra un
po’ troppo.”
“Il Folgore è stato attrezzato per resistere al
fuoco pesante.”
“Che fosse corazzato me lo immaginavo.”
“Non capisce. Quando dico che è stato attrezzato per
resistere al fuoco pesante, intendo proprio il fuoco pesante, quello vero.
Potrebbe reggere il colpo diretto di un tow.”
Remo rimuginò qualche istante su quello che aveva
appena sentito.
“Impossibile.”
“Lei conosce bene Ragusa, vero.”
“Conosco il suo lavoro.”
“Sa che stava lavorando ad uno speciale scudo
termico per i nuovi Shuttle Pod Nasa, prima che il programma fosse tagliato.”
“Si.”
“L’Egida è il risultato di quegli studi.”
“Come funziona?”
“Sul Folgore sono state montate delle piastre, la
forma ricorda quella delle celle d’un nido d’api. Sono costruite in lega di
titanio e dentro sono cave. Sfruttano il principio delle corazze semi-reattive.
Dentro c’è una specie di resina liquida, che reagisce al calore e all’energia
cinetica. Ragusa la chiama Resina A Conversione di Energia. Se qualcosa di
abbastanza veloce o caldo colpisce la piastra, la resina diventa gelatinosa,
elastica, e deflette verso l’esterno l’energia, disperdendola. Le piastre sono
composta da maglie che si aprono undirezionalmente all’espandersi della gelatina ed in questo
modo incanalano l’energia in un verso.”
“Come le buste utilizzate per contenere i ferri
chirurgici messi nelle autoclavi.”
“Il principio è quello.”
“Ragusa è un genio.”
“Ragusa è un genio.” Confermò serio il pilota.
“Veramente può reggere un tow?”
“Un cannone gatling vulcan da caccia non la riesce a
bucare. L’ho visto con i miei occhi e non riuscivo a crederci. Non ci ho
creduto nemmeno quando mi sono trovato ad attraversare il fuoco nemico. Folgore
può reggere a lungo un attacco massiccio, riportando solo danni minimi. Una
cosa spaventosa, mi creda.”
“Le credo sulla parola.”
“Non ho mai beccato un tow perché Folgore è uno
stealth difficile da individuare ed ha adeguate contromisure per permettere di
intercettare un missile del genere prima che lo colpisca. Ragusa però mi ha
detto che per buttarlo giù servirebbero almeno due o tre missili tow.”
“L’abitacolo?”
“Una cella di sopravvivenza realizzata in polimeri a
memoria di forma ed il vetro non è un vetro. È stato costruito più o meno con
lo stesso principio delle piastre.”
Rizzato aguzzò lo sguardo e s’accorse solo allora
che effettivamente c’erano migliaia di piccole cellette posto a stretto
contatto tra loro a comporre il parabrezza.
“Quando il liquido diviene gelatinoso rimane trasparente?”
“Si inscurisce un po’ ma dura poco. Passato
l’effetto torna subito liquido.”
“Le piastre sul resto del Folgore non sono
trasparenti.”
“Sono più dense perché le maglie che le compongono
sono di più, più grandi e più strette. Ragusa mi ha spiegato che volendo lo si
può rendere ancora più resistente montandoci sopra una corazza ablativa.”
“Possiede anche una corazza ablativa?”
“Potrebbe produrla presto.”
“Quanto pesa l’Egida?”
“Questa è la cosa più straordinaria. Qui dentro
siamo più al sicuro che su di un tank ed il peso non è di molto superiore alla
normale corazzatura che di solito montano gli elicotteri da combattimento.”
“Mio Dio.”
“Ho detto la stessa cosa a suo tempo.”
“Non mi ha detto però che arma usa questo
elicottero. Quello in posizione caccia non è un cannone vulcan.”
“No.”
“Che roba è?”
“Lo chiamano Crocea Mors.”
“Come la spada di Giulio Cesare?”
“Vede? Voi cervelloni avete la mania dei nomi
altisonanti ma mai come in questo caso sono stati azzeccati.”
“Come funziona Crocea?”
“Credo che sia meglio se lo chiede direttamente a
Ragusa.”
“Perché?”
“Lo capirà.”
“La paga bene?”
“Vitto e alloggio.”
“Solo?”
“Solo.”
“Allora perché lavora per lui?”
“Non lavoro per lui.”
“No?”
“Diciamo che nella vita, arriva il momento per tutti
di farsi un esame di coscienza e chiedersi che cosa si è combinato, che cosa ci
si lascerà dietro quando sarà il momento di rendere l’anima al creatore o a chi
per lui. Ragusa crede in qualcosa. Fede genuina, autentica. Anche un cinico,
arrivista come me ne può rimanere impressionato.”
“Lei lo segue perché crede veramente in quello che
sta facendo il Dottor Ragusa?”
“Le sembrerà stupido ma la risposta è si.”
“Non mi sembra stupido. È inquietante.”
“Perché mai?”
“Perché non ho ancora capito cosa sta facendo.”
“Lo capirà presto. Torniamo a casa?”
“Va bene.”
Folgore Celeste tornò verso il covo di Ragusa e dei
suoi adepti con a bordo un Remo Rizzato più dubbioso che mai.
2
11
Maggio 2015, il luogo noto come La Grotta – In qualche parte tra Umbria e
Toscana
Il Professor Costante Elio Ravenna stava innaffiando
un vaso contenente delle campanule.
“La cosa incredibile,” disse a Remo che stava leggermente in disparte,” è che sono cresciute lo stesso. Senza
bisogno di luce. Forse si son fatte bastare quella artificiale.” Sorrise allegro mentre indicò il
soffitto lungo cui correva una fila di vecchie lampade alimentate dal
generatore a diesel della base, il cui sommesso ronzio riempiva l’aria come un
brobottio.” Mia moglie, amava questi
fiori. Davvero. Erano i suoi preferiti.”
“So della sua perdita.” Ammise Remo.” Me ne
dispiaccio davvero.” Era sincero.
“La mia Elvira era una donna eccezionale. Lo dicono
tutti i mariti delle proprie mogli, almeno quelli innamorati come lo sono io.” A Remo non sfuggì l’uso del presente
in quella frase, così come non gli sfuggì di essere sotto la costante, sebbene
discreta, sorveglianza degli uomini di Ravenna.” Era piena di forza ed energie. Delle volte mi sembrava ardesse
per quanto brillasse quella donna.”
Un solo istante la voce vibrò, come attraversata da un impercettibile tremolio
ma l’uomo sorrideva ancora, mentre posava l’innaffiatoio.” Io e mia moglie lavoravamo insieme. La Dottoressa Elvira Dallara
era un ingegnere dalle capacità eccezionali. Lo sapeva? Ha sfornato decine di
brevetti militari, per Beretta, Glock, per la Augusta Westland, per la
Eurocopter. Era un genio delle armi da fuoco, così come suo padre ed il nonno
prima di lei, ed era convinta che il futuro fosse superare l’attuale concetto
su cui funzionano pistole, fucili e mitragliatori. Ha ovviamente sentito
parlare dei cannoni elettro-magnetici.”
“Si. Ne ho sentito parlare.” Remo deglutì,
attendendo di sentirsi dire quello che sospettava dal momento in cui aveva
visto le foto dei blindati a Ramstein. C’era solo un tipo d’arma che poteva
produrre fori del genere.
“Mia moglie fu reclutata nel Progetto Ercole non per
merito mio. Inizialmente la volevo tenere fuori. Capisce? Marito e moglie, su
un progetto così impegnativo. Temevo che le tensioni avrebbero potuto rovinare
il nostro rapporto ma i responsabili insistettero, dicendo che il suo Rapace
aveva bisogno di un armamento fuori dal comune per poter divenire quell’arma di
distruzione che sognavano. Ovviamente non usarono questi termini ma il senso
era quello. Sebbene rilutattente,”
ammise lasciandosi cadere a sedere su di uno sgabello ed invitando Remio a fare
altrettanto,” accettai. Sa cosa disse
mia moglie vedendo la sua creatura?”
Remo fece segno di no con il capo.” Magnifico.” Ravenna lo disse con tenero compiacimento.” Credo sia stato amore a prima vista. Quella sua mente,” l’indice puntato in direzione della
testa di Remo,” ha partorito un capolavoro, lo sa?”
“Ho i miei dubbi.”
Il volto di Remo era triste e tirato.”
Rapace doveva salvare della vite. Non divenire il bisturi con cui i servizi
segreti avrebbero potuto estirpare i propri nemici.”
Ravenna rise. C’era dolcezza in quel suono, lo
stesso di un padre che sentiva il figlio piccolo parlargli.
“Invece è andata così, Remo. La vita va così.
Vogliamo qualcosa ma poi si realizza in modo differente dai nostri piani.
Quando parlai del mio bindaggio in compositi, la mia Elvira ebbe come
un’illuminazione. Doveva costruire un’arma capace di superare l’eccezionale
difesa rappresentata dalla corazza che avevo progettato. Qualcosa che riuscisse
a distruggere persino l’Egida!
Le piastre a maglia ed il liquido al loro interno,
rappresentano una barriera impenetrabile per buona parte della armi
convenzionali note.
Elvira aveva già lavorato a dei cannoni
elettromagnetici e partecipò anche a degli esperimenti condotti dagli americani
in Africa.
Quello che fece fu costruire un arma dalle
dimensioni ridotte, non un rail-gun ma un coil-gun.”
“Ha usato degli anelli?” Chiese Remo interessato.
“L’utilizzo di anelli induttori in luogo delle
slitte ha permesso di contenere la grandezza ed i materiali utilizzati nella
loro costruzione ci ha permesso di ottenere risultati impensabili sono fino a
qualche anno prima. Gli accumulatori vengono caricati dai generatori
dell’elicottero e contano su l’utilizzo di una batteria ionica ausiliare.”
“Quell’arma utilizza una batteria ionica?!” Remo non
si trattenne dal prodursi in un’esclamazione che attirò l’attenzione degli
uomini di Ravenna che però furono da questi tranquillizzati con uno sguardo.
“Si.”
“E siete riusciti a perfezionare anche quel tipo di
tecnologia per co-alimentare l’arma?”
“Esatto.”
“Le prestazioni?”
“Utilizza proiettili di qualsiasi tipo anche se
preferibilmente, per motivi che potrà immaginare, fatti di tungsteno, grandi
come i proiettili utilizzati da un normale cannone gatling. Raggiungono la
velocità di 3-4 km al secondo, fondendosi fino ad arrivare a circa 5000 gradi
centigradi e possono essere sparati fino a 1500 colpi per minuto, senza che
vengano emessi bossoli e, grazie al sistema ideato da mia moglie, con un basso
dispendio energetico. Quando gli accumulatori si esauriscono subentra la pila
ionica, quando la pila ionica si esaurisce e deve ricaricarsi, subentrano
nuovamente gli accumulatori. Potrebbe andare avanti per quasi dodici minuti
ininterrotti e poi gli basterebbero solo dieci minuti per ricaricarsi
completamente.”
“Perché Crocea Mors?” La domanda avrebbe potuto
sembrare stupida ma a Remo interessava conoscere tutti i particolari che
riguardavano il processo di trasformazione che aveva investito il Rapace.
“La lega di cui sono fatti contiene un buon
quantitativo d’oro.”
“Oro?”
“Sorprendente e costoso ma si viene pienamente
ripagati dai bassissimi consumi energetici e dalle prestazioni. Quando la corrente
li attraversa, pare persino di vederli risplendere leggermente.”
“Cosa vuole?”
“La pace.”
Rimasero a fissarsi entrabmi. L’uno sorridente,
serafico, come se fosse ad un convivio tra amici.
L’altro cupo e dilaniato da un profondo conflitto
interiore che cercava di nascondere per non mostrarsi debole.
“Distruggendo una base militare?” Fece notare.
“Se è necessario.”
“Dire di volere la pace è un po’ vago e può anche
essere spiazzante, spece se usa determinati metodi.”
“Sa cosa fecero Ercole e Zeus quando si ritrovarono
rispettivamente ad affrontare un’Idra?”
“Colpirono il corpo.”
“Sa anche perché lo fecero?”
“Le teste che inizialmente tagliavano, ne venivano
sostituite da due che crescevano al loro posto.”
“Delle volte, Remo, si deve andare al cuore del
problema ed è quello che voglio fare.”
“Ancora non capisco.”
“Capirà.”
“Non mi sta dicendo quello che vuole veramente
perché non si fida di me.”
“Ovvio. Non penserà che sia bastato dirmi che è
stato contattato dal CIM o che c’è una spia tra i miei ranghi per guadagnarsi
la mia fiducia.” Era stato franco in quell’ammissione.
“Allora perché mi ha voluto qui?”
“Ho le mie ragioni e le prometto, che tra poco, ne
verrà a conoscenza.”
Remo meditò bene se porre o meno quella domanda.
“Com’è morta sua moglie.”
“Lo voleva chiedere sin da quando ci siamo
incontrati, nevvero?”
“Lo ammetto.”
“Uranio impoverito.”
“Come è venuta a contatto?”
“Mentre era in Sardegna a sperimentava un’arma per
conto del Governo. Non era un’arma progettata da lei. Era subentrata alla guida
di un progetto dove il creatore dell’arma era morto. Cause naturali dissero ma
dopo, capii che probabilmente avevano mentito. Il nuovo tipo di proiettile
doveva essere in grado di perforare facilmente le corazze dei blindati e al
contempo avere un impatto ridotto sugli esseri umani rispetto ai vecchi. Mia
moglie disse che era una sciocchezza e che a quel punto sarebbe stato meglio
utilizzare proiettili normali. Si ammalò due anni dopo ma so che è stata quella
la causa. I sintomi si manifestarono mentre lavorava all’opera suprema della
sua vita.”
“Si rende conto di cosa ha fatto?”
“Ho rubato un elicottero, mi perdoni, un EVA
destinato a compiere missioni segrete d’alto livello. Uccidere capi terroristi,
fiancheggiatori, ripulire campi d’addestramento in gran silenzio. A proposito,
le hanno spiegato questo aspetto del impiego di Folgore?”
“Me lo spieghi lei.”
“Nei campi d’addestramento in medi oriente ed in
Africa, Remo, s’addestrano anche bambini. Non possiamo utilizzare armi che
attirino troppo le attenzioni dei media per spazzarli via. Folgore Celeste è la
punizione divina che arriva dal cielo, dalla quale non puoi nasconderti e
tuttavia è discreta e silenziosa come una vecchia amante.”
“Questo l’ha spinta a fondare Minerva?”
“Intende la crudeltà? La violenza insita in tutto
questo? No. Per carità di Dio, no! Quei campi, lo sappiamo entrambi, devono
essere annientati. A torto o a ragione quelle persone si preparano ad una
guerra santa contro di noi. Siamo il nemico e sono disposti a tutto per
distruggerci. L’arma più potente che hanno è il terrore e non si fanno scrupoli
ad usarlo.
Ho fondato Minerva perché siamo stati noi, i nostri
stessi governi, a foraggiare questi mostri che trasformano i ragazzini in bombe
umane. Pensi solo ai campi d’addestramento allestiti dalla CIA in quei paesi
dove si favoriva una fazione per impedire l’avanzata di un potenziale nemico.
Pensi a tutti i dittatori che hanno messo su di un trono, pur di avere alleati
fidati che poi però si sono rivelati essere dei voltafaccia e di tutti gli
eccidi di cui sino macchiati.
Hanno agito da irresponsabili, sbagliando politica e
giocando in modo spregiudicato con il futuro.
Continuano a farlo e se i risultati di ieri li
abbiamo visti concretizzarsi l’11 Settembre, sono terrorizzato per quello che
potremmo ritrovarci domani.”
“E così ha pensato di riequilibrare le cose? Come?
Facendo il terrorista?”
“Tecnicamente sono un terrorista. Non posso negarlo
ma al contempo è una definizione piuttosto limitata. Ora, se non le dispiace,
vorrei porle io qualche domanda. Ha parlato di una spia tra i miei ranghi? Mi
piacerebbe saperne di più.”
“Non ho idea di chi sia.”
“Come fa a saperlo allora? Dubito glielo abbiano
detto quelli del C.I.M.”
“Sapevano che voleva contattarmi e che mi seguiva da
giorni. C’era un unico modo in cui potevano esserne a conoscenza.”
“Qualcuno dall’interno della mia organizzazione gli
ha fatto pervenire un messaggio. Interessante.”
Ravenna sorrise divertito.
2
Ravenna presnetò uno per uno gli appartenenti
all’organizzazione Minerva a Rizzato.
“Ha già conosciuto il Colonnello Alessandro
Benedetti. Ha un curriculum piuttosto ricco al suo attivo e non troverà al
mondo miglior pilota d’elicotteri o EVA che dir si voglia di lui.”
“Troppo buono, Signore.” Minimizzò sorridendo.
Era alto circa un metro ottanta, una zazzera biondo
cenere gli cadeva sino alle spalle e le labbra sottili ed esangui gli donavano
un aria quasi caricaturiale, specie quando si scioglievano in una risata che
mostrava una chiostra di denti straordinariamente formata e bianca. Gli occhi
verde scuro parevano illuminarsi quando si lasciava andare ad uno dei suoi
frequenti moti d’allegria e buon umore ed in altre circostanza, Remo avrebbe
trovato simpatico quell’individuo eccezionalmente magro e allampanato.
“Il Tenente Martino
Scarano invece è il nostro artigliere di bordo e nemmeno lui scherza in quanto
ad esperienza.”
Di statura media e piuttosto ben piazzato, dava
immediatamente l’idea di essere una persona solida, quasi inamovibile, ed il
suo sguardo cambiava in continuazione, ora distratto, ora alla costante ricerca
di un bersaglio da inquadrare, un a mo’ di certi uccelli predatori che cercano
di scorgere il pasto lì, su quei territori che sorvolano fieri. Occhi e capelli
neri come la pace a contrasto con la carnagione piuttosto chiara ed i
lineamenti vagamente adolescenziali. Doveva essere sulla trentina anche se
l’aspetto complessivo poteva trarre in inganno.
“Il Caporale Mattia Minghetti ed il Sergente Sergio
Parisi. Ha già conosciuto uno di loro.”
Mattia aveva un fisico longilineo e l’aria bonaria
ma aveva nei suoi occhi castani lo stesso sguardo di Scarano. Istintivamente
Remò pensò trattarsi di un tiratore.
Sergio, uno dei due uomini che lo avevano accolto
fuori dalla cella in cui si era risvegliato, era imponente. Leggermente meno
alto di Alessandro ma molto più massiccio e grande. Collo taurino, spalle
possenti. Gli abiti parevano contenere a stento una fisicità tutt’altro che da
culturista. Aveva affatto l’aspetto di quegli atleti immortalati nel marmo da
greci e romani e, anzi, ad un certo punto, gli ricordò un bronzo che lo aveva
sempre affascinato, il pugile che aveva ammirato diverse volte a Palazzo
Massimo in Roma quando era un ragazzo. Forse era quel naso storto, magari il
sopraciglio spaccato o la barba riccioluta, anche se corta e ben ordinata, che
ornava una mascella squadrata e dall’aspetto minaccioso. Gli occhi erano d’un
verde persino più scuro di quello di Alessandro.
“Lì, seduto sulla sedia rossa, il Sergente Giovanni
Mariani.”
Sebbene meno notevole di Sergio, anche Giovanni
sfoggiava una fisicità di tutto rispetto. Lo sguardo che emanavano i suoi occhi
azzurri era di chi era pronto a tutto e la cicatrice sulla fronte testimoniava
che doveva essersela vista brutta più di una volta in vita sua. Aveva un
aspetto così detto nordico, quasi scandinavo.
“E invece vicino agli armadietti, un terzetto di cui
conosce già due dei componenti: il Capitano Melissa Toffàn, il Sergente Renzo
Quattrini ed il Sergente Luca Colussi.”
Melissa stava lì, sorridente, come se fosse stata
una vecchia compagna di scuola rincontrata per caso ad una festa o su uno dei
social netework che andavano tanto di moda agli inizi di quel ventunesimo
secolo.
Renzo, l’uomo che aveva affiancato Sergio a fargli
da guardia inizialmente, aveva l’aria un po’ anonima, vestito in modo ordinato,
indossava capi dai colori neutri e dal taglio piuttosto dozzinale. Capelli
corti, niente barba o baffi, la classica persona che poteva passarti accanto
anche decine di volte senza che poi ci si ricordasse di lui.
Appartieneva
ai servizi segreti pensò immediatamente Remo.
Luca invece aveva l’aria trasandata e se non fosse
stato per il grado non avrebbe mai pensato ad un militare. Anche
l’atteggiamento corporeo sembrava irrimediabilmente distante da qualsivoglia
marzialità e la barba ed i baffi incolti, così come la zazzera ben più lunga di
quella di Alessandro, facevano pensare ad un nostalgico degli anni ’70.
Questo
faceva l’infiltrato o lavorava sotto copertura,
fu la rapida analisi di Remo.
“Questi uomini, e la signorina naturalmente, sono
Minerva.” Affermò con orgoglio
Ravenna.” Senza di loro nulla di
quanto ho progettato sarebbe mai stato realizzato. Minerva, Rizzato, è un sogno
che ho coltivato per anni, un’organizzazione mossa non da fini meramente
politici ma da un vero codice morale come quello alla base degli ordini
cavallereschi che resero celebre il Medioevo.”
“Mi sta dicendo che sono capitato tra i Cavalieri
della Tavola Rotonda?” Si pentì subito d’essersi lasciato scappare quella
battuta che se in Ravenna non produsse apparentemente alcuna contrarietà ma
solo una benevola risata, gli valse invece uno sguardo omicida di Sergio. Remo
non piaceva a quella montagna d’uomo, se ne era reso conto quasi immediatamente
e probabilmente era solo per rispetto a Ravenna che non era finito con le sue
grandi mani intorno al suo collo. Per qualche istante gli parve di avvertire la
sgradevole sensazione che stesse soffocando.
Costante Elio Ravenna gli chiese di seguirlo e Remo
obbedì, passando vicino a Melissa che ignorò, ancora risentito per essere staro
vittima del suo inganno. In realtà, Remo aveva subodorato quasi subito che
c’era qualcosa che non andava ma solo perché era stato messo in guardia. Una
ragazza che attacca bottone tanto facilmente con qualcuno come lui, si disse,
che non era certo un adone era strano. Non impossibile e nemmeno troppo
improbabile ma sospetto.
Dietro di lui la coppia formata da Sergio e Giovanni
che seguiva ogni suo movimento.
Giunsero in prossimità di un portale. A sbarrargli
la strada una paratia scorrevole che Ravenna sbloccò facendo ruotare una
manopola. Mattia e Renzo corsero ad aprirla, facendola scorrere lungo un
binario a terra e quando furono all’interno del grande ambiente che si trovava
oltre essa, Ravenna premette un interruttore a muro, accendendo le luci.
Remo fu attraversato da un fremito così forte ed
impallidì così tanto che i presenti temettero fosse sul punto di svenire.
3
28
Dicembre 2014 – Base Aerea “11”, Friuli-Venezia Giulia. Ore 10.20
“ALT!” Intimò il soldato di guardia. Nonostante
l’addestramento, né lui, né il commilitone alla sua sinistra, riuscirono a
reprimere completamente il nervosismo nel puntare le proprie armi contro la
giovane coppia che era uscita dall’auto. Lei era accasciata in terra e lui le
si era subito fatto d’appresso per soccorrerla.
“FERMI!” Con
voce supplichevole l’uomo.”
AIUTATECI!” La voce era rotta dal
panico che si stava impossessando di lui, sovrastata solo dai lamenti di lei.” Stavamo cercando l’ospedale più
vicino! Il tom-tom è impazzito e non conoscendo il posto mi sono perso! Vi
prego! Chiamate un’ambulanza! Mia moglie è al terzo mese di gravidanza!”
Uno dei soldati lanciò una rapida occhiata al
veicolo, una Focus blu chiaro, la portiera aperta, un sacchetto di plastica
posato sul fondo davanti al sedile di fianco a quello del guidatore da cui
spuntava una bottiglia d’acqua vuota ed una confezione di thé accartocciata.
L’interno non rivelava null’altro di sospetto a quella prima analisi. L’uomo,
sulla trentina, era pallido e sudato.
“Chiama subito alla base! Avvertili che abbiamo una
donna che si sta sentendo male. Digli che è incinta!” L’altro eseguì subito i
comandi del compagno comunicando via radio con la base.
Erano usciti di corsa dalla loro postazione quando
lo schermo aveva mostrato la vettura uscire di strada e finire quasi addosso ad
un abete rosso dopo aver pattinato un po’ sul brecciolino. I segni della
frenata erano ben evidenti. Una lince, che si trovava molto ad altitudine
diverse a quelle a cui di solito era abituata, era fuggita via impaurita al
momento dell’impatto.
Quel sentiero era pericoloso per chi non lo
conosceva bene.
Abbassarono le armi senza però avvicinarsi troppo
alla coppia. Vennero raggiunti da altri tre soldati ed un sergente, tutti in
mimetica, a cui venne rapidamente riassunta la situazione.
L’uomo chiese conferme ai due intrusi.
“Non sapevamo che fosse una zona vietata!” Tentò di giustificarsi lui.” L’ho già detto! Il tom-tom ad un certo
punto è come impazzito! Anche il cellulare non funzionava! Ho tentato di
raggiungere una strada principale per cercare un telefono d’emergenza ma mi
sono perso! MERDA! Volevo far, fare un giro panoramico a mia moglie!” La testa della donna, gli occhi semi
chiusi, il respiro veloce, era sulle sue ginocchia. La abbracciò stringendola a
sé.” Vi prego! Vi faccio vedere i
miei documenti se non mi credete! Potete anche farmi portare via dalla Polizia!
Basta che soccorriate mia moglie.”
L’urgenza di quelle parole era drammaticamente
vibrante ed il sergente alla fine decise:
“D’accordo! Portatela dentro! All’infermeria
dovrebbero essere in grado di aiutarla fin quando non arrieverà
l’autoambulanza! Lei però rimane qui!” Fu categorico.
“GRAZIE! GRAZIE! Rimango qui! Non m’importa! Basta
che la aiutatiate!”
Al sergente dispacque non poter far entrare anche
l’uomo ma stavano già violando diverse procedure di sicurezza così. Uno dei
soldati chiese al marito di allontanarsi dalla donna e questi, anche se a
malincuore, obbedì, muovendosi lentamente e con ambo le mani ben in vista così
come gli era stato chiesto. Il militare sollevò delicatamente la giovane e,
scortato da un compagno, la portò all’interno del perimetro della base, superando
il varco dove stava la guardiola e la sbarra mobile.
Gli esperimenti con i dispositivi di disturbo
avevano le loro conseguenze, lo sapeva bene chi lavorava lì. Di solito non si
aspettavano che qualcuno passasse così vicino alla zona dei test riamanendone
vittima. Una sfortunata coincidenza per i due sposi capitare lì.
11.00
L’ambulanza partì dopo che la donna che aveva
accusato il malore venne caricata su.
Il marito ringraziò tutti i presenti fino a che non
chiusero le portiere.
Alla base c’era stato subbuglio per l’accaduto e il
sergente sapeva che sarebbero stati presi provvedimenti verso la sua persona
per la decisione di portare una civile all’interno dell’installazione.
Incinta o meno, gli ordini erano chiari.
Si preparò a ricevere la lavata di capo e la
punizione, senza farsi troppe illusioni di poter contare sulla comprensione dei
propri superiori.
Intanto, nell’infermieria si accorsero che la
ragazza aveva perso il cellulare.
Il medico di guardia consegnò subito l’oggetto alle
guardie che, come previsto dal protocollo, provvidero a privarlo della batteria
e della sim che vennero riposte in altrettanti sacchetti, simili a quello
destinato al telefonino, e a portarli al deposito, dove sarebbero stati chiusi
a chiave fin quando, probabilmente, non sarebbero stati spediti via posta ai
legittimi proprietari a cui erano stati presi tutti quanti i dati.
11.15
Luca battè la mano sul tavolo soddisfatto. L’angusta
camera del motel dove si era fermato dalla sera prima era satura del fumo delle
sigarette che si era acceso per ingannare il tempo.
La cappa d’aspirazione non funzionava e aprendo la
finestra il rumore dei numerosi camion che percorrevano la statale vicino lo
avrebbe distratto troppo.
Velocemente battè dei comandi sulla tastiera del suo
portatile mentre i dati trasmessi dal cellulare di Melissa venivano rapidamente
processati e memorizzati nell’hard disk esterno.
Aveva pochissimo tempo. Il dispositivo, privato
della batteria principale, aveva poca autonimia.
Doveva cercare di carpire tutto quello che poteva
dai computer della base 11 e mettere rapidamente dentro tutti i trojan che di
lì a poco li a poche ore gli sarebbero serviti.
Era una bella sfida ma non era nuovo a quel tipo di
operazioni condotte su infranet a cui non si poteva accedere se non con trucchi
del genere.
11.25
Melissa e Renzo recitarono bene la parte degli
sposini novelli. Il personale dell’autombulanza li rincuorò e li assistette
dimostrando grande umanità e professionalità. In un'altra occasione gli sarebbe
dispiaciuto doverli prendere in giro in quel modo ma il compimento della
missione veniva prima di ogni altra cosa.
Melissa si sentiva veramente male. Alterare i suoi
parametri vitali mediante l’assunzione di medicine e mandarsi in iper
ventilazione era stato l’unico modo per
rendere davvero convincente la sua recita.
Se alla base 11 avessero sospettato qualcosa, per
lei e per Renzo ci sarebbe stato l’arresto.
11.50
Ravenna fu soddisfatto nel vedere criptati trasmessi da Luca comparire
sullo schermo del suo notebook.
La casa affittata era davvero graziosa. Un piccolo
rifugio dagli affanni della vita moderno adagiato vicino le montagne. Se avesse
potuto ne avrebbe approfittato per almeno una settimana ma presto quel luogo
non sarebbe più stato sicuro, indipendentemente dal fatto che avesse usato o
meno una delle sue identità false.
Prese la radio e chiamò sulla frequenza convenuta:
“Castore a Polluce. È l’ora di partire per Pisa.”
Gli piacevano quegli assurdi messaggi in codice. Lo
facevano tornare agli anni della giovinezza quando, insieme alla famiglia,
ascoltava i radio drammi spionistici che lo tenevano con il fiato sospeso fino
all’ultimo minuto.
11.50
“Ci siamo.” Sentenziò Alessandro, riponendo sul
tavolo la radio.
“Ci siamo.” Fece eco con un sussurro Martino. Più
che una frase, era stato come un verso liberatorio. Aveva voglia di tornare in
azione, nonostante il pericolo che correvano.
Alessandro sorrise comprensivo e divertito. Erano
una strana coppia, se ne rendeva perfettamente conto. In altri tempi non
avrebbe mai voluto un compagno del genere ma la vita gli aveva insegnato che,
spesso, quelli che sembravano i peggiori in realtà erano i più affidabili e,
nel suo campo, Martino era decisamente uno dei migliori.
“Vieni a darmi una mano.” Incitò Alessandro e,
Martino, lo seguì volentieri.
Chiamò con un fischio Mattia, Sergio e Giovanni. I
tre stavano ascoltando un po’ di musica alla radio per distrarsi. Le teste si
voltarono all’unisono verso il duo che si dirigeva verso i camion.
“S’incomincia!” Sergio di solito era freddo e
controllato ma la consapevolezza che di lì a poco avrebbero avuto la loro
occasione di entrare in azione gli faceva provare un brivido di gioiosa
euforia.
Se c’era una cosa che Ragusa aveva capito sui cinesi
era che Sun Tzù era stato uno dei più grandi esponenti di quel popolo e che
nessuno, come loro, riusciva a far arrivare via mare tramite le proprie navi
tonnellate e tonnellate di merce clandestina ai cui produttori era quasi
impossibile risalire. Grazie al suo spirito d’iniziativa e al suo carisma,
s’era saputo abilmente inserire nella rete di collusioni e corruzione che gli
aveva permesso di trasportare via mare quello di cui aveva bisogno, riducendo
così notevolmente gli spostamenti via terra, solitamente maggiormente soggetti
a controlli.
Ragusa diceva sempre anche che Rizzato, il
progettista dalla cui mente era nato il Folgore, era un vero genio. Non solo
aveva dato vita ad un convertiplano dotato di una manovrabilità semplicemente
“eccelsa” come la definiva ma aveva avuto l’intelligenza di renderlo facilmente
trasportabile in caso di necessità. Con i giusti attrezzi, e conoscendo il
giusto procedimento, l’elicottero poteva essere smontato con relativa rapidità,
caricato sui camion che a loro volta sarebbero stati caricati su un alcuni
vecchi pescherecci ufficilamente proprietà di una cooperativa sociale, per poi
essere scaricati a destinazione dove, dopo un breve viaggio attraverso strade
secondarie, sarebbero arrivati al luogo scelto come campo base, di solito in
una zona sottoposta a scarsa, o nulla, sorveglianza satellitare. Quella volta
era stato scelto un carcere abbandonato. Si trattava di una struttura terminata
quasi dieci anni prima ma mai entrata in funzione. Uno dei tanti episodi di
spreco di denaro pubblico che Ragusta utilizzava a suo vantaggio. Writers e
balordi vari che di solito ciondolavano da quelle parti venivano convinti in
vari modi a togliere il disturbo per la giornata. Di certo era gente poco
propensa a rivolgersi alle autorità, anche quando venivano usate le maniere
forti e dunque non c’era molto di cui proccuparsi.
Le dimensioni ridotte di Folgore, così come la
“leggerezza” delle sue componenti permisero di riassemblarlo in “breve” tempo.
Alle ore 13.30 il Folgore Celeste era nuovamente
tutto intero.
12.10
La Cintroèn C2 nera affittata da Renzo li attendeva
nel parcheggio a pagamento vicino l’ospedale di Udine dove era stata portata
Melissa. I loro calcoli si erano rivelati esatti. L’unica centro abitato in cui
li potevano portare dalla base 11 era la città di Udine e il fatto che
l’ospedale si trovasse vicino il parcheggio era stato interpretato come un
segno di buona sorte dai due.
Sgusciare via, eludendo medici, infermieri e guardie
giurate, non era stato difficile per loro. Un piccolo diversivo offerto da un
paio di immigrati a cui Renzo aveva allungato un biglietto da 50 euro ciascuno
era bastato ed avanzato.
“Mi sento morire. Avrei dovuto far un altro po’ di
flebo.” Disse lei simulando preoccupazione.
Renzo rise divertito: “Forse hai preso troppo
lasix.”
“Dovevo sembrare disadrata e ipotesa.” Ribatté lei
con rinnovata allegria.
Misero in moto la macchina e partirono, mantenendo
una velocità più che adeguata per un centro abitato.
“Spero che, per la questione pancia, riuscirai ad
aspettare di arrivare in un luogo più adatto.”
Lei gli scoccò un’occhiata di amichevole
risentimento.
“Non voglio mangiare cavoletti di Bruxelles e
fagioli per almeno un anno.”
“L’avevo detto che avremmo dovuto usare
un’imbottitura.”
“Così al momento di scoprire l’addome avrebbero
subito capito trattarsi di una finta.” Melissa avvertì una fitta che, per un
istante, le spezzò il fiato.
“Tutto bene?” Chiese Renzo con verace
preoccupazione.
“Si, si scemo. Non preoccuparti. Il modo per
liberarsene sarà poco elegante ma vedrai che dopo starò bene.”
Si scambiarono un sorriso d’intesa.
Poco fuori città c’era una piazzola di sosta da cui
si poteva godere un bel panorama della natura friuliana.
Renzo e Melissa s’assicurarano d’essere soli. Prima Melissa
s’allontanò un po’ dalla macchina per espletare certe necessità fisiologiche
che le permisero di ridurre il gonfiore ed il dolore addominale.
Intanto Renzo rimosse velocemente il trucco,
composto da fondotinta, lenti e parti in lattice che alteravano il suo aspetto.
Avrebbe tenuto volentieri la finta mosca sotto il labbro. Pensava gli donasse
ma in un lavoro come il suo mantenere un aspetto il quanto più possibile neutro
ed anonimo era quasi un imperativo. Era stato veloce ed efficiente nel tornare al
suo vecchio aspetto, aiutandosi con alcune salviette umidificante e dischetti
struccanti. Buttò in un sacchetto di carta i finti zigomi ed il rimanente del
camuffamento, rimuovendo dalle scarpe i tacchi e le solette che lo facevano
apparire un po’ più alto di quanto non fosse.
Melissa lo imitò con altrattanta professionalità una
volta tornata a bordo e terminata l’operazione, dopo un’ulteriore occhiata per
sincerarsi che nessuno si stesse fermando, bruciarono i rifiuti prima di
raccoglierli nuovamente con una paletta ed una spazzola e buttarli in un
cestino poco distante.
Per il cambio d’abiti avrebbero provveduto al motel.
Al momento bastava aver indossato giacche diverse. Ci avrebbero messo un po’ a
scoprire che la ford era stata affittata solo pochi giorni prima e che i loro
documenti erano falsi.
Entrambi erano compiaciuti della propria bravura e,
senza dire nulla, si scambiarono un cinque che esprimeva la soddisfazione
provata in quel momento.
12.10
Alessandro diresse i suoi compagni come fosse un direttore
d’orchestra esperto e loro, agendo di concerto, eseguirono le indicazioni con
precisione e senza mai protestare.
Nessuno aveva trovato nulla da contestare nella
decisione di Ragusa nell’affidargli quel particolare compito, vista la
conoscenza che aveva acquisito degli progetti di Folgore.
Prima venne fatto uscire dal trasporto il corpo
dell’elicottero usando un quad per trainarlo. Una volta sfrenato l’eliveivolo
scivolò docilmente lungo la rampa fino alla rimessa della prigione dove,
originariamente, gli “ospiti” spesati dallo Stato si sarebbero dedicati a
lavoretti di meccanica per tenere impegnata mente e corpo in attività
produttive e riqualificanti per il proprio futuro.
Vennero montate le ali e di seguito i due motori
Pratt e Withney a tre rotori.
Con la coda dell’occhio vide Martino carezzare con
dolcezza quasi paterna la Crocea Mors, l’arma del Folgore che lo rendeva simile
a quello strumento di punizione divina che avrebbe dovuto essere nella menta di
chi lo aveva voluto.
“Con un arma così i terroristi avrebbero avuto vita
dura.” Aveva detto Ragusa durante uno dei loro incontri segreti, quando Minerva
era poco meno di un club per chi era profondamente deluso dall’atteggiamento
delle istituzioni. C’era dell’ironia in quelle parole e lo sapeva bene.
Per quanto Folgore Celeste fosse una macchina
meravigliosa, un terrificante dispositivo di distruzione, ben altro avrebbe
potuto ridimensionare il pericolo rappresentato dal terrore.
Benedetti non trattenne una smorfia nel vedere
Scarano indugiare con la punta delle dita sotto la canna del coil-gun. Era
subentrato qualcosa al limite del
morboso al posto della precedente
tenerezza che quasi strappava un sorriso.
Martino era tanto inquietante quando abile. La cosa
che disturbava Alessandro era il legame profondo che li aveva uniti da subito.
Non vedeva sé stesso come un disadattato con problemi di socializzazione quale
era l’artigliere. Aveva avuto amici, donne, relazioni di vario tipo e una vita
tutto sommato normale mentre l’altro viveva solo per il combattimento. Quando
Martino si era seduto per la prima volta al posto del fuciliere di Folgore lo
aveva visto illuminarsi e sorridere come un bimbo felice. La strumentazione con
i touch screen e i comandi digitali che lo avvolgeva lo faceva sentire a casa e
al sicuro. Quando poi aveva fatto fuoco per la prima volta con quell’arma era
stato come preda di un gelido senso di esaltazione perdurato per giorni.
Quello che li aveva uniti era stato che Alessandro
stesso si era sentito così pilotando il convertiplano la prima volta e, doveva
ammettere, ogni volta non vedeva l’ora di tornarvi a bordo.
Si scosse, attraversato da un brivido quando si
sorprese lui stesso a carezzare l’egida che ricopriva la supreficie di Folgore
Celeste.
“Ore 13.30, Signori.” Disse fermando il cronometro dell’orologio da polso.” L’elicottero è di nuovo intero. Passiamo al rifornimento e dopo rimarremo in
attesa dal comando di Giove così come stabilito.” Annunciò ai suoi compagni.
15.00
Luca lasciò il motel senza fretta, sostando al bar
al pian terreno per prendere un caffè e scambiare quattro chiacchiere con il
proprietario. Parlarono del più e del meno, del calcio mercato, della crisi
degli abbonamenti allo stadio, dello stato della Sanità italiana, dei centri
d’identificazione stracolmi nel sud e di altri argomenti per cui Luca finse un
genuino interesse.
Pagò il conto, lasciò una discreta mancia e salì
sulla Punto grigio metallizata con cui avrebbe raggiunto, a pochi chilometri di
distanza, il motel dove alloggiavano Melissa e Renzo.
Non si sarebbero rivolti parola ed il giorno
successivo sarebbero partiti insieme, abbandonando la uno alla prima occasione
per salire sulla loro auto.
Aveva premuto il trigger che avvivava la sequenza
dentro i computer della base 11 esattamente un’ora e mezza e prima. I giochi
erano fatti, si disse mentre saliva sulla macchina e metteva in moto.
22.00
Ravenna chiuse il suo portatile, riponendolo con
cura nella borsa imbottita che a sua volta chiuse in un trolley. L’hard disk lo
mise invece in una tracolla che avrebbe portato con sé.
Si versò un ultimo goccio di cognàc che ingollò
lentamente. Pensò che la sua Elvira l’avrebbe rimproverato per quella sua
piccola trasgressione notturna, salvo poi unirsi a lui per berne un po’, magari
dopo aver messo sul piatto un disco di Sinatra e Sammy Davis Jr. Era fatta così
la sua dolce sposa. Chiamò Alessandro d’ando l’ok in codice a proseguire.
Pianse un po’ e dopo si diresse verso la macchina.
23.00
Respirò profondamente. Seduto sulla panchina del
cortile lasciò che la fredda aria notturna gli entrasse dentro, risvegliando
vecchi ricordi e lenendo antichi dolori.
Giove aveva sentenziato: “Domani ci sarà pioggia”;
che frase sciocca per dire che avrebbero dovuto attaccare una base segreta
dell’Aeronautica. Del resto però i linguaggi in codice erano tutti così.
Infantili, un po’ ridicoli, e
perennemente anacronistici.
Bevve un sorso d’acqua. Solo un po’ dalla sua
bottiglietta. Acqua liscia, comprata due giorni prima ad un distributore. Era
il suo rituale prima di ogni missione, il modo di Alessandro di dare
soddisfazione a quel lato superstizioso che un vecchio, ed amato zio aveva
alimentato con centinaia di inverosimili storie quando era bambino e quando
quelle storie gli sembravano estremamente realistiche.
Prese tra le mani la medaglietta di San Cristoforo,
protettore dei viaggiatori, che portava sempre con sé e mormorò: “Signore
Iddio, anche se non abbiamo uno splendido rapporto noi due, anche se non sono
di certo una brava persona, ti prego umilmente di accogliere queste mie
richieste.
Fa che la missione vada bene. Fa che non perda
nessuno dei miei compagni. Fa che nessuno di noi sia costretto ad uccidere
nessuno. Se dovessimo morire fa che avvenga in fretta. Se dovessimo rimanere
gravemente feriti facci morire. Se dovessimo uccidere fa che i nostri colpi non
procurino inutili sofferenze. Come preghiera fa schifo, me ne rendo conto ma
non son mai stato bravo con queste cose. Grazie per avermi ascoltato nonostante
tutto.”
Si alzò e si diresse verso la rimessa dove lo
attendevano i suoi commilitoni.
Gli abiti che indossava erano capi di poco prezzo,
comprati in uno dei tanti grandi magazzini che infestavano il Paese. Vennero
riposti con cura in sacchi di plastica da cui poi, al momento opportuno, li
avrebbe ripresi per cambiarsi. Lo stesso fecero gli altri. Fece attenzione a
non dimenticare la bottiglia di plastica. Nessuna traccia del loro passaggio
doveva permanere.
Rimasero tutti in biancheria, boxer, maglietta e
calzini.
Silenziosamente lui e Martino indossarono i
pantaloni anti-G e poi indossarono le tute da volo, color grigio scuro con i
polsini di velcro ed il colletto più chiari e le spalle blu notte.
Fu la volta degli stivali e delle cinture.
Nelle varie tasche misero razioni, medicinali, cartine.
Infilarono i loro coltelli da sopravvivenza negli appositi fodori e le pistole,
delle Beretta 98 caricate e con la sicura inserita, nelle fondine.
Trassero da alcuni scatoloni, che bruciarono poco
dopo, i loro caschi-visore.
I tre uomini della squadra da sbarco erano pronti.
Tutte mimetiche, giubbotti anti-proiettile in kevlar, stivali tipo anfibi, le
piastre mobili d’armatura leggera in lega di titanio che proteggevano
ginocchia, spalle, tibie e l’elmetto integrale con visore di luce residua e
maschera anti-gas incorporati. Sergio e Giovanni erano armati con pugnali per
il combattimento corpo a corpo, Beretta analoghe a quelle dei piloti e fucili
multifunzione. Indossarono i guanti con le protezioni per dita e dorso e sulle
spalle i loro zainetti con il sistema di rilevazione della posizione e la radio
e l’attrazzatura necessaria per quella missione. Nelle tasche dei giubbotti
c’erano farmaci da utilzzare nel caso fossero stati feriti, in prevalenza
anti-dolorifici e adrenalina. Terminarono la preparazione prendendo due grante
fumogene ciascuno.
Mattia indossa una mimetica ed un giubbotto
antriproiettile uguali ai loro ma non
l’armatura protettiva extra. I guanti erano tagliati per permettergli di
maneggiare meglio la sua arma, sul viso si calò un passamontagna ed indossò un
elmetto simile a quello in dotazione a corpi speciali quali SWAT o G9. Estrasse
da una coppia di scatole di diversa forma un telo arrotolato e il suo fucile
multifunzione, diverso da quello dei suoi amici. Era un fucile di precisione
capace di far fuoco con due diversi tipi di proiettili, 15 mm guidati da un
sistema laser, 4.6 mm per eventuali scontri ravvicinati che potevano essere,
nel caso, esplosi in sequenza automatica di 3 al secondo. Un lancia
mini-missili, caricato con tre colpi. Montò il mirino telescopico e lo schermo
piatto digitale da 5’ sull’apposito sostegno. Sincronizzarono tutti gli orologi
da polso e la squadra da sbarco, sotto lo sguardo diligente e compiaciuto di
Alessandro, entrò in fila indiana nel ventre del Folgore che era stato aperto
per accoglierli. Il pilota premette un contatto integrato alla fusoliera e il
portello si chiuse. Era il turno dell’equipaggio.
Martino aspettava paziente Alessandro di fianco alla
scaletta e, come consuetudine, attese il suo permesso per salire.
Per quanto potesse essere considerato un soggetto
particolare, Martino rispettava il grado ed il ruolo del compagno e non era mai
successo che ne avesse disatteso eventuali ordini.
Alessandro con un cenno gli concesse di salire sul
eliveivolo e, dopo aver dato un’ultima occhiata intorno per verificare che
nulla fosse stato dimenticato salì anche lui.
I camion che erano serviti per il trasporto
sarebbero stati presi il giorno dopo.
Se c’era un vantaggio nell’avere criminali dell’est
presenti sul territorio era che non facevano troppo domande se qualcuno offriva
loro un accordo come quello.
Loro rivendevano i pezzi dei veicoli al mercato nero
e Minerva non doveva preoccuparsi che quelli venissero ritrovati.
Tutto era pronto. Salì a bordo utilizzando le pedane
mobili che avrebbe fatto rientrare nella fusoliera.
Il sedile gli dette il consueto benvenuto, cedendo
leggermente sotto il suo peso per adattarsi alle sue forme. Chiuse l’abitacolo
e tirò giù quattro interruttori numerati, partendo dal primo fino al quarto.
La console si illuminò così come quella di Martino
che se ne stava placidamente e diligentemente seduto davanti.
Gli schermi touch screan gli mostrarono una sequela
di dati che gli confermavano che ogni cosa era a posto. Sotto il bracciolo del
sedile c’era una levetta che utilizzo per far muovere in avanti l’elicottero.
Una coppia di motorini elettrici lo spinse lentamente in avanti, facendolo
uscire dalla rimessa. C’era un che di minaccioso nell’osservare le forme
aeredinamiche ed aggressive del Folgore emergere dalle ombre, debolmente
illuminate da una pallida luna.
Avviò i rotori e dopo pochi istanti, si ritrovarono
in volo, diretti verso il loro bersaglio alla velocità di 350 km/h.
“Squadra di sbarco, all green? Passo” Chiese
attraverso il comunicatore nel suo casco.
“Squadra di sbarco conferma all green. Attendiamo lo
start Passo.” Rispose Giovanni Mariani.
“Inizio countdown per start da ora. Quindici minuti
al raggiungimento dell’obbiettivo. Tenersi pronti a turbolenze. Passo.”
“Ricevuto. Passo.”
Dovevano essere rapidi, veloci, precisi. Il
dispositivo che dovevano rubare era custodito sotto terra, in una stanza a
quindici metri di profondità. Si accedeva da un basso edificio che si trovava
quasi al centro della base. Giovanni e Sergio avrebbero trovato dieci soldati a
guardia del locale. Non era un lavoro facile ma se c’era qualcuno che poteva
riuscirci quelli erano loro. Mattia sarebbe salito su la torretta ovest dopo
averla opportunamente ripulita e da lì avrebbe dato copertura ai suoi compagni.
Alessandro e Martino si sarebbero dovuti occupare di
una coppia di Mangusta e di quattro Leopard gentilmente offerti dal Governo
tedesco.
Martino nel frattempo teneva le braccia conserte e
gli occhi socchiusi. Alessandro sapeva che quella quiete era solo esteriore.
Bramava l’azione almeno quanto lui. Sentì quella piacevole sensazione di
euforia che lo invadeva sempre prima della battaglia.
“Start a quaranta secondi da ora!” Disse una volta
giunti nei pressi del bersaglio.
Le eliche erano state concepite per ridurre il
quanto più possibile il rumore derivante dal flappeggio e mentre il
convertiplano s’avvicinava lentamente al campo sfruttando le qualità stealth
che contribuivano a farne una delle armi più letali ed efficienti mai
concepite, Alessandro fremette assoporando la potenza e l’agilità di quel
veivolo eccezionale.
Gli uomini sulla torretta si resero conto di cosa
stava accadendo solo quando la truppa, dal portellone aperto, non sparò un
fumogeno che lì costrinse, tra colpi di tosse e lacrime, a terra. Mattia si
lanciò sulla piazzola e stordì i due soldati di guardia con un manganello
spagnolo. Li ammanettò e coprì le loro bocche con del nastro isolante, tutto
mentre Folgore Celeste faceva sbarcare a pochi metri di distanza i due incursori.
Premette un interruttore sul suo fucile e un
sostegno telescopico si staccò dal corpo dell’arma, penzolò giusto un istante
prima di allungarsi fino a toccare il pavimento.
I suoi compagni invece si erano lanciati nel piazzale sottostante e, servendosi del mirino
con la visione notturna inserita, aprì il fuoco di copertura costringendo un
gruppo di soldati diretti verso di loro a bloccare la corsa. Lanciò un fumogeno
per creare una cortina per Sergio e Giovanni, inserendo subito il rilevatore di
calore in modo da poter inquadrare lo stesso eventuali bersagli.
Alessandro riprese quota, mentre Mattia, un ghigno
come una profonda incisione d’un coltello sul volto aveva armato la “Croce” e
tolto la sicura dal grilletto dei suoi comandi.
Fece fuoco in direzione della rimessa dove stavano i
veicoli. Intanto i colpi delle mitragliatrici da terra impattarono contro
l’Egida, finendo respinti senza che il Folgore riportasse danno alcuno mentre
auto-blindi e jeep divenivano inutilizzabili in pochi secondi per effetto dei
proiettili ad alta velocità.
“Tra poco decolerrano i Mangusta.” Pensò Alessandro.
Su uno dei quattro schermi sulla plancia c’era la mappa rubata telematicamente
da Luca ed inviata a Ravenna che a sua volta l’aveva rigirata a loro.
L’aveva memorizzata ma preferiva comunque potergli
dare un occhio in caso di necessità.
Come previsto gli elicotteri gli furono addosso in
breve. Erano passati 7 minuti.
I chaff flare dispenser si attivarono
automaticamente per fermare i missili diretti versi di loro.
La notte si illuminò ed il silenzio del bosco che
arrivava praticamente a ridosso della base venne violato dal fragore della
battaglia. Alessandro se ne dispiacque. La quiete di quei luoghi aveva qualcosa
di santo e sacro. Non poteva, una parte di lui, non sentirsi colpevole di
averla profanata ma in quel momento la parte al comando era il soldato ed il
soldato aveva una missione e l’avrebbe compiuta, ad ogni costo.
Martino sfiorò un comando ed una coppia di
gatling-vulcan laterali si rivelò. Il sistema d’acquisizione del bersaglio era
efficiente, come al solito. Provò una feroce gioia mentre le sue pupille si
muovevano rapide a segnare le vittime del suo spaventoso talento, un punto
rosso in ogni zona su cui si posava il suo sguardo di falco, come se fosse
l’infausto segno d’un untore. Tirò il grilletto ed i gun-pod fecero il loro
dovere rovesciando una pioaggia di 6000 colpi al minuto su gli elicotteri della
base presa d’assalto.
Alessandro si sentì mortificato: Dio non aveva
esaudito la sua richiesta.
I mangusta crivellati dai colpi si schiantarono.
10 minuti.
Sergio e Giovanni agirono come artisti d’un balletto
sincronizzato. Un balletto letale.
Uno apriva il fuoco per distrarre le sentinelle e
l’altro sparava o colpiva con il coltello da una diversa angolazione.
Sistemarono, in diversi punti, attaccate a muri, in
terra, su sacchi ammucchiati, delle mini-cam mentre avanzavano verso l’edificio
oggetto della loro corsa.
Le cam tramsettevano un segnale raccolto dal display
a cristalli liquidi del fucile convertibile di Mattia che ora poteva godere
anche di altri punti di vista del campo di battaglia.
Un gruppo di quattro soldati si ritrovò a dover
tornare rapidamente sui propri passi trovandosi la strada sbarrata dal suo
fuoco. Senza le cam, non li avrebbe visti in tempo.
Sergio e Giovanni arrivarono rapidamente dove il
dispositivo che dovevano rubare era custodito. 12 minuti dall’inizio della
assalto. La cassa contenente il cannone emp pesava 35 chili. Sergio la issò
sulla schiena, assicurandosela con delle cinghi appositamente portate.
Abbandonò lo zaino dopo aver innescato l’esplosivo che conteneva.
Intanto il Folgore Celeste neutralizò due Leopard
che erano usciti dai propri nascondigli prima che avessero il tempo di aprire
il fuoco.
“Gli EFA ci saranno addosso tra poco. A quest’ora
avranno dato l’allarme.”
Mattia coprì in modo eccellente la ritirata dei suoi
compagni di squadra. I proiettili raggiungevano i bersagli o riuscivano a far
desistere da eventuali tentativi di gettarsi al loro inseguimento.
Folgore scese rapido, una manovra che con un altro
elicottero avrebbe potuto costare la vita al pilota ma non con
quell’elicottero, il portellone posteriore aperto. Sergio e Giovanni balzarono
dentro in meno di un secondo, contando sulla potenza dei muscoli delle gambe.
Nel sollevarsi, Alessandro passò vicino la torre dove recuperò Mattia.
15 minuti.
Un tempo sufficiente per gli uomini di Minerva a
scatenare l’inferno nella base 11 anche grazie al crash dei sistemi elettronici
interni provocato dal virus che Luca, tramite il cellulare lasciato da Melissa,
aveva installato nei computer.
Il Folgore Celeste s’allontanò nel buio dal quale
era improvvisamente comparso, lasciando dietro di sé il fuoco ed il fumo,
testimoni del suo potere distruttivo.
Continua.